mercoledì 10 Aprile 2024
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Vinhood, Parisi: “Rendiamo più comprensibile e pret à porter la qualità del caffè”

Il cofounder: "Dal 2017 collaboriamo con Lavazza e nell’ecosistema di Vinhood, abbiamo 5/6 altri player del caffè. Con alcuni faremo i test in store, con altri saranno posizionati sul sito, altri ancora hanno scelto i chioschi nel supermercato. E ora abbiamo ripreso a spingere verso l’estero così come in Italia. Attualmente abbiamo aperto un dialogo con i 4/5 player tra i più grossi al mondo. C’è molto fermento, anche se non è facile." Le infografiche su come procede un'analisi Vinhood

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MILANO – Vinhood è una startup innovativa che è nata da 4 anni, con l’obiettivo di costruire un ponte tra due mondi che spesso sono molto distanti e che invece dovrebbero trovare una connessione: quello del consumatore finale e quello delle aziende, sul terreno comune del food&beverage. La chiave di svolta per riscrivere la relazione tra loro è la semplificazione del gusto. Che non vuol dire banalizzazione, ma studio, ricerca e comunicazione in un linguaggio diverso dei prodotti che tutti amano ma non altrettanti comprendono. Ne abbiamo parlato con il cmo e cofounder Matteo Parisi, che ci ha spiegato questo progetto nei dettagli.

Vinhood ha un nome che parla, ma innanzitutto come è nata l’idea di questa startup? Quale gap di mercato volevate colmare e come?

“Tutto è partito molto semplicemente 5 anni fa, nel 2016/2017, seguendo una mission precisa: vedevamo due mondi, uno della filiera di alcuni prodotti e l’altro del consumatore che hanno difficoltà a incontrarsi. Abbiamo iniziato con il vino e il concetto di “hood”, che è una desinenza che allude a una comunità, come brotherhood, che vuole conoscere qualcosa: da lì è nato il nome Vinhood.

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Analizzando il mondo dei consumatori, ci siamo resi conto che nel 99% delle volte il pubblico di utenti è composto da persone che acquistano ma non hanno gli strumenti per parlare di questo prodotto, non comprendendone il mondo che ci sta dietro. O magari in altri casi non hanno le conoscenze per scegliere il prodotto adatto a loro, per la situazione o per il loro palato. Questo porta le persone da una parte a gustare qualcosa di non ottimale. Oppure, anche quando è di qualità, non riescono a trasmettere i motivi che lo hanno portato a questa scelta legata al piacere.

Osservando invece il mondo della filiera del vino e del caffè, abbiamo trovato delle realtà spesso piene di contenuti, di storie alcune volte centenarie, di informazioni e lavoro di prodotto che però non veniva trasferito al consumatore finale. Perché molte volte le aziende non hanno gli strumenti per farlo, o altre volte i settori risultano troppo elitari e pongono una certa distanza rispetto al cliente finale.

Abbiamo quindi preso questi due mondi e con il nostro team di copy e marketing, di esperti, li abbiamo clusterizzati in macro gruppi che chiamiamo “caratteri gustativi”. Ovvero prodotti con caratteristiche simili: per il caffè ad esempio, tutti quelli acidi, tutti quelli cioccolatosi ecc. Una volta creata questa nuova geografia del caffè, abbiamo dato loro dei nomi semplici, che possano trasmettere al consumatore finale anche qualcosa che gli rimanga in mente.

I caratteri gustativi

Per esempio: un caffè strutturato e con un’alta intensità, alta percentuale di Robusta, diventa “Vigoroso”, o “Attraente”: caffè seducente, delicato, compagno perfetto, corposo, leggermente dolce, crema avvolgente, bassa percentuale di Robusta. Ovviamente sono definizioni supportate da una parte visiva, per far sì che l’utente finale abbia un mondo da scoprire.

Questo è il nostro lavoro per quanto riguarda più il campo di comunicazione e marketing: come rendere comprensibile e pret à porter il mondo del caffè. Di seguito abbiamo creato una bussola per potersi orientare bene all’interno di questa geografia: abbiamo sviluppato degli algoritmi che si fondano sul prodotto finale, ma che alla base hanno un cuore comune che è il lavoro sul gusto. Vinhood in effetti si definisce come una Sensory Tech company. Gli algoritmi pongono quesiti che afferiscono ai gusti personali dell’intervistato esulando dal caffè o dal prodotto che poi andremmo a proporre, profilando così il palato e consigliando infine il carattere gustativo più adatto al soggetto interpellato.

Una volta fatto questo, abbiamo testato questi algoritmi che hanno fondamenta logiche di
neurogastronomia, piuttosto nuova nella branca delle neuroscienze. Abbiamo svolto questi test con termocamere, caschetti neuronali, skin conductor: è emerso che sul 95% dei casi funziona. “

Com’è il palato degli italiani?

“In Italia il caffè ha una maturità diversa da quella presente in altri paesi nordici. Abbiamo svolto delle analisi su tutte le preparazioni del caffè per mostrare che non esiste solo l’espresso. Per farlo abbiamo fondato una delle prime academy digitali sul caffè: mandavamo a casa determinati campioni con l’attrezzatura per prepararlo come il V60. Abbiamo fatto far loro un giro nella filiera fino alle origini per raccontare la differenza e il processo necessari ad arrivare al risultato finale in tazza, da un 100% Arabica lavato a tutto il resto. Bene: le persone sono tornate chiedendo dove potessimo acquistare quel caffè.

Una volta terminato questo studio, ci confrontiamo con gli utenti e con i siti di grossi produttori e Retail. Per iniziare a far capire ai consumatori che il caffè non è solo una commodity. Questa bevanda può esser anche un modo di fare un’esperienza, scoprendone varie tipologie. Questo è un percorso educativo che ci piace fare e non solo sul caffè.

Con Vinhood attualmente lavoriamo con più di 30 Paesi al mondo.

Ma ad oggi un progetto attivo in Italia è quello che portiamo avanti con Lavazza: sul loro sito, c’è il nostro test che consiglia il caffè più adatto agli acquirenti. Possiamo aiutare la grande distribuzione ad educare gli utenti, che allora sperimentano volentieri. Far comprendere al consumatore finale l’ampiezza del caffè e il lavoro che ci sta dietro, aiuta a spiegare il perché di un premium price: quella bevanda dà un’esperienza diversa e quindi ha un prezzo diverso.

In altre Fiere abbiamo cercato di far capire ai bar, ai ristoratori, attraverso un brand che i consumatori non hanno lo stesso gusto di caffè. Immaginate di entrare in un bar e di confrontarvi con un gestore, proponendogli di fornire il solito caffè ma oltre a quello, posizionare dei qr code al banco, che i consumatori potranno usare per fare i test del gusto mentre attendono di esser serviti. Il risultato è che in questo modo i clienti capiranno quale caffè fa per loro e il barista, dopo qualche mese, potrà valutare meglio quali sono i gusti dei suoi consumatori.

Questo lo abbiamo provato in fiera: abbiamo visto per la prima volta le persone parlare di caffè mentre bevevano il caffè. Certamente è difficile per le dinamiche che oggi esistono nell’horeca, ma è una strada da imboccare. Vorremmo che questo messaggio arrivasse a più realtà, per capire se qualcun altro ha la nostra stessa sinergia per approfondire l’educazione sul caffè.

Oggi in Italia ancora combattiamo sulla qualità dell’espresso al bar. È come un tempo quando nelle osterie c’era solo il vino della casa e mancava la consapevolezza del valore della catena del prodotto. Sul caffè stiamo pian piano progredendo, ma bisogna impegnarsi molto di più e trovare delle aziende che vogliano investire in queste innovazioni e comprendere che al bar il caffè non è solo una commodity.”

La vostra attività è più orientata al consumatore o focalizzata sul B2B?

“Su questi progetti il nostro cliente è il B2B, ma i nostri servizi sono per il B2C. Io lavoro con l’azienda x, ma quello che questa poi crea viene fornito al consumatore finale.”

Quali sono esattamente i suoi “esperti del gusto”? Cosa hanno studiato e a quale settore appartengono?

“Siamo andati proprio al provveditorato del lavoro per creare la figura del sensory analist, o l’esperto del gusto. Sono persone che arrivano da diversi settori, dal vino al caffè, giudici internazionali di birra, ricercatori dell’Università di Pollenzo: tante figure che, una volta entrati in Vinhood usano il loro background come core, ma poi seguono dei corsi interni per allinearsi e trasformare il loro know how affinché diventi più trasversale.

Il sensor analyst collabora con la rete di altri esperti del gusto nel mondo per studiare un prodotto, quelle essenze necessarie per creare la geografia di cui abbiamo già parlato, e capire come una bevanda evolva secondo i risultati dei nostri test, comprenderne la maturità nei vari mercati. Abbiamo studiato il gusto di 35 mercati a livello di tipologie di consumo del food&beverage in quel determinato paese: per esempio rispetto alle abitudini gustative della Russia, quali sono i piatti più tipici, come si dividono le preferenze di consumo.

Un esempio del caffè: in Italia, alla domanda “la bevanda preferita la mattina”, non tutti
rispondono caffè, mentre in America, tutti cliccavano quell’opzione. Allora abbiamo aggiunto per gli States una domanda ulteriore: quale tipo di caffè. È uno studio di abitudini alimentari gustativi del Paese svolto attraverso survey su qualche centinaia di persone, il numero dipende dal paese e contattando le realtà e gli esperti del food&beverage di quell’aerea di riferimento.”

Come sono strutturati i test rivolti agli utenti finali?

“Sono composti da sei/sette domande. Parliamo di test dalla durata di meno di un minuto che analizzano la tua confort zone e ti profilano a livello palatale. Il nostro gusto è influenzato da tanti fattori, esperienziali, climatici, condizionati dal mood del momento. Tuttavia ciascuno di noi ha un gusto predominante che tendenzialmente rimane costante. In questi 5 anni ho potuto constatare che sebbene esistano delle costanti, anche queste possono cambiare. Grazie ai chioschi che abbiamo posizionato dei vari supermercati
riusciamo a indagare meglio i trend di consumo e preferenza del gusto. Nei chioschi i clienti eseguono i test e poi vengono indirizzati all’acquisto seguendo il nostro consiglio. Siamo anche presenti all’interno di alcune cantine con il nostro widget. Abbiamo osservato che ci sono delle persone che rifanno il test a distanza di tempo. Anche solo per curiosità.”

Le aziende come scelgono Vinhood? E quando vi siete spostati abbracciando il caffè?

“Le aziende con cui collaboriamo, scelgono di sperimentare in prima battuta il test internamente e poi, quando vedono che effettivamente funziona, si parte. Con le aziende del caffè il nostro lavoro per la categorizzazione dei loro prodotti è a 4 mani, in collaborazione con i loro esperti di gusto. Parliamo con la loro ricerca e sviluppo o training center.

Ad un certo punto abbiamo scelto di lavorare sul caffè e abbiamo accelerato la ricerca durante la pandemia: durante i lockdown abbiamo voluto portare avanti anche l’esperimento dell’Academy, per comprendere cosa ci mancasse, insistendo sull’education, per creare contenuti con focus su sostenibilità e gusto del caffè. Dal 2017 collaboriamo con Lavazza e nell’ecosistema di Vinhood, abbiamo 5/6 altri player del caffè. Con alcuni faremo i test in store, con altri saranno posizionati sul sito, altri ancora hanno scelto i chioschi nel supermercato. E ora abbiamo ripreso a spingere verso l’estero così come in Italia e attualmente abbiamo aperto un dialogo con i 4/5 player tra i più grossi al mondo. C’è molto fermento, anche se non è facile.

I test con il tagging, fatti al volo sono tantissimi. Invece comunicare il vero lavoro di customizzazione è più difficile da comprendere per le aziende, per strutturare bene dei progetti pilota, soprattutto ora che usciamo da questo periodo di pandemia. Penso che le realtà nella filiera del caffè siano propositive, che ci abbiano arricchito. In Italia e anche all’estero. Ora che stiamo superando la fase più buia del Covid, ci sarà tanto da fare. Sono ancora più contento di aver scelto di dialogare maggiormente con gli utenti finali durante la pandemia, perché così abbiamo compreso bene cosa vuole sapere la gente, e ora siamo pronti a dare un servizio differente.

Se c’è un’azienda che vuole semplicemente e solo vendere più caffè, non siamo noi i giusti partner. Vinhood lavora con chi vuole creare soprattutto posizionamento, consapevolezza, esperienza del prodotto, oltre che chiaramente, di conseguenza, risultati sulle vendite. Per chi è confidente nella propria offerta.”

Cosa avete raccolto con Vinhood sul caffè fino ad ora?

“A parte le ampie e dettagliate analisi rispetto ai differenti Paesi, ad oggi abbiamo migliaia di persone che fanno o hanno fatto il test anche più volte e conosciamo i loro cambi di abitudini. Abbiamo la parte di contenuti, l’asset rispetto al caffè, alle preparazioni, ai prodotti, raccolti nell’arco di 3/4 anni di lavoro. Ora finalmente iniziamo a buttarci come sul vino e andare sul mercato come abbiamo già fatto con Lavazza e lavorare con le aziende sul cliente finale. “

E quindi cosa c’è nel cuore di Vinhood?

“Alcuni temi che ci stanno a cuore come la sostenibilità che includiamo nella pagina del prodotto. Un esempio: nei nostri servizi sul pane, non c’è solo l’informazione base sul pane, ma anche quella per riutilizzarne gli scarti, e così è lo stesso per il caffè e la sua tracciabilità. La sostenibilità poi è anche sociale: noi organizziamo degustazioni di vino per l’UICI Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, dei corsi per scoprire con loro il mondo del vino attraverso i sensi. Cosa che si può sperimentare anche col caffè.

Un ultimo punto: per fare questo lavoro a livello globale, ci siamo resi conto che abbiamo contattato le persone per diversi ruoli, in tutto il mondo. Quasi il 50 % del nostro team arriva da fuori: dall’India, dall’Iran, dalla Tailandia, dagli Usa, dal Libano, dalla Cina, dalla Colombia. Questo ci aiuta tantissimo anche a percepire il prodotto non solo come italiani: Vinhood ha un dna italiano e una visione globale. Questo modo di cooperare ha indubbiamente il suo costo, ma rispetto al valore finale che crea, non ha prezzo.”

Le infografiche su come procede un’analisi Vinhood

Taste preferences of Italian customers in coffee and food

Per saperne di più, potete visitare il sito web cliccando qui.

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