venerdì 05 Dicembre 2025
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Azkoyen, l’azienda che ha acquisito Ascaso (macchine espresso tradizionali), registra un un fatturato di 170,8 milioni di euro

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Azkoyen Ascaso
Lo stabilimento Ascaso di Gavá, Barcelona

NAVARRA (Spagna) – Azkoyen, multinazionale spagnola leader nella tecnologia che offre prodotti e servizi automatizzati progettati per portare esperienze uniche alle persone nella loro vita quotidiana, ha annunciato i risultati dell’esercizio 2022, in cui ha registrato un fatturato netto di 170,8 milioni di euro, riportando un aumento del 23% rispetto all’anno precedente, con una crescita organica del 18% e una crescita inorganica del 5% derivante dalle acquisizioni della società di Vendon e Ascaso nel luglio 2022.

Il bilancio di Azkoyen

La crescita del fatturato è stata alimentata da Coffee & Vending Systems, in crescita del 43,1%, da Payment Technologies, in crescita del 27,2% e, infine, da Time & Security, in crescita del 3,2%.

La solida posizione finanziaria, la diversificazione geografica, nonché lo spirito innovativo e la disponibilità ad adattarsi alle tendenze degli utenti, hanno consentito al Gruppo Azkoyen di ottenere un significativo miglioramento dei propri dati di business, registrando un margine lordo del 43,3%, in crescita del 19,6% e raggiungendo i 71,9 milioni di euro.

I costi fissi sono aumentati del 16,2%, in linea con i piani di crescita organica e inorganica definiti per l’esercizio 2022.

L’Ebitda è salito a 28,1 milioni di euro, 16,4% delle vendite, con una crescita del 24,1%. Il Gruppo ha ottenuto una conversione da Ebitda a cassa di circa il 42%. Al 31 dicembre 2022 l’indebitamento era inferiore a 1,5 volte l’Ebitda.

Inoltre, l’utile consolidato al netto delle imposte per il 2022 ha raggiunto i 15 milioni di euro, il che implica un aumento del 15,5%.

Questi risultati sono stati raggiunti in un clima economico difficile, dominato da pressioni inflazionistiche, sforamenti dei costi, il perdurare dell’impatto negativo della pandemia sulle catene di approvvigionamento e l’incertezza globale dovuta al conflitto in Ucraina

Il Consiglio di amministrazione proporrà all’Assemblea degli azionisti di destinare a dividendi il 30% dell’utile netto consolidato, pari a 4,5 milioni di euro.

Andamento delle vendite per regione

In termini di fatturato consolidato per regione, la Spagna rappresenta il 14,9% del volume totale, la Germania il 25,5%, l’Italia l’11,2%, il Belgio il 6,5%, il resto dell’Unione Europea il 16,3%, il Regno Unito il 12,2% e il 13,4% negli altri Paesi.

Il Gruppo Azkoyen lavora ogni giorno per distribuire i propri prodotti e servizi in più di 95 paesi nei cinque continenti.

Andamento delle vendite per divisione

La divisione Coffee & Vending Systems ha registrato un incremento del fatturato netto del 43,1% rispetto all’anno precedente, registrando un aumento delle vendite del 52%. Notevole la crescita nel Regno Unito e negli Stati Uniti, entrambi a valori storici.

Nel 2022, il Gruppo Azkoyen ha incorporato la società Ascaso, uno dei principali produttori europei di macchine da caffè espresso tradizionali premium con una presenza in mercati come il sud-est asiatico (Cina e Corea), Europa (Spagna, Francia, Germania e Regno Unito) e Nord America (Messico, Canada e USA).

Questa integrazione completa il portafoglio di caffè del Gruppo e rende Azkoyen uno dei pochi fornitori a servizio completo al mondo.

Il Gruppo ha accelerato la crescita della divisione attraverso azioni strategiche quali l’aumento della forza vendita nei mercati a maggior potenziale, il rafforzamento del marketing e la definizione di specifici piani di azione commerciale Go To Market per prodotto, canale e area geografica. Si è lavorato inoltre sulla focalizzazione del branding e il posizionamento nella fascia alta di gamma in termini di qualità del caffè erogato oltre al rafforzamento del posizionamento nel canale horeca.

A questo proposito, l’azienda ha lanciato la sua nuova macchina da caffè automatica Vitro S1 MIA con latte fresco, che va ad aggiungersi alla sua fortunata linea Vitro.

Inoltre, l’azienda ha preso parte anche al NAMA OneShow di Chicago dove è stata presentata la macchina Vitro X1 certificata NSF, consolidando il suo ambizioso piano di sviluppo commerciale e di servizio negli Stati Uniti.

C’è di più: il Gruppo ha partecipato a Venditalia Worldwide Vending Show dove ha presentato NEO Q, un prodotto innovativo che risponde alle nuove tendenze sociali e alle esigenze degli utenti e promuove la consapevolezza dei consumatori per ridurre il consumo di plastica

NEO Q è stato scelto come miglior prodotto nella categoria per la Ristorazione e attrezzature per ufficio agli European Product Design Awards. Nel frattempo, Coffetek è stato votato miglior produttore di macchine nel Regno Unito da Associated Vending Services (AVS).

Nel corso del 2022, il Gruppo Azkoyen ha presentato le sue ultime innovazioni in Europa, la sua tecnologia brevettata e innovativa MIA e il suo nuovo Neo Q.

Inoltre, a novembre 2022, il Gruppo Azkoyen ha partecipato a CTW (Coffee, Tea & Water) 2022, dove ha presentato il suo sistema brevettato AZKV30, la versione dual della sua macchina da caffè di successo.

La divisione Payment Technologies (mezzi di pagamento elettronici) ha registrato un incremento delle vendite del 27,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (crescita organica del 21,4% e crescita del 5,8% per l’acquisizione di SIA Vendon)

I mezzi di pagamento retail e industriali (retail, gaming e service automation) hanno aumentato le vendite del 32,3% su base annua e hanno rappresentato circa il 55% dei ricavi. I mezzi di pagamento per distributori automatici e Coges, invece, hanno incrementato le proprie vendite del 9,2% e hanno rappresentato circa il 40% dei ricavi di Payment Technologies.

Inoltre, le soluzioni di connettività e IoT nei pagamenti digitali e nella telemetria, che rappresentano circa il 5% dei ricavi della divisione, hanno registrato una crescita inorganica dovuta all’acquisizione del 100% della società lettone SIA Vendon.

L’azienda ha più di 49.000 macchine connesse in circa 82 paesi. Durante l’esercizio 2022, le vendite di questa azienda sono aumentate del 34,9%

Gli sforzi del Gruppo per favorire la crescita di questa divisione includono lo sviluppo di significative leve di crescita, quali il lancio di una nuova versione di Cashlogy, il miglioramento della user experience e dei servizi cloud, il rafforzamento e la prioritizzazione del posizionamento del business internazionale (principalmente in Europa Centrale), il rafforzamento della propria rete commerciale e distributiva, il rafforzamento delle risorse nei reparti innovazione e non, servizi associati, servitizzazione grazie alle applicazioni di connettività e cloud e la soluzione per integrare pagamenti cash e cashless, fornendo soluzioni sia separate che congiunte.

Azkoyen Group ha inoltre partecipato al Venditalia Worldwide Vending Show, presentando la nuova versione della piattaforma Nebular e una nuova rendiresto chiamata Sofis. Inoltre, Coges commercializza una tecnologia tramite licenze che consente il pagamento nei distributori automatici tramite un’applicazione per smartphone, chiamata Pay4Vend. Nel 2022 Coges ha superato le 46.700 connessioni e abbonamenti ai servizi di connettività.

Da parte sua, la divisione Time & Security (Sistemi e tecnologie di sicurezza) ha registrato un aumento delle vendite del 3,2% rispetto all’anno precedente, nonostante il ritardo nell’esecuzione dei progetti nel primo trimestre causato dagli effetti della pandemia di Covid-19 e dalle interruzioni nelle catene di approvvigionamento di terze parti che hanno comportato uno spostamento dei tempi di esecuzione del progetto.

A tal proposito, nella seconda metà del 2022 si è registrata una crescita dell’8,4% rispetto alla seconda metà del 2021, che ha determinato il miglior semestre per questa linea di business.

Per area geografica, circa il 63% delle vendite nel 2022 è stato in Germania, il 19% in Belgio, il 5% in Francia, il 5% in Spagna e l’8% in altri paesi. Anche i ricavi per manutenzioni sono cresciuti del 5,8% (17,3 milioni di euro, rispetto ai 16,4 milioni di euro dell’anno precedente) e rappresentano il 31,3% del fatturato

Gli ordini in entrata sono aumentati del 2,4% (59,7 milioni di euro nel 2022 rispetto a 58,3 milioni di euro dell’anno precedente). Alla chiusura dell’esercizio 2022, il portafoglio ordini, comprensivo di progetti e contratti di manutenzione, ammonta a 43,0 milioni di euro, il 10,7% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La divisione non ha smesso di innovare, ne sono un esempio le soluzioni di controllo accessi e rilevazione presenze del Sottogruppo Primion (quali prime Mobile, prime WebAccess & PSM 2200, prime Visit e Prime CertifiedAccess), che consentono di soddisfare i requisiti del nuovo modelli di lavoro e l’integrazione con i sistemi gestionali da soddisfare (tracciamento e conteggio delle persone, gestione dei visitatori, automazione degli allarmi, agevolazione del telelavoro e del tempo flessibile, ecc.), sia per i clienti esistenti che per i nuovi.

Il Gruppo ha avviato iniziative volte a fornire progressivamente risorse e aumentare la propria funzionalità nella creazione di soluzioni integrate che forniscano ai nostri clienti maggiore protezione ed efficienza nei loro processi di gestione.

Le parole di Darío Vicario, ceo del Gruppo Azkoyen

“Il 2022 è stato un anno eccezionale per il Gruppo Azkoyen e ne sono la prova i risultati che stiamo riportando, con cifre di business record. La nostra solida posizione finanziaria, unita alla nostra capacità gestionale e innovativa, ha consentito al Gruppo di ottenere ottimi risultati in un contesto più incerto e instabile che mai. Inoltre, nel 2022, abbiamo distribuito un dividendo straordinario, dimostrando ancora una volta il nostro forte impegno nei confronti degli azionisti e della comunità finanziaria”.

Vicario ha aggiunto: “Uno dei principali obiettivi del Gruppo per il 2023 è rafforzare il proprio impegno per la sostenibilità. Stiamo lavorando a tutti i livelli e in tutte le divisioni aziendali per incorporare criteri ambientali, sociali e di governance. Non solo si tratta di un impegno strategico, ma rafforza anche la nostra posizione nei mercati in cui operiamo, rafforza la nostra resilienza e, soprattutto, contribuisce a un’economia sostenibile”.

Darío Vicario conclude: “Nel 2022, il Gruppo Azkoyen è all’avanguardia negli investimenti nell’innovazione in Spagna e in Europa, comparendo nelle prime posizioni della classifica degli investimenti nell’innovazione della Commissione europea, che è un importante riconoscimento degli sforzi di ricerca e sviluppo dell’azienda”.

Bazzara: “Riparte a Trieste la raccolta firme per la candidatura Unesco dell’espresso”

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Franco Bazzara (immagine concessa)

TRIESTE – “È un’occasione che non ci possiamo permettere di perdere – sostiene Franco Bazzara, imprenditore della storica e omonima torrefazione sita nel cuore della città e in prima linea a sostegno della candidatura – e Trieste, capitale del caffè, farà la sua parte perché la nostra città, questo territorio, è polo scientifico, è mare, è Barcolana, ma è anche caffè. E il caffè contribuirà al futuro sviluppo della città, alla sua crescita, senza scordare che il caffè contribuisce anche alla crescita turistica”.

Bazzara a favore della candidatura del rito del caffè espresso a patrimonio Unesco

Socialità, solidarietà, uguaglianza, identità, universalità, inclusività, tradizione, ritualità, creatività e sostenibilità: sono questi i punti del decalogo della Carta dei valori che, da nord a sud Italia, rappresentano il Rito del caffè espresso italiano e che le Comunità emblematiche, di cui l’Associazione Caffè Trieste è capofila per il nostro territorio, hanno sottoscritto lo scorso 26 marzo a Roma al Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali con una raccolta firme a favore della candidatura del rito del caffè espresso a patrimonio immateriale dell’Unesco.

La candidatura dell’espresso italiano quale patrimonio dell’Unesco ha visto sin dall’inizio, anche per l’amicizia che lega l’azienda al Conte Giorgio Caballini di Sassoferrato, promotore dell’evento, un grande supporto e coinvolgimento da parte della Bazzara. Il progetto non si ferma e dopo lo scorso anno la decisione è quella di riprovarci, ripresentando la candidatura.

Si ricorda che ogni giorno si consumano 9,3 milioni di caffè a testimonianza del rito del caffè espresso italiano.

Franco Bazzara, riportando una riflessione che riguarda in particolare Trieste ma che forse dovrebbe rivolgersi a tutte le comunità emblematiche italiane, afferma a tal proposito che anche in questo senso gioca un ruolo fondamentale la formazione:

“Hai un bar? Spiega cosa c’è dentro la tua miscela e da dove arriva. Sei un torrefattore? Manda articoli sul caffè ai media della tua città e così via. Quindi, che fare? Noi in questi mesi ci siamo messi in prima fila, credendoci, suggerendo varie possibilità che una importante città di caffè come Trieste può sviluppare: creare la giornata dove anziani, giovani e non solo possono degustare un caffè gratis. Istituire un corso per insegnare al futuro della nostra città, i giovani, e non solo come si fa un espresso o un cappuccino ma molto più importante, cos’ è il caffè, perché il caffè lucida la mente e può aiutarti a creare un interessante futuro come occupazione”.

“Ma ancora – continua Franco Bazzara – aiutando la nostra importante fiera internazionale che si terrà per la sua undicesima edizione in città, la Triestespresso Expo. E perché no, mettendo il simbolo del caffè, una tazza, nei pressi dell’entrata nella città. Certo, bisogna crederci, e ci dobbiamo credere tutti, media ed istituzioni comprese”.

Trieste Coffee Experts

“Sicuramente viviamo momenti difficili, pieni di preoccupazioni, ma una sorta di stati generali legati al caffè, tradotto ‘fare rete’ (cosa che ad oggi manca), darebbe maggior slancio a un comparto che come riportato più volte dalla nostra azienda potrebbe portare solo benefici alla nostra città, come per esempio, il nostro evento il Trieste Coffee Experts, biennale, previsto quest’anno a fine novembre, che unisce una 50ina tra le menti più brillanti dell’Italia del caffè, presso la nostra sede di via Battisti da un decennio oramai, per diffondere la bellezza, la forza della nostra città, non solo in Italia ma pure all’estero” conclude Franco Bazzara.

Naturalmente chiunque può dare il proprio contributo: parlando della Trieste come “Città del caffè”, tutti i cittadini sono invitati a cliccare al seguente link e supportare la candidatura del nostro amato espresso come patrimonio immateriale dell’umanità presso Unesco.

Tuttofabrodo: azzerare la Carbon Footprint al ristorante di Torino, la sfida della sostenibilità

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L'esterno del locale Tuttofabrodo a Torino (immagine concessa)

TORINO – L’attenzione all’impronta di carbonio* (carbon footprint) in tutti i piatti del menù e un impegno quotidiano e concreto per azzerarla. È questa la nuova sfida per Tuttofabrodo, locale orientale contemporaneo situato nel quartiere San Salvario di Torino, che fin dalla sua apertura si è distinto anche per porre una speciale attenzione ai temi ecologici e sociali, oltre che gastronomici.

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Elisa Neri (immagine concessa)

Chiare, sono in questo senso le parole della testa e cuore del progetto Elisa Neri: “Abbiamo voluto misurare l’impatto ecologico di ogni singolo piatto all’interno del nostro menu, perché riteniamo che indicare ai clienti, a chi sceglie di sedersi al nostro tavolo, quali ricette siano o meno impattanti sull’ambiente li possa aiutare a effettuare scelte più consce e consapevoli nella loro alimentazione. Per facilitare la comunicazione di questo importante messaggio, abbiamo scelto di indicare in menu, attraverso il simbolo dell’impronta, quali piatti hanno una minore carbon footprint”.

Tuttofabrodo: come ridurre gli sprechi

Previsione della domanda e ottimizzazione della produzione

Con l’apertura di Tuttofabrodo, a luglio 2021, Elisa Neri ha deciso di fare dell’attenzione allasostenibilitàeall’ambienteunodeipilastricardinedellasuainsegna.Lasceltaèiniziatapropriodallaprogettazione dell’architettura e del design degli interni – i tavoli e le sedie, tanto per fare unesempio, sono in plastica riciclata – ed è proseguita in cucina, con l’uso di acqua microfiltrata e di materie prime rispettose della biodiversità e dell’ambiente.

Sin dall’inizio, a fianco di queste decisioni, è stata portata avanti una ricerca su come poter ridurre gli sprechi, sia dalla parte della cucina che dei clienti, operando su previsione della domanda e ottimizzazione della produzione. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, si può affermare che quest’impegno prolungato, costante nel tempo, ha portato a dei risultati reali e tangibili.

dumpling verdure
Dumpling con verdure e arachidi tostate (immagine concessa)

“Nonostante le decine di migliaia di persone servite nel 2022, Tuttofabrodo ha emesso 200 kg di scarti, l’equivalente di un nucleo familiare di 3 persone, secondo il Food Sustainability Index 2019, Fondazione Barilla” ha affermato Elisa Neri. “Crediamo che questi numeri, più di qualsiasi frase, possano far capire quanto un’attività ristorativa possa realmente impattare sull’ambiente, se si impegna davvero nella riduzione degli sprechi”.

Il ruolo della selezione delle materie prime

Oltre a lavorare su previsione della domanda e ottimizzazione della produzione, Tuttofabrodo ha posto molta attenzione anche al tema della selezione delle materie prime perché, attraverso scelte dietetiche intelligenti, si può ridurre la carbon footprint legata al cibo di almeno il 50%.

“Quello che mettiamo in tavola determina cambiamenti sul termometro del pianeta. Il nostro piatto influenza il clima e ne è a sua volta influenzato, in un rapporto di dualismo interconnesso” ha dichiarato Elisa Neri, che ha maturato questa visione anche grazie agli studi presso l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo. “Il consumo di cibo è responsabile per circa un terzo delle emissioni globali di CO2: ciò significa che le nostre abitudini alimentari possono avere un impatto maggiore rispetto a quello causato dai mezzi di trasporto”.

Una maggiore attenzione al biologico

Così si spiega la scelta di prediligere, nel menu del locale, alimenti a base vegetale, locali e sostenibili, a scapito di carne, latticini e, più in generale, alimenti di origine animale.

Mentre i primi sono associati a una minore emissione di gas serra, perché meno energivori e bisognosi di acqua, la produzione dei secondi implica l’emissione di grandi quantità di metano, uno tra i gas serra più impattanti sull’ambiente. Proprio per questo motivo, quando gli ingredienti di origine animale sono presenti nel menu di Tuttofabrodo, provengono da allevamenti biologici e tracciati.

Da questa profonda ricerca è nata l’idea di inserire un simbolo a forma di impronta vicino a quelle pietanze che hanno una carbon footprint minore: dai Dumpling con verdure e funghi al Veggie tantan ramen, fino ai Noodles saltati con bok choy e ai Vegan Dan Dan noodles, il piatto dalla minor impronta carbonica di tutto il menu, con soli 192 CO2 eq, contro i 1.500 CO2 eq ca. di una porzione di lasagne.

Le azioni intraprese da Tuttofabrodo puntano ad aumentare l’attenzione dei consumatori rispetto al tema della sostenibilità, sia nell’ambito di un pasto fuori casa che in quello della spesa alimentare. Problemi così grandi, come quello del riscaldamento globale, si possono combattere solo se ognuno di noi fa la propria parte e, in questo senso, Tuttofabrodo si augura che il suo gesto possa fare da traino per altre attività ristorative, a Torino e non solo.

*Carbon footprint / impronta di carbonio

È la stima delle emissioni in atmosfera di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, calcolate in tonnellate di CO2 equivalente. È il parametro che determina e stima l’impatto ambientale di qualsiasi attività svolta dall’uomo sul surriscaldamento globale, stabilito secondo il Protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997.

Il dolcificante nel caffè potrebbe aumentare il rischio di infarto e ictus

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dolcificanti dolcificante saccarina
Dolcificanti generici

I ricercatori hanno esaminato dati relativi a oltre 4mila persone tra Usa ed Europa. Il risultato? Apparentemente le persone con livelli più elevati di eritritolo nel sangue, un polialcol naturalmente presente nella frutta e nei cibi fermentati e dolcificante, mostravano un rischio alto di gravi eventi cardiaci avversi come infarto, ictus o morte. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Andrea Iustolin pubblicato sul portale Tag 24.

I possibili rischi del dolcificante nel caffè

MILANO – Dolcificanti nel caffè? L’ eritritolo, un polialcol naturalmente presente nella frutta e nei cibi fermentati, è associato a un rischio aumentato di infarto e ictus, secondo uno studio della Cleveland Clinic americana pubblicato su ‘Nature Medicine’. I ricercatori hanno esaminato dati relativi a oltre 4mila persone tra Usa ed Europa, rilevando che “quelle con livelli più elevati di eritritolo nel sangue mostravano un rischio alto di gravi eventi cardiaci avversi come infarto, ictus o morte“.

Gli autori hanno inoltre analizzato gli effetti dell’aggiunta di eritritolo al sangue intero o alle piastrine isolate, osservando che l’eritritolo favoriva l’attivazione delle piastrine che dà origine a coaguli. Anche studi preclinici hanno confermato che l’ingestione di eritritolo aumenta la formazione di coaguli. Gli scienziati sottolineano l’importanza di studi di follow-up per confermare questi risultati nella popolazione generale.

Il lavoro pubblicato presenta infatti diversi limiti, precisano, tra cui il fatto che “gli studi di osservazione clinica – tengono a puntualizzare – dimostrano l’associazione e non la causalità“. Indicano cioè il legame fra due eventi (in questo caso alti livelli ematici di eritritolo e un maggior rischio di infarti o ictus potenzialmente mortali), ma non il rapporto causa-effetto.

“La popolarità degli edulcoranti come l’eritritolo è cresciuta rapidamente negli ultimi anni, ma è necessaria una ricerca più approfondita sui loro effetti a lungo termine – afferma l’autore senior dello studio Stanley Hazen, presidente del Dipartimento di Scienze cardiovascolari e metaboliche presso il Lerner Research Institute e co-responsabile di Cardiologia preventiva alla Cleveland Clinic -. Le malattie cardiovascolari aumentano e rappresentano la prima causa di morte a livello globale. Dobbiamo assicurarci che i cibi che mangiamo non vi contribuiscano“.

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Il Codice sensoriale del gelato: ecco la guida di Manuela Violoni

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buvette gelati montecitorio
Una varietà di gelati (immagine: Pixabay)

Manuela Violoni pubblica il manuale Il Codice sensoriale gelato, edito da Centro Studi Assaggiatori, in cui vengono svelati i segreti che rendono uno dei dolci più amati al mondo un vero vanto della cultura italiana. Il testo di divulgazione nasce dalla ricerca e dai dati raccolti attraverso test di analisi sensoriale.

Leggiamo di seguito il breve articolo pubblicato su Sensory News.

Il Codice sensoriale gelato di Manuela Violoni

MILANO – Molti sanno giudicare un gelato buono e uno cattivo, ma non tutti sanno spiegarne il perché. Il Codice sensoriale gelato svela un metodo di analisi sensoriale certo e codificato per comprendere cosa renda il gelato artigianale italiano un gioiello della cultura italiana. Un utile strumento e guida per i gelatieri e un’appassionate scoperta per tutti i golosi per trovare ancor più piacere nel gustarlo. Perché conoscere il gelato fa diventare maestri del piacere e guide al buon vivere.

Il manuale nasce dalla ricerca e dai dati raccolti attraverso test di analisi sensoriale e spiega: le percezioni che il gelato può offrire codificandole per fasi della percezione; come gli ingredienti, gli strumenti e le attrezzature influenzino il profilo sensoriale del prodotto; come creare una ricetta bilanciata e come svolgere al meglio tutte le fasi della produzione.

Il codice sensoriale del gelato diventa un libro aperto a portata di mano di tutti per imparare a descrivere con precisione cosa piaccia oppure no di un gelato e comprendere da quale fase produttiva sia originato. Un utile strumento per riconoscere e capire quando e perché un gelato artigianale italiano sia buono e un manuale pratico per tutti i gelatieri.

Autore: Manuela Violoni
Editore: Centro Studi Assaggiatori
Formato: 19 x 27
Pagine: 116

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Umami: il gusto del tè riconosciuto dagli esperti

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Una tazza di tè fumante (Licensed by Pixabay)

Il termine umami significa saporito e delizioso ed è stato riconosciuto come gusto a sé nel mondo occidentale solo nel 1997 durante l’International symposium on olfaction and taste. La scoperta risale però al lontano 1908 a opera di Kikunae Ikeda, docente di chimica all’Università imperiale di Tokyo. Leggiamo di seguito parte dell’articolo pubblicato sul portale AssoTèInfusi.

Il gusto umami

MILANO – La scienza riconosce oggi cinque sapori primari, cioè caratteristiche sensoriali che l’apparato gustativo umano è in grado di percepire. Ciascuno di questi ha un ruolo fisiologico ed evolutivo importante, segnalando per esempio la presenza negli alimenti di zuccheri (fonte di energia), minerali e altri nutrienti essenziali per il benessere o di sostanze potenzialmente tossiche.

Insieme a dolce, salato, amaro e acido, noti da tempo, c’è anche l’umami. Il termine umami viene dal giapponese e significa, saporito, delizioso. È stato identificato per la prima volta nel 1908 da Kikunae Ikeda, docente di chimica all’Università imperiale di Tokyo.

Mentre compiva delle ricerche sull’origine del sapore intenso del brodo di alghe kombu, Ikeda isolò la molecola che ne è responsabile: l’acido glutammico, uno degli amminoacidi non essenziali, presente in forma libera anche in molti alimenti di tradizione occidentale come il Parmigiano Reggiano e altri formaggi stagionati, alcuni ortaggi, i funghi secchi, le carni sottoposte a lunga cottura.

Per molto tempo l’umami non è stato riconosciuto come sapore a sé. Soltanto dopo decenni di ricerche, la creazione di un’Organizzazione mondiale dedicata (Umami Research Organization) e il riconoscimento da parte del mondo occidentale avvenuto nel 1997, durante l’International symposium on olfaction and taste (Isot) a San Diego, l’umami è stato consacrato come un vero e proprio gusto, collegato a recettori specifici presenti sulla lingua, nello stomaco, nell’intestino.

L’umami nel tè

A volte si possono sentire i tea taster parlare di percezione di umami, soprattutto in combinazione con alcuni tè verdi cinesi e giapponesi.

Ciò che conferisce il sapore di umami al tè verde è la L-teanina. Un amminoacido presente in buona quantita nei germogli della pianta del tè.

Ma durante lo sviluppo di questi germogli, una grande quantità di questa teanina viene trasformata dalla luce solare in catechine e altre sostanze. L’umami  può quindi essere presente in grandi quantità solo nei germogli teneri o che sono protetti dalla luce solare diretta in fase di sviluppo e questo succede in particolar modo ai tè provenienti da regioni di montagna e nebbiose.

E’ proprio per questo che alcuni tè giapponesi vengono ombreggiati artificialmente alcune settimane prima della raccolta,  proprio per ricreare lo stesso effetto filtrante che nebbia e nuvole assolvono naturalmente.

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Ecco il The Crystal Tea: l’esperienza sensoriale a base di tè a New York che costa 3000 dollari

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New York (immagine: Pixabay)

Approda a New York il trend della tradizionale ora del tè inglese. A firmare l’esperienza del momento a base di infusi è lo chef stellato Gabriel Kreuther, protagonista all’Hotel Baccarat di New York. Kreuther ha ideato l’esperienza a base di infusi di tè The Crystal Tea al prezzo di 3mila dollari per due persone. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Sara Cerasuolo pubblicata su Tutto Notizie.

L’esperienza The Crystal Tea a New York

NEW YORK – La nuova tendenza dei ricchi arriva direttamente da New York: cos’ha di speciale quest’infuso? Il suo costo è davvero esagerato. Siamo a Manhattan, palcoscenico di set da sogno e star internazionali.

La grande mela non è mai stata così inglese e a stupire è il lancio di una delle bevande più costose al mondo. Il tè è un infuso utilizzato in quasi ogni angolo del mondo che accompagna spuntini, merende e pasti di qualsiasi genere. C’è chi preferisce la versione classica o chi adora il tè verde che spesso viene inserito anche all’interno delle diete per perdere peso.

Siamo dunque abituati a bere il tè comprato in bustine al supermercato e mai nessuno avrebbe immaginato di ritrovarsi di fronte a una tazza di tè da 3mila dollari.

È proprio questo il costo del tè bevuto nella Grande Mela e in particolare in uno degli hotel più famosi al mondo. Il prezzo non spaventa i cultori di questa bevanda che ne conoscono le versioni più pregiate.

Questa volta però l’hotel statunitense propone un pacchetto completo da gustare in perfetto orario inglese e che vede protagonista il famoso Crystal Tea.

A firmare l’esperienza più guardata del momento è Gabriel Kreuther, chef stellato che è in servizio all’Hotel Baccarat di New YorkThe Crystal Tea è il nome dell’esperienza che i clienti possono vivere tutti i giorni nel prestigioso albergo dalle 12:00 alle 16:00 gustando una tazza di tè perfetta e costosissima.

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L’avena nella latte art Oatly: da Cafezal, la sfida senza sprechi e il cappuccio con rum diventa drink

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Tutti i partecipanti, giudici e presentatori dell'evento Oatly Zero Waste

MILANO – In viale Premuda 14, proprio li dove Giovanni Achille Gaggia svelò al mondo la prima macchina per il cremacaffè, e a 100 metri dalla fabbrica storica de La Pavoni in Via Archimede 27, Cafezal apre le porte per la competizione di latte art con zero sprechi targata Oatly. Quindi soltanto bevande a base di avena per i competitor, che si sono sfidati ciascuno con tre figure da comporre sul cappuccino alternativo. Alla fine della gara, si butta via tutto? Niente affatto: il cappuccio esce dalla tazzona e si veste da cocktail.

Per la precisione, un drink con 50 ml di Rum, 25 di sciroppo d’avena, 150 ml circa di bevanda a base d’avena, servito subito dopo ciascuna prova. Questi gli ingredienti per la prima gara Zero Waste organizzata in Italia: i primi tre selezionati si disputeranno la finale a chiusura del 2023.

Le bevande vegetali stanno conquistando una buona fetta di mercato non soltanto nei supermercati, ma anche nelle caffetterie.

A parlare sono i numeri: 292 milioni di fatturato sul totale mercato Italia nel 2022, le bevande vegetali costituiscono il 46% del carrello (fonte Atlante Food of the World).

Come riporta l’analisi, questa è una categoria di prodotti che continua a crescere (+7,3% tra 2021 e 2022) Sebbene la soia sia ancora la favorita da 51 Milioni di litri nel 2022, avena e mandorla stanno conquistando una buona fetta di mercato tra i consumatori, così come le bevande con ridotto contenuto di zuccheri.

Al di là dei dati, abbiamo provato a chiedere a chi lo promuove, Jessica Sartriani, Barista Market developer di Oatly, il perché dietro questa tendenza. È davvero un guadagno per il gestore che sceglie di acquistarlo per il proprio locale?

E che cos’ha in più delle altre bevande, quella a base d’avena?

“Oatly nasce come azienda che produce bevande vegetatale a base d’avena, tramite degli studi svolti con l’Università di Lund in Svezia da un team di ricerca in cui si trovava il fondatore di Oatly.

Jessica Sartriani in azione sulla Victoria Arduino Prima a un gruppo

L’avena è la risposta più sostenibile per l’ambiente rispetto alla soia, al cocco, alla mandorla, che richiedono una grande quantità d’acqua. E’ più facilmente controllabile a livello di filiera: il primo stabilimento in Svezia di Oatly ha sempre ricavato la materia prima dai coltivatori locali e ha riproposto lo stesso schema in Germania e in Olanda. E’ anche la bevanda che a livello gustativo e nutrizionale si avvicina al latte vaccino, senza zuccheri aggiunti.”

Acquistarlo e venderlo è qualcosa che ha un ritorno economico per i baristi che lo scelgono?

“E’ un prodotto che dà un valore aggiunto al resto dell’offerta di un locale. Nella mia esperienza a Melaleuca, per tre anni siamo stati gli unici a servire Oatly: soprattutto nel periodo della pandemia molti Expat e turisti, uscivano dalla caffetteria con 5/6 litri di Oatly. Era difficile trovarlo: nonostante rappresentasse un costo leggermente maggiore rispetto al latte vaccino, continuavano a preferirlo.

Questa maggiore richiesta, rappresenta uno scontrino più alto per l’esercente.”

Carlos Bitencourt, titolare di Cafezal, conferma: “Costa un po’ di più anche per noi ma è un prodotto di tendenza, che i consumatori richiedono.” Lì da Cafezal, il cappuccino con bevanda a base d’avena costa 2 euro e 50.

Con la latte art, che spesso aiuta a diversificare l’immagine di un locale di fronte al consumatore finale, come si comporta? Monta bene?

Il free pour del round finale

“Assolutamente sì. Oggi ne abbiamo la riprova nella competizione: è un buon cappuccino, eseguito bene con una latte art pulita. La bevanda Oatly nella versione per Barista, le percentuali rendono più emulsionabile e quindi più adatto al montaggio, con una componente maggiore di grassi.”

L’idea dello zero waste è molto interessante e anche piuttosto coerente con la filosofia di Oatly: il cappuccino esce dal suo naturale confine della colazione per arricchire l’aperitivo. Come e quali ricette avete realizzato?

“Il cocktail si chiama Change is easy, con cappuccino Oatly, rum e sciroppo di Agave. Una ricetta che usiamo anche nelle competizioni internazionali, dalla Germania all’Olanda. E’ stata studiata anche da chi ha partecipato a gare internazionali di Coffee in good spirits.

Il cappuccino così arriva all’aperitivo e nel dopocena.”

Il Garibaldi

Specialty Garibaldi: due Brasile e un Etiopia dentro il cappuccino alla bevanda a base d’avena. Blend bilanciato, con una piccola spinta verso l’acidità

Macchina targata Victoria Arduino, di rigore. I cinque competitor con in mano una lattiera piccola per ridurre al massimo lo spreco delle bevande.

Il vincitore

Fabio Ferrara è il primo a mettersi alla prova: da Torino è arrivato con la sua lattiera (più grande delle dimensioni stabilite per la gara, ma per mantenere lo spirito dell’anti spreco, ha travasato la quantità richiesta di bevanda vegetale) e, cosa curiosa, è diventato anche il primo tra i cinque sfidanti, il vero vincitore.

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I tre giudici che decretano il vincitore

Tre round: la prima con la riproduzione di un cuore, la seconda una rosetta e la terza in free pour. A giudicare le figure meglio realizzate, tre giudici di eccezione: Matteo Pavoni (campione barista 2022, torrefattore di Peacocks Coffee), Nicolò Zorloni (torrefattore di Nudo) e il padrone di casa, Carlos Bitencourt.

Ogni volta, subito dopo la preparazione, i cappuccini venivano fatti in parte girare per il pubblico nel caso qualcuno volesse gustarlo (e sono stati parecchi a litigarselo) e in parte convertiti nel cocktail al rum poi riproposto ai presenti in bicchierini di carta.

Al di là della tecnica e della tensione condivisa dai partecipanti, proprio la presenza di non addetti ai lavori tra i tavoli di Cafezal è stata la vera conquista della serata: un’insegnante peruviana che vive a Milano, conosceva soltanto il caffè come materia prima nel suo Paese e ha imparato tanto sul resto del mondo celato dietro la tazzina. Le domande sulla bevanda vegetale, ma anche su Arabica, Robusta, specialty e competizioni sono state tante e hanno trovato risposta.

Una vittoria non soltanto per chi sa disegnare rosette perfette, ma anche per l’obiettivo comune di fare cultura e gettare nuova luce sulla complessità di un cocktail semplice e quotidiano come il cappuccino (e il caffè).

Un riassunto rapido per immagini, dalla pagina instagram di Cafezal

 

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Pettinari: “Così si sono evoluti gli eventi per la degustazione degli specialty a Cagliari”

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Andrea Pettinari alla macchina credits Gianmarco Garau
Andrea Pettinari alla macchina credits Gianmarco Garau

CAGLIARI – Andrea Pettinari, la luce dello specialty che illumina l’isola attraverso il Caffè dell’Arte Specialty Coffee continua la sua attività di divulgatore: dopo aver organizzato la presentazione dell’ultimo caffè tostato made in Cagliari, con un nome promettente “Impressionismo”, ha potuto fare alcune considerazioni che riportiamo.

Un punto di vista significativo per misurare un po’ il termometro di questi prodotti di nicchia in un territorio che è ancora più distante dalla terza onda che pian piano sta bagnando lo Stivale.

Pettinari, le cose sono cambiate?

Pettinari: “Le presentazioni sono sempre state l’occasione che ci permettono di avere ben chiaro in mente quale sia il livello di interesse nei confronti dello specialty coffee nella città di Cagliari e nel corso degli anni il grafico va sempre in una direzione di crescita.

Se ricordo come abbiamo iniziato, nel lontano 2013, quando ancora non avevamo una torrefazione questi eventi erano piccoli, timidi, anche intimi in un certo qual modo. Ma quelli erano i primordi, il momento in cui si cominciava a mettere in atto il disgelo che pian pianino avrebbe portato al grande interesse che vediamo ora sviluppato nella nostra città.

Lo specialty torrefatto credits Gianmarco Garau

Il primo dato che possiamo analizzare è sicuramente quello anagrafico. Vediamo una equa distribuzione delle fasce d’età, con un leggero vantaggio nella fascia che va dai 25 ai 35 anni.

La grande maggioranza delle persone che si interessano alle presentazioni, e che quindi dimostrano grande interesse nei confronti dello specialty coffee, sono persone che non hanno alcuna attinenza professionale con il mondo del fuori casa.

Possiamo dire di aver analizzato un gruppo di persone piuttosto eterogenee, provenienti da diversi ambiti, anche se c’è sicuramente un fil rouge che accomuna la maggior parte dei partecipanti è l’attenzione alle metodologie con cui le materie prime vengono coltivate ed acquistate.

Un’altra differenza rispetto agli albori del nostro percorso in Sardegna è la struttura stessa della presentazione

Tempo fa eravamo soliti organizzare un incontro di due ore al pomeriggio o in fascia serale, durante il quale tutti gli interessati dovevano essere presenti nello stesso momento per poter gustare in anteprima il caffè in questione ed ascoltare il nostro spiegone.

Questo approccio si è rivelato interessante per le prime volte, ma presto si è dimostrato essere un sistema che ha riscontrato meno successo a causa della ridotta finestra temporale e della poca flessibilità.

pettinari
Le drupe da cui è nato Impressionismo (foto concessa)

Da qui abbiamo deciso di cambiare approccio. Le presentazioni sono diventate più “soft”, spalmate su due mattine del weekend in modo tale che chiunque possa venirci a trovare e gustare il caffè senza dover sottostare a stretti limiti d’orario. In più, lo spiegone è stato sostituito da un racconto personalizzato per ogni ospite, che così ha modo di sentirsi più coinvolto nella narrazione.

Secondo punto di differenza è l’abbinamento food

Quando abbiamo iniziato le nostre avventure specialty, tutto girava esclusivamente intorno al caffè.

Era un approccio abbastanza hardcore, e costringeva l’attenzione dei partecipanti solamente sulla bevanda. Era sicuramente una modalità interessante per gli addetti ai lavori, ma per chi volesse provare ad avvicinarsi al mondo dello specialty coffee per le prime volte.

Da qui è nata l’idea di affiancare il comparto food nel nostro modus operandi.

Come ci siamo detti altre volte, il food, specialmente nella sua interpretazione del brunch, è un volano interessante per aumentare l’interesse nei confronti del caffè di qualità.

L’abbinamento food dell’evento credits Gianmarco Garau

Ora le nostre presentazioni hanno una formula abbastanza open. Come abbiamo detto, la durata e l’elasticità sono i veri padroni, per cui offriamo ai nostri clienti la possibilità di ordinare dal nostro menù del brunch gourmet oppure di optare per lo speciale del giorno, ovvero una pietanza preparata appositamente per essere degustata in abbinamento con il caffè in degustazione.

Nell’ultimo caso di Impressionismo, un Castillo a fermentazione anaerobica sperimentale coltivato dal mio amico Felipe Restrepo in Colombia, Caldas, nella Finca Chambakù, abbiamo scelto di optare per un French Toast Tiramisù.

Questo caffè presenta delle note quasi vinose, molto calde, con sentori di ciliegia e cioccolato fondente, per cui l’accompagnamento con un french toast e la crema al mascarpone ci sembrava l’ideale per chiudere il cerchio dei gusti.

Pettinari: “Ovviamente l’imperativo è concedere totale libertà”

L’ultima novità Impressionismo (foto concessa)

Libertà nella scelta del food pairing e nella scelta dell’estrazione, con qualche consiglio se richiesto, ma sempre in una condizione di estrema rilassatezza.

Possiamo tranquillamente affermare che questa è la formula che noi abbiamo trovato essere la più efficace per coinvolgere quante più persone nel bellissimo mondo del caffè di qualità, divertendoci e facendo divertire i nostri ospiti.”

Alla domanda “questo tipo di evento effettivamente funziona? E perché? Pettinari risponde

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Finca Chambakù, Caldas (foto concessa)

Pettinari: “Riflettendoci, ritengo che la spiegazione si trovi nella volontà da parte dei consumatori di scoprire qualcosa di nuovo in un ambiente che non imponga costrizioni.

La curiosità, dunque, è il motore principale, ovvero il motivo che spinge le persone a partecipare ad eventi di presentazione in anteprima. La stessa che le porta a voler assaggiare un prodotto nuovo – in questo caso un caffè – e a scoprirne le caratteristiche, sia organolettiche che legate alla provenienza.

Ciò che però è fondamentale per la buona riuscita dell’evento e per la partecipazione delle stesse persone agli incontri successivi è l’ambiente che si crea, quindi tutti gli aspetti già citati che rendono l’esperienza piacevole e non rigida, come gli abbinamenti food (brunch, colazione, snack…) e la libertà di scegliere come e quando degustare il caffè.

Il vero successo, poi, lo si riscontra non tanto nel singolo appuntamento (per quanto sia comunque un’ottima cartina tornasole), quanto nel considerare le presentazioni come una serie di eventi collegati fra loro.

Quando i clienti si appassionano al sistema, tendono a tornare più volte, e man mano acquisiscono contestualmente nuove conoscenze che li rende anche dei consumatori più attenti e responsabili, aiutandoli, per esempio, ad avvicinarsi ad estrazioni alternative all’espresso.

Credo sia un metodo utile, per chiunque gestisca una torrefazione o una caffetteria, in grado di avvicinare le persone al mondo del caffè di qualità.

L’obiettivo è sempre lo stesso: diffondere cultura sulla bevanda. E abbiamo tutti bisogno di coinvolgere persone nuove, provenienti da qualsiasi settore, in modo da creare una consapevolezza più ampia sulle tematiche che ci stanno a cuore.”

Caffè dell’Arte Specialty Coffee offre tutti i giorni un menu brunch gourmet con opzioni vegan

MUMAC: la luce protagonista al museo del caffè nella tavola rotonda Fiat Lux: tutte le sfumature dell’illuminazione

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Da sinistra: Fabio Peri, curatore scientifico del Civico Planetario di Milano U. Hoepli, Renata Bianconi, founder Galleria Bianconi e art advisor, Barbara Foglia, MUMAC Manager, Tonia Cartolano, giornalista SkyTg24, Elisa Storace, curatrice del Museo Kartell, Marco Amato, vicepresidente Museimpresa e direttore Museo Lavazza, il fotografo Maurizio Galimberti

BINASCO (Milano) – MUMAC, il Museo della macchina per caffè espresso professionale, rinnova la sua partnership con MuseoCity grazie all’incontro “Fiat Lux”, una tavola rotonda che mette a confronto i maggiori esperti del settore sul tema della luce. L’evento è stato introdotto da Barbara Foglia, MUMAC Manager e moderato dalla giornalista di Sky TG24, Tonia Cartolano. Gli ospiti hanno trattato l’argomento della luminosità sotto diversi aspetti: dall’assenza di oscurità presente nello spazio fino ad arrivare al movimento artistico dell’espressionismo.

Prima di addentrarci nel cuore del talk, MUMAC ha offerto una tazzina di caffè a tutti gli ospiti, concedendo una visita all’interno del Museo in cui è stato possibile essere testimoni di più di un secolo di storia scandito dalla realizzazione di macchine per il caffè uniche nel loro genere.

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Il museo MUMAC

Sono intervenuti: Marco Amato, vicepresidente Museimpresa e direttore Museo Lavazza, Renata Bianconi, founder Galleria Bianconi e art advisor, il fotografo Maurizio Galimberti, Fabio Peri, curatore scientifico del Civico Planetario di Milano U. Hoepli ed Elisa Storace, curatrice del Museo Kartell.

Il tema della luce scelto quest’anno dalla manifestazione MuseoCity ha collegato oltre 110 gallerie pubbliche e private.

Barbara Foglia, MUMAC Manager, fa gli onori di casa alla Sala Temporanea: un’area minimalista e luminosa che può ospitare fino a 150 persone per convegni, presentazioni e workshop.

“Questa sera il MUMAC apre in via straordinaria per aderire all’iniziativa di Milano MuseoCity 2023. Facendo parte dei musei che hanno aderito al progetto, parleremo del tema della luce. La nostra idea è stata quella di affrontare il topic in una maniera differente dal solito, riunendo in questa tavola rotonda diversi esperti che possano raccontare cosa è la luce dal loro punto di vista. Abbiamo riunito alcune delle maggiori personalità del mondo della scienza, dell’arte, del design e della fotografia con un focus sui musei d’impresa, di cui MUMAC fa orgogliosamente parte. D’altronde, i musei sono i luoghi in cui la scintilla e la brillantezza delle idee imprenditoriali vengono conservate e, soprattutto, raccontate.”

Fiat Lux: la luce protagonista al MUMAC

Foglia continua: “Ma che cos’è la luce? A questo proposito, ho scritto una frase che recita: “Tanto immateriale quanto fonte di vita, visione, apparenza. La luce conferisce forma e sostanza alla realtà ma anche ai sogni e all’arte. Ingannevole, talvolta, nel suo senso assoluto di materia sfuggente. Dà senso alle idee, alle innovazioni con la scintilla creatrice che scocca al nascere di un’impresa e all’heritage, che dall’impresa intrapresa, ne deriva con il trascorrere del tempo. La luce, tra arte, bellezza, fotografia, cosmo e impresa: al MUMAC la luce diventa parola. E così Fiat Lux: luce sia.”

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Il progetto Fiat Lux

Così Barbara Foglia passa la parola a Tonia Cartolano, giornalista Skytg24 e moderatrice dell’evento: “Quando parliamo di luminosità evochiamo diversi concetti: l’idea della creazione, della nascita e della verità. Esploriamo perciò questo tema da un punto di vista scientifico grazie a Fabio Peri, curatore scientifico del Civico Planetario di Milano U. Hoepli con la sua relazione: “La luce dell’infinito: ai confini dello spazio e del tempo attraverso le immagini dei telescopi spaziali”.

La luce nello spazio

“Noi astronomi siamo affascinati dalla luce e possiamo solo osservarla. Non possiamo toccare un pezzo di Sole. Tutto quello che possiamo imparare è dalla luminosità che arriva dagli abissi dell’Universo. Noi scienziati cerchiamo di andare oltre ogni confine fino all’infinito. Conosciamo la nostra luna ampliamente. Su Marte abbiamo recentemente piazzato diverse sonde che ci permettono di osservare un pianeta simile alla Terra. Giove è un pianeta fatto di gas e una delle sue lune potrebbe persino ospitare la vita. Per ora abbiamo solo immagini che, per il momento, conferiscono le fondamenta della verità scientifica. La luce che colpisce Saturno è l’ombra del pianeta sui suoi anelli ed è proprio la sua proprietà luminosa che ci rivela le componenti principali del pianeta.”

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La collezione MUMAC con lo sfondo della galassia riportato dai telescopi Hubble

Peri continua: “Le stelle? Ad occhio nudo vengono considerate minuscole e anche attraverso la lente di un telescopio, sono sempre dei puntini. Il loro colore, la loro luce, indicano diverse informazioni: una stella rossa è più fredda e una blu è invece più calda. Per calcolare quanto sono lontane le stelle vengono usati gli anni luce. Prendiamo, ad esempio, la stella Betelgeuse nella costellazione d’Orione: è lontana 500 anni luce. Un anno luce equivale a 10mila miliardi di chilometri. Il risultato finale sarebbe astronomico. Ciò significa che la brillantezza della stella ci ha messo 500 anni ad arrivare fino a noi.”

Peri aggiunge: “Non stiamo vedendo Betelgeuse com’è adesso ma com’era quando la luce era partita. Stiamo vedendo il suo passato grazie alla sua distanza. Già Galileo Galilei, 400 anni fa, con il telescopio, ha visto una luminosità non più diffusa ma composta da una moltitudine di stelle: una vicina all’altra. Basti pensare che la nostra Via Lattea è composta approssimativamente da 300-400 miliardi di stelle.”

In conclusione: “Esistono molte altre galassie di ogni tipo e forma. Tutto quello che possiamo imparare dalle galassie si apprende dalla luminosità. L’universo è pieno di galassie e, osservandole, possiamo guardare il loro passato e, quindi, ricostruire come è nato lo spazio e le sue regole. Noi esseri umani siamo ancora molto lontani nell’intraprendere questo traguardo ma è una delle sfide del nostro campo.”

Arte ed espressionismo

Dopo aver esplorato la luce da un punto di vista prettamente scientifico, cambiamo completamente prospettiva. Renata Bianconi, founder dell’omonima galleria, esplora il tema scegliendo un approccio focalizzato sul mondo dell’arte. Il Museo predilige la ricerca, la sperimentazione artistica e la promozione di artisti italiani e stranieri.

“La luminosità è sempre stata fondamentale nelle discipline artistiche: è grazie ad essa che percepiamo i colori, la superficie e la tridimensionalità. Con il baracco, soprattutto con Caravaggio e Bernini, la luce diventa soggetto dell’arte e dà senso stesso all’opera. Nella Vocazione di San Matteo di Caravaggio, ad esempio, viene mostrata la chiamata di Cristo all’Apostolato da parte di San Matteo. Ci sono tre fonti di luce: la finestra, una massa luminosa dall’alto e, infine, un fascio di lucentezza obliqua.”

“La scena si può leggere e interpretare solo grazie all’utilizzo della luminosità. Il fine ultimo dell’arte è quello di interpretare la realtà e, in qualche modo, anche quello di cambiarlo. Nell’800 arrivano la fotografia e i tubetti ad olio che creano uno dei movimenti della pittura più significativi della storia dell’arte: l’impressionismo. Una delle peculiarità di questa corrente è l’assenza del disegno: l’obiettivo degli impressionisti è quello di creare dalla realtà che vedono e dare l’impressione del vero, inteso come una percezione che cambia sempre grazie alle differenti sfumature di colore e di luce che riflettono un diverso momento della giornata.”

“Il mondo appare così più frammentato come nei dipinti di Claude Monet. Un esempio lampante è la cattedrale di Rouen, una serie di 31 dipinti ad olio dipinti dall’artista tra il 1892 e il 1894 raffiguranti il luogo di culto in diversi momenti del giorno. Perciò la lucentezza diventa opera d’arte e pennello cambiando completamente la percezione del mondo, diventando in questo modo sostanza e materia anche grazie all’utilizzo della fotografia, facendo immergere l’umanità in un cosmo emozionale ed espressivo.”

Design e luce con Kartell

Il mondo dell’arte tuttavia non è il solo ad avere un debito di gratitudine con la luce. Elisa Storace, curatrice del museo Kartell, spiega alla platea del MUMAC il legame intrinseco che lega il design alla luminosità con un misto tra progetto e poesia. Kartell è un’azienda italiana che produce mobili e oggetti di design ricercato. Le sue collezioni si compongono di oltre 8.000 oggetti, 5.000 disegni e 15.000 fotografie.

“Il design legato alla luce tramite la lampada è contraddistinto da un insieme di ricerca tecnica e formale. Mi riallaccio all’esempio della cattedrale di Rouen in cui con il cambiare della luce cambia la percezione della cattedrale: ciò è esattamente quello che fanno le lampade con il nostro arredamento. La luminosità viene utilizzata in maniera diversa per valorizzare l’ambiente in cui ci si trova. Nella storia di Kartell ci sono diverse lampade che hanno fatto la storia dell’azienda. Un esempio è l’oggetto di design realizzato da Philip Stark, Goodnight. L’idea è quella di usarla sul comodino con comodità e realizzare un ambiente rilassante, simile a come fa la candela. L’oggetto diventa un tutt’uno con il fruitore, accompagnando efficienza e bellezza di design.”

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La lampada Goodnight

Ma la luminosità non è una componente esclusiva delle arti e delle scienze. La luce in quanto scintilla e conoscenza viene alimentata da ogni museo grazie ad ogni oggetto di collezione informazione presente nella propria collezione.

Marco Amato, vicepresidente Museimpresa e direttore Museo Lavazza, spiega così il ruolo del curatore dell’associazione culturale:

Storia e cultura del Museo

“Ho scelto di utilizzare la luce come strumento di racconto della storia d’impresa. Museimpresa raccoglie più di 120 imprese in tutta Italia da nord a sud: dall’alimentare alla moda. Tutti questi musei hanno in comune una scintilla, l’idea imprenditoriale da cui parte tutto dalla mente di un uomo o di una donna. Molto spesso, quel germe di innovazione fa affidamento su pochi mezzi. All’interno del Museo Lavazza, ad esempio, abbiamo la cedola di 50 lire con cui è iniziata la storia imprenditoriale di Luigi Lavazza che aveva chiesto un prestito per finanziare la sua idea di miscela di caffè. All’interno dei nostri musei cerchiamo di tessere il filo della scintilla e raccontare la storia dell’industria in tutte le sue sfaccettature: dalle sue origini fino all’espansione, passando per i fallimenti e la successiva ripresa”.

“Frequentemente, in passato, quando si parlava delle origini delle imprese si parlava solo della disperata ricerca del profitto, ma c’è molto più di questo: ogni imprenditore, oltre al ricavo, è alla ricerca di migliorare in qualche modo la propria comunità grazie alle innovazioni che sono frutto della sua mente. Il nostro compito risulta quindi quello di gettare letteralmente luce su queste imprese e raccontare una realtà che prenda in considerazione tutti gli aspetti che hanno fatto la storia delle aziende”.

Ci si avvicina alla conclusione della giornata con Maurizio Galimberti che espone una delle arti in cui la luce diventa protagonista: la fotografia.

“Sono diventato un fotografo per non essere al buio. Sono cresciuto in un orfanotrofio. Ci chiudevano dentro alle camerate buie alle tre del pomeriggio. La luce per me è sinonimo di vita. Utilizzavo spesso la polaroid per non stare nelle tenebre delle camere oscure. Come fotografo non pianifico nulla ma mi lascio trasportare dal momento. Recentemente, ho fatto un lavoro sul disastro di Marcinelle nel Belgio in cui morirono 262 operai, più della metà immigrati italiani. Lavoravano a 1600 metri di profondità a 60 gradi in cunicoli molto stretti”.

“Vedevano la luce solo quando entravano e uscivano dalla miniera. Per lavorare con più facilità, portavano nelle miniere dei cavalli di piccola statura che rimanevano all’interno della struttura per anni. Dopo dieci o quindici anni al buio, una volta rientrati in superficie, impazzivano alla vista della luce del Sole. Per un fotografo la luce è gioia e vita nonché espressione per indicare movimento e dinamicità.”

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Maurizio Galimberti è un fotografo italiano principalmente noto nel panorama mondiale per i suoi scatti con la polaroid che, con il tempo, sono diventati la sua firma.

di Federico Adacher