L'applicativo self ordering Onyon arriva nelle spiagge italiane (immagine concessa)
MILANO – Rivoluzionare il modo di vivere la spiaggia garantendo relax e comfort ai bagnanti e agevolando il lavoro dei professionisti. È con questo obiettivo che Onyon (On your own), l’applicativo di self ordering nato a Torino da un’idea di Marco Actis e Paola Lombardi (rispettivamente general manager e Coo), lancia il suo innovativo servizio di self ordering anche negli stabilimenti balneari.
L’applicativo di self ordering Onyon
Onyon, creata come soluzione per ristoranti, bar e locali, per poi essere estesa anche a centri commerciali e strutture alberghiere, oggi rende ancora più capillare la sua presenza sul territorio nazionale raggiungendo il settore balneare, per il quale punta a supportare e ad agevolare il lavoro del personale dei lidi e delle strutture situate nei pressi delle spiagge.
Grazie alle sue tecnologie, Onyon consentirà infatti ai bagnanti di effettuare e pagare le ordinazioni senza allontanarsi dall’ombrellone, comodamente dal lettino o dall’area relax e via app.
Il tutto è possibile grazie a un apposito QR code, che permette di accedere al menù (anche multilingua) e di ordinare e pagare anche in caso di conti separati direttamente dal proprio smartphone, in qualsiasi momento e in totale autonomia. L’app offre così la possibilità di vivere il mare in totale tranquillità, di godere di un servizio rapido e personalizzato e di ricevere le proprie consumazioni senza mai lasciare la spiaggia, riducendo inoltre i tempi di attesa e le code alle casse.
Ai vantaggi per i bagnanti si affiancano quelli per i professionisti del settore, perché l’implementazione dell’applicativo facilita e incentiva i riordini (fino a un +22%) anche quando il chiosco o il bar è affollato, aumentando così anche il valore dello scontrino medio (+12%), oltre che la disponibilità dei tavoli, quando a disposizione dei clienti, che si traduce nella possibilità di accogliere più persone e incrementare il fatturato.
Allo stesso tempo, Onyon aiuta a facilitare il lavoro dei professionisti grazie all’integrazione continua di nuovi metodi di pagamento (carte di credito e di debito, Satispay, e presto Google Pay e Apple Pay) e alla feature multistampante, che consente di smistare gli ordini in ingresso tra i diversi reparti all’interno del locale così da organizzare al meglio le comande.
“L’arrivo di Onyon a sostegno degli operatori del settore balneare a poche settimane dall’inizio della stagione estiva conferma la nostra precisa volontà di agevolare gli stessi, in un periodo complesso come quello estivo, fornendo loro uno strumento semplice e intuitivo capace di aiutarli nella gestione delle ordinazioni” afferma Marco Actis, Co-founder e General Manager di Onyon. “L’approdo del nostro servizio in questo mercato conferma poi il nostro continuo impegno verso un’espansione capillare su tutto il territorio nazionale e comprova, ancora una volta, il nostro desiderio di sostenere i professionisti del mondo dell’Horeca digitalizzando tutti quei servizi rimasti sino ad ora distanti dai principali processi di digital transformation”.
La scheda sintetica di Onyon
Onyon è l’applicativo di self ordering creato da Marco Actis e Paola Lombardi che agevola il lavoro di camerieri e gestori e facilita le ordinazioni dei clienti di pub, ristoranti e caffetterie. Permette ai clienti di ordinare e pagare al tavolo direttamente dal proprio smartphone e in totale autonomia. Riducendo i tempi di attesa e migliorando l’esperienza in store, Onyon consente ai gestori di migliorare le performance del locale e di conseguenza di aumentare lo scontrino medio e il fatturato.
BOLOGNA – Si accendono nuovamente i riflettori sull’unico concorso internazionale dedicato alla mixology al femminile. Si aprono infatti, in occasione del Roma Bar Show, le candidature per la prossima edizione di Lady Amarena, contest nato nel 2015per il Centenario dell’Amarena Fabbri, come riconoscimento del grande contributo che la sensibilità e il tocco creativo femminile poteva dare alla crescita di una professione considerata solo maschile.
Lady Amerana al Roma Bar Show
In anticipo quindi sul dibattito contemporaneo sulla necessità dell’inclusione a tutti i livelli. Da allora, migliaia di barladies da tutto il mondo hanno fatto piovere le loro candidature per partecipare all’edizione internazionale che si alterna di anno in anno con quella italiana che quest’anno vivrà la finale proprio a Roma durante l’IBA World Cocktail Competition di fine novembre.
E i giochi per competere si aprono proprio a Roma durante il Bar Show (29-30 Maggio, Palazzo dei Congressi Roma EUR). La procedura è semplice: basterà recarsi allo stand Fabbri (A04) dove saranno a disposizione di tutte le bartender apposite cartoline recanti un QRCode che indirizzerà alla landing page dove sarà possibile compilare un form per candidarsi.
Ma le opportunità per le aspiranti Lady Amarena non finiscono qui: allo stand le attende Federica Geirola, Lady Amarena in carica e bartender del Singer Palace Hotel di Roma, da cui farsi svelare i segreti che le hanno permesso di vincere la competizione e da lì in poi “volare” nell’Olimpo della Mixology. Fabbri ha pensato anche a un omaggio per tutte le barlady che si candideranno allo stand.
Fabbri 1905@Bar Show 2023
Gli appuntamenti con i maghi del bartending
Lunedì 29
14.00 – Lady Amarena Federica Geirola e Mattia PastoriBartender di NonSoloCocktail.it si esibiranno in coppia nella preparazione del Fabbri Gin Tonic, a base di Fabbri Dry Gin, nato negli anni ’30 dalla Premiata Distilleria Fabbri, nome con cui l’azienda è nata nel 1905, che oggi torna introducendo nello scenario odierno dei gin la nota distintiva del purissimo distillato di Amarena Fabbri.
15.00 – 17.00 Federica Geirola incontra le aspiranti Lady Amarena 2023. Si aprono in occasione del Roma Bar Show le candidature per la prossima edizione di Lady Amarena, contest nato nel 2015 per il Centenario dell’Amarena Fabbri.
17.00 – Lady Amarena Federica Geirola prepara e racconta il “suo” Spritz a base di Marendry Fabbri, una specialità “anni Settanta” dell’azienda, che mixa le note amaricanti del bitter al sapore rotondo e inconfondibile di Amarena Fabbri, arricchito da note agrumate. Colore rosa cerasuolo, un’elegante etichetta che strizza l’occhio all’originale, solo aromi e coloranti naturali e una moderata gradazione alcolica, 21 gradi.
18.00 – 21.00 Federica Geirola incontra le aspiranti Lady Amarena 2023.
Martedì 30
14.00 – Lady Amarena Federica Geirola e Mattia Pastori: esibizione in coppia con i grandi spirits della Premiata Distilleria Fabbri.
15.00 – 17.00 Federica Geirola incontra le aspiranti Lady Amarena 2023.
17.00 – Lady Amarena Federica Geirola presenterà lo Spritz.
18.00 – 21.00 Federica Geirola incontra le aspiranti Lady Amarena 2023.
Lady Amarena, un trampolino di lancio internazionale
Nato nel 2015 per celebrare i 100 anni della mitica Amarena Fabbri, nata per un’intuizione di Rachele Fabbri, moglie del fondatore, e oggi protagonista anche del mondo dei cocktail, Lady Amarena è l’unico concorso internazionale della “mixology in rosa”.
L’edizione 2023 che prende vita, per l’Italia, in concomitanza dei due giorni di Roma Bar Show vedrà la consacrazione, durante il WCC di novembre a Roma, della Lady Amarena che concorrerà all’edizione worldwide del 2024. La competizione internazionale miete successi di anno in anno con partecipanti provenienti dai cinque continenti.
I requisiti per poter accedere alle selezioni per diventare la prossima Lady Amarena sono: la maggior età, essere bartender o bariste professioniste del canale horeca residenti e/o domiciliate in Italia o nella Repubblica di San Marino.
Il marchio italiano della moda Fendi ha annunciato l’inizio di una collaborazione con Hey Tea, nota catena di tè in Cina. L’unione delle due aziende prevede un tè verde aromatizzato al frutto della passione, arancia e mango. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale day FR Italian.
Fendi e Hey Tea
ROMA – La maison di lusso lancia una collaborazione con la catena Hey Tea, molto apprezzata dalle giovani generazioni di consumatori cinesi. Dopo il gelato, la pasta o anche diversi caffè pop-up nel suo nome, Fendi sta svelando in questi giorni una nuova partnership alimentare avvicinandosi al brand cinese Hey Tea.
Per questo drop svelato il 17 maggio, l’etichetta italiana si è proposta un gusto in edizione limitata, ovvero un tè verde aromatizzato al frutto della passione, arancia e mango.
Per leggere la notizia completa basta cliccare qui.
TORINO – Il Gruppo Lavazza sostiene le popolazioni colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna con una donazione di 500.000 euro erogata tramite la Fondazione Giuseppe e Pericle Lavazza Onlus. L’azienda desidera dare un segnale positivo e di impegno concreto agendo direttamente sul territorio, dimostrando la sua solidarietà e il supporto alla comunità in un momento di grande difficoltà con una donazione che mira a fornire assistenza immediata alle persone coinvolte e a contribuire alla ricostruzione delle aree danneggiate.
La donazione del Gruppo Lavazza
Parte della cifra verrà devoluta a “Specchio dei Tempi” e alle sue attività dirette al recupero funzionale di quanto danneggiato, alle esigenze delle famiglie e alla ripresa delle piccole attività dei singoli comuni.
Attraverso la donazione, inoltre, saranno supportate economicamente alcune ONG e associazioni locali con cui la Fondazione Lavazza già lavora e che sono operative sul territorio. Un particolare focus sarà posto sulle istituzioni più vulnerabili, come le case di cura e le comunità per disabili, vittime anch’esse di danni significativi causati dall’alluvione, garantendo il supporto necessario per ripristinare e migliorare le condizioni di vita di queste comunità, lavorando in sinergia con le autorità locali e le organizzazioni competenti.
Inoltre, come di consueto in queste situazioni emergenziali, Lavazza ha messo in atto misure per consentire ai dipendenti di donare una somma, che verrà poi raddoppiata dall’azienda al fine di fornire ulteriore sostegno alle iniziative di soccorso e ricostruzione.
“Siamo profondamente toccati dalla devastazione provocata dall’alluvione in Emilia-Romagna, è una tragedia che sta causando enormi sofferenze e difficoltà alle persone coinvolte” ha dichiarato Giuseppe Lavazza, presidente del Gruppo Lavazza. “Crediamo nell’importanza di unire le forze e vogliamo fare la nostra parte per aiutare le popolazioni locali a superare questa situazione di emergenza con un aiuto concreto. Sono convinto che le persone dell’Emilia-Romagna dimostreranno ancora una volta la forza per uscire da questa emergenza e ripartire”.
La scheda sintetica del Gruppo
Lavazza, fondata a Torino nel 1895, è un’azienda italiana produttrice di caffè di proprietà dell’omonima famiglia da quattro generazioni.
Il Gruppo è oggi tra i principali protagonisti nello scenario globale del caffè, con un fatturato di oltre 2,7 miliardi di euro e un portfolio di marchi leader nei mercati di riferimento come Lavazza, Carte Noire, Merrild e Kicking Horse. È attivo in tutti i segmenti di business, presente in 140 mercati, con 8 stabilimenti produttivi in 5 Paesi e circa 5.500 collaboratori in tutto il mondo.
La presenza globale è frutto di un percorso di crescita che dura da oltre 125 anni e gli oltre 30 miliardi di tazzine di caffè Lavazza prodotti all’anno sono oggi la testimonianza di una grande storia di successo, per continuare a offrire il miglior caffè possibile in qualsiasi forma, curando ogni aspetto della filiera, dalla selezione della materia prima al prodotto in tazza.
Il Gruppo Lavazza ha rivoluzionato la cultura del caffè grazie ai continui investimenti in Ricerca e Sviluppo: dall’intuizione che ha segnato il primo successo dell’impresa – la miscela di caffè – allo sviluppo di soluzioni innovative per i packaging; dal primo espresso bevuto nello Spazio alle decine di brevetti industriali sviluppati.
Un’attitudine a precorrere i tempi che si riflette anche nell’attenzione rivolta al tema della sostenibilità – economica, sociale e ambientale – considerata da sempre un riferimento per indirizzare la strategia aziendale. “Awakening a better world every morning” è il purpose del Gruppo Lavazza, che ha l’obiettivo di creare valore sostenibile per gli azionisti, i collaboratori, i consumatori e le comunità in cui opera, unendo la competitività alla responsabilità sociale e ambientale.
Da sinistra: Frank Cinque, direttore generale E4Impact Foundation, Marco Dalla Ragione, ceo di Caffè River, ), Paul Renda, ceo di Miller Group nonché co-founder della Spartan Tech, Valerio Dominici, responsabile marketing Case IH (Gruppo CNH) Africa e Medio Oriente, : Massimo Zaurrini, direttore responsabile di Africa e Affari
MILANO – L’Africa è considerata la terra di origine del caffè, mentre l’Italia detiene il primato di uno dei Paesi leader per il consumo, soprattutto per la trasformazione e valorizzazione di questa coltura e dei suoi derivati. Eppure, le relazioni tra l’inizio e la fine della filiera del chicco hanno ancora molti margini di crescita. L’aroma del caffè africano è unico e, se ben coniugato con le competenze tecniche e commerciali del Bel Paese, può fare una differenza enorme in tutta la filiera.
A questo tema, Africa e Affari e la Fondazione E4Impact, in collaborazione con Ethiopian Airlines, hanno dedicato una conferenza ibrida coinvolgendo alcuni dei protagonisti del settore del caffè sia dal punto di vista della produzione sia in quello della trasformazione e della commercializzazione.
Tra i protagonisti della giornata tenutasi presso ALTIS dell’Università Cattolica in via San Vittore 18 a Milano: Massimo Zaurrini, direttore responsabile di Africa e Affari, Joseph Nkandu, founder di Nucafe, Marco Dalla Ragione, ceo di Caffè River, Mario Cerutti, chief institutional relations & sustainability officer del Gruppo Lavazza, Giulio Di Pinto, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) Nairobi, Frank Cinque, direttore generale E4Impact Foundation, Matteo Masini, ICE (agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), Paul Renda, ceo di Miller Group nonché co-founder della Spartan Tech e Valerio Dominici, responsabile marketing Case IH (Gruppo CNH) Africa e Medio Oriente.
Africa e Italia: il punto sulla filiera del caffè
Richard Ansan, general manager di ALTIS, Graduate School of Sustainable Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, fa gli onori di casa: “Siamo una realtà all’interno dell’Università che esprime non solo eccellenza accademica ma che è anche vicina al mondo dell’impresa e del business. Abbiamo cercato sin dall’inizio degli anni 2000 di parlare di sostenibilità e di una sana gestione dell’impresa creando percorsi formativi e di ricerca che siano anche concreti e tangibili da un punto di vista sociale ed etico. Per questo motivo ospitiamo questa giornata che getta luce sul complesso quanto affascinante mondo del chicco da un punto di vista differente dal solito”.
Massimo Zaurrini, moderatore del talk, afferma: “Il caffè è la seconda materia prima commerciale per valore scambiata al mondo dopo il petrolio ed è il primo prodotto agricolo commerciato in tutto il globo. La produzione di caffè impiega circa 100 milioni di famiglie e si parla di un giro d’affari complessivo di 200 miliardi di dollari. Vengono consumate all’incirca 3 miliardi di tazze di caffè al giorno. Il 70% del caffè mondiale viene prodotto fondamentalmente in 5 Paesi: Etiopia, Brasile, Vietnam, Colombia e l’Indonesia. Il consumo di caffè è prevalentemente nelle aree ricche del mondo in Europa e Nord America”.
Africa e caffè: numeri alla mano
Zaurrini continua: “Il prezzo del caffè africano, per quanto sia pregiato, si rivela il più basso del mondo. Il costo medio della produzione di Arabica si rivela di 74 centesimi a libbra contro i 96,5 centesimi dell’America Latina. Il listino medio della produzione di Robusta è invece di 58,4 centesimi a libbra contro i 78,5 centesimi sempre dell’America Latina. Circa il 12% del caffè di tutto il mondo è prodotto in Africa”.
“I primi cinque Paesi sono l’Etiopia, Uganda, Costa d’Avorio, Tanzania e Kenya e l’Italia è il primo Paese destinatario del caffè ugandese. Con questi dati lanciamo una panoramica sul prodotto simbolo per eccellenza che accomuna Italia e Africa: il caffè rappresenta una vera opportunità per valorizzare entrambe le culture ma ci sono alcune lacune da colmare per crescere e migliorare insieme: primo tra tutti il lato umano.”
Prende la parola Joseph Nkandu, founder di Nucafe, il quale, tramite un video-intervista, racconta la realtà che si cela dietro la sua organizzazione (qui la nostra intervista su Comunicaffè International): “Nucafe è stata fondata nel 2003. Attraverso l’organizzazione di oltre 1,5 milioni di coltivatori di caffè in 215 cooperative e associazioni di agricoltori, Nucafe ha creato opportunità imprenditoriali e di lavoro per migliorare le condizioni di vita ed economiche dei piccoli operai della filiera in Uganda.”
Nucafe fornisce anche competenze imprenditoriali e tecniche che consentono ai giovani di trovare opportunità di impiego nella catena del valore del caffè.
Il lato umano nella produzione
“La mia collaborazione con E4impact è nata dal rapporto commerciale che ho avuto con l’azienda italiana Caffe River e dal suo proprietario Marco Dalla Ragione che mi ha messo in contatto con ALTIS e l’Università Cattolica di Milano. Dopo un breve periodo, grazie alla Fondazione E4IMPACT mi è stata concessa una borsa di studio per il mio programma MBA. Dopo la laurea, mi sono trasferito con il mio piano aziendale MBA presso i finanziatori e gli investitori con cui ho avviato un’attività di caffè che pone al centro gli agricoltori dell’Uganda. Il programma E4IMPACT MBA aiuta l’imprenditore a bilanciare gli obiettivi di business e di impatto sociale, e ciò crea una vittoria per tutti.”
Marco Dalla Ragione amministratore delegato di Caffè RiverSpa prende la parola: “Siamo una piccola azienda caratterizzata da una grande passione e curiosità. Ci impegniamo molto per produrre un caffè di qualità e per garantire una responsabilità sociale d’impresa. Crediamo fortemente di poter fare la differenza nella vita delle persone che sono a valle della filiera, principalmente i coltivatori di caffè. La nostra esperienza di progetto sociale inizia nella Repubblica Dominicana, dove ci offrimmo come partner di ONG Ucodep, con il quale sviluppammo un lavoro di promozione dei coltivatori di caffè”.
“Ispirati dall’ottima esperienza, abbiamo deciso di avviare il progetto Omukwano in Uganda. La parola Omukwano significa “amicizia” in lingua luganda, la più diffusa del Paese. L’Uganda è un Paese importante per la filiera del caffè e produce sia Arabica che Robusta. Lì venni a conoscere Nucafe e il suo fondatore, Joseph Nkandu, il quale ci spiegò la sua idea di valorizzazione dei contadini del Paese. Ciò catturò subito la nostra attenzione”.
Progetti sociali e valorizzazione del prodotto
“Joseph individuò in poco tempo la causa della povertà del lavoratore ugandese e ciò risiedeva nel fatto che quest’ultimo non manteneva possesso del caffè, bensì se ne spogliava immediatamente. Cosa significa? Il coltivatore vende il prodotto al mediatore nel momento in cui fiorisce la pianta del caffè. Lì già il contadino si lega all’acquirente e ne è dipendente dal contratto. Joseph proponeva al contadino di mantenere la proprietà del caffè fino all’ultimo momento possibile ottenendo così un valore maggiore”.
“In quel momento capimmo che nonostante ciò fosse una bellissima idea non si poteva mettere in pratica: d’altronde il coltivatore ha bisogno sin da subito di essere pagato. Ci offrimmo di diventare cavie di questa idea e siglammo un contratto nel lontano 2009. Dopo la nostra conversazione, qualche anno dopo, ci incontrammo per discutere i dettagli. Dovevamo risolvere i problemi di emancipazione dei contadini del caffè. Abbiamo firmato così un nuovo accordo: noi offrivamo prezzi più alti del mercato e abbiamo proposto un prefinanziamento senza interessi con 50.000 euro donati in piena fiducia. Perché c’è bisogno di questo denaro? Il coltivatore deve essere in qualche modo sovvenzionato, altrimenti cade preda dei mediatori, perciò i contadini devono essere finanziati. In questo modo si favorisce il rapporto diretto nella filiera senza bisogni di intermediari.”
Fare la differenza
Dalla Ragione continua: “Cerchiamo di facilitare ogni problema: dal pagamento anticipato alla presentazione dei documenti. Nucafe è stata estremamente corretta: nonostante un finanziamento alla cieca, non siamo mai rimasti delusi e abbiamo sempre ricevuto prodotti di alta qualità. Ciò ci porta al risultato: abbiamo ottenuto oltre 1.500 tonnellate di caffè da piccoli coltivatori. Abbiamo impattato in meglio la vita di decine di migliaia di persone; in termini di tracciabilità sappiamo da dove arrivano i chicchi; e, non per ultimo, abbiamo riscontrato una maggiore valorizzazione dell’impegno sociale: ogni comunità riceve un premio da spendere per bisogni locali al di fuori della produzione di caffè”.
Dalla Ragione conclude: “Il messaggio è questo: anche per un’azienda piccola come la nostra è possibile fare la differenza e partecipare a progetti che possano migliorare la filiera del caffè anche da un punto di vista umano. Lo possono fare davvero tutti”.
Il ruolo del mediatore
Arriva poi il turno di Mario Cerutti, chief institutional relations & sustainability officer delGruppo Lavazza: “È sicuramente importante avere una filiera più diretta, tuttavia il ruolo dell’intermediario non è sempre negativo: il problema c’è quando quest’ultimo approfitta della sua posizione nei confronti di chi è a valle della filiera. È un tema spinoso ma ci sono lati positivi. Faccio un esempio: se c’è qualcuno che mi fa un servizio di esportazione, comunicazione e me lo fa con un valore concorrenziale migliore di quel che potrei fare io allora questo è un ruolo auspicabile. È giusto considerare, a mio parere, anche questo punto di vista”.
Mario Cerutti, chief institutional relations & sustainability officer del Gruppo Lavazza è anche il Presidente del Comitato italiano del caffè
“L’Africa è rimasta un po’ indietro. Negli ultimi trent’anni ha mantenuto sostanzialmente lo stesso valore nella sua borsa del caffè. I motivi sono molti: la qualità in certi ambiti, la politica e una mancata valorizzazione della filiera. Da un punto di vista sociale, il caffè è molto importante per i Paesi africani e riesce a portare valore alle comunità ed è importante valorizzarlo: questo è uno dei motivi per cui ho apprezzato l’iniziativa di Caffè River”.
“La percentuale del caffè utilizzato da Lavazza proveniente dall’Africa è del 14%. Il Paese in cui siamo più presenti nel continente è l’Uganda, seguita dall’Etiopia e dal Kenya. Lavazza si sforza sempre di avere l’approccio di un’azienda piccola e artigianale in un mercato grande. Ad esempio con il nostro marchio Lavazza 1985 che è di fatto una torrefazione all’interno di una torrefazione. Abbiamo preso un’area del nostro stabilimento e adibita alla produzione di specialty, dove tutto viene gestito in maniera settoriale e all’insegna della sostenibilità”.
L’importanza della formazione nella filiera del caffè
È ora il turno di Giulio Di Pintodell’agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo di Nairobi che si rivela in una video-intervista già registrata in precedenza: “Circa 5 milioni di persone, più o meno un milione di famiglie, dipendono dalla filiera del caffè. L’intervento della nostra operazione in Kenya è ambizioso poiché opera ad un livello dell’intera industria: si vuole migliorare la vita dei coltivatori e, allo stesso tempo, la qualità del loro caffè. Noi interveniamo sulla parte di produzione e l’incremento della resa delle piante attraverso tecniche all’avanguardia. È importante perciò intervenire sulla filiera del Paese e migliorare la sostenibilità sociale del caffè anche attraverso la sua qualità e una formazione continua degli agricoltori.”
Frank Cinque, direttore generale E4Impact Foundation parla nello specifico della relazione tra Italia e Africa e il progetto che vede il caffè come protagonista: “Il programma che proponiamo vede la nostra partecipazione in Kenya e prevede l’inclusione di 7 contee con 21 cooperative e 30.000 coltivatori di caffè. I nostri obiettivi principali si possono riassumere nel raddoppiare la produzione di caffè da 2,5 kg a 5 kg per albero e integrare il sistema di aste con la vendita diretta. Oltre a ciò, desideriamo accompagnare l’entrata di donne e giovani nella gestione della cooperativa. In Kenya abbiamo rilevato alcune criticità tra cui:
un cambiamento climatico sempre più evidente: le temperature sono aumentate e le piogge sono irregolari
conoscenze limitate di pratiche agricole
costi: ad esempio 50 kg di fertilizzante hanno un prezzo di 55 euro
invecchiamento dei macchinari: un elevato costo delle attrezzature
qualità: nessun sistema per monitorare e migliorare la qualità del caffè
Il punto di forza del Paese risiede invece nella lavorazione in umido che migliora di gran lunga la qualità. La cooperativa inoltre facilita l’accesso ai prestiti per gli agricoltori.
Obiettivi concreti
Tra le azioni che intraprendiamo per migliorare la filiera c’è in primis il perfezionamento della formazione dell’agricoltore sulla produzione intelligente per il clima con, ad esempio, l’utilizzo di bacini idrici e la gestione delle acque reflue. Ci impegneremo anche nell’installazione di laboratori di caffè e garantire un lab in ogni contea. La formazione sul cupping e competenze di business è altresì di primaria importanza insieme alle lezioni sulla governance per i manager delle cooperative”.
Il microfono passa a Matteo Masini dell’agenzia ICE: “Come agenzia a noi interessa la promozione del prodotto finale italiano sui mercati esteri ma, chiaramente, il successo di quel prodotto dipende dallo sviluppo della filiera a monte. Stiamo cercando di costruire un percorso di valorizzazione per le cooperative del mondo del caffè in Africa. In occasione del Sigep abbiamo intenzione di portare la presenza di cooperative e produttori protagonisti di progetti sociali per valorizzare una realtà differente all’interno di una delle fiere italiane più importanti del settore”.
La tecnologia al servizio di un’industria più etica e performante
Paul Renda, ceo di Miller Group e co-founder di Spartan Tech: “Quando il produttore guadagna il 3% della catena del valore c’è qualcosa di fortemente sbagliato in ciò che stiamo facendo. L’ambizione da parte nostra è quella di riequilibrare la catena del valore. Ho iniziato in tal modo un progetto con E4Impact Foundation che hanno la volontà di cambiare la realtà della filiera”.
“Oggi il mercato vuole tre cose: persone, profitto e pianeta. La tecnologia ora è fusione tra sostenibilità, innovazione e persone. Quando abbiamo attivato il progetto di blockchain, questo termine era richiesto soprattutto dalle aziende americane. Ma cosa significa di preciso? Blockchain è un dato pulito e certificato che può essere utilizzato per certificare la filiera che permette di estrarre informazioni che possono migliorare lo schema di produzione. È possibile ricavare risposte a domande del tipo: da dove viene il miglior prodotto? Perché in una certa stagione il prodotto più appetibile viene da quella zona e non dall’altra? E così via”.
“Ciò che andremo a fare, ad esempio, è correlare i dati metereologici, con quelli raccolti insieme ai produttori. E se noi iniziamo a guidare il processo di produzione cercando di recuperare la catena del valore, possiamo anche iniziare ad ambire a guidare il flusso finanziario in maniera differente. Oggi il prodotto arriva al mercato e, in funzione dell’oscillazione dei prezzi delle materie prime, lo vado a vendere: ho poco spazio e la partita viene vinta da chi ha tanti capitali. Se invece sono in grado di gestire i dati e so che cosa andrà in produzione tra 3-6 mesi magari posso lavorare sui futures, vendere delle promozioni che non ho ancora da vendere e, in questa maniera, colloco sul mercato come produttore africano un caffè quando è meglio collocarlo”.
Il bisogno di automatizzazione: il caffè nell’era moderna
Infine arriva il turno di Valerio Domenici, responsabile marketing Case IH del Gruppo CNH Africa e Medio Oriente: “Noi operiamo in Angola. È stato il terzo più grande Paese produttore di Robusta fino ai primi anni 70 con 250.000 tonnellate di caffè prodotto ogni anno. Con la guerra tutto ciò cambia drasticamente. Nel 2000 ritorna un periodo di stabilità politica ed è lì che gli angolani cominciano a capire dove reinvestire nel mercato e lo fanno con nuovi principi digitali come smart farming, sensori e macchinari nuovi e la modernizzazione delle piantagioni. Stiamo parlando di un’Africa più avanzata. Nel 2017 ritornano a produrre 8000 tonnellate di caffè che, comunque, è una cifra irrisoria. Da lì parte in quarta l’acquisizione e l’utilizzo di nuovi macchinari e tecnologie”.
“In pochi anni si raggiunge un 34% di avanzamento di produzione. Il 50% di questa produzione è fatta da 25.000 piccoli agricoltori. L’altro 50% deriva da sole 500 imprese. Nella fazenda Vissolela ho venduto la prima macchina coffee harvester in tutta l’Africa: un primo passo in avanti in direzione di un’ottica incentrata sulla produzione. Nel 2021 la fazenda in questione ha aumentato di 425 ettari la propria piantagione con l’obiettivo di arrivare a 3500 ettari”.
“Oggi vogliamo non solo un profitto ma anche una maggiore attenzione alla sostenibilità senza contaminazioni di lavoro minorile e una maggiore tracciabilità che può essere garantita solo dalla tecnologia. La meccanizzazione e lo sviluppo vanno perciò di pari passo con la sostenibilità. Le macchine moderne sono sempre più indispensabili non solo in termine di profitto ma anche di tracciabilità”.
BINASCO (Milano) – Venerdì 9 giugno, dalle 18:30 alle 20:00, MUMAC, Museo
della macchina per caffè di Gruppo Cimbali, aprirà le sue porte in occasione dell’ottava
edizione de La Notte degli Archivi, realizzata dall’associazione culturale Archivissima.
L’evento ha inizio con la tavola rotonda, Il Viaggio dell’espresso dalla matita al bit, un
momento di dialogo fra esperti del settore per analizzare l’importanza dell’archivio per le
ricerche e sull’utilizzo dello stesso al fine delle analisi delle fonti.
Oggi i contenuti e le informazioni rischiano la estrema volatilità; è quindi fondamentale che la cultura aziendale stabilisca regole di conservazione valide e condivise, per rendere gli archivi una memoria viva e fruibile, evitando di trasformarsi in meri contenitori digitali nei quali si rischia di perdersi e di perdere il senso dell’oggi come passato di domani.
Il panel, costituito da diverse voci, affronta il tema in generale con una particolare
attenzione dedicata alla ricostruzione del viaggio del caffè espresso dalle origini a noi:
un viaggio di quasi 500 anni, dalla matita di Prospero Alpini, medico e botanico padovano
che introdusse il caffè in Europa, al caveau digitale MUMAC realizzato da Promemoria
Group inaugurato per l’occasione.
Per la prima volta, infatti, MUMAC apre parte del proprio archivio storico digitale al pubblico
Un’operazione importante per offrire a tutti la possibilità di accedere progressivamente a un archivio ricco di storia, di curiosità e di materiali anche inediti.
Il caveau digitale MUMAC è un progetto in costante divenire, sviluppato partendo
dall’archivio storico fisico presente al museo, dove è custodita la documentazione che, grazie alle raccolte degli archivi di Gruppo Cimbali e di Enrico Maltoni, contribuisce alla
ricostruzione della storia della macchina per caffè espresso e del viaggio del caffè dalle
origini al giorno d’oggi.
“È per noi un onore poter finalmente rendere accessibile a tutti il nostro archivio digitale,
un’occasione per ampliare così il pubblico del museo e valorizzarne al tempo stesso
l’inestimabile patrimonio culturale.” – afferma Barbara Foglia, Mumac manager. “Il caveau
digitale MUMAC rappresenta un luogo dove passato e presente si incontrano creando le
premesse affinché l’oggi sia l’heritage del futuro.”
L’incontro, moderato dalla giornalista di Sky TG24, Tonia Cartolano, vedrà gli interventi di
Barbara Foglia, Mumac Manager, Francesca Tramma Curatrice Archivio Storico Corriere
della Sera, Edgardo Ferrero Service Director Gruppo Cimbali, Eleonora Carloni Ricercatrice post-doc, Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali Politecnico di Milano e Giulia Venuti Head of Project Management Promemoria Group. Per tutti gli ospiti, al termine della tavola rotonda sono previsti una visita guidata all’archivio storico e alla MUMAC Library con Carlo Milani, Archivista e una visita guidata al museo a cura di Enrico Maltoni, co-ideatore MUMAC e collezionista. Durante l’aperitivo finale, inoltre, sarà possibile poter accedere al Caveau digitale attraverso i display disponibili.
MUMAC – Museo della Macchina per Caffè di Gruppo Cimbali
Nato nel 2012 in occasione del centenario della fondazione dell’impresa da parte di Giuseppe Cimbali a Milano, il museo, grazie alle collezioni Cimbali e Maltoni, è la più grande esposizione permanente dedicata alla storia, al mondo e alla cultura delle macchine professionali per il caffè espresso; con oltre 100 pezzi esposti all’interno dell’headquarter di Gruppo Cimbali situato a Binasco (Milano) racconta più di 100 anni di storia e dell’evoluzione di un intero settore del made in Italy, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche del design e dello stile dei prodotti e dei costumi legati al consumo della bevanda.
Oltre alle macchine esposte, MUMAC è dotato di altri 250 pezzi a disposizione per rotazioni all’interno del museo o prestiti worldwide, di un fondo librario con circa 1.300 volumi tematici e di un archivio con decine di migliaia di documenti tra foto, brevetti, lettere, cataloghi, utili a ricostruire la storia della macchina per caffè espresso. MUMAC produce contenuti culturali originali quali mostre, tavole rotonde e volumi divulgativi (tra cui il libro SENSO ESPRESSO. Coffee. Style. Emotions), organizza iniziative educational dedicate a scuole, università e famiglie e, attraverso MUMAC Academy, propone corsi rivolti ai professionisti del settore e ai coffee lovers.
MILANO – Una minuscola vespa potrebbe salvare le piantagioni delle Hawaii dalla piaga della scolite del caffè. L’Hypothenemushampei– nome scientifico della scolite del caffè, detta anche broca del café in spagnolo e coffee berry borer (Cbb) in inglese– è un piccolo coleottero (2,5-3 mm), originario dell’Africa, che attacca le ciliegie verdi o mature perforando e tunnelizzando l’apice dei semi e depositandovi decine di larve.
Conseguenze: caduta dei frutti, perdita di peso dei chicchi e decadimento della qualità.
Inoltre, il frutto attaccato e indebolito rischia di diventare facile bersaglio di funghi, che possono, a loro volta, produrvi tossine dannose.
La lotta contro la Cbb è stata attuata tradizionalmente mediante l’utilizzo di trappole o prodotti fumiganti. Mezzi efficaci, ma dannosi per l’ambiente. In tempi più recenti sono state messe a punto tecniche di lotta biologica, che hanno dato buoni risultati.
Già dagli anni duemila si utilizza, ad esempio, la Cephalonomia stephanoderis, una vespa africana impiegata con successo anche nella protezione dei vigneti italiani. Alle Hawaii si punta a utilizzare un’altra antagonista naturale della scolite: la Phymastichus coffea.
Virtualmente invisibile a occhio nudo, la P. coffea è un endoparassitoide della scolite, originario anch’esso dell’Africa, già introdotto con buoni risultati in altri paesi produttori.
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Il brand a stelle e strisce sta aumentando i propri punti vendita in tutto lo Stivale e la sua popolarità tra gli italiani è ai massimi storici. Alec Ross, che si è occupato di innovazione nei team di Barack Obama e Hillary Clinton, ha pubblicato su Linkedin un post severo in cui augura a Starbucks di fallire in Italia.
Riccardo Luna, giornalista del quotidiano La Repubblica, va contro questa idea affermando che l’unico modo che i bar l’Italia hanno per vincere contro la sirenetta di Seattle è quello di migliorare ogni giorno la qualità del caffè che, per il momento, non è delle migliori. Il modello di Starbucks servirebbe perciò da ispirazione ad una continua evoluzione. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Riccardo Luna.
Cosa imparare dal successo di Starbucks in Italia
ROMA – Da qualche giorno a Roma c’è un nuovo bar. Non è un bar qualunque e non è in una posizione qualunque: è il primo Starbucks di Roma e sta davanti a Montecitorio, nel cuore della città. Alec Ross, che si è occupato di innovazione nei team di Barack Obama e Hillary Clinton, e da un anno ha scelto di vivere a Bologna dove insegna Economia, ha scritto su Linkedin un post durissimo in cui, in buona sostanza, augura a Starbucks di fallire in Italia.
Dice, Alec Ross, che i bar in Italia sono molto spesso proprietà di famiglie da molte generazioni e quando compriamo un caffè in un piccolo bar “i profitti restano nelle famiglie italiane e non vanno a una multinazionale che vale più di 100 miliardi”. Negli Stati Uniti, dice sempre Ross, la maggior parte dei piccoli bar è scomparsa a causa del successo di Starbucks e noi non dovremmo seguire quel modello.
L’argomentazione è forte, anche perché la storia stessa di Starbucks è invece da manuale dell’innovazione: dal primo bar aperto a Seattle nel 1971 ispirandosi al nome di un marinaio del romanzo Moby Dick, fino al viaggio a Milano di Howard Schultz e la scoperta che nulla era come il caffè italiano e da qui l’idea di riprodurne non solo gli aromi, ma anche il ritmo, i rumori, il rito. Da allora Starbucks ha conquistato il mondo e solo alla fine è arrivato in Italia.
Quando Starbucks ha aperto a Milano, nel 2018, scrissi che la vera cosa da fare, per i bar italiani, era riscoprire l’ossessione della perfezione. Non è solo un caffè quello che chiediamo ogni giorno, è un pezzo della nostra storia, della nostra cultura; è un momento importante della giornata di milioni di persone, quello che passiamo in un bar.
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Il tiramisù è uno dei dolci più noti e golosi della pasticceria italiana, nonché il dessert al caffè simbolo della cultura culinaria mondiale. Recentemente la sua origine è stata oggetto di molteplici discussioni con Alberto Grandi, docente di storia dell’alimentazione, il quale affermava che il dolce ha avuto origine al supermercato (ne abbiamo parlato qui). Ora il dessert al caffè torna a far parlare di sé grazie alla variante proposta da Carlo Cracco, chef stellato e uno dei volti di Masterchef Italia. Leggiamo di seguito parte dell’articolo pubblicato sul portale IFood.
Il tiramisù di Carlo Cracco
MILANO – Il tiramisù che Carlo Cracco propone nei suoi locali prevede l’aggiunta della panna. Ma c’è un motivo, e lo ha spiegato quando la questione è stata sollevata: “La nostra non è una pasticceria casalinga, quindi la forma deve essere perfetta, per cui la panna ci vuole. Alla pasticceria in Galleria Vittorio Emanuele si serve come dolce in porzione e se non ci metti la panna si affloscia. Tutto qui”.
Con savoiardi fatti in casa e cioccolato di tre diverse varietà, oltre alla panna, si usa anche la colla di pesce. Vuoi farlo anche tu? Nella crema al mascarpone aggiungi anche la panna e la colla di pesce, e a parte prepara un cremoso al cioccolato e caffè, da alternare negli strati. Prepara un’infusione con mezzo litro di latte e 200 gr di caffè in chicchi, filtra e aggiungi 100 ml di caffè espresso. Porta a bollore e miscela a 100 gr di tuorlo amalgamato con 160 gr di zucchero. Sminuzza 387 g cioccolato Manjari 64%, 83 g cioccolato Abinao 85% e 200 g cioccolato Orelys 35% e sciogli nella crema alla quale aggiungerai 5 gr di colla di pesce ammollata. Copri, fai riposare in frigo per una notte e prepara il tuo tiramisù alla Cracco.
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NIQ ha svelato nell’ultimo rapporto sui consumi le nuove abitudini delle famiglie d’Italia, le quali prediligono più visite ai negozi con carrelli più leggeri sia per acquistare solo l’indispensabile sia per ridurre gli sprechi: infatti il consumatore ha aumentato del 3,7% la frequenza di acquisto e ridotto del 7,4% il numero di prodotti nel carrello. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Quotidiano Libero.
Le abitudini degli italiani secondo NIQ
CAGLIARI – NIQ (NielsenIQ) in occasione de Linkontro 2023, il convegno punto di riferimento per il mondo del largo consumo che riunisce esperti, accademici ed economisti per tracciare la strada del futuro del comparto, ha rivelato l’ultimo rapporto sui consumi e le abitudini delle famiglie italiane.
Con un giro d’affari stimato di oltre 90 miliardi di euro, ben 20.000 aziende attive nel panorama produttivo e 330.000 lavoratori presenti nei punti vendita in tutta Italia, il settore registra ogni anno 4 miliardi di visite ai negozi con circa 400.000 prodotti acquistati dai clienti.
Nella Grande Distribuzione Organizzata si contano quasi 400 insegne, per oltre 200 centri decisionali, per larga parte con capitale italiano e migliaia di piccoli imprenditori proprietari dei negozi presenti in tutti i principali comuni d’Italia.
Degna di nota è la continua ricerca di innovazione del comparto con circa 30.000 nuovi prodotti proposti ogni anno sugli scaffali.
Considerando un contesto di lungo periodo dal 2017 al 2022, i volumi hanno registrato una crescita di 8 punti, tuttavia a causa dell’inflazione, nel primo quadrimestre 2023, l’analisi di NIQ (NielsenIQ) evidenza una contrazione dei volumi del Largo Consumo Confezionato pari al -3,9% con un incremento a valore del 10,5%.
Con un indice di inflazione pari al 14,4% le vendite di prodotti nella GDO registrano dall’inizio dell’anno a fine aprile 2023 un trend positivo del 9,9%, con una variazione reale dei prezzi del -0,4% del mix del carrello della spesa (riferito ad aprile).
Nell’attuale scenario delineato da NielsenIQ le famiglie italiane prediligono più visite ai negozi con carrelli più leggeri sia per acquistare solo l’indispensabile sia per ridurre gli sprechi: infatti il consumatore italiano ha aumentato del 3,7% la frequenza di acquisto e ridotto del 7,4% il numero di prodotti nel carrello.
Dinamica ancora più marcata in Spagna, UK, Francia e Germania. Tuttavia, le famiglie italiane non rinunciano ai consumi fuori casa e lo dimostra il fatto che il comparto horeca da gennaio 2023 ad oggi ha registrato un +15,8%.
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