Una classica tazzina di espresso (immagine: Pixabay)
Assumere due o tre caffè al giorno, accompagnati da uno o due quadratini di cioccolato amaro, può far vivere più a lungo, in migliore salute e con una migliore funzione cognitiva. Questo il tema delle 35° Giornate cardiologiche torinesi in programma giovedì 26 e venerdì 27 ottobre nel capoluogo piemontese il cui convegno di apertura sarà dedicato proprio al “Cibo per il cuore”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale adnkronos.
I benefici del caffè e del cioccolato amaro sul cuore
MILANO – Cioccolato amaro, nocciole e caffè sono la nuova terapia per proteggere il cuore. Sia trenta grammi di nocciole al giorno sia una dose moderata di cioccolato amaro, contenente almeno il 70% di cacao hanno effetti antiossidanti, migliorano entrambi la vasodilatazione e quindi la circolazione sia periferica sia cardiaca, e riducono il rischio di infarto.
Una volta si riteneva che il caffè potesse favorire il rischio di aritmie, in particolare atriali come la fibrillazione. Uno studio recentissimo dimostra che tre tazze di caffè al giorno non hanno questo rischio.
Quindi assumere due o tre caffè al giorno, accompagnati da uno o due quadratini di cioccolato amaro ed assumere nocciole può far vivere più a lungo, in migliore salute e con un più brillante funzione cognitiva.
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Elisa Moratello di Teatips, in preparazione del tè (foto concessa)
MILANO – Il tè è una bevanda consumata in tutto il mondo, ma in Italia non è ancora ben conosciuto: la sua coltivazione, la sua lavorazione, le tipologie che esistono in commercio, sono tutti elementi che completano il quadro di una filiera complessa che è molto di più di quello che si trova solitamente nei supermercati, nei bar e spesso anche nelle case degli italiani.
Proviamo allora a fare un passo indietro e raccontare un po’ cosa si nasconde dietro a una tazza, insieme all’esperta Elisa di Teatips.
Si parte dalla raccolta delle foglie di tè
“La raccolta può avvenire manualmente oppure meccanicamente – attraverso delle attrezzature che tagliano la parte superiore della pianta, per lo più nelle piantagioni con i filari dei cespugli e non in contesti selvatici. In alcuni casi più avanzati, questi strumenti sono dotati anche di sensori -.
In questa fase si prende il germoglio, composto dalla gemma ancora non dischiusa, e le foglie successive che possono arrivare sino alla terza/quarta.
In base poi al tipo di tè che si vuole ottenere, vengono utilizzate determinate foglie: indipendentemente che si tratti di tè neri, tè bianchi, si usano soltanto le gemme (questo è vero soltanto se si ha un tè di sole gemme, cosa che non succede ogni volta; non si usano sempre e solo le gemme, ma si possono usare quelle singole, oppure gemme + foglie successive, arrivando fino alla quarta in base al tipo di tè che si vuole ottenere).
I tè bianchi sono invece composti dalla gemma più la prima o seconda foglia. La gemma indica che la pianta è pronta per essere usata: all’interno del germoglio si cela la parte più pregiata e infatti i tè prodotti da questo sono i più costosi e di alta qualità, perché contengono la porzione più giovane della pianta.
Utilizzare la gemma e raccoglierla, prevede una manualità precisa per non rovinare la qualità. Di solito la raccolta meccanizzata è molto diffusa in Giappone dove si lavorano soprattutto i tè verdi, mentre quelli composti soltanto da una gemma sono raccolti a mano.
Un terzo metodo è meno preciso e lo si trova per lo più in Paesi come l’India, dove non ci sono grossi investimenti su macchine tecnologicamente avanzate, e avviene tramite attrezzature dotate di cesoie.
Comunque è importante sottolineare che anche con i metodi meccanizzati, se fatti con cura, si può ottenere un tè di qualità: influenzano molto anche le condizioni climatiche e quindi vale sempre la regola di assaggiare tutto per sapere il risultato effettivo finale.”
Quanti tipi di lavorazione esistono per ottenere i diversi tè?
“Ci sono sei tipi di tè e la lavorazione varia in base a ciò che si vuole ottenere. Ci sono dei passaggi standard per ottenere vari tipi di tè: per il verde c’è la raccolta delle foglie che vengono poi il prima possibile riscaldate in calderoni in Cina, mentre in contenitori riscaldati al vapore in Giappone con lo scopo di bloccarne l’ossidazione.
I vari metodi di lavorazione del tè (foto concessa)
Poi, si può procedere a lavorarle per conferire una determinata forma – più o meno arrotolata -. Infine, c’è la fase di essicazione: le foglie vengono disposte all’interno di forni su delle stuoie per togliere ulteriormente l’umidità in eccesso: poi la foglia è pronta.
Tutti gli altri tè sono frutto di una regolazione diversa dell’ossidazione. Si parte dal presupposto che l’umidità rimane sempre per una percentuale minima: il tutto si gioca con il contenuto dell’acqua residua nelle foglie.
Ad esempio il tè giallo, uno dei più rari, ha una fase di blocco di ossidazione, ma poi è sottoposto ad una chiamata di “ingiallimento”: le foglie vengono avvolte in impacchi di carta, lasciati poi a riposare mentre cambiano aspetto. Dopodiché vengono arrotolate se serve e poi avviene l’appassimento.
I tè fermentati sono invece un po’ una cosa a sé: ci sono quelli più conosciuti come il Pu’Er, specifici di una zona nella provincia dello Yunnan in Cina. La fase di lavorazione in questo caso dà luogo a due esiti: il primo è il Pu’Er cotto (Pu’Er Shu in cinese) che completa la sua fermentazione in lavorazione, cioè le foglie sono raccolte, una volta bloccata l’ossidazione, si arrotolano, vengono fatte appassire e infine avviene un’ulteriore fase di impilamento; vengono create delle montagne ad una temperatura sui 35° che poi,
insieme all’umidità scatena l’attività batterica e quindi la fermentazione.
Dopo di ché le foglie vengono confezionate e il tè è pronto, con note più resinose, legnose, e un liquore dal colore molto scuro.
L’altro tipo di Pu’Er è invece quello Crudo (Sheng) che sembra quasi un tè verde nella sua lavorazione ma ha diverse caratteristiche: subisce il blocco ossidativo e anche l’arrotolamento delle foglie, ma in questo caso la cosa importante sta nella fase di cottura nel calderone, che viene fatta in maniera più ridotta perché si vogliono mantenere vivi alcuni enzimi nella foglia.
Questo perché poi la fermentazione avviene nel tempo: a differenza del Pu’Er Shu, il processo può avvenire anche nel corso degli anni.
Con il Pu’Er SHENG la maggior parte delle foglie viene pressata in forma di torta, cioè dei mattoncini che vengono stoccati per far passare del tempo e che aiutano anche a non far passare l’aria nelle foglie per evitare la formazione di muffe.
La foglia però continua ad evolvere: una di queste torte si può acquistare e provare dopo 5 anni ad assaggiarne un pezzo. Alla fine della fermentazione, il tè si sarà trasformato in Pu’Er scuro.
Quando è giovane il Pu’Er Sheng può essere molto chiaro e fruttato, ma più passano gli anni più si avvicina al Pu’Er Shu, ma con delle caratteristiche un po’ più interessante a livello aromatico, molto zuccherino, con sentori di frutta matura e sciroppata.
Questo procedimento prolungato ovviamente può determinare un costo più alto.
Ci sono delle annate con raccolte molto buone, come accade con il vino. Alcune torte da 280 grammi possono valere anche a 50/70 euro al pezzo.
L’invecchiamento non è possibile solo con i fermentati, ma anche con altri tipi di tè. In questi anni si sperimenta proprio su questo fronte: possiamo avere degli Oolong semi ossidati che vengono invecchiati e subiscono una fase di torrefazione alla fine.
In questo caso le foglie vengono tradizionalmente conservate in barattoli di ceramica sigillati per vedere la loro evoluzione negli anni. Stessa cosa con i tè bianchi che permettono delle belle evoluzioni: alcuni prendono un colore nell’infusione simili al tè nero perché sviluppano una componente chimica molto più matura.
So di recente che sono state delle sperimentazioni in Giappone anche con i tè verdi, conservati nelle giuste caratteristiche in forme pressate. Anche il tè nero viene stagionato.
In ogni caso, da quello che ho osservato tra i tè invecchiati, non si va oltre i 30 anni, perché è possibile che chimicamente non si ottiene più tanto e c’è il rischio che peggiori.
Una volta usata la torta comunque, la si può richiudere e conservare ulteriormente. Alcune persone prendono questa forma, la spezzettano con un coltellino e ne ricavano delle scaglie che possono esser pesate e messe ad infusione.”
Ci parla della tostatura delle foglie? Quando si interviene e per raggiungere quale risultato finale?
“La tostatura riguarda alcuni tipi di tè. Quella che chiamiamo normalmente tostatura si può più correttamente definire torrefazione per fare una distinzione: la fase di blocco di ossidazione in cui le foglie vengono messe a cuocere nei calderoni, viene chiamata tostatura e conferisce delle note di nocciola e di castagna.
La torrefazione invece (in inglese roasting) è una fase di essicazione aggiuntiva che viene usata per dare un profilo particolare aromatico ai tè: degli Oolong vengono arrostiti, come quelli di roccia che sono specifici di una zona nel Fujian nella zona montuosa di Wuyi Shan.
Qui le piante crescono su dei suoli minerali e la lavorazione si completa con la torrefazione che dà una nota molto caramellata, di melassa, di fava di cacao.
La cosa bella è che la fase di torrefazione li rende adatti ad essere consumati anche molto dopo la lavorazione e si acquistano nel momento in cui vengono torrefatti.
Sono raccolti in primavera, conservati sino a giugno-luglio dove vengono tostati e lì venduti. Vengono di solito acquistati ed è consigliato di consumarli dopo sei mesi perché si lascia il tempo alla torrefazione di maturare e di non sentirne soltanto la componente fumosa.
Non è l’unico tè che viene torrefatto: anche i tè verdi in Giappone vengono sottoposti a questo processo, così come i tè neri. Dipende dal tipo di materiale che si ha in mano e da quali caratteristiche aromatiche si vogliono ottenere.”
Starbucks Reserve Roastery Milano (immagine concessa)
MILANO – Il 7 settembre Starbucks Reserve Roastery Milano ha segnato il suo primo traguardo, compiendo 5 anni di attività dal suo arrivo in Italia: una struttura che si impone con la sua presenza scenica esterna su Piazza Cordusio 3, all’interno dell’ex Palazzo delle Poste di Milano. La sua apertura è costata 240 milioni per restaurare l’edificio, più 26 milioni per la caparra e l’implementazione dello stabile e altri 25 per installare gli impianti.
Come funziona questa enorme macchina che tosta il caffè per servirlo ogni giorno non solo ai visitatori della Roastery, ma anche negli altri punti vendita della sirena di Seattle a Milano?
Abbiamo intervistato Oscar Quintana, Master Roaster, e Marco De Mitri, Roaster Operator, Starbucks Reserve Roastery Milano.
In cosa consiste l’attività del torrefattore per Starbucks Reserve Roastery?
Oscar: “È un lavoro di squadra e di grande responsabilità per garantire la miglior qualità del caffè per i nostri clienti. Un lavoro di adattamento e comprensione dell’anatomia del chicco e di come reagisce per raggiungere la qualità desiderata.
Consiste in una conoscenza tecnica, fisica, meccanica e chimica tanto del caffè come della macchina tostatrice per manovrare la qualità, oltre che ricordare la sicurezza personale di ogni torrefattore, soprattutto in un luogo così speciale come la Roastery di Milano.
Si aggiunge Marco: “È fondamentalmente un lavoro di squadra, perseguito con responsabilità e passione. La nostra formazione è centrale per garantire la resa qualitativa dei nostri caffè e la sicurezza dell’impianto.
Tostare nella Reserve Roastery significa far convergere l’impegno di vari reparti in giro per il mondo; da quello di ricerca e sviluppo a Seattle alle sedi di controllo del caffè verde in Svizzera fino a chi si occupa della rete di distribuzione.”
Che fabbisogno copre il caffè che tostate all’interno della Starbucks Reserve Roastery?
Procede ancora Marco: “Produciamo caffè per i punti vendita Reserve dell’Europa, Medio Oriente e Africa. È una tipologia di coltivazione con assortimento più limitato, indicato come small lot o micro lot.
Inoltre per ogni stagione tostiamo nuovi caffè e nuove miscele.
Di recente abbiamo lanciato il Milano Roastery Microblend, per esempio. Il nostro signature blend.”
Come garantite alti standard di qualità del caffè tostato?
“Attraverso manuali e affiancamento a un tostatore per un periodo di tempo. A questo si aggiunge un costante aggiornamento delle norme di sicurezza e di difesa alimentare.
A monte, poi, abbiamo i reparti di ricerca e sviluppo che generano gli standard da rispettare – con particolari tempistiche e temperature da osservare. Per ogni tipo di caffè è stata qualificata una curva di tostatura dopo un approfondito studio e diversi assaggi.
La formazione è fondamentale in Starbucks!”.
Quali sono le origini da cui provengono i vostri caffè?
“Quelli compresi nella fascia dei tropici (Coffee Belt). Con i caffè Reserve spaziamo dalle Hawaii alla Cina, dalla Tanzania a Porto Rico.”
Quali sono i vostri approcci alla miscelazione?
“La miscelazione avviene pre o post tostatura. In Roastery al momento abbiamo due miscele: Milano Roastery Microblend e Reserve Christmas Blend ed entrambe sono pre-miscelate.
Il primo è il signature blend di Milano, un vero e proprio omaggio all’Italia; quello che ci rende più orgogliosi è che siamo stati fortemente coinvolti nel suo processo di sviluppo.
Il secondo è un caffè che offriamo ai clienti nel periodo delle feste. L’incrocio tra caffè indonesiani, caffè affinati di Sumatra e sudamericani conferisce note speziate che richiamano i profumi delle più iconiche bevande festive!”.
Quali altre Reserve Roastery ci sono nel mondo?
“Ci sono sei Reserve Roastery nel mondo. In ordine temporale di apertura: Seattle, Shanghai, Milano, New York, Tokyo, Chicago. A queste si aggiungono cinque stabilimenti industriali negli Stati Uniti, uno in Europa (Amsterdam) e uno in Cina, interamente green e di recente inaugurazione, a supporto della nostra rete di produzione.”
MILANO – È prossimo ormai alla conclusione il Kickstarter di KUKU Maker, la nuova macchina da caffè versatile e innovativa creata da Kuku Hub, una startup cinese costituita da un gruppo di ingegneri e professionisti. Già a fine gennaio, il progetto aveva raccolto mezzo milione di dollari in soli 10 giorni.
La somma è salita nel frattempo a 823.340 euro. KUKU Maker è una macchina con infusione a forza centrifuga, che si distingue da altri dispositivi simili per il fatto di consentire svariati tipi di preparazioni: dall’espresso al pour-over e il cold brew.
“KUKU Maker non è una semplice macchina da caffè: è uno strumento di precisione che consente di personalizzare ogni aspetto della preparazione della bevanda” scrive Kuku Hub nella presentazione.
“Immaginate un mondo nel quale la creatività del barista non abbia limiti. KUKU Maker dischiude infinite possibilità di aroma e sapore, dove ogni tipo di estrazione e di caffè diventano un canovaccio sul quale sbizzarrirsi con la propria creatività” spiega il cofondatore Chris Chi.
A caratterizzare la macchina – oltre al design originale – l’estrema versatilità d’uso. E i materiali di altissima qualità.
L’esterno è realizzato in alluminio, mentre le parti interne, a contatto con il caffè o con l’acqua, sono tutte in acciaio inox.
L’utilizzatore versa l’acqua nella macchina e carica quindi il macinato nel portafiltro conico (capacità massima: 40 g), anch’esso in acciaio, collocato all’esterno della macchina. Il filtro viene poi spinto nella macchina e fissato con una leggera rotazione.
La macchina comincia a questo punto a far girare il filtro per distribuire uniformemente e livellare il macinato, prima di far passare l’acqua per l’infusione.
Un riscaldatore a induzione elettromagnetica ad alta efficienza energetica porta l’acqua alla temperatura desiderata (in un range tra 60° e 100°). In alternativa è possibile introdurre acqua a qualsiasi temperatura, da ghiacciata a bollente.
Attraverso i comandi sulla macchina o, in alternativa, tramite una app con un’interfaccia grafica molto sofisticata, l’utilizzatore può regolare i parametri di temperatura dell’acqua e durata dell’infusione, nonché la velocità di rotazione (da 3000 a 7.000 rpm).
Quali i vantaggi di KUKU Maker rispetto a una macchina espresso tradizionale?
Secondo gli inventori, KUKU Maker consente un range molto più esteso e regolabile finemente dei tempi di infusione. Permette inoltre una distribuzione uniforme del macinato all’interno del filtro e una pressione di estrazione costante, grazie alla forza centrifuga.
Il sistema di estrazione ciclica rende infine possibile ottenere diversi gradi di concentrazione della bevanda.
Compatta e leggera (è alta 32 cm, la base ha una diagonale di 29,4 cm, il peso è poco meno di 3kg), la macchina può trovare posto tanto sul bancone di un bar, quanto in una cucina di casa. I componenti sono facilmente smontabili per la pulizia. L’apparecchiatura ha un grado di protezione IP65.
È già possibile vedere all’opera la macchina sui principali social (questo il link al canale YouTube). Kuku Hub ha già sviluppato una rete commerciale, con magazzini in Cina, a Singapore, in Giappone, Australia nonché in nord America, Germania e Regno Unito.
La macchina è in preordine su Kickstarter. Secondo la timeline, la produzione di massa nello stabilimento di Tanzhou (Guangdong) inizierà a luglio; le consegne ad agosto-settembre.
Per tutte le specifiche tecniche e per una descrizione più dettagliata del principio di funzionamento, vi rimandiamo alla pagina di Kickstarter e al sito.
MILANO – Barry Callebaut, colosso mondiale belga nella produzione di cioccolato, ha annunciato il licenziamento di 2.500 dipendenti su un totale di 13.000 posti di lavoro nei prossimi 18 mesi, 500 nella sede belga della multinazionale. E lo stabilimento tedesco di Norderstedt, vicino ad Amburgo, rischia addirittura di essere chiuso.
Non solo: anche la fabbrica di Wieze, la più grande fabbrica di cioccolato al mondo che conta 1.200 dipendenti verrà colpita da questo cambio di rotta. Sarebbe previsto il licenziamento di 250 impiegati e 60 operai.
Ancora alla Hal, dove operano 480 dipendenti, 159 operai e 19 impiegati potrebbero essere lasciati a casa. Resteranno indenni da questo processo, lo stabilimento di Heule, vicino a Courtrai, e la piattaforma logistica globale di Lokeren, sempre in Belgio.
Queste scelte sono legate alla strategia di rinnovamento previsto dall’azienda più grande d’Europa nel suo settore, con una produzione annuale di 2,3 milioni di tonnellate di cioccolato.
Barry Callebaut: che cosa c’è dietro i forti tagli sul personale
Già nel settembre 2023 la comunicazione del piano BC Next Level che prevedeva 525 milioni di euro investiti in digitalizzazione, innovazione e servizi, aveva preannunciato una ricaduta sui dipendenti, con una riduzione dei costi del 15%.
Certamente ha giocato un ruolo fondamentale l’inflazione, insieme ai prezzi del cacao ormai arrivati alle stelle, così come quelli dello zucchero.
La direzione ha argomentato durante l’incontro del Consiglio di fabbrica, con il bisogno di restare competitivi su un mercato in cui la concorrenza si fa sempre più pressante.
La ragione per cui Tony’s Chocolonely è uno dei marchi preferiti dalla generazione Z è semplice: il brand è riuscito a distinguersi costruendo un forte posizionamento nel mercato, capace di rappresentare a pieno la sua missione di rendere l’industria del cacao più equa e sostenibile.
I consumatori più giovani sono sempre più attenti nell’acquisto di prodotti che hanno a cuore gli aspetti sostenibili e sociali: le aziende che lo capiscono vengono sempre più premiate come lo dimostra Tony’s Chocolonely. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Agnese Giardini per Elle.
La storia di Tony’s Chocolonely: il brand amato dalla generazione Z
AMSTERDAM – Forbes l’ha definito un brand quirky: un po’ strano, difficile da inquadrare e dalla personalità forte. Forse è per questo che non piace a tutti, mentre la generazione Z ne va assolutamente pazza.
La storia di Tony’s Chocolonely inizia nel 2005, con il programma televisivo olandese Keuringdienst van Waarde; all’epoca il giornalista e presentatore Teun van de Keuken (mentre indaga sui segreti dell’industria alimentare), scopre che il lavoro minorile illegale e il lavoro forzato sono una pratica comune nell’Africa occidentale, regione da cui proviene il 60% del cacao mondiale.
Quello stesso anno esce al cinema “Charlie e la Fabbrica di Cioccolato”, di cui Nestlé è il principale sponsor. Teun si fa avanti: propone all’azienda di produrre una barretta di cioccolato senza sfruttamento, ma la cosa non va in porto. È allora che Teun capisce che per cambiare l’industria deve essere il primo a dare il buon esempio.
Il 29 novembre 2005 nasce la prima tavoletta Tony’s Chocolonely: è al latte e “confezionata in un inquietante incarto rosso”, dice il sito di Tony’s. Vengono prodotte 5000 tavolette di cioccolato al latte Fairtrade, ma finiscono subito. Il prodotto è un successo.
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KARLSTAD (Svezia) – La torrefazione svedeseLöfbergs sta compiendo un nuovo importante passo per ridurre la propria impronta di carbonio. Collaborando con la società di logistica Scanlog, l’azienda di caffè a conduzione familiare garantisce il trasporto marittimo al 100 per cento privo di combustibili fossili, una misura che riduce le emissioni di CO2 di 1.800 tonnellate.
“È una pietra miliare nel nostro percorso di sostenibilità. Questo significa che riduciamo le emissioni del trasporto marittimo del 100 per cento e che possiamo offrire ai nostri clienti un caffè ancora più sostenibile”, afferma Kajsa-Lisa Ljudén, responsabile della sostenibilità presso l’azienda.
Pionieri
Löfbergs è la prima a utilizzare la nuova soluzione di Scanlog che riduce le emissioni del trasporto marittimo del 100 per cento alimentando le navi con biogas* secondo l’approccio del bilancio di massa. Ciò significa che Löfbergs paga per il biogas che copre il trasporto del caffè verde dai Paesi produttori.
Il biogas è prodotto dal letame ed è il carburante con la maggiore riduzione delle emissioni rispetto ai combustibili fossili.
“Il biogas costa più dei combustibili fossili, ma non pensiamo di poterci permettere di non usarlo. Dobbiamo ridurre le emissioni in ogni parte della nostra catena del valore. Essere i primi a finanziare lo scambio di carburante al 100 per cento significa mostrare che esiste una soluzione funzionante, e speriamo che ciò possa portare altre aziende a convertirsi”, continua Kajsa-Lisa Ljudén.
Una soluzione unica
I trasporti rappresentano il 14 per cento delle emissioni del mondo, il che è stato un motore trainante quando Scanlog ha sviluppato il suo prodotto per il trasporto marittimo privo di combustibili fossili. Il prodotto è indipendente dalle compagnie di navigazione e riduce le emissioni del 100 per cento, rendendolo unico. Gli effetti positivi sono verificati da una parte indipendente.
“Il trasporto marittimo è stato trascurato per molto tempo, motivo per cui è importante che ci siano aziende come Löfbergs che osano essere pioniere e dimostrare che è possibile ridurre le emissioni qui e ora. Speriamo che possa ispirare altre aziende e accelerare una necessaria conversione all’interno del settore dei trasporti”, afferma Matilda Jarbin, responsabile della sostenibilità e delle comunicazioni presso Scanlog.
*Il biogas utilizzato è chiamato LBG. Si tratta di un materiale migliorato sotto forma liquida.
GENOVA – È stata rinominata Jolly Clivia l’ultima nave portacontainer entrata a far parte della flotta della Ignazio Messina & C. che trasporterà anche il caffè. Il passaggio di proprietà è avvenuto nel porto di Singapore e la nuova unità, lunga 262 metri per 32 di larghezza, salperà in direzione Europa facendo scalo prima a Mundra (India), poi a Jebel Ali Dubai (Emirati Arabi Uniti), Karachi (Pakistan), per arrivare a Genova a fine marzo ed essere inserita nella linea regolare tra Mediterraneo, Mar Rosso, Medio Oriente e India.
Jolly Clivia entra nella flotta della Ignazio Messina & C.
L’equipaggio è composto da 22 membri, 16 dei quali italiani tra cui il Comandante Simone Galli di Napoli.
Costruita nel 2010, nel cantiere sudcoreano Hyundai Samho Heavy Industries, la Jolly Clivia era di proprietà di una compagnia tedesca.
La nuova entrata nella flotta della Ignazio Messina & C. è in grado di trasportare 4400 container teu.
La Jolly Clivia si affianca alle quattro unità full container acquistate in questi mesi dal Gruppo genovese, tutte nel range fra i 4400 e i 4600 teu di portata.
Tetra Pak lancia il progetto sostenibile (immagine concessa)
MODENA – “Pianta il tuo albero nella foresta Tetra Pak” è l’iniziativa lanciata da Tetra Pak, leader nella produzione di soluzioni per il trattamento e il confezionamento di liquidi alimentari, al fine di promuovere modalità di trasporto alternative all’utilizzo del mezzo privato motorizzato per il tragitto casa-lavoro e ritorno da parte dei suoi dipendenti.
Il progetto, realizzato in collaborazione con la piattaforma di mobilità sostenibile Wecity, è aperto a tutti i dipendenti e somministrati di Tetra Pak Packaging Solutions.
Il progetto sostenibile di Tetra Pak
Dal 3 aprile 2023 fino al 31 marzo 2024 tutti coloro che si avvarranno della bicicletta, dello spostamento a piedi o in monopattino, del car pooling o del trasporto pubblico, contribuiranno alla riduzione delle emissioni di CO2 e alla creazione di una foresta aziendale su Treedom, la Benefit Corporation che consente di piantare alberi in progetti agroforestali nel mondo e di seguirne la storia attraverso una piattaforma web.
“Come amiamo dire, abbiamo sempre contato sul nostro pianeta, e ora è il pianeta che deve poter contare su di noi – ha commentato Sara De Simoni, Vice Presidente Programme Management di Tetra Pak & MD Tetra Pak Packaging Solutions – Abbiamo una grande ambizione, quella di guidare la trasformazione della sostenibilità nel nostro settore e possiamo raggiungere questo obiettivo soltanto portando a termine azioni concrete nella nostra catena del valore. Per farlo, dobbiamo rivolgerci alla natura interconnessa delle sfide ambientali, sociali ed economiche che ci troviamo ad affrontare e sfruttare le partnership solide e che coinvolgono l’intero sistema, dato che le collaborazioni sono più utili che mai per vincere le sfide”.
L’iniziativa si comporrà di 2 sfide: la prima dal 3 aprile al 15 settembre 2023, la seconda dal 16 settembre al 31 marzo 2024, in concomitanza con la conclusione del progetto. Tutti i sistemi di mobilità, purché orientati alla salvaguardia dell’ambiente e al miglioramento della salute, della sicurezza e del benessere psicofisico delle persone, dovranno essere utilizzati nel pieno rispetto di quanto previsto dal Codice della Strada.
“Per ogni spostamento, l’app wecity calcolerà la CO2 risparmiata e i chilometri percorsi, indipendentemente dal tragitto scelto e anche in situazioni di intermodalità grazie al suo algoritmo di intelligenza artificiale – ha aggiunto Paolo Ferri, ceo e founder di Wecity – verrà quindi stilata una classifica tra i dipendenti, sempre consultabile e aggiornata in tempo reale, in base a tali valori, che verrà ufficializzata inizialmente a metà maggio in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, a metà settembre in occasione della Settimana Europea della Mobilità e alla fine del progetto, con l’assegnazione delle premialità ai dipendenti più virtuosi”.
Queste verranno erogate in collaborazione con la società Treedom sotto forma di piantumazione di alberi – secondo un mix di alberi forestali e da frutto nei progetti attualmente disponibili in Camerun, Kenya, Madagascar, Tanzania, Colombia, Ecuador, Guatemala, Nepal – al raggiungimento di un numero minimo di giorni di utilizzo dell’app Wecity:
6 giorni dal 03.04.2023 al 14.05.2023
19 giorni dal 15.05.2023 al 15.09.2023
27 giorni dal 16.09.2023 al 31.03.2024
“Questo progetto di riforestazione abbinato alla mobilità sostenibile in azienda contribuisce a produrre benefici ambientali, sociali ed economici, in linea con la nostra missione – ha concluso Susanna Finardi, Treedom Partner & Head of Business Partnerships di Treedom – Grazie alle premialità, si darà vita a una vera e propria Foresta digitale Tetra Pak le cui piante si uniranno alle oltre 3.000.000 di unità che abbiamo già piantumato in Africa, America Latina, Asia e Italia. La nostra filosofia è infatti quella di realizzare ecosistemi sostenibili e permettere a migliaia di contadini di far fronte ai costi iniziali della piantumazione di nuovi alberi, garantendo nel tempo sovranità alimentare e opportunità di reddito”.
Il maestro pasticciere Iginio Massari (foto Pasticceria Massari)
Il maestro pasticciere Iginio Massari, in una lunga intervista, racconta il suo libro edito da Italian Gourmet. Massari definisce la sua ultima fatica letteraria un “dizionario sulla pasticceria” adatto a tutti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Italian Gourmet.
Iginio Massari presenta il suo nuovo libro
MILANO – Iginio Massari racconta alle telecamere di TgCom24 il suo libro Lʼeccellenza della pasticceria dalla A alla Z. In una lunga intervista, il maestro pasticcere spiega come questo volume da collezione, che definisce un vero e proprio “dizionario sulla pasticceria”, sia adatto ad un pubblico davvero trasversale.
Se da un lato il professionista potrà dare risposta ad ogni suo dubbio sull’universo del dolce, dall’altro l’appassionato potrà scoprire curiosità e aneddoti sui dessert più noti e i protagonisti che hanno fatto la storia del settore.
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