lunedì 15 Aprile 2024
  • CIMBALI M2
  • Triestespresso

Gianni Tratzi, Mezzatazza Consulting: “Ecco cosa è cambiato nel fuori casa”

Il Q Grader: “Diversi aspetti sono cambiati: ho notato ad esempio che ormai ci sono almeno 20 caffetterie dove bere un buon caffè filtro tra Milano, Roma e Firenze. È una modalità che sta prendendo piede e i baristi stanno finalmente imparando a prepararlo bene. Si è allargata la base e quindi anche i luoghi dove si può consumare una bevanda di un certo livello. Ovviamente parliamo sempre di specialty."

Da leggere

Water and more
Demus Lab - Analisi, R&S, consulenza e formazione sul caffè

MILANO – Gianni Tratzi è consulente, ideatore del progetto Mezzatazza Consulting e esperto del mondo della caffetteria, nonché Q Grader: uno di quei professionisti che possono contribuire senza dubbio a far luce su un mercato in continua evoluzione anche e soprattutto ora che la pandemia ha allentato la presa. Quali siano le nuove tendenze che ha potuto notare durante le sue esperienze professionali sul campo, le ha volute condividere con i lettori in un interessante approfondimento che proponiamo di seguito.

Tratzi, uno sguardo sul settore

“Diversi aspetti sono cambiati: ho notato ad esempio che ormai ci sono almeno 20 caffetterie dove bere un buon caffè filtro tra Milano, Roma e Firenze. È una modalità che sta prendendo piede e i baristi stanno finalmente imparando a prepararlo bene. Si è allargata la base e quindi anche i luoghi dove si può consumare una bevanda di un certo livello. Ovviamente parliamo sempre di specialty.

Triestespresso
Lo switch verso le estrazioni alternative (foto concessa)

È avvenuto uno shift dall’americano al caffè filtro – che già è una distinzione che finalmente si fa con consapevolezza -. Sono personalmente un grande promotore del filtered coffee e cerco di proporre l’installazione di una piccola macchina filtro per erogarlo in tutti i posti in cui faccio consulenza, spiegando che iniziare a sostituire tutti i caffè americani con il filtro anche in termini di costo, è conveniente. Anche la manualità necessaria è minore e quindi rappresenta un ulteriore risparmio di tempo.

Questo è un cambiamento influenzato soprattutto dal trend estero e poi anche dalle modalità di consumo dentro casa maturate durante il Covid: chi ha avuto il tempo con lo smartworking, ha voluto approfondire altri metodi oltre l’espresso per prepararsi un buon caffè a casa. Sono stati tanti che hanno sperimentato: così si è allargata la base di consumatori che beve filtro.

Questa svolta sta coinvolgendo anche i bar più tradizionali: per lavoro seguo molte pasticcerie e finalmente ho notato un superamento del luogo comune dei torrefattori che fornivano il cosiddetto “caffè da pasticceria” di bassa qualità, da zuccherare abbondantemente. Ora anche questo settore si sta muovendo dal sovra zuccherato alla valutazione di gusti più naturali, si sta facendo ricerca anche sul caffè e sta succedendo che la miscela proposta è un 100% Arabica, se non addirittura qualcosa di acidulo/fruttato, che aiuta la masticazione generando salivazione e non astringenza. Questo affinché sia un elemento per arricchire la colazione e non solo un gesto meccanico di consumo.

L’espresso di Gianni Tratzi (foto concessa)

Mi è capitato di fare più degustazioni sia con consumatori che operatori del settore (soprattutto esperti di vino) ed effettivamente la bevanda non è più intesa come solo di servizio, ma come un alimento da rispettare esattamente come potrebbe esser per altre bevande.”

La vendita retail e i monorigine

“Un altro elemento che ho riscontrato è il trend del sacchetto da 250 grammi venduto attraverso il retail: c’è un po’ il ritorno a concept che richiamano la drogheria, sempre in linea con gli effetti pandemici. Già nel 2019 ci si stava avvicinando a questo formato, ma con il Covid questa tendenza è decollata. Tante volte è disponibile uno scaffalino dedicato al caffè almeno macinato da portare a casa.

Qualche torrefazione poi ha rotto gli indugi (probabilmente visto che ha iniziato Lavazza, indiscutibile trend setter), e sta iniziando a proporre le monorigini al consumatore del mass market. Sono prodotti che hanno più successo per il consumo casalingo, in cui la gente cambia schema mentale uscendo da quello del consumo veloce e a “cervello spento”, dedicando più tempo e attenzione. Si comincia scorporando qualche origine dalle miscele, ma si sta arrivando a vere e proprie linee di prodotto dedicate.

Quando porti le persone fuori dal solito rito della tazzina al bar, viene compreso meglio il prodotto: c’è più attenzione alla materia prima quando la puoi apprezzare a casa. E poi ora esiste anche una sorta di “terrorismo buono” sull’impatto ambientale che comportano le capsule e le persone si stanno sensibilizzando su questo tema, andando verso soluzioni che premiamo più qualità e sostenibilità come lo specialty e l’acquisto dei grani”

Tratzi, cosa succede invece nei ristoranti?

“Forse vedo in questo ambiente ancora più disordine che nei bar, perché il barista percepisce se stesso con molta più umiltà rispetto a come si percepisce uno chef. In un ristorante di qualità, l’ego dello chef e dell’imprenditore può incidere in due direzioni opposte: nella prima ti segue, si fida e facciamo assieme un gran lavoro di miglioramento, nella seconda (più spesso) considerano il caffè una questione di brand o di “leggende metropolitane”. Non sono informati sullo scandaloso ciclo di produzione di un Kopi Luwack per esempio, o sul fatto che se fosse tutto Jamaica Blue Mountain quello che gli propinano le torrefazioni, la Jamaica sarebbe forse grande quanto il Canada. Quindi lavorare con loro tante volte è più sfidante ed ingaggiante, perché ci sono dei preconcetti ancora più forti da scardinare.

Noto che è più facile incontrare la sindrome di Dunning Kruger: tecnicamente è una distorsione del percepito di un argomento, nella quale persone molto poco competenti si autovalutano esperti in materia. I ristoratori sembrano soffrirne ancora di più dei baristi, perché la maggior parte sono profondi conoscitori del cibo e questo per loro significa esser massimi esperti anche di caffè.

E per quanto riguarda le macchine?

“Si tratta di un mercato davvero molto grande e io me ne occupo a un livello infinitesimale. Ma la mia testimonianza racconta che le macchine sono ormai tutte ad un livello molto alto, in cui la stabilità termica è un problema quasi trascurabile. L’operatore sceglie soprattutto in base al design, ma ancora non si è scardinata del tutto la logica del comodato d’uso. Non è però ancora diventato un nuovo standard avere la macchina di proprietà, e questa dinamica a mio avviso sarà sempre affiancata dal comodato.

Però è vero anche che le torrefazioni oggi propongono delle campionature meno tostate scure rispetto a qualche anno fa. Assaggio tanti prodotti, e sui blend commerciali ultimamente ho riscontrato un’evoluzione nella selezione e nelle curve di tostatura, e per me il messaggio è uno: le aziende non possono più far finta che lo specialty sia una nicchia da sottovalutare, e i clienti iniziano a bere più pulito.”

Tratzi e allora la formazione? Sta cambiando?

“Vedo un po’ stallo nella maggior parte di enti e scuole professionali che se ne occupano. Parlando del più avanzato e affine a me, penso che il Coffee Diploma System di Sca non abbia funzionato perfettamente perché risulta un po’ scollegato dalle logiche del retail italiano. Ho seguito tanti corsi e trovo che l’applicazione delle conoscenze apprese nei moduli Sca, sia difficile: non si appaiano bene alla routine di lavoro quotidiana, sono un po’ fuori target rispetto alla realtà che si vive nei locali italiani.

Ad esempio, i locali alto-vendenti e le catene, che vogliono e possono permettersi di investire nella formazione, rischiano di mandare i baristi a corsi da cui possono tornare disorientati. Al locale bisogna avere visione d’insieme, e una sensibilità che ti fa tenere sott’occhio cosa ti succede intorno sempre, a la vera sfida è far capire che i corsi specifici devono integrare questo approccio al lavoro, e non sostituirli, come molte volte arrivano a pensare.

Certo il contesto sociale non aiuta: due delle più grosse testate nazionali (Sole24ore e Corriere) pubblicano classifiche ambigue sui costi del caffè al bar, dicendo subdolamente che chi vive nelle città col prezzo alto è più sfortunato di chi vive ad esempio a Messina, dove il caffè costa meno. Questo stato delle cose significa un’unica cosa: chi ha il caffè come core business ha pochi margini da questa categoria merceologica, e ci sono ripercussioni a catena in tutto l’indotto bar, prima tra tutte la difficoltà ad assumere personale formato pagandolo il giusto.

Se i giornali parlassero del fatto che in Australia i baristi sono pagati come gli chefs, e spiegassero costi, prezzi e margini in quel paese, credo si possa portare la gente a farsi domande diverse, e cominci a guardare al nostro settore come si è iniziato a guardare a quello della cucina e degli chef, mondo ora percepito come prestigioso, ma che un tempo impiegava persone ai margini della società e non in televisione.

Altra cosa che non siamo mai riusciti a fare: non esiste un’associazione che concretamente unisce il mondo degli operatori con quello dei gestori. Questi attori si percepiscono distanti, e spesso pensano di esser uno contro l’altro. Nei corsi che propongo, condivido l’idea che se ci si relazione con il pubblico nel retail, si è venditori. Chi vende deve saper conoscere i costi e i margini, esattamente come qualsiasi azienda. Questo approccio aiuta a coinvolgere gli operatori alla logica imprenditoriale, riducendo la distanza culturale tra le due figure, che spesso iniziano a collaborare con tutta un’altra forza.

Altro trend da tenere d’occhio: la comunicazione sui social

“Pochi locali ancora hanno capito l’importanza di investire sui social ed è effettivamente un aspetto un po’ complesso da gestire. Attraverso Mezzatazza Consulting mi occupo, col supporto di specialisti, di far si che il lavoro dell’online sia in armonia con l’immagine del locale o dell’azienda. Revisiono la comunicazione tecnica e i comunicati stampa, cercando sempre il più appropriato tone of voice.

Per l’area marketing come nella parte operativa, cerco di portare ai miei clienti il mio storico, ovvero gli errori che ho commesso in passato e da cui ho imparato. Questo è per me il mettere a disposizione la competenza a chi si fida di me, affinché la possa far propria e trarne valore.

 

CIMBALI M2
  • LF Repa
  • Dalla Corte

Ultime Notizie

  • TME Cialdy Evo
Carte Dozio
Mumac