mercoledì 17 Aprile 2024
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Gelato artigianale: ecco perché in Italia non esiste ancora un disciplinare

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MILANO – Ne mangiamo moltissimo, 12 chili a testa all’anno (record mondiale), e il consumo continua ad aumentare: il 10 per cento in più rispetto al 2016 secondo il bilancio di mezza estate appena pubblicato dall’Osservatorio Sigep.

Eppure di quel «gelato artigianale» protagonista delle vacanze italiane, che tutti cerchiamo e che tutti siamo convinti di trovare entrando in una gelateria, in realtà non esiste nemmeno una definizione.

Per la legge, infatti, «artigianale» è semplicemente un’impresa che impiega non più di un certo numero di addetti e che prevede l’intervento manuale nel processo produttivo. Non vi sono riferimenti ai dettagli della lavorazione, né esiste un disciplinare che la regoli.

Nessun disciplinare

Il risultato? «In questo momento può definirsi artigianale anche il gelato fatto con le basi complete preparate dall’industria gelatiera, che devono solamente essere messe nel mantecatore — spiega Giorgio Venudo, consigliere di Confartigianato Dolciario —.

E siccome non è richiesta nessuna abilitazione particolare, domani mattina chiunque potrebbe aprire una gelateria». Infatti succede: ci sono catene di franchising che propongono di avviare una rivendita con poche migliaia di euro di investimento iniziale. Il gelato non deve essere nemmeno miscelato, arriva già pronto dalle grandi aziende.

Nell’insegna non c’è scritto «artigianale», ma l’esperienza di acquisto (un negozio, il banco con i gusti…) è la stessa del gelato sfuso che i consumatori associano all’artigianalità. Va da sé che la confusione aumenti.

I numeri del settore

Ma proviamo a dare qualche numero: in Italia ci sono circa 40 mila esercenti che vendono gelato tra gelaterie, pasticcerie, bar. Di questi, 15 mila sono registrati come imprese artigiane. Ma secondo la stessa Confartigianato, che ha fornito il dato, «sono molte di più le gelaterie che usano le basi di quelle che producono tutto da sé», spiega ancora Venudo.

«Una precisazione: nessuno demonizza questi prodotti tout court, perché ce ne sono di ottima qualità e sono un aiuto al lavoro del gelatiere.

Però dobbiamo metterci d’accordo sul significato di gelato artigianale. Secondo noi almeno la base dovrebbe essere di produzione propria», aggiunge Arcangelo Roncacci, segretario nazionale di Confartigianato Alimentazione.

Che per uscire dall’impasse vuole puntare sulla formazione. «Intendiamo proporre dei corsi regionali con tanto di esami. In modo che gelatieri non ci si possa più improvvisare».

Cosa significa artigianale?

Un altro ente, l’Associazione italiana gelatieri, fa un discorso pragmatico. «Quasi tutte le gelaterie usano qualche ingrediente industriale. Sia esso il “neutro”, un mix di stabilizzanti ed emulsionanti che si mette in piccole dosi, 0,6 grammi per etto di gelato, in modo da renderlo cremoso. Oppure le basi su cui costruire i gusti. O ancora le paste insaporenti di frutta e frutta secca. O, nei casi più estremi, le miscele pronte, ndr. Il discrimine, secondo noi, sta nel puntare alla massima qualità di questi aiuti. Che non devono sostituire il lavoro del gelatiere. Invece molte gelaterie puntano solo al prezzo», dice il presidente Vincenzo Pennestrì.

Come riconoscere il gelato di qualità

Che dà anche qualche consiglio. «Il peggio che si può trovare sul mercato è quel gelato gonfio, altissimo. Un prodotto di qualità, esposto in quel modo, si scioglierebbe perché troppo lontano dal punto del freddo. Se vedete quelle montagne diffidate, dentro avranno i grassi idrogenati che servono a incamerare aria. E se avete dubbi chiedete. Per legge è obbligatorio esporre il cartello con tutti gli ingredienti. In ordine di importanza, dal più presente al meno».

Colori e gusti

Altre dritte le dà Simone Bonini, titolare della gelateria Carapina di Firenze e autore del libro Il gelato a modo mio (Giunti). «Io di pronto compro solo le paste di pistacchio o nocciola Igp, pure. Ma in commercio ci sono anche quelle allungate con oli o tagliate con altra frutta secca che costano meno.

Ai miei clienti dico di guardare il colore. Il pistacchio non è verde acceso ma marroncino, si confonde con la nocciola, la menta è bianca. Poi: una gelateria che lavora seriamente, secondo me, non ha più di 10-12 gusti». Il «Movimento gelatieri per il gelato» riassume così il da farsi: «Bisogna consentire solo l’uso dei semilavorati semplici, come le paste, non quello delle basi. Perché altrimenti mangiamo un gelato standardizzato», spiega il presidente Roberto Lobrano. Una proposta di legge che si ispira a queste indicazioni, con un disciplinare di «produzione del gelato artigianale di tradizione italiana», è stata presentata alla Camera.

Il gelato può fare male?

Ma la domanda che resta, in questa confusione, è: il gelato può fare male? Fabrizio Osti, presidente del Gruppo prodotti per gelato dell’Associazione italiana industrie prodotti alimentari, che riunisce le 100 aziende che forniscono ingredienti per le gelaterie, è categorico. «No, perché i prodotti industriali sono controllati. Certo che esistono livelli di qualità diversi, ma ormai la direzione è di andare verso preparati sempre più naturali.

E quei coloranti che potevano indurre iperattività nei bambini ora per legge sono consentiti a dosi così basse da essere inutilizzabili. Siamo la filiera che sta dietro le gelaterie artigianali. Non dovremmo essere opposti a loro, siamo un aiuto.

Servirebbe, più che un disciplinare per il gelato artigianale, una protezione all’estero del gelato italiano».

La discussione è aperta. Di certo ci vuole più chiarezza per il consumatore. Che oggi cerca un prodotto, il gelato artigianale, che (ufficialmente) ancora non esiste.

Alessandra Dal Monte

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