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Tiramisù? No, “Tiramesù”: Zaia rivendica la paternità del dolce al caffè

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Galeotto il libro dei due critici gastronomici Clara e Gigi Padovani, marito e moglie (in presentazione venerdì 13 maggio al Salone del libro di Torino) che propone di essere la parola definitiva, la cosiddetta pietra tombale, sulla questione: “Tiramisù”.

Centosessanta pagine per dimostrare che uno tra i dolci più amati dagli italiani e non solo, è friulano. Intorno alla questione sembra sia scoppiata una nuova battaglia. Il volume “Tiramisù. Storia, curiosità, interpretazioni del dolce italiano più amato”, contiene l’amara (e documentatissima) verità, in grado di far andare di traverso i savoiardi a mezzo Veneto compreso il suo governatore.
Tiramisù? No, “Tiramesù”: Zaia rivendica la paternità del dolce al caffè

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Il presidente Luca Zaia, non vuole sentire parlare, per lui è trevigiano “punto e basta. Se altri hanno copiato hanno fatto bene perché è il più buono”.

Gli autori si difendono: “Dopo aver letto il libro nessuno potrà più scrivere che il tiramisù piaceva a Cavour o che l’ha degustato Pellegrino Artusi o addirittura che fu preparato per non so quale Granduca di Toscana. Ci sono voluti due anni di indagini, archivi consultati, libri analizzati, interviste con i testimoni per venirne a capo. La prima parte del nostro libro contiene le prove che il tiramisù non è nato a Treviso, bensì in Friuli Venezia Giulia, tra Pieris di San Canzian d’Isonzo e Tolmezzo”.

Dal canto suo Zaia ribatte: “La realtà storica, documentata e certificata persino con un atto notarile è scolpita nella pietra: lo ha inventato Ada Campeol, con l’aiuto del cuoco Paolo “Loli” Linguanotto, alle Beccherie di Treviso, in quella culla della gastronomia tipica che si chiama Veneto”.

“Non è la prima volta che si tenta di scippare a Treviso questa eccellenza – continua il presidente – “all’epoca della sua creazione, quando ancora il nuovo dolce si chiamava alla veneta “Tiramesù”, nessuno aveva pensato a depositare il nuovo marchio: non si usava”. E siccome le grandi vittorie hanno cento padri, sono stati moltissimi quelli che, talora sul filo della leggenda o in nome dell’improbabilità, avrebbero attribuito ad altri tempi, luoghi e persone questa invenzione.

Nel libro, disponibile dal 18 maggio, 160 pagine in tutto arricchite da ben 40 ricette, i due autori ne hanno ricostruito la storia corredata dalle autentiche quattro ricette originali: la prima risalente al 1950, messa a punto da Mario Cosolo (Al Vetturino di Pieris) e svelata in esclusiva dopo circa 70 anni dalla figlia Flavia, seguita da quella di Norma Pielli (Albergo Roma di Tolmezzo) e poi di Speranza Bon (Al Camin di Treviso) e di Loli Linguanotto e Alba Campeol (Alle Beccherie di Treviso).

Luciana Palmacci

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