lunedì 15 Aprile 2024
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Bi-rex, dai fondi di caffè alla carta: “Non vogliamo creare soltanto soluzioni di nicchia”

Le fondatrici: "Abbiamo protetto il processo che trasforma lo scarto in un prodotto: nel mercato della carta la nostra fibra sostituisce sia quella riciclata che quella vergine all’80%. Inoltre la fibra rimpiazza il polietilene (vergine o riciclato) fino al 70%, dando come risultato dei prodotti dai colori unici."

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MILANO – Greta Colombo e Monica Ferro sono le donne dietro l’azienda We are Bi-rex srl società benefit. Bi-rex è un acronimo che raccoglie l’essenza del loro lavoro, ovvero prendere la biomassa (scarti agroalimentari) e riciclarla (rex), estraendo tutto ciò che si trova a suo interno per dargli nuova vita.

Bi-rex è un progetto che nasce all’interno del politecnico di Milano nel 2019

Dall’unione tra Greta e Monica si sono conosciute nello stesso gruppo di ricerca, concentrate ciascuna su prodotti diversi, Monica sui polisaccaridi, Greta su una nuova classe di solventi green.

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“Lavorando sugli scarti agroalimentari abbiamo scoperto di poter pulire la parte di cellulosa contenuta in essi. Questa poi poteva trovare delle applicazioni nel settore della carta, così da ottenere una cellulosa con le stesse caratteristiche di quella ricavata dagli alberi, senza però coinvolgerli nel processo.

La società è stata avviata a partire dal dicembre del 2022 e da allora abbiamo vinto diverse competizioni, ottenendo il primo finanziamento nel 2020 proprio dal Politecnico di Milano.

Attualmente esiste un brevetto che include tutte le operazioni che quotidianamente abbiamo svolto prima in laboratorio e ora sull’impianto pilota.

Abbiamo protetto il processo che trasforma lo scarto in un prodotto: nel mercato della carta la nostra fibra sostituisce sia quella riciclata che quella vergine all’80%. Inoltre la fibra rimpiazza il polietilene (vergine o riciclato) fino al 70%, dando come risultato dei prodotti dai colori unici.

Un esempio di oggetti di design (foto concessa)

Ad oggi stiamo cercando clienti interessati a creare oggetti di design ricavati dagli scarti di caffè per sostituire la plastica. Il nostro materiale è resistente, identico alla versione tradizionale ottenuta dalla plastica e dalla carta.”

Come vi rifornite logisticamente degli scarti?

“Prendiamo il caffè esausto delle vending machine. Abbiamo provato a lavorare anche con i bar tramite una rete di persone disposte a partecipare al progetto, ma a livello normativo abbiamo deciso che sarebbe stato più pratico considerare soltanto ciò che è già identificato come sottoprodotto. Per quanto riguarda la logistica, è un aspetto gestito dallo stesso fornitore di vending machine con cui collaboriamo, che invece di portare gli scarti in discarica li consegna alla nostra azienda. “

Avete mai considerato con Bi-rex di trattare anche la silver skin?

“Siamo in contatto con un importante trader di caffè che ci ha proposto proprio di sperimentare con questo sottoprodotto, tuttavia non abbiamo raggiunto ancora dei volumi che ci hanno convinto. Per i clienti che sono il nostro target, ci vorrebbero centinaia di migliaia di tonnellate di silver skin.

Potenzialmente potremmo trattarle con il nostro brevetto e abbiamo anche rilevato che darebbe un risultato cromatico interessante, ma dovremmo coinvolgere più fornitori per raggiungere la quantità necessaria all’industrializzazione.”

Quindi cosa ci potete svelare del vostro trattamento?

“Lavoriamo il fondo di caffè recuperandone fino al 50% per ottenere la fibra che poi viene inserita o nella carta o negli oggetti (fino al 20% nelle carte artigianali che abbiamo già sperimentato). Ora stiamo proponendo anche delle fibre che hanno l’aroma del caffè. Per quanto riguarda la plastica riusciamo a sostituire fino al 70%. Quindi all’incirca possiamo considerare che da 100 chili di scarti, otteniamo più o meno il 50% di fibra. “

Com’è strutturato l’impianto pilota Bi-rex?

“Da quanto ci siamo costituite come società, lavoriamo in un capannone a Turbigo in provincia di Milano, proprio al confine tra Lombardia e Piemonte, con gli uffici, il laboratorio di ricerca-sviluppo e una parte produttiva, con un impianto pilota da 400 litri.

La carta derivata da Bi-Rex (foto concessa)

Stiamo crescendo molto in termini di produzione: negli ultimi mesi ci siamo evoluti e nelle prossime settimane condurremo i test in cartiera con le prime tonnellate di carta, necessarie per far girare il rotolo.

Cento tonnellate al giorno sono una quantità media, e soltanto per i test sono richieste due tonnellate di fibra. Dobbiamo validare il processo a livello industriale. Una serie di consulenti ci supportano nel creare una rete tra le aziende cartiere e nel team siamo già in tre persone, con Raffaele che si occupa di produzione e di ricerca. “

Qual è il costo di questa super carta Bi-rex?

“Rispetto alla fibra vergine è un prodotto nettamente competitivo, perché ha un costo inferiore. Certo poi bisogna considerare che nelle cartiere viene usata sia la carta riciclata (macero post consumo) sia quella vergine. Rispetto al macero il prezzo della carta Bi-rex è leggermente più elevato, ma confrontata con quella vergine la nostra fibra costa meno.

Come ci siamo riuscite? Aumentando i volumi, ottimizzando il processo della biomassa in termini di costi di solvente, acqua, materie prime e energia, studiando bene la supply chain dei fornitori, riducendo drasticamente i trasporti su gomma. La cellulosa viene dal Sud America e dal Nord Europa e gli spostamenti incidono meno paradossalmente rispetto a noi che raccogliamo il materiale su gomma. Abbiamo ridotto questi passaggi.”

Una considerazione sulla questione di genere

Ancora Greta e Monica, due ricercatrici e imprenditrici (foto concessa)

“È stato difficile per alcuni nostri clienti trovarsi davanti due imprenditrici e ricercatrici. Ma siamo convinte che noi scienziate possiamo portare avanti questo progetto anche sul piano del business. Dal canto nostro, non smettiamo mai di imparare.”

E quindi quali sono i prossimi step, gli obiettivi di Bi-rex?

“Essere adottati dal primo cliente che realizzi prodotti che ci lancino su grandi volumi e che quindi sia impattante. Non vogliamo creare soltanto soluzioni di nicchia. L’obiettivo è quello di realizzare sia oggetti di design che cose più di uso comune, come la carta usa e getta o la carta packaging dello stesso caffè.

I primi ci aiuterebbero ad essere più riconosciute, ma le seconde sarebbero il massimo come punto d’arrivo. La nostra fibra potrebbe persino essere potenzialmente anche la nuova capsula compostabile, anche se ovviamente dovremmo indagare per rispettare tutti i parametri necessari a renderla efficiente e adatta al contatto alimentare. “

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