mercoledì 03 Dicembre 2025
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Giornata mondiale dell’ambiente: perché il 75% degli under 35 consuma prodotti vegetali

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ambiente vegetale
Prodotti a base vegetale (immagine concessa)

MILANO  – Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti e negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza del forte impatto ambientale dovuto anche alle nostre scelte alimentari, responsabili di quasi 1/3 delle emissioni di gas serra globali. Inserire più alimenti vegetali nella propria alimentazione è una scelta che può fare la differenza, anche nei confronti dell’ambiente. Lo hanno capito soprattutto i giovani under 35, che considerano la sostenibilità uno dei principali driver nelle loro scelte di acquisto e che, per questo, consumano prodotti plant-based oltre 2-3 volte a settimana[1].

L’analisi del Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food

È quanto emerge dall’analisi messa a punto dal Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food, la più grande Associazione di rappresentanza diretta di categorie merceologiche nel settore alimentare in Italia e in Europa, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente (5 giugno). Secondo una ricerca condotta da UIF con AstraRicerche[2], il 75% degli under 35 sceglie abitualmente prodotti a base vegetale e li considera sostenibili. Per il 65%, inoltre, i plant-based rappresentano un fenomeno ben radicato nelle proprie abitudini alimentari e non una semplice “moda” passeggera.

Una dieta sostenibile

“A tavola i plant-based possono aiutare a seguire una dieta sostenibile”, dichiara Salvatore Castiglione, presidente Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food. “Circa 1 italiano su 2 (47%)[3] afferma di sapere che questi prodotti hanno un’impronta ecologica tra le più basse del mondo alimentare e il 46% aggiunge che richiedono un minore impiego di risorse naturali – come suolo, acqua ed energia – rispetto ad altri alimenti. Gli alimenti a base vegetale non solo offrono una scelta ecologicamente responsabile al consumatore, ma sono anche riconosciuti dagli italiani come una soluzione concreta per ridurre l’impatto ambientale legato al consumo (e alla produzione) di cibo”.

Una consapevolezza diffusa soprattutto tra le generazioni più giovani, che in fatto di scelte green a tavola, sono i principali promotori. Più di 7 giovani su 10 (73%) dichiarano di conoscere l’esatta composizione dei plant-based, confermando di sapere che si tratta di prodotti realizzati con ingredienti esclusivamente di origine vegetale, senza alcun elemento di origine animale. 4 su 10 (40,4%) li scelgono per diversificare la propria dieta alimentare e oltre 6 su 10 (66,5%) li considerano un “aiuto per il Pianeta”.

La dieta flexitariana

Affermazione che trova d’accordo Ludovica Principato, professoressa aggregata in Gestione Sostenibile di impresa, Università Roma Tre: “In Italia, l’adozione di una dieta ‘flexitariana’, che include una maggiore presenza di alimenti di origine vegetale come verdura, frutta, cereali integrali e legumi, avrebbe un impatto molto positivo sull’ambiente rispetto all’attuale dieta seguita nel nostro Paese. Ci consentirebbe, infatti, di: dimezzare le emissioni di gas serra, che diventerebbero equivalenti a 98Mt CO₂, anziché 187 (o addirittura a 77, nel caso dell’adozione di una dieta vegetariana); risparmiare una quantità di acqua equivalente a 3,6 milioni di piscine olimpiche (o a 4,4 sempre nel caso di una dieta vegetariana); ridurre fino al 40% la perdita di biodiversità”.

L’attenzione crescente verso la salvaguardia del pianeta è un segnale evidente dell’impegno delle nuove generazioni nel promuovere uno stile di vita responsabile. “Questo impegno – sostiene il sociologo Mauro Ferraresi – si riflette anche nelle scelte di acquisto degli under 35, portando a notevoli cambiamenti nel contenuto del carrello della spesa. Le nuove generazioni sono sempre più consapevoli del legame tra le loro scelte alimentari e la salute del pianeta. Per questo, scelgono di consumare prodotti maggiormente ‘sostenibili’, come quelli a base vegetale”.

Gli under 35 mostrano una consapevolezza sulle tematiche ambientali molto più elevata rispetto alla fascia di età più adulta. Questo dimostra che “attraverso il linguaggio del cibo e grazie al lavoro di insegnanti ed educatori è possibile stimolare un approccio critico e proattivo e favorire un cambiamento duraturo nelle nuove generazioni per la diffusione di una cultura della sostenibilità incentrata su azioni sistemiche”.[4]

Attenti ed informati, gli under 35 in prima linea a difesa dell’ambiente

Secondo i dati di un’indagine UIF- Gruppo Prodotti a base vegetale[5], il 66% degli under 35 dichiara di aver cambiato il proprio modo di mangiare negli ultimi 5 anni. Tra le motivazioni principali che hanno guidato i cambiamenti a tavola c’è proprio l’impatto ambientale del cibo. Ma perché per i giovani la sostenibilità è un valore così importante, capace di guidare le scelte presenti e future?

“Esiste una vasta letteratura in grado di dimostrare che gli under 35 sono i cittadini più attenti ad ambiente, economia circolare e sostenibilità”, spiega il sociologo Mauro Ferraresi. “Sono state effettuate numerose analisi psicografiche per comprendere quali siano i driver, le spinte emotive e le ragioni psicologiche che muovono gli under 35 verso il ‘green’, pure nel cibo.  E la riposta va ricercata in un afflato ideale, una connessione con ‘Gaia’ (la madre Terra), di persone curiose, empatiche, attente al mondo che le circonda”.

L’impatto sulle scelte alimentari

“Il crescente interesse dei giovani per la sostenibilità e il suo impatto sulle scelte alimentari può essere attribuito a diversi fattori”, continua Ferraresi. “In primo luogo, le nuove generazioni sono cresciute in un’epoca in cui le questioni ambientali e il cambiamento climatico hanno assunto una grande rilevanza, essendo oggetto di ampi dibattiti pubblici. Gli under 35 sono stati maggiormente esposti a informazioni riguardanti l’impatto ambientale della produzione del cibo, in termini di emissioni di gas serra e utilizzo delle risorse naturali. Sono, per questi motivi, anche più aperti all’innovazione e a seguire nuove tendenze, anche in ambito alimentare. I prodotti a base vegetale rappresentano, ad esempio, un’alternativa moderna e in linea con i valori di sostenibilità che essi abbracciano. La consapevolezza che i plant-based utilizzino ingredienti a basso impatto ambientale e richiedano meno risorse, come acqua e uso del suolo, per la loro produzione, contribuisce a rafforzare la loro percezione di sostenibilità”.

Ed infatti, più di 4 giovani su 10 (43,4%) ritengono che i plant-based siano sostenibili perché realizzati con i vegetali, che sono amici dell’ambiente. Il 36,3% li considera sostenibili anche perché usano ingredienti con basso impatto ambientale o perché richiedono l’uso di poca acqua, contribuendo a ridurre le emissioni di CO (22%)[6].

Le diete sostenibili sono un aiuto per proteggere il pianeta

Ma sarà corretta la scelta dei consumatori under 35 di puntare su diete ricche di vegetali e sui prodotti plant-based, per salvaguardare l’ambiente? I dati confermano inequivocabilmente questa scelta: consumare una porzione media di tofu 1-2 volte a settimana contribuisce a immettere nell’atmosfera, annualmente, “solo” 12 kg di CO; le bevande a base di mandorla, solo 10 kg; quelle a base di riso 18 kg. Si tratta di quantitativi di gas serra decisamente inferiori rispetto a quelli immessi da altre tipologie di cibi, a conferma che anche le nostre scelte alimentari possono aiutare il Pianeta.

“Se adottassimo a livello globale diete ad alto contenuto di alimenti vegetali – conferma la prof.ssa Principato – potremmo ridurre la perdita di biodiversità dal 5% fino al 46%. L’aumento del consumo di alimenti di origine vegetale rispetto agli alimenti di origine animale, consentirebbe inoltre una riduzione generale dell’uso di acqua fino all’8% in un paese come gli Stati Uniti e fino al 15% in Cina. Questo non vuol dire smettere di mangiare proteine animali o simili, ma solo lavorare su concetti di quantità e frequenza”.

Bibliografia

[1] Survey Bva-Doxa per Unione Italiana Food/Gruppo Prodotti a base vegetale, 2022.

[2] Survey AstraRicerche per Unione Italiana Food/Gruppo Prodotti a base vegetale, 2023.

[3] Survey Bva-Doxa per Unione Italiana Food/Gruppo Prodotti a base vegetale, 2022.

[4] Marta Antonelli, Elena Cadel, Sonia Massari, Verso il 2030. Educare alla cittadinanza attiva attraverso la sostenibilità alimentare e ambientale, in “Equilibri, Rivista per lo sviluppo sostenibile” 1/2020, pp. 98-104, doi: 10.1406/97540

[5] Survey Bva-Doxa per Unione Italiana Food/Gruppo Prodotti a base vegetale, 2022.

[6] Survey AstraRicerche per Unione Italiana Food/Gruppo Prodotti a base vegetale, 2023.

Il caffè sostenibile coltivato in Sicilia, insieme alla torrefazione Morettino

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sicilia tomarchio granita
La bandiera della Sicilia

Le giovani piante di caffè coltivate in Sicilia sono riuscite a superare l’inverno freddo dei climi mediterranei e hanno reagito velocemente alle variazioni annuali di disponibilità luminosa piuttosto che a quelle di temperatura, e non hanno risentito dell’ombreggiamento quando coltivate in coltura promiscua. Il caffè generato si è distinto per la sua spiccata sostenibilità: si tratta del primo progetto sperimentale in Europa. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Annalisa Ciprì pubblicato sul portale Sicilia Rurale.

La sostenibilità del caffè coltivato in Sicilia

MILANO – Il caffè coltivato in Sicilia si distinguerebbe per una marcata sostenibilità grazie all’applicazione di tecniche di coltivazione sostenibili, alla naturale biodiversità della Sicilia, e dalla presenza di torrefazioni storiche all’ interno del nostro territorio che hanno già avviato una fase sperimentale di ricerca ed con ottimi risultati in termini sensoriali e gustativi.

In campo, una squadra di ricercatori con l’obiettivo in primis di analizzare le diverse aree della Sicilia e valutare la presenza di terreni favorevoli a questo tipo di coltivazione.

Tra i protagonisti della ricerca, il Dipartimento di scienze agrarie, Alimentari e forestali (SAAF) – Università degli Studi di Palermo; il Dipartimento di scienze e tecnologie Biologiche Chimiche e Farmaceutiche (STEBICEF). U.O. Chimica degli alimenti; il CREA di Palermo e un gruppo della Torrefazione Morettino.

La ricerca nasce e punta al voler ottenere del caffè coltivato e trasformato in Sicilia con una prospettiva di medio termine.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Dolce & Gabbana: lo storico Caffè Excelsior inaugurato nel borgo di Portofino

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Il logo Dolce & Gabbana

PORTOFINO (Genova) – Il Gruppo Dolce & Gabbana ha rilevato lo storico Caffè Excelsior di Portofino. L’obiettivo del brand della moda è quello di unire il mondo fashion a quello del bar inserendo un angolo boutique per acquistare i capi del marchio intervallando una pausa per un drink o un caffè al bancone (ne abbiamo parlato qui).

L’inaugurazione del Caffè Excelsior di Dolce & Gabbana

Venerdì 26 maggio a Portofino si è celebrata la festa dell’inaugurazione insieme alla sfilata di moda della collezione Dolce&Gabbana x Mytheresa con ospiti speciali come la supermodella Alessandra Ambrosio e l’attore Lucien Laviscount.

Per concludere la serata, Portofino ha assistito ad uno spettacolo pirotecnico che ha sancito ufficialmente l’apertura di Dolce & Gabbana al Caffè Excelsior.

Luca Zaia, governatore del Veneto, prepara un tiramisù al caffè in diretta per Veneto Creators

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tiramisù grandi zaia
Tiramisù (immagine: Pixabay)

Il governatore del Veneto Luca Zaia ha preparato un tiramisù a tre piani all’istituto alberghiero Beltrame di Vittorio Veneto il 27 maggio in occasione del progetto Veneto Creators, la sfida digitale che vede come protagonisti 28 influencer pronti a raccontare il proprio territorio. Leggiamo di seguito la notizia riportata dal quotidiano Il Gazzettino.

Il tiramisù del governatore Luca Zaia

VITTORIO VENETO (Treviso) – Il governatore del Veneto Luca Zaia si è improvvisato pasticcere all’istituto alberghiero Beltrame di Vittorio Veneto lasciando a bocca aperta gli studenti, i professori e anche gli influencer trevigiani di Veneto Creators. Il 27 maggio Zaia ha preparato un tiramisù a tre piani abbondando di crema e imbevendo i savoiardi nel caffè.

Una “costruzione” fatta a puntino che il governatore ha fatto salire fino al terzo piano nonostante qualcuno gli avesse detto di fermarsi al secondo: “Guarda che non regge”.

E non solo. Zaia si è anche cimentato nel suolo di sous chef, guardando e incitando i creators mentre preparavano un risotto agli asparagi.

Pasquale Polito, Forno Brisa di Bologna: “Prezzo espresso non è una lotta ma alleanza”

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I fondatori, Pasquale Polito e Davide Sarti credits Arianna Primavera Forno Brisa
I fondatori, Pasquale Polito e Davide Sarti credits Arianna Primavera

MILANO – Non è da molto che abbiamo parlato dell’impresa corale di Forno Brisa che ha la sede storica a Bologna, con i suoi traguardi recentemente raggiunti (4 milioni superati con una campagna di crowdfunding su Mamacrowd, oltre mille soci e parecchi colleghi e amici che supportano la rete virtuosa). In questi giorni è apparso sul Corriere della Sera un’intervista a Pasquale Polito, uno dei due soci fondatori con Davide Sarti, che auspicava che il costo dell’espresso al bancone arrivasse a 2 euro e 50. Ne abbiamo parlato con il diretto interessato, per spiegare meglio il concetto.

Polito, partiamo proprio dal titolo che ha fatto scalpore: la cifra dei 2 euro 50 per un caffè, da dove nasce?

“Ho parlato di questa cifra che, trovandosi inserita in un titolo di giornale ha fatto un certo effetto, d’altra parte esiste una abitudine diffusa a pagare il caffè a 1 euro senza chiedersi cosa si beve: è per questo che aumentare il prezzo viene percepito come un ladrocinio nei confronti dei consumatori.

Proviamo a contestualizzare la cifra dei 2,50€ in un discorso più ampio: chiediamoci da dove viene il caffè, da dove viene raccolto, chi lo raccoglie, il viaggio che fa per arrivare in Italia, il ruolo del torrefattore e poi quello del barista. Quanto costa sostenere un bar e il food cost del caffè. Basterebbe prendere in mano un conto economico di un bar, per scoprire che non si diventa ricchi con questa attività.

Quando parliamo di caffè, ci riferiamo ad un prodotto che è considerato purtroppo come una commodity e il nostro obiettivo è proprio quello di ridargli il giusto valore: sia nella scelta che nell’estrazione. Come Forno Brisa ci occupiamo di pane e di caffè, che sono consumati quotidianamente da tutti, partendo con una semplice considerazione: se vogliamo qualità e vogliamo che anche il produttore di caffè che abita a migliaia di chilometri di distanza venga ripagato per il lavoro che fa, non possiamo pretendere di mantenere lo stesso prezzo applicato parecchi anni fa.

È cambiato il paradigma economico sociale mondiale che rendeva corretto il costo di 1€. Che si compri una maglia o un piatto di pasta, o un caffè, il consumatore oggi deve essere consapevole del suo ruolo nel garantire la sostenibilità sociale all’interno della filiera. Se il consumatore vuole un mondo più giusto, con meno divisioni sociali e territori depauperati di fertilità, deve anche cambiare abitudini e non può più permettersi di pensare egoisticamente al proprio risparmio. E nemmeno pensare che i 2,50 vadano tutti in tasca al barista.

Polito: “Il prezzo non è una lotta ma un’alleanza”

“Noi stabiliamo il prezzo del grano con i produttori, valutando il raccolto in base all’annata di riferimento, in modo da dare una retribuzione che li soddisfi. Nello stesso modo stiamo iniziando a fare con il caffè e ci piacerebbe che diventi pratica diffusa. Forno Brisa come tanti suoi colleghi, vuole pagare in maniera equa il coltivatore, che ricordiamoci guadagna soltanto se produce. Chi è all’inizio della filiera si trova paradossalmente in fondo alla catena: se un anno capita di produrre poco, il contadino non è tutelato.

Per restituire il giusto valore al mondo del caffè, prendiamo ispirazione dal mondo del vino, che ha vissuto una riqualificazione importante dopo lo scandalo del metanolo e soltanto 50 anni fa veniva maltrattato e poco valorizzato, così come si fa con il pane. Oggi, grazie al lavoro di agricoltori e produttori e appassionati alcuni vini con specifici metodi produttivi o con origini particolari hanno un valore sul mercato uguale a quello percepito.

Questo è stato possibile grazie ad una forte collaborazione tra vignaioli: sono un esempio di comunità che ha trainato un intero settore. Per questo stiamo cercando di creare alleanze con gli agricoltori – al di fuori dai prezzi di borsa, sul grano come sul caffè. Per tutte queste ragioni ho detto, e lo confermo, che io pagherei anche 2 euro e 50 il caffè e lo farei pur
ritenendomi una persona con un guadagno nella media: in Forno Brisa, il 95% di noi non ha case di proprietà, vive in affitto, guadagnando 1.400/1.500 al mese e facendo politica attraverso il cibo. “

Polito: “Quando si paga un euro per l’espresso, non c’è responsabilità rispetto a ciò che succede dietro quella cifra”

“Bisogna pensare in modo ecosistemico e non ego-sistemico. Da un lato le aziende dovrebbero uscire dalla dinamica del profitto a discapito di altri, e consumatori dovrebbero porsi di fronte alla questione esistenziale della responsabilità e della partecipazione. Il caffè a un euro non è un diritto ma un’abitudine: da un lato gli agricoltori devono essere pagati con il giusto prezzo e dall’altro i consumatori devono imparare a dare a valore a quello che acquistano chiedendosi come il proprio investimento possa influenzare il mercato.

Faccio questo discorso completamente conscio del fatto che ci troviamo in un periodo di perdita del potere d’acquisto con un’inflazione superiore al 10%. Resto convinto che, se manteniamo a un euro e 50 l’espresso è soltanto perché viviamo questa bevanda – insieme
al pane – come un’abitudine quotidiana irrinunciabile data troppo per scontata.

Il nostro coraggio come quello di altri innovatori in Italia è nel portare avanti delle scelte rischiose dal punto vista aziendale, per raggiungere un prezzo che conceda il 15% di margine: sarebbe già una gran conquista. Oggi il consumatore è intelligente, studia, si sente parte attiva di un sistema etico ed economico e i tempi sono maturi per questo tipo di discorso. Anche se non ce lo ricordiamo spesso, con le nostre scelte di acquisto decidiamo se avvelenare o meno il terreno, se usare o meno pesticidi in campo.

Per questo motivo abbiamo scelto di usare solo farine biologiche e caffè verdi biologici certificati e siamo sostenuti da chi ci crede con noi. Da chi sa che il proprio gesto di acquisto influenza anche la sostenibilità del mondo. Vorrei portare nella discussione pubblica questi temi: sono affari di tutti, non soltanto di chi produce. Perché, ogni volta che si sceglie un’azienda, si fa una scelta politica.”

Nei vostri locali bolognesi avete messo l’espresso già a 1.50: le cose cambieranno, dato che ci risulta che anche molti altri bar hanno raggiunto quella cifra, anche non specialty come lo storico Zanarini?

“Dietro il nostro pane c’è ricerca scientifica, agronomica, nutrizionale e quindi il prezzo del pane deve corrispondere a questo valore, in alleanza con i produttori del grano e con i consumatori. Anzi, i consumAttori, come da anni sostiene Carlo Petrini. Sull’espresso non rimarremo fermi a 1 e 50 per sempre: per ora questo è l’accordo sociale che abbiamo fatto con il pubblico.

Molto dipenderà poi da diversi progetti e fattori, come gli stipendi di chi lavora oggi e dal costo della vita, ma il prezzo del caffè dovrebbe esser analizzato considerando i costi della filiera e le tante spese che un gestore deve affrontare. Il mio sogno è che il prezzo venga vissuto come un’alleanza e non come una lotta tra consumatore e impresa. Abbiamo questa missione e sono felice che si porti in evidenza la tematica. Vogliamo restituire valore al caffè e al pane e quindi dobbiamo discuterne.”

E nei punti gestiti dai vostri colleghi, il prezzo è lo stesso?

“Siamo coerenti, perché siamo tutti nella splendida alleanza i tra torrefattori artigianali e baristi. Siamo andati avanti nella scelta dei prezzi insieme. Non disprezzo chi vende il caffè a un euro: a me piacerebbe soltanto che il caffè fosse sostenibile. Per far sì che un’azienda abbia lunga vita serve innanzitutto che sia solida e che abbia capacità di pagare meglio il personale e i fornitori. “

Come state investendo i soldi raccolti nell’imponente campagna di crowdfunding?

“Abbiamo chiuso da poco la campagna e abbiamo previsto di costruire un mulino in Abruzzo, nei prossimi anni. E siamo già partiti con la progettazione dell’ampiamento del nostro laboratorio e di nuovi store, non solo di Forno Brisa ma anche dei nostri colleghi. E magari riusciremo ad ampliare la roastery…ma tra qualche mese racconteremo maggiori dettagli.”

illycaffè apre il quarto flagship store milanese a CityLife

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L'esterno del nuovo store illycaffè (immagine concessa)

MILANO Inaugurato il quarto flagship store milanese per il brand illycaffè a piazza Tre Torri nel cuore pulsante dell’innovativo quartiere CityLife. Con oltre 80 posti a sedere, il nuovo caffè illy si sviluppa su 75 mq e su un’area esterna di oltre 70 mq. Ampie e luminose vetrate creano una dinamica interazione tra lo spazio interno e l’ambiente circostante, catturando, ancora prima di entrare, l’attenzione del visitatore sullo scenografico chandelier che riunisce in una spirale sospesa la storia delle illy Art Collection, simbolo del rapporto tra illy e il mondo dell’arte contemporanea.

Il nuovo flagship store di illycaffè

L’anima del locale, che propone anche in questo caso il concept accattivante che ha reso il brand riconoscibile in tutto il mondo, è il grande bancone che unisce la raffinatezza del marmo bianco all’iconico frontale rosso illy. Accanto all’entrata il mosaico che raffigura la celebre pubblicità realizzata da Xanti Schawinsky nel 1934 per illycaffè.

L’impiego di materiali naturali come il legno e di colori caldi in tonalità caffè rende rilassata ed elegante l’atmosfera del locale, che si propone come un caffè artistico e contemporaneo: qui è possibile vivere il piacere dell’inconfondibile esperienza illy, in dialogo con l’ormai iconico skyline del quartiere più avveniristico della città.

“Questo nuovo caffè illy è espressione della personalità e della filosofia della nostra marca. Un ulteriore punto di riferimento sul territorio in cui il pubblico possa gustare un caffè illy e immergersi negli stimoli e nei mondi a esso indissolubilmente legati: l’arte, la cultura, il design e la qualità assoluta” commenta Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè.

illycaffè
L’interno del nuovo locale CityLife (immagine concessa)

Taddeo Bruno, DOS & franchising director dell’azienda, afferma: “Questa è la quarta apertura nella città di Milano. La scelta di CityLife non è assolutamente casuale considerando che si tratta della nuova destinazione dello shopping e del business della città: qui gravitano tutti i profili che noi consideriamo come potenziali clienti. C’è di più: questa zona è la sintesi dei concetti di innovazione, sostenibilità ed arte che sono alla base del nostro brand. La posizione della nuova caffetteria illy a CityLife è perciò coerente e in linea con la filosofia dell’azienda”.

Bruno aggiunge: “Su questo punto vendita abbiamo massimizzato e fatto tesoro della nostra esperienza nell’apertura del branch di Monte Napoleone. I due punti vendita hanno molto in comune: lo si può notare nei colori caldi della caffetteria che rendono il mood più sereno ed ospitale e ciò vale anche nei principi artistici e grafici. Le vetrate creano un forte dinamismo nella parte interna ed esterna rendendo lo spazio piacevole alla vista. Il concetto di caffetteria si evolve sempre nello stesso modo in cui si evolve la tipologia di consumatore che ci si avvicina”.

L’attenzione alla sostenibilità

Osservando l’innovativo design della caffetteria, è difficile non notare l’abbondanza del colore verde. A questo proposito Bruno rivela: “illy cavalca i temi della sostenibilità ormai da novant’anni. La scelta del colore verde richiama appunto l’attenzione alle tematiche green che sono al cuore del marchio. Per quanto riguarda questo punto vendita, così come in diversi altri, abbiamo adottando diverse scelte nel segno dell’ambiente come la decisione di utilizzare solo certi materiali di consumo, ad esempio le tovagliette in carta riciclata, e l’opportunità di poter riciclare le nostre capsule del caffè e riutilizzarle”.

Bruno conclude: “Nel nostro store a Monte Napoleone abbiamo diversi materiali di arredo creati proprio grazie alle capsule di caffè riciclate (ne abbiamo parlato qui). L’azienda ha sempre avuto una grande attenzione per questi temi e lo abbiamo dimostrato anche grazie alle nostre caffetterie. Siamo una B-Corp e la sostenibilità è nel nostro dna.“

L’esperienza illycaffè

Ma le novità della caffetteria a Tre Torri non finiscono qui. L’offerta gastronomica dell’illy City Life presenta una vasta gamma di preparazioni a base di caffè e tante sfiziosità ideali per accompagnare tutti i momenti della giornata: dalle prime ore del mattino per iniziare con l’aroma del blend unico 100% Arabica e la piccola pasticceria affidata a maestri pasticcieri partner illy, ai light lunch e alle pause dallo shopping o dall’ufficio, fino al momento dell’aperitivo con proposte gustose e di qualità. A troneggiare dietro il bancone la macchina da caffè Faema  E71.

illy citylife
Il bancone illycaffè (immagine concessa)

Per offrire un’esperienza illy completa anche a casa, all’interno dello store è presente un angolo retail con una selezione di prodotti del brand e del gruppo: macchine da caffè, tazze da collezione, accessori per la colazione, cioccolato, tè e confetture.

Proseguendo il progetto di sviluppo nell’area milanese iniziato nel 2015, con questa apertura illy entra nel nuovo quartiere simbolo della città, polo futuristico dove innovazione, modernità e sostenibilità sono i pilastri fondamentali, gli stessi che da 90 anni guidano l’azienda leader nel caffè di alta qualità sostenibile. La nuova caffetteria è aperta tutti i giorni dalle 8:00 alle 21.00.

di Federico Adacher

Vietnam: Usda stima ora la produzione in calo del 6% a 29,75 milioni, tiene l’export

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Usda Brasile
Il logo del dipartimento dell'agricoltura di Washington

MILANO – Usda rifà i conti sul Vietnam: taglia le stime sulla produzione e rivede al rialzo quelle sull’export, sia dell’anno scorso che di quest’anno, con un conseguente calo drastico delle scorte finali destinato a pesare sul mercato. Il nuovo report del servizio informativo estero del dipartimento Usa dell’agricoltura stima ora la produzione per l’annata 2022/23 in 29,75 milioni di sacchi, contro i 30,9 milioni indicati lo scorso inverno: oltre 1,8 milioni in meno (-5,8%) rispetto al precedente raccolto 2021/22, stimato, a sua volta, in 31,58 milioni.

La produzione di robusta scende a 28,74 milioni (-5,7%); quella di arabica segna una flessione dell’8,2% attestandosi poco al di sopra del milione di sacchi.

Il forte calo del raccolto di robusta è legato, in parte, a fattori ciclici, con una fisiologica flessione produttiva dovuta allo stress vegetativo, dopo l’abbondante raccolto 2021/22.

Detti effetti sono stati però accentuati dalle minori cure agricole e dal ridotto uso di input, a causa del lievitare dei costi.

Secondo fonti dell’industria, citate dal report, il costo medio di produzione è stato, nel 2022/23, di circa 1.200 dollari per ettaro: il 15% in più rispetto al 2021/22.

Il costo dei fertilizzanti è cresciuto addirittura del 70% spingendo i produttori a ridurne l’utilizzo o a optare per alternative naturali, con un conseguente calo delle rese unitarie.

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IMF, sostenibilità e sviluppo: parlano i professionisti del settore

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Un particolare delle macchine IMF (immagine concessa)

OCCHIOBELLO (Rovigo) – Sostenibilità e sviluppo tecnologico sono da sempre tratti distintivi di IMF, a partire dalla recente installazione di un impianto fotovoltaico nei propri stabilimenti per contribuire al sostentamento energetico aziendale. Altro aspetto importante per IMF è la ricerca al fine di limitare l’impatto ambientale, con particolare attenzione verso i ridotti consumi e i livelli di emissione, che risultano estremamente bassi grazie ad un’innovativa soluzione di ricircolo, recupero ed abbattimento delle stesse.

I modelli IMF

Tutti i modelli IMF sono dotati di un particolare sistema di ricircolo di aria calda pulita attraverso un’unica caldaia a doppia funzione, che consente di generare l’energia necessaria per il processo di tostatura e allo stesso tempo di ridurre le emissioni, garantendo così un notevole risparmio energetico con significativa riduzione dei costi di produzione.

Il costante impegno aziendale nello studio del prodotto e nella ricerca tecnologica ha portato ad un elevato livello di precisione del processo di tostatura, particolarmente apprezzato da clienti e professionisti del settore in tutto il mondo, come ad esempio Scott Rao, di Prodigal Coffee negli USA:

“The IMF exhaust fan and burner temperature are independently controlled. That means we can have whatever throughput level we want at anytime. It also allows one to use inlet-temperature profiling, which is the best way to control an air roaster.”

Per leggere la versione integrale del suo articolo e conoscere ulteriori dettagli sulla scelta delle torrefattrici IMF, visitate il suo blog.

Fipe, Assobio e Ismea: la ristorazione guarda al biologico nell’indagine

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Fipe -Confcommercio buoni pasto inflazione donne ristorazione
Il logo Fipe

ROMA – Di pari passo con il crescente affermarsi del salutismo e della sostenibilità ambientale tra i driver di scelta degli italiani, il biologico trova sempre più spazio anche nei menu dei pubblici esercizi. Lo rivela un’indagine Ismea realizzata in collaborazione con Fipe e AssoBio e presentata oggi in occasione dell’evento “Il biologico nella ristorazione commerciale”.

L’indagine sul biologico nella ristorazione

Nell’ultimo anno, emerge dall’indagine, oltre il 50% dei bar italiani e quasi il 70% dei ristoranti hanno infatti proposto o impiegato nelle loro preparazioni culinarie cibi, bevande e materie prime biologiche, nelle diverse occasioni di consumo, dalla colazione agli aperitivi ai pasti principali, al fine di garantire ai propri clienti una scelta più ampia, servire cibo più salutare e qualificare la propria offerta.

L’indagine è stata condotta nei mesi di settembre e ottobre 2022 presso un campione rappresentativo di bar e ristoranti nazionali e ha raccolto oltre 2.000 interviste telefoniche. Più nel dettaglio, dei circa 111 mila bar attivi sul territorio italiano, uno su due ha in parte orientato la propria offerta verso referenze ottenute con metodo biologico, con un’incidenza più elevata nei punti vendita ubicati nelle città del centro e nord Italia e con un numero di addetti superiore a 6.

Mediamente quasi il 20% di alimenti e bevande proposti presso questi esercizi è costituito da prodotti bio, con una rappresentatività maggiore per quanto riguarda la frutta, il latte e il vino.

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L’evento “Il biologico nella ristorazione commerciale” (immagine concessa)

La colazione e l’aperitivo sono stati indicati dagli operatori come le occasioni di consumo più adatte all’inserimento di proposte bio, mentre sul fronte di prezzi, il prodotto biologico viene venduto a quasi il 15% in più rispetto all’omologo convenzionale, a causa dei costi più elevati per l’approvvigionamento.

Dal lato ristorazione, i dati sono ancora più confortanti confermando un’elevata penetrazione dei prodotti biologici che trovano impiego presso ben i due terzi degli oltre 157 mila ristoranti attivi sul panorama italiano.

Percentuali ancora superiori si rilevano al centro Italia (oltre il 76%) e nel nord ovest (69%), con un progressivo aumento dell’incidenza al crescere del numero degli addetti (dal 60% nei ristoranti con un solo addetto all’81% di quelli con un numero superiore a 49 addetti).

All’interno di questi esercizi, il bio rappresenta oltre il 30% del valore degli acquisti, con punte del 42% nel caso delle verdure e del 34% dell’olio extravergine di oliva. Anche in questo caso il prodotto bio genera un sovrapprezzo di quasi il 17%, giustificato sempre da un surplus nei costi.

Contorni e antipasti sono i piatti in cui la presenza di prodotti biologici riesce ad essere più significativa, ma in linea generale, rivelano i ristoratori intervistati, in quasi tutte le portate il biologico riesce ad essere impiegato nel migliore dei modi.

In relazione alle prospettive nel prossimo futuro, oltre l’80% di ristoranti e quasi la totalità dei bar intervistati dichiara di essere intenzionato a confermare l’attuale politica di acquisto di prodotti bio, in termini quantitativi. Tra i primi, tuttavia, il 13,5% potrebbe prendere in considerazione la scelta di diventare un locale esclusivamente biologico, quota che nel caso dei bar si riduce invece al 6%.

L’evento, organizzato da Fipe-Confcommercio, Ismea e AssoBio, ha avuto l’obiettivo di delineare gli scenari nel canale horeca, per il settore biologico, partendo dai nuovi valori che guidano le scelte di consumo: sostenibilità, ambiente, etica e remunerazione equa lungo la filiera. Ma anche rendere riconoscibile il ruolo fondamentale dell’agricoltura biologica in ambiti di grande attualità come la sicurezza alimentare, la sana alimentazione, la sostenibilità ambientale e il contrasto ai cambiamenti climatici.

Al dibattito hanno preso parte Pietro Gasparri (Masaf), Roberto Zanoni (AssoBio), Antonella Giuliano (Ismea), Michele Manelli (Salcheto Srl), Massimo Lorenzoni (BiotoBio Srl), Daniela Gazzini (ViVi Bistrot), Luciano Sbraga (Fipe-Confcommercio), Maria Grazia Mammuccini (Federbio), Fabio Del Bravo (Ismea).

L’iniziativa è uno dei numerosi appuntamenti del calendario de “La Settimana del Bio”, prima edizione di un’iniziativa annuale promossa da Assobio che, con finalità di valorizzazione e informazione sul biologico, coinvolge produttori, Gdo e le altre associazioni del comparto.

“La nostra attività di analisi è sempre focalizzata a cogliere le principali tendenze nei consumi alimentari e nella ristorazione”, ha dichiarato Luciano Sbraga, direttore del centro studi di Fipe-Confcommercio. “L’attenzione alle produzioni biologiche è la testimonianza di come i consumatori oggi siano sempre più consapevoli della necessità di coniugare il proprio benessere e la propria salute con il benessere e la salute del pianeta rispettando il territorio, la stagionalità, la qualità e la sicurezza. Tutti valori promossi da Fipe con il Manifesto della ristorazione presentato e sottoscritto lo scorso 28 aprile in occasione della Giornata della ristorazione” ha concluso.

“Siamo molto soddisfatti di questo risultato. Ringraziamo Ismea per aver investito in questo studio e Fipe per la preziosa collaborazione fornita”, ha commentato Roberto Zanoni, presidente AssoBio. “Il lavoro che stiamo presentando, analizza in modo approfondito un settore importante, sia da un punto di vista economico, che culturale e dimostra quanto i consumi biologici si stiano affermando in canali come bar, ristoranti, hotel a testimonianza della sempre maggiore attenzione da parte dei consumatori verso prodotti che salvaguardano ambiente, salute e benessere.  Auspichiamo che questa ricerca possa essere aggiornata nel tempo in maniera costante per monitorare un canale di vendita e un mercato in forte espansione“.

“Ismea rileva e analizza da anni le principali dinamiche degli acquisti alimentari domestici degli italiani, con riferimento sia ai prodotti convenzionali sia al segmento del bio”, ha commentato Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea.

Del Bravo continua: “Per la prima volta questa indagine qualitativa, resa possibile grazie alla collaborazione con Fipe-Confcommercio, ci ha dato l’opportunità di allargare il nostro sguardo anche al fuori casa, un filone di indagine estremamente interessante, che speriamo di poter approfondire ulteriormente con analisi periodiche. In un contesto che vede un fisiologico rallentamento della crescita dei consumi di alimenti biologici tra le mura domestiche, dopo i tassi di incremento significativi a cui per anni il bio ci aveva abituato, il monitoraggio dell’horeca, anche su aspetti di natura prettamente qualitativa può fornire, infatti, preziosi elementi per orientare le scelte della politica e della filiera”.

La scheda sintetica di Fipe-Confcommercio

Fipe-Confcommercio – Federazione italiana pubblici esercizi, è l’associazione leader nel settore della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo nel quale operano oltre 300 mila imprese presenti ovunque: dalle grandi città metropolitane fino ai piccoli borghi. Una realtà diffusa in ogni regione in modo capillare e con una grande diversificazione di format commerciali.

Fipe rappresenta e assiste bar, ristoranti, pizzerie e gelaterie, pasticcerie, discoteche, stabilimenti balneari ma anche aziende di ristorazione collettiva, grandi catene di ristorazione multilocalizzata, società emettitrici di buoni pasto, sale gioco, buffet di stazione, aziende di catering e banqueting.

Ogni giorno 20 milioni di persone trovano la risposta ai propri bisogni in uno dei pubblici esercizi del Paese, e ogni anno il 36% della spesa alimentare delle famiglie transita fuori casa, confermando come il settore sia una parte integrante della nostra cultura e del nostro stile di vita.

Fipe, con il suo ruolo di aggregatrice del tessuto imprenditoriale della ristorazione e dell’intrattenimento in Italia, si fa portavoce delle istanze degli imprenditori e li rappresenta presso le Istituzioni, nell’ottica di rendere strutturale e consolidare le relazioni con i suoi associati e con il Governo, proponendosi come trait d’union tra questi due fondamentali stakeholders.

La Federazione è membro di Confcommercio – Imprese per l’Italia e parte di Confturismo, ed è inoltre principale firmataria del Contratto Collettivo Nazionale della Ristorazione e del Turismo.

Per maggiori informazioni basta cliccare qui.

La scheda sintetica di AssoBio

AssoBio – Associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali. Fondata nel 2006 da 11 tra le più significative imprese biologiche italiane a oggi AssoBio conta oltre 130 soci del settore agroalimentare e cosmetico, è retta da un Consiglio direttivo costituito da imprenditori e conta su un team dedicato di professionisti.

L’associazione nata per rispondere alle esigenze di tutela, di sviluppo e di partecipazione delle imprese ha l’obiettivo di orientare un sano sviluppo del sistema agroindustriale italiano verso la responsabilità ambientale e sociale, in linea con le attese del nuovo consumatore. Per maggiori informazioni basta cliccare qui.

La scheda sintetica di Ismea

Ismea – l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – – Ente vigilato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, affianca le Istituzioni e sostiene le imprese agricole e agroindustriali nel loro percorso di crescita e consolidamento, mettendo a disposizione competenze e un sistema integrato di servizi.

Analisi dei mercati agroalimentari: ISMEA analizza i mercati agroalimentari, mediante il monitoraggio continuativo delle variabili strutturali e di mercato dei principali comparti agricoli e alimentari nazionali, con l’obiettivo di favorire la trasparenza e di accrescere il livello di competitività delle imprese attraverso il trasferimento della conoscenza.

Accesso alla terra: attraverso la Banca nazionale delle terre agricole Ismea favorisce l’incontro tra domanda e offerta di terreni assegnandoli, tramite una procedura competitiva di vendita, trasparente e aperta a tutti, ai tanti imprenditori, anche giovani, che vogliono investire in agricoltura.

Accesso al credito: mediante i suoi Fondi di garanzia pubblica, ISMEA facilita l’accesso al credito delle imprese agricole e della pesca riducendo il costo dei finanziamenti bancari.

Accesso al capitale: ISMEA sostiene i progetti di investimento per lo sviluppo produttivo e commerciale delle società di capitali, operanti nel settore agricolo e agroalimentare, mediante finanziamenti agevolati, operazioni di equity, prestiti obbligazionari e strumenti finanziari partecipativi.

Sviluppo imprenditoria giovanile e femminile:mediante mutui a tasso zero e contributi a fondo perduto ISMEA favorisce il ricambio generazionale in agricoltura e gli investimenti per l’ampliamento e consolidamento delle imprese agricole condotte da giovani o da donne.

Gestione del rischio

Ismea favorisce lo sviluppo e la diffusione di strumenti innovativi per la gestione dei rischi agricoli al fine di aumentare la resilienza delle aziende agricole e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato.

L’Istituto gestisce il primo Fondo mutualistico nazionale a copertura dei danni alle produzioni agricole causati da eventi catastrofali, quali gelo, siccità e alluvione. L’Istituto è, inoltre, uno degli enti attuatori del Programma Rete Rurale Nazionale (RRN).

Il Programma ha l’obiettivo di migliorare la qualità dell’attuazione del Piano Strategico per la PAC 2023-2027 (PSP), coinvolgere gli operatori del settore e gli stakeholder, informare i potenziali beneficiari e la società civile sui risultati e le opportunità della politica di sviluppo rurale in Italia e promuovere l’innovazione.

Zujun Zhang, il barista cinese a Livorno: “Non ci lamentiamo, lasciamo bassi i prezzi servendo qualità”

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Lo stemma di Livorno

Zujun Zhang, 40 anni, è un imprenditore orientale a capo del bar ristorante Jambo di via della Madonna. Emigrato dalla Cina in Italia nel 1998, quando di anni ne aveva ancora 15. La famiglia Zhang è la stessa che nelle scorse settimane ha acquisito il Bon Ton di via Pian di Rota e che era già proprietaria del Bamboo di via del Lavoro, nel quartiere di San Marco. Vantano una grande esperienza nelle attività al pubblico e secondo una prima stima un terzo dei bar cinesi labronici, fra questi anche una tabaccheria, sono loro. Leggiamo di seguito parte dell’intervista di Stefano Taglione per il quotidiano Il Tirreno.

Zhang, i bar a Livorno funzionano molto bene

“Sì, abbiamo tanti clienti. Non solo livornesi, anche stranieri. La nostra è una città aperta, le persone adorano andare al bar. Ma non è certo una novità di questi anni, è sempre stato così. Oltre agli italiani molti consumatori sono rumeni o albanesi: si trovano bene con il nostro servizio”.

Molti livornesi, però, si lamentano che le cose non vanno bene.

“Si lamentano perché non hanno voglia di lavorare, inutile girarci attorno. Soprattutto quando arriva l’estate”.

Come mai?

“Perché non vedono l’ora di andare al mare. Sa da quanto non ci vado io al mare?”

No.

“Non tocco l’acqua del mare da otto anni eppure ce l’ho qui dietro. Mi piacerebbe tanto prendermi qualche ora e andare in spiaggia, ma non riesco”.

Non è che siete voi a lavorare troppo?

“Non lavoriamo troppo. Semplicemente evitiamo di chiudere alle 18-18.30 perché sappiamo che i clienti arrivano anche dopo. Manteniamo un orario più ampio, in modo tale da offrire un servizio migliore ai consumatori”.

Voglia di lavorare o no, è un dato di fatto che sempre più bar livornesi sono di proprietà cinese. Come mai questo aumento esponenziale di acquisizioni? I cinesi sanno gestire i bar meglio degli italiani?

“Non credo che i cinesi siano più bravi a gestire i bar rispetto ai livornesi, ma sicuramente hanno tanta voglia di lavorare. A Livorno non ho mai visto un bar cinese fallito”.

Un altro aspetto sono i prezzi. Negli ultimi anni, soprattutto il costo del caffè, è aumentato notevolmente. Altri locali, in particolare quelli gestiti dai cinesi, hanno lasciato i listini inalterati. Come mai?

“Vero, i proprietario dei bar a Livorno non fanno altro che aumentare i prezzi come soluzione alla crisi. Ma non è così che si risolve la situazione. Agli stessi prezzi possiamo mantenere inalterata la qualità, noi lo facciamo. Per di più non siamo “sfavati” come qualche livornese. Noi con il servizio ci sappiamo fare, siamo gentili”.

Per leggere l’intervista completa basta cliccare qui