mercoledì 10 Aprile 2024
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Come varia l’iva sul caffè: dal 22% sullo scaffale al 4% solo nelle mense aziendali

L’aliquota di base del 22% viene applicata alle miscele di caffè, ovunque esse vengano acquistate, ovvero al supermercato o in torrefazione. Il discorso cambia quando si aggiunge la componente di servizio.

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MILANO – L’aliquota iva legata al caffè varia a seconda del luogo di acquisto e delle modalità di consumo. L’aliquota base è del 22% quando applicata alle miscele di caffè acquistate al supermercato o in qualsiasi altro luogo. Per quanto riguarda l’acquisto di una tazzina al bar, l’aliquota iva scende del 10%. Riportiamo l’articolo di Danilo Sciuto per la rivista Il commercialista telematico.

IVA e caffè

MILANO – Tra i generi alimentari, il caffè è soggetto ad aliquota iva che cambia a seconda del luogo di acquisto e delle modalità di consumo, passando da quella ordinaria del 22% a quella del 10%, per arrivare in taluni casi addirittura a quella del 4%. L’aliquota di base del 22% viene applicata alle miscele di caffè, ovunque esse vengano acquistate, ovvero al supermercato o in torrefazione.

Il discorso iva cambia quando invece al semplice caffè si aggiunge la componente del servizio; è il caso della tazzina bevuta al bar. In questo caso, infatti, l’aliquota Iva scende al 10%, in linea con la tassazione applicata ai beni prodotti e venduti da bar e ristoranti.

Ma ci sono casi in cui l’aliquota è ancora differente. Quando si consuma il caffè in una mensa aziendale e in altre particolari circostanze di distribuzione per così dire “sociale”, l’aliquota applicata è quella del 4%. Ma vediamo, più tecnicamente, come sono regolate le varie fattispecie.

Iva al 22%: miscela di caffè

Come detto, la cessione di miscele di caffè, sconta sempre l’iva ordinaria del 22%, non rientrando in nessuna delle fattispecie per le quali è prevista una aliquota agevolata.

Iva al 10%: caffè somministrato in bar e ristoranti

L’aliquota scende invece al 10% nel caso in cui il caffè sia oggetto di somministrazione, attività tipica di bar e ristoranti, ma non solo: a partire dall’1/1/2014 infatti, tutte le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate tramite distributori automatici sono soggette all’Iva agevolata al 10%, a prescindere dal luogo in cui è collocato l’apparecchio (così il punto 121, parte III, della tabella A del Dpr 633/1972).

Tale aliquota ridotta è però applicabile solo nel caso in cui l’acquirente della capsula o della cialda è l’effettivo utilizzatore della stessa e, quindi, il consumatore finale.

Il caso della cessione di cialde o capsule

La cessione di capsule o cialde nei confronti di soggetti diversi dai consumatori finali, infatti, non può essere giuridicamente qualificata come somministrazione di alimenti e bevande, in quanto il servizio di somministrazione della bevanda si concretizza solo nella fase in cui il procedimento meccanico, realizzato attraverso il distributore automatico, determina la trasformazione della cialda o della capsula in una bevanda (Risoluzione 124/E del 2000).

Pertanto, nell’ipotesi in cui il caffè sia oggetto di passaggi intermedi, alle cessioni effettuate nei confronti di soggetti diversi dal consumatore finale va applicata l’aliquota propria del prodotto ceduto (che, nel caso delle cialde, è il 22%).

I chiarimenti del Fisco

La stessa Risoluzione n. 124 del 2000 viene richiamata dalla n. 103 del 17/11/2016, nella quale si chiarisce:

  • trova applicazione l’iva ridotta del 10% qualora la cessione delle cialde/capsule sia abbinata all’impiego di un distributore automatico concesso in noleggio ovvero in comodato d’uso gratuito da parte del fornitore, purché il contratto e le fatture siano intestate allo stesso soggetto utilizzatore (privato o azienda/professionista);
  • qualora invece vi sia la sola cessione di cialde o capsule, si applica l’aliquota iva ridotta del 4%, anche qui a prescindere dal fatto che l’acquirente sia privato consumatore ovvero titolare di partita iva, ma restando fermo il fatto che le cialde/capsule devono essere destinate direttamente al consumo (personale o aziendale) e mai cedute a terzi.

Infine, è opportuno parlare dell’aspetto della detraibilità in capo all’acquirente di tale iva.

L’iva sulle cialde e capsule destinate alla somministrazione di bevande a favore del personale dell’azienda o dello studio professionale è detraibile.

Ciò, non solo per il disposto dell’articolo 19-bis1 lettera f) del D.P.R. n. 633/1972, ma anche per la sentenza della Corte di giustizia UE dell’ 11 dicembre 2008, causa C‑371/07, che ha stabilito che è possibile detrarre l’imposta, se un datore di lavoro acquista cibo o bevande per fornirli a titolo gratuito al proprio personale nei suoi locali al fine di garantire la continuità e il buono svolgimento delle riunioni di lavoro.

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