mercoledì 10 Aprile 2024
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L’avena nella latte art Oatly: da Cafezal, la sfida senza sprechi e il cappuccio con rum diventa drink

Al di là della tecnica e della tensione condivisa dai partecipanti, proprio la presenza di non addetti ai lavori tra i tavoli di Cafezal è stata la vera conquista della serata: un'insegnante peruviana che vive a Milano, conosceva soltanto il caffè come materia prima nel suo Paese e ha imparato tanto sul resto del mondo celato dietro la tazzina. Le domande sulla bevanda vegetale, ma anche su Arabica, Robusta, specialty e competizioni sono state tante e hanno trovato risposta. 

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MILANO – In viale Premuda 14, proprio li dove Giovanni Achille Gaggia svelò al mondo la prima macchina per il cremacaffè, e a 100 metri dalla fabbrica storica de La Pavoni in Via Archimede 27, Cafezal apre le porte per la competizione di latte art con zero sprechi targata Oatly. Quindi soltanto bevande a base di avena per i competitor, che si sono sfidati ciascuno con tre figure da comporre sul cappuccino alternativo. Alla fine della gara, si butta via tutto? Niente affatto: il cappuccio esce dalla tazzona e si veste da cocktail.

Per la precisione, un drink con 50 ml di Rum, 25 di sciroppo d’avena, 150 ml circa di bevanda a base d’avena, servito subito dopo ciascuna prova. Questi gli ingredienti per la prima gara Zero Waste organizzata in Italia: i primi tre selezionati si disputeranno la finale a chiusura del 2023.

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Le bevande vegetali stanno conquistando una buona fetta di mercato non soltanto nei supermercati, ma anche nelle caffetterie.

A parlare sono i numeri: 292 milioni di fatturato sul totale mercato Italia nel 2022, le bevande vegetali costituiscono il 46% del carrello (fonte Atlante Food of the World).

Come riporta l’analisi, questa è una categoria di prodotti che continua a crescere (+7,3% tra 2021 e 2022) Sebbene la soia sia ancora la favorita da 51 Milioni di litri nel 2022, avena e mandorla stanno conquistando una buona fetta di mercato tra i consumatori, così come le bevande con ridotto contenuto di zuccheri.

Al di là dei dati, abbiamo provato a chiedere a chi lo promuove, Jessica Sartriani, Barista Market developer di Oatly, il perché dietro questa tendenza. È davvero un guadagno per il gestore che sceglie di acquistarlo per il proprio locale?

E che cos’ha in più delle altre bevande, quella a base d’avena?

“Oatly nasce come azienda che produce bevande vegetatale a base d’avena, tramite degli studi svolti con l’Università di Lund in Svezia da un team di ricerca in cui si trovava il fondatore di Oatly.

Jessica Sartriani in azione sulla Victoria Arduino Prima a un gruppo

L’avena è la risposta più sostenibile per l’ambiente rispetto alla soia, al cocco, alla mandorla, che richiedono una grande quantità d’acqua. E’ più facilmente controllabile a livello di filiera: il primo stabilimento in Svezia di Oatly ha sempre ricavato la materia prima dai coltivatori locali e ha riproposto lo stesso schema in Germania e in Olanda. E’ anche la bevanda che a livello gustativo e nutrizionale si avvicina al latte vaccino, senza zuccheri aggiunti.”

Acquistarlo e venderlo è qualcosa che ha un ritorno economico per i baristi che lo scelgono?

“E’ un prodotto che dà un valore aggiunto al resto dell’offerta di un locale. Nella mia esperienza a Melaleuca, per tre anni siamo stati gli unici a servire Oatly: soprattutto nel periodo della pandemia molti Expat e turisti, uscivano dalla caffetteria con 5/6 litri di Oatly. Era difficile trovarlo: nonostante rappresentasse un costo leggermente maggiore rispetto al latte vaccino, continuavano a preferirlo.

Questa maggiore richiesta, rappresenta uno scontrino più alto per l’esercente.”

Carlos Bitencourt, titolare di Cafezal, conferma: “Costa un po’ di più anche per noi ma è un prodotto di tendenza, che i consumatori richiedono.” Lì da Cafezal, il cappuccino con bevanda a base d’avena costa 2 euro e 50.

Con la latte art, che spesso aiuta a diversificare l’immagine di un locale di fronte al consumatore finale, come si comporta? Monta bene?

Il free pour del round finale

“Assolutamente sì. Oggi ne abbiamo la riprova nella competizione: è un buon cappuccino, eseguito bene con una latte art pulita. La bevanda Oatly nella versione per Barista, le percentuali rendono più emulsionabile e quindi più adatto al montaggio, con una componente maggiore di grassi.”

L’idea dello zero waste è molto interessante e anche piuttosto coerente con la filosofia di Oatly: il cappuccino esce dal suo naturale confine della colazione per arricchire l’aperitivo. Come e quali ricette avete realizzato?

“Il cocktail si chiama Change is easy, con cappuccino Oatly, rum e sciroppo di Agave. Una ricetta che usiamo anche nelle competizioni internazionali, dalla Germania all’Olanda. E’ stata studiata anche da chi ha partecipato a gare internazionali di Coffee in good spirits.

Il cappuccino così arriva all’aperitivo e nel dopocena.”

Il Garibaldi

Specialty Garibaldi: due Brasile e un Etiopia dentro il cappuccino alla bevanda a base d’avena. Blend bilanciato, con una piccola spinta verso l’acidità

Macchina targata Victoria Arduino, di rigore. I cinque competitor con in mano una lattiera piccola per ridurre al massimo lo spreco delle bevande.

Il vincitore

Fabio Ferrara è il primo a mettersi alla prova: da Torino è arrivato con la sua lattiera (più grande delle dimensioni stabilite per la gara, ma per mantenere lo spirito dell’anti spreco, ha travasato la quantità richiesta di bevanda vegetale) e, cosa curiosa, è diventato anche il primo tra i cinque sfidanti, il vero vincitore.

oatly
I tre giudici che decretano il vincitore

Tre round: la prima con la riproduzione di un cuore, la seconda una rosetta e la terza in free pour. A giudicare le figure meglio realizzate, tre giudici di eccezione: Matteo Pavoni (campione barista 2022, torrefattore di Peacocks Coffee), Nicolò Zorloni (torrefattore di Nudo) e il padrone di casa, Carlos Bitencourt.

Ogni volta, subito dopo la preparazione, i cappuccini venivano fatti in parte girare per il pubblico nel caso qualcuno volesse gustarlo (e sono stati parecchi a litigarselo) e in parte convertiti nel cocktail al rum poi riproposto ai presenti in bicchierini di carta.

Al di là della tecnica e della tensione condivisa dai partecipanti, proprio la presenza di non addetti ai lavori tra i tavoli di Cafezal è stata la vera conquista della serata: un’insegnante peruviana che vive a Milano, conosceva soltanto il caffè come materia prima nel suo Paese e ha imparato tanto sul resto del mondo celato dietro la tazzina. Le domande sulla bevanda vegetale, ma anche su Arabica, Robusta, specialty e competizioni sono state tante e hanno trovato risposta.

Una vittoria non soltanto per chi sa disegnare rosette perfette, ma anche per l’obiettivo comune di fare cultura e gettare nuova luce sulla complessità di un cocktail semplice e quotidiano come il cappuccino (e il caffè).

Un riassunto rapido per immagini, dalla pagina instagram di Cafezal

 

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