mercoledì 10 Aprile 2024
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STORIA, 1973: CAFFE’ E POLITICA – Quel pranzo a metà di Almirante all’autogrill Cantagallo di Bologna

Il racconto di quella volta in cui i lavoratori in sciopero non servirono l'espresso

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BOLOGNA – Un’estate ad alto contenuto infiammabile. È quella vissuta 40 anni fa al Cantagallo. Siamo alla fine di giugno del ’73 e al ristorante della mitica area di servizio alle porte di Bologna arriva per pranzare, proveniente da Trieste e diretto al Quirinale per discutere con il presidente Leone della classica crisetta estiva di governo. Giorgio Almirante (nella foto a fianco Giorgio Almirante, sotto quella dell’autogrill nel 1973) con la moglie Assunta, il figlio e il robusto camerata Michele Marchio.

Giorgio Almirante voleva solo un caffè

Il quartetto, «seduto al tavolo numero 30» — come scrisse pochi giorni dopo Carlo Rossella sull’allora progressista Panorama diretto da Lamberto Sechi — fa a tempo giusto ad assaggiare un primo (penne al sugo e poi salumi per lui, lenticche e cotechino per la signora). Quand’ecco che tutto il personale del Cantagallo gli si materializza davanti con le braccia incrociate: sciopero.

 

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L’autogrill Cantagallo come era nel 1973

Il direttore Il direttore di sala, Nicola Colamonico, spiega

«Il personale è in sciopero contro la sua presenza in questo locale e si rifiuta di servirle frutta e caffè». Molti lavoratori provengono dalle colline attorno a Sasso Marconi. Troppo fresco il ricordo dei 1830 morti di Marzabotto per ospitare un ex repubblichino fiancheggiatore dei nazisti contro i partigiani. E allora che succede? Diverse le versioni sulla reazione di Almirante.

Cosa ha fatto Giorgio Almirante

Donna Assunta racconta che il marito, a differenza sua che tentò d’impuntarsi, non fece una piega. Chiese al direttore «cos’è questo silenzio, è in mio onore?».

«purtroppo sì» rispose quello, se ne andò e basta.

Rossella racconta invece che il segretario disse «voglio parlare io a quelli per dirgli ciò che penso del loro gesto». «Non glielo consiglio, onorevole», avrebbe risposto Colamonica.

«voi siete dirigenti che temete i subalterni: ci vuole gente più energica». Ribattè Almirante girando i tacchi e lasciando al corpulento Marchio la restante polemica.

«non ci date la frutta e noi ce la prendiamo; un conto di 13mila lire è troppo; che eravate figli di puttana lo sapevo, ma anche ladri no». Poi nervosetto, all’aperto, al posteggiatore, «cos’ha da guardare? Si faccia i fatti suoi». Niente frutta e neppure il pieno di benzina. Assunta su tutte le furie, il marito impassibile le spiega che «è la battaglia politica, è normale».

La filastrocca

Ai presenti che dicono «a Bologna i fascisti non ci mangiano, mica siamo a Reggio Calabria», risponde per le rime: «Vi farò vedere chi sono io, avrete presto mie notizie». Così fu: pochi giorni dopo una squadretta (pare organizzata da Ordine Nuovo) tornò al Cantagallo dove sfasciò lo sfasciabile. Cose e persone, con spranghe e bastoni.

Intanto per quei 30 minuti di sciopero ben 16 lavoratori andarono a processo (assolti due anni dopo). Così il gruppo politico-musicale «Il canzoniere delle Lame» pubblicò un 45 giri con i cui proventi si pagarono le spese legali ai dipendenti.

«Era giugno e faceva un gran caldo / Almirante affamato sbuffava / A Bologna di mangiar sperava … fu così che schiumante di rabbia / pancia vuota e senza benzina / Cantagallo dovette lascià…»”. Quarant’anni fa, davvero un’altra epoca.

Fernando Pellerano

 

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