giovedì 04 Dicembre 2025
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Unionfood: il racconto di 70 anni di consumo di merendine in Italia

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brioche merendine
Brioche singola integrale (immagine concessa)

MILANO – Le merendine italiane spengono 70 candeline. Correva l’anno 1953, infatti, quando il Mottino, panettone in formato mignon si trasforma nel Buondì, imprimendo quella svolta culturale che segna l’affermazione a livello industriale di questo prodotto.  Di lì a poco ci sarà l’ingresso sul mercato di merendine divenute celebri come la Brioss o la Crostatina e molte altre ancora, negli anni a venire, entreranno a far parte dell’immaginario collettivo del nostro Paese.

Un alimento iconico del made in Italy alimentare che riscuote ancora oggi grande successo: secondo una recente ricerca BVA DOXA – Unione Italiana Food le merendine sono consumate da 8 italiani su 10 (83%) e più della metà dei nostri connazionali (55%) le mangia almeno 1-2 volte a settimana.[1]

Un prodotto che ha saputo evolversi nel tempo, anche grazie al miglioramento nutrizionale, che negli ultimi 15 anni ha portato risultati importanti. Porzioni più piccole – appena 35 g in media – ma anche riduzione dei grassi saturi (-20%), degli zuccheri (-30%) e delle calorie (-21%).

Le merendine di oggi: tra grandi classici e nuovi lanci

L’analisi attuale del mercato delle merendine vede da una parte la presenza di tipologie classiche, intramontabili, presenti a scaffale da oltre 50 anni che nel tempo hanno saputo innovarsi mantenendo la propria iconicità.

Dall’altra emergono prodotti nuovi, dalla marcata innovazione che è uno dei tratti distintivi del comparto. Basti pensare che ogni anno vengono lanciate sul mercato in media 8-10 nuove merendine: da quelle con farine integrali alle merendine con nuove farciture – alla crema di limone o di nocciola solo per citarne alcune – da quelle con yogurt greco o semi di lino, fino a quelle che utilizzano la quinoa o i frutti rossi.

Una versatilità dell’offerta particolarmente apprezzata dai nostri connazionali: 6 italiani su 10 amano infatti consumare sia le merendine classiche che quelle nuove.[2]

Vendite di merendine in crescita: +2% a volume nel 2022

Anche i dati economici confermano la fidelizzazione degli italiani verso le merendine. Secondo una rilevazione Circana relativa all’anno 2022, le vendite di merendine hanno toccato a valore circa 1,3 miliardi di euro – pari al 29% del totale dei Prodotti da Forno e Cereali – mentre quelle a volume si sono attestate sulle 205.073 tonnellate con una crescita del +2% rispetto all’anno precedente. [3]

Dal punto di vista delle tipologie più vendute a valore, trancini (32%) e i croissant (27%) rappresentano il cuore del mercato. Seguono i plumcake (9,6%) le tortine (8%), le sfoglie (6,3%), le crostatine (5,3%), le altre brioches (4,7%), i panini al latte arricchiti (4,6%).

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Il trancino (immagine concessa)

“Se siamo qui a celebrare i 70 anni delle merendine, afferma Luca Ragaglini, vice direttore di Unione italiana Food, significa che questo prodotto è stato capace nel tempo di conquistare l’apprezzamento di diverse generazioni di italiani. Da una parte grazie all’innovazione che rappresenta uno dei plus principali del settore e dall’altra in virtù dell’unicità di un prodotto che è esclusivo del mercato italiano: in nessun altro Paese europeo esistono prodotti definiti con questo nome. Dobbiamo, infatti, per forza, ricorrere ad un’intera frase per spiegare di cosa si tratta, ovvero “piccoli prodotti dolci da forno monoporzione” e in questo sta la peculiarità del loro successo: una piccola merenda, equilibrata nutrizionalmente, buona e pratica.”

 Buone, porzionate e nutrizionalmente equilibrate: vanno dalle 110 alle 180 kcal

Quando parliamo di merendine ci riferiamo a un prodotto di derivazione diretta della nostra tradizione dolciaria: sono infatti la riduzione in formato monodose dei dolci da forno fatti in casa, soprattutto quelli a base di pan di spagna e pasta frolla. Oggi vanno dalle 110 kcal delle più semplici fino alle 180 kcal circa delle più ricche e coprono in media tra il 6 e il 7% della quantità di energia raccomandata ogni giorno a bambini e ragazzi, rappresentando, anche a detta dei nutrizionisti, una delle alternative valide nutrizionalmente per la merenda degli italiani.

Anni ’50: ha inizio la storia delle merendine con il Buondì, lievitazione naturale e glassa con zuccherini

Ma torniamo indietro nel tempo. Il punto di svolta che segna la nascita delle merendine si ha nel lontano 1953, quando il Mottino, una sorta di panettone in formato mignon, si trasforma nel Buondì che diviene, in breve tempo, il nuovo must per la merenda degli italiani. Un vero e proprio fenomeno di costume che svela le potenzialità di questo nuovo mercato che da lì a qualche anno si espanderà in modo vertiginoso.

Il successo di quella che può essere definita la prima merendina industriale sta in particolare nell’impasto a lievitazione naturale che ricorda un po’ uno dei dolci più tipici della tradizione italiana: la colomba pasquale.

 Anni ’60: dalla Brioss alla Fiesta

Negli anni Sessanta, oltre ai dolci tipici delle feste, ad essere riproposte sottoforma di merendine furono soprattutto le torte fatte in casa, di pasta margherita, pandispagna e pastafrolla, variamente farcite con confettura o cioccolata.

Nel 1961 arriva sul mercato la Brioss, soffice trancino di pandispagna, farcito con marmellata di albicocche o di ciliegie. Il suo successo si deve anche alle prime raccolte punti, tra le quali il famoso concorso promozionale “una giornata con il tuo calciatore preferito” che segnò, letteralmente, un’epoca. Nello stesso anno è la volta della celebre Fiesta, che legherà il suo successo anche a Carosello e al suo intramontabile jingle pubblicitario interpretato dai Ricchi e Poveri.

Anni ’70: arriva la Girella, il Saccottino e la Crostatina

Negli anni Settanta arrivano altre merendine a base di pandispagna farcita, o ricoperte con il cioccolato. Un esempio tra tutti: la Girella (1973) entrata nella storia del costume per l’inconfondibile forma a spirale e per la rèclame a cartoni animati che vede “Toro Farcito” costretto a difendere la sua merendina preferita dagli assalti del Golosastro, che vuole rubargliela.

Nel 1975, ecco poi Kinder Brioss, che unisce la sofficità del pan di spagna lievitato naturalmente alla farcitura di latte. Infine, nel 1978, è la volta di altri due “grandi classici” che hanno fatto la storia delle merendine: il Saccottino, brioche lievitata farcita all’’albicocca, al cioccolato o alla crema, e la Crostatina, mini torta di pasta frolla in due versioni, alla marmellata e al cioccolato, particolarmente apprezzati dai bambini anche per le divertenti sorpresine in scatola che si trovavano in ogni confezione.

Anni ’80: dai Plumcake alle Camille, si afferma la seconda generazione di merendine

Entriamo nel decennio d’oro delle merendine italiane. Si affermano sul mercato anche Kinder Colazione Più (1981), fatta con 5 diversi cereali e un pizzico di cacao, i Tegolini (1983) e i Soldini (1986), gustosi pan di spagna farciti e ricoperti al cioccolato. Quest’ultimo diventa un must soprattutto per la moneta di cioccolato, che veniva staccata, in un gesto rimasto nella mente di molti quarantenni di oggi, e mangiata in un solo, gustosissimo, boccone.

Con gli anni ’80 le merendine entrano in una nuova fase, sempre più ispirata al binomio alimentazione e la salute.  Tra gli ingredienti compaiono le fibre e lo yogurt. Le Camille, tortine alle carote e mandorle e i Plumcake sono i capofila di questa nuova generazione di prodotti.

Anni ’90: le merendine refrigerate

Ad emergere in questo decennio sono le merendine refrigerate – dal Kinder fetta al latte al Kinder Pinguì – con latte fresco pastorizzato e coperture croccanti. Sul finire degli anni Novanta nascono e si afferma il Croissant che diventa un classico della prima colazione e della merenda, morbido, gustoso e digeribile grazie alla lenta lievitazione naturale.

Porzioni più piccole, meno calorie

Negli anni 2000, le merendine vivono una fase di nuovo rinnovamento, dando vita a prodotti che ricercano sempre maggiore equilibrio tra leggerezza e gusto. Diminuisce anche l’apporto calorico complessivo, cala la quantità di zucchero e di grassi saturi ma soprattutto vengono eliminati grassi idrogenati e con essi gli acidi grassi trans. Arrivano sul mercato anche merendine di ispirazione internazionale come i muffin.

Le nuove merendine sul mercato sono tante e diverse: c’è chi punta sullo yogurt, chi sui mirtilli o sui frutti rossi, chi non rinuncia alla cioccolata in pezzetti o nel ripieno chi ripropone la tradizionale marmellata e chi invece punta – nell’impasto e nella forma – sulla semplicità senza tempo del pane.  Un percorso di rinnovamento ed innovazione che prosegue ancora oggi con nuove proposte anche nel segmento free from.

Ricerca

[1] Ricerca BVA DOXA 2022

[2] Ricerca BVA DOXA 2022

[3] Dati di vendita Circana per Unione Italiana Food (totale Italia incluso Discount)

Iginio Massari incorona Stefania Mantero “Ambasciatrice pasticcera dell’eccellenza italiana”

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Il logo Apei

Stefania Mantero, la titolare dell’omonima pasticceria mestiere, è stata nominata lo scorso 27 febbraio “Ambasciatrice pasticcera dell’eccellenza italiana“, un riconoscimento che Apei (associazione Ambasciatori pasticceri dell’eccellenza italiana), presieduta dal maestro Iginio Massari, assegna solo dopo un attento esame. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Travel Eat.

Stefania Mantero è “Ambasciatrice pasticcera dell’eccellenza italiana”

GENOVA – A Sampierdarena, e precisamente in via Cantore, la Pasticceria Mantero è da 50 anni una vera e propria istituzione. Stefania Mantero, la titolare, ha ereditato dai genitori l’amore e la passione per questo mestiere, al punto di essere stata nominata, lo scorso 27 febbraio, “Ambasciatrice pasticcera dell’eccellenza italiana“, un riconoscimento che APEI, presieduta dal maestro Iginio Massari, assegna solo dopo aver selezionato i candidati attraverso un rigido esame.

“È stata un’emozione incredibile e un’enorme soddisfazione, che fa seguito all’impegno forte che ho messo, e continuo a mettere, in quello che faccio da sempre. È quindi una gratificazione importante” commenta Stefania Mantero, che a distanza di qualche giorno è ancora sorridente ed emozionata durante la nostra chiacchierata.

“Per ottenere il premio ho dovuto affrontare una prova davvero impegnativa: la giuria era particolarmente severa, capitanata proprio da Massari  e dal vice presidente Gino Fabbri, un ottimo collega che ha la sua attività a Bologna. La platea, disposta ad anfiteatro, era formata da tutti i colleghi che fanno già parte dell’associazione, che è nata due anni fa.

È stata una prova importante, ho dovuto realizzare un dolce in 40 minuti e fare vedere le mie capacità e le tecniche che il pasticcere professionista usa e adopera nel momento in cui realizza un dolce.

Ho scelto la Sacripantina: era richiesta la rivisitazione di un dolce tradizionale della nostra regione, e ho pensato a questo, rivisitando la proposta iniziale: si tratta di un dolce ‘antico’, ma molto apprezzato dal pubblico e dai clienti.

La rivisitazione è stata poi completata pensando di svilupparla e a renderla più moderna a mò di semifreddo”.

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Gelato artigianale al gusto caffè: Ivano Donato vince il 1° premio al concorso di Levante Prof

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La locandina di Levante Prof (immagine concessa)

BARI – È Ivano Donato della gelateria Mammucàri di Roma ad aggiudicarsi il primo premio del concorso Trofeo PuntoIT sul gelato artigianale, che quest’anno ha scelto il gusto caffè come banco di prova per i maestri gelatai. Al secondo e terzo posto rispettivamente i romani Domenico Curiale e Paolo Costantini de Il Gelatone.

Ivano Donato trionfa al concorso Trofeo PuntoIT a Levante Prof

Assegnati cinque quarti posti ex-aequo, di cui tre ai pugliesi Gaetano Lattarulo de La Cremeria Gelati di Mottola, Saverio Scaramuzzi della gelateria Telebari e Floro Antonio, il più giovane di tutti i partecipanti, della pasticceria Floro in centro – entrambi di Bari -, e due quarti a Baratta Antonio della gelateria La torretta di Castellabate e Claudio Amadio de Il Sorriso Gelateria di Teramo.

Giunta all’ottava edizione, la gara si è svolta in occasione della terza giornata di Levante Prof, la più completa fiera internazionale nel Sud Italia del settore  panificazione, pasticceria, pizzeria e pasta fresca, gelateria, birra, vino, bar, ristorazione, confezionamento e hotellerie, in corso di svolgimento nella Fiera del Levante di Bari sino a mercoledì 15 marzo.

 Il concorso, che è organizzato dall’Associazione Italiana Gelatieri in collaborazione con rivista specializzata nel gelato artigianale “puntoIT”, ha visto la partecipazione di circa venti gelatai provenienti principalmente dalle regioni del centro-sud – Lazio, Abruzzo, Campania e Puglia -, che si sono sfidati a suon di palette. La loro maestria è stata giudicata da una giuria, composta da cinque membri – tecnici e non -, che ha assaggiato i gusti in gara, esaminando la capacità di elaborare, strutturare e comporre il gelato artigianale utilizzando materie prime d’eccellenza.

“Scopo dell’iniziativa – ha commentato il segretario generale dell’Associazione italiana gelatieri, Claudio Pica – è valorizzare una delle eccellenze alimentari del made in Italy. Oltre ad essere un piacere, il gelato artigianale italiano è un alimento completo e nutriente. La sua qualità e genuinità deve essere garantita solo proteggendo la filiera made in Italy, dall’agricoltura ai prodotti freschi”.

Il vincitore del Trofeo puntoIT  accederà di diritto alla fase finale della Coppa Italia di gelateria che si svolgerà a Roma durante l’Excellence Food Innovation 2023, uno dei principali eventi dedicati alle eccellenze enogastronomiche italiane e della Regione Lazio.

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Vietnam: conclusa l’8° edizione del Festival del caffè di Buon Ma Thuot

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Il festival di caffè in Vietnam

HANOI (Vietnam) – È volta al termine l’ottava edizione del Festival del caffè di Buon Ma Thuot, nella provincia di Dak Lak, ubicata negli altopiani centrali del Vietnam. Attualmente, il caffè vietnamita viene consumato in più di 80 Paesi e sta acquisendo sempre più popolarità. Leggiamo di seguito la prima parte della notizia pubblicata sul portale dell’Ansa.

Il Festival del caffè di Buon Ma Thuot in Vietnam

Il Vietnam è al secondo posto per volume di caffè esportato nel mondo, dopo il Brasile, e il principale produttore di caffè della qualità Robusta, sebbene non compaia tra i dieci marchi di caffè più costosi, che preferiscono la qualità Arabica.

E’ strategico, quindi, per il paese riposizionare i propri marchi di caffè, sviluppando una catena del valore dalla produzione al consumo.

E’ quanto emerso dal convegno che si è tenuto nel corso della manifestazione, cui ha partecipato anche il ministro dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale Le Minh Hoan.

Il ministro ha affermato che il Vietnam deve decidere se e come eventualmente sviluppare una produzione di caffè che ne aumenti il valore, attraverso una revisione delle linee di prodotto in linea con le esigenze del mercato, ed adeguata agli standard internazionali.

Attualmente, il caffè vietnamita viene consumato in più di 80 Paesi ed ha registrato una forte crescita delle esportazioni verso le nazioni che ne consumano grandi quantità. Nei primi 10 mesi del 2022, le esportazioni di caffè del Vietnam sono aumentate in Germania (494,9 milioni di dollari, +58,2%), in Francia (57 milioni, +78,7%), in Canada (28 milioni, +91%).

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I Costardi Bros, la rinascita a Torino nella Piazza San Carlo: “Nel ristorante, un espresso peruviano, l’Avanguardia III 1895 by Lavazza costa 5 euro”

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Lo chef Christian Costardi (foto concessa)

TORINO – Caffè San Carlo e Scatto sono due realtà legate all’eccellenza, nate all’interno del progetto Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, ciascuna con la propria cifra distintiva, entrambe guidate dei Costardi Bros, protagonisti di questa imponente rinascita culturale ed enogastronomica di piazza San Carlo a Torino.

Nello spazio museale della banca, hanno l’ambizione di diventare un punto di riferimento per gli abitanti della città, per i visitatori del museo e per i turisti della capitale sabauda.

Costardi Bros: prima il Caffè san Carlo a chiusura del 2022 e poi a fine gennaio 2023 l’adiacente Scatto

L’idea di mantenere paralleli caffetteria e ristorante, che cosa racconta della vostra visione?

“Oltre ad essere una grande visione è una vera fortuna poter contare su di una forbice oraria così ampia e così su diversi target a cui proporre la nostra idea a partire dalla coffee experience e dei lievitati, per arrivare all’offerta di una ristorazione di alto livello con Scatto. Per noi la caffetteria è una bella scommessa, perché io e Manuel nasciamo nell’universo dell’hotellerie e della ristorazione ed è la realtà che conosciamo meglio.

Quando abbiamo avviato il progetto ci ha stimolato quindi proprio curare l’aspetto della caffetteria: era un’esperienza nuova e rappresentava un’occasione su cui trasferire la nostra expertise sviluppata in cucina.

Il risultato è una caffetteria con una visione di ristorazione.

Il premio pensiero che abbiamo avuto è stato rivolto al rifacimento del bancone in modo tale che porti il Caffè San Carlo nel presente e nel futuro. Anche per questo abbiamo optato per gli specialty coffee così che in questo locale storico con dei numeri elevati, si potesse vivere un’esperienza di grande livello. Per questo abbiamo deciso di portare l’Hypnotic Fruit.

Infine è arrivata la parte dei lievitati: la nostra pasticceria produce tutto direttamente all’interno del caffè. Per sconfinare poi nell’offerta dedicata al pranzo che racconta il territorio e che accoglie il pubblico con una determinata gastronomia.”

Per i Costardi Bros lo specialty è stata una scoperta?

“Io e Manuel siamo le due anime complementari della cucina, io dolce e lui salato, lui pragmatico e attento ai dettagli, io che vivo più istintivamente e trainato dall’emozione. Sono un amante del caffè, Manuel invece lo beve solo freddo e quindi cold brew. Abbiamo scoperto il mondo dello specialty ancor prima di questo progetto, avendo già sperimentato il grande lavoro fatto da Lavazza sin dagli albori con Kafa precedente all’apertura della Factory 1895.

Conoscevamo già questo universo e quindi è stato un passaggio naturale sceglierli per il Caffè San Carlo e Scatto. Hypnotic Fruit ci ha colpito perché ci piaceva l’idea di servire un blend specialty, quindi già complesso in tazza, che però fosse un entry level adatto ad un primo approccio allo specialty per poi poter avere al monorigine Beati (Etiopia, 100% Arabica con un’acidità fruttata). L’Hypnotic è diverso dal solito blend, ma senza avere un’acidità troppo marcata che può allontanare il cliente abituato alla tradizione. Fa porre una domanda, stimola la curiosità.”

Raccontare e preparare lo specialty però richiede preparazione

“Certo e noi siamo stati seguiti nella formazione sia sullo storytelling che sulla conoscenza delle differenze tra i prodotti scelti e poi sull’approccio tecnico alla macchina per espresso e per i metodi di estrazione alternativa in filtro (chemex, moka, cold brew). Abbiamo per il Caffè San Carlo una Faema designed 1895, un macinino All Ground per il filtro, e per
l’espresso Hypntic un Fiorenzato F83E. Mentre dentro Scatto abbiamo scelto una Faemina.

Ma avete dovuto differenziare l’offerta tra caffetteria e ristorante?

In sala da Scatto (foto concessa)

“Per Scatto abbiamo puntato ancora più in alto. Se si parte come base con l’Hypnotic Fruit e la monorigine Behati, nel ristorante abbiamo voluto mantenere la stessa coerenza. Abbiamo scelto quindi Avanguardia III, un peruviano con estrazioni diverse (chemex e moka) e in espresso con Faemina. Lo step successivo che stiamo sviluppando insieme a Lavazza sarà quello di avere a disposizione una preparazione con Flair 58 professional e lavorare sul double shot per offrire un’esperienza della tazzina che sia anche visiva e
riprenda il rito direttamente al tavolo.

Anche il risultato è interessante: una crema spessa, una stratificazione al palato. La cosa bella sarà giocare su diverse acque da usare per agire sulla dolcezza. Il primo punto da cui siamo partiti per ora è cercare una squadra giovane, che abbia la possibilità di imparare e di crescere attraverso nuovi stimoli. Basta con il lavoro di routine: si va avanti con nuove sfide da affrontare.”

A proposito del personale, avete avuto difficoltà nel trovarne?

Lo staff nella cucina (foto concessa)

“Sicuramente trovare il personale non è semplice. È un lavoro impegnativo. Ma se si ha alle spalle un progetto come il nostro, una capacità e la possibilità di avere tra le mani qualcosa di unico per fare innamorare non il dipendente, ma la persona che lavora con te, diventa più semplice.

Ovvio che è importante coinvolgere i giovani: dobbiamo prendere atto di non poter aver a disposizione personale già formato. Dobbiamo creare noi un nuovo corso per il futuro della ristorazione e del settore turistico. Noi imprenditori per primi dobbiamo dare fiducia ai giovani e farli crescere. Abbiamo scelto per questo di investire su ragazzi da formare, a cui offrire un sogno, una prospettiva e un team coeso in cui inserirsi.
Abbiamo la fortuna di avere due anime diverse tra caffetteria e ristorante.

Il problema più grosso nella ristorazione è la sala: per farla crescere bisogna investire in primis sullo spazio della caffetteria. Il servizio del bar spesso è trascurato: invece noi siamo partiti proprio puntando su questo per avviare poi un circolo virtuoso per cui alla fine tutti conoscono entrambe le anime del progetto. È impegnativo, ci vuole ricerca, ma dà soddisfazione.

Attualmente siamo circa in 40 e questo perché, per fare 7 giorni su 7 al Caffè San Carlo – perché per me la caffetteria non può mai chiudere un po’ come la farmacia, soprattutto in Piazza San Carlo – e 6 su 7 al ristorante, è giusto tutelare il benessere del dipendente e quindi far e in mondo che le persone abbiamo giorni di riposo e vivano il lavoro come piacere.

Insomma, abbiamo voluto garantire un giusto equilibrio tra vita professionale e personale. Dopo il Covid, la presa di coscienza del proprio tempo, ha fatto sì che le aziende capissero che il valore più grande che si può dare al personale è il tempo, al di là del compenso economico.

Io più di Manuel sono una persona che non vive lavorando, perché in realtà la mia vita è il mio lavoro. Per ora quello che faccio non è lavoro, ma è la mia vita: mi piace talmente tanto che non lo cambierei per niente al mondo. Ovvio ora dall’essere solo chef sono un imprenditore, ma è un salto che ho voluto fare e che fa parte del mio percorso di crescita.”

Ma lei come lo beve il caffè?

“Io bevo tutto: mi piace moltissimo tutto ciò che è il mondo del filtro, ma è un rito che necessita il suo tempo. Io non ne ho tanto, quindi l’espresso è quello che riesco a bere di più in assoluto, anche se mi piacciono tutte le preparazioni a base di caffè: ho addirittura la formula della caffeina come tatuaggio.

Il tatuaggio della caffeina sul braccio di Christian Costardi (foto concessa)

E per dimostrare la stessa passione, qualche anno fa ho creato un piatto che rappresenta la nostra professione, “gin al limone e caffè”: il caffè (il Kafa di Lavazza macinato grossissimo, messo insieme al riso sottovuoto, che una volta cotto in un brodo di limone viene unito al caffè, mantecato con il burro montato con caffè limone e gin) accompagna la vita dello chef per farlo stare attivo, mentre il gin fa parte del rito finale del lavoro (il gin tonic è stato assunto a bevanda defaticante per i cuochi).“

Dal vostro estro di chef, i Costardi Bros hanno pensato degli abbinamenti tra food e specialty?

Il signature croissant dei Costardi Bros (foto concessa)

“Sia salati che dolci: proponiamo a colazione non il classico croissant e cappuccino, ma anche quello salato con salmone e robiola, o roastbeef e senape con chemex di Beati, o una moka con il nostro signature croissant, farcito con una crema di caffè con Hypnotic Fruit. “

E il prezzo, è un problema?

“Abbiamo fatto una scelta precisa di prezzo su Hypnotic Fruit: vendiamo ad un euro e 50 per l’espresso sia al banco che al tavolo. Abbiamo voluto farlo per non imporre il sovrapprezzo sull’entry level. Tre euro e 50 invece sull’espresso con il monorigine perché è un caffè che devi scegliere. Il fatto che una tazzina di caffè non possa più costare un euro è ormai consolidato: ce ne sono che costano troppo poco ma tostati male.
Nel ristorante invece, un espresso con Avanguardia III costa 5 euro, mentre con chemex e moka il prezzo per gruppo va dai 20 euro ai 15.”

E ora che cosa vi aspettate, quale direzione prenderà questo organismo complesso che ha appena preso vita?

“Il ristorante è aperto da poco ed è uno spazio molto bello, un posto in cui si entra e si perde la connessione con il mondo esterno. Lo vediamo da come le persone rimangono da noi anche a mezzanotte. Questo è un chiosco che prima era invalicabile e che ora è un luogo unico.

A lungo termine c’è l’idea di diventare un punto di riferimento come caffetteria e lo siamo già diventando. I numeri sono alti sul consumo di caffè: in settimana registriamo tra i 400/600 espresso al giorno e nel week end dai 900 ai 1200. Volevamo lavorare in un locale storico in una città di locali storici, ma conferendogli un aspetto di modernità e con degli specialty come scelta identitaria. A breve apriremo anche il dehors con circa 100 coperti in più a disposizione. Implementeremo ulteriormente la parte di pasticceria e di delivery e poi crescere sull’e-commerce. Questa è la rampa di lancio per tanti altri progetti che sono in fase di progettazione.

Scatto è un po’ il succo di tutto: nasce legato al mondo della fotografia, contiene le lettere di San Carlo e di Torino, è uno scatto verso il futuro, verso la rinascita dopo la pandemia. Da qui è nato anche il menù, con una scatola che si fa scorrere in un cassetto che contiene una fotografia abbinata al menù partendo dal disegno con l’offerta del territorio e racconta la nostra visione della cucina, attraverso i nostri viaggi e dei ragazzi che lavorano con noi che sono coinvolti nel progetto. Possono dare la loro creatività in cucina, sono stati formati tutti sulla parte della caffetteria.”

Caffè Sansone, lo specialty nell’espresso napoletano tostato medio, da 1 € e 20

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Vincenzo Sansone e il suo caffè filtro (foto concessa)
Vincenzo Sansone e il suo caffè filtro (foto concessa)

MILANO – Proprio nel centro di Napoli, in Corso Vittorio Emanuele, esiste una caffetteria che è anche micro-roastery e serve specialty coffee: è fantascienza oppure realtà? È tutto vero: per la passione e visione di Vincenzo Sansone, anche i palati più abituati alla tazzulella si aprono a nuove prospettive gustative.

Caffè Sansone quando nasce e con quale spirito?

“La mia attività nasce nel 2012 come classica caffetteria. In seguito ho intrapreso il percorso di formazione Sca, partendo con il green coffee e il sensory con Cobelli a Verona, poi il roasting con Marco Cremonese ed infine il professional insieme a Marco Bombini di Specialty Corner di Bisceglie.

Educandomi mi si è aperto un mondo: sono una persona curiosa di natura mi piace comprendere a fondo qualsiasi cosa mi trovo di fronte. Questa mia inclinazione inizialmente mi ha portato addirittura a tostare il verde utilizzando una macchinetta per i pop corn, per apprezzare il profumo dei chicchi cotti. Ho assistito allo sviluppo di questo processo anche se in modo empirico… e da lì è nata la voglia di capire quanto si celava dietro quel maledetto chicco di caffè.

In seguito nel 2017 ho acquistato una tostatrice vera e propria – attualmente ho una K1 Genius bar, elettrica, da un chilo posizionata all’interno del Caffè Sansone – con l’idea di mostrare ai consumatori cosa ci potesse esser dietro la tazzina. Questa macchina è stata la prima che ho scelto perché le emissioni che produce restano al di sotto le soglie consentite dalla legge – il locale si trova nel centro abitato –.

Lavorando a 220 volt riesco a risparmiare e allo stesso si comportano sia la macchina espresso che i macinini.

Parlando invece del caffè come materia prima, grazie ai miei studi ho realizzato un blend tutto mio, perché avevo bisogno di proporre una miscela che fosse un buon compromesso tra la qualità di un tostato medio e le caratteristiche della tazzina napoletana.”

Nel cuore di Napoli voi vendete non solo miscele, ma anche specialty e monorigine: ci raccontate questa sfida per il palato partenopeo abituato a Robusta e tostatura scura?

“Propongo specialty, monorigine in espresso, ed il mio blend è composto da 70% Arabica e 30% Robusta. La sfida è stata quella di portare questo espresso diverso ai miei clienti. Il problema maggiore che ho riscontrato è legato alla mentalità poco aperta di alcune rispetto alla bevanda, perché sono abituati a bere quel determinato tipo di caffè: alcuni clienti, li ho persi, ma dall’altra parte però ne ho acquisiti altri che oggi non possono fare a meno di venire da noi. Il palato si è educato a gustare un’alternativa e tanti non mettono più lo zucchero, e tornano volentieri.

I sacchi di verde pronti per esser tostati (foto concessa)

Il mio blend in tazza ha il giusto bilanciamento tra dolce amaro e con un’acidità non troppo spiccata, tutti elementi che determinano oggi il mio successo tra la mia clientela. Resta un prodotto particolare, restando però vicino al gusto napoletano, nonostante la tostatura è media.

Ho scelto inoltre di fare una rotazione ogni settimana tra i monorigine selezionati nei macinini e ho realizzato delle locandine che espongo sul banco che descrivono la varietà del periodo. Così posso proporlo e raccontarlo a chi si incuriosisce. Cosi si inizia a far capire che cosa si può avvertire in tazza in termini organolettici.”

Da chi vi rifornite?

“Mi rifornisco da Mare Terra, che hanno diverse sedi, e sono nati a Barcellona. Lavorano solo con microlotti di specialty, e mantengono contatti diretti con i farmers. Ci siamo conosciuti al Woc di Milano e mi sono anche stati consigliati da un collega. Ho provato ad acquistare direttamente io nelle fazende, ma le tasse che devo pagare per arrivare da noi, sono state piuttosto elevate. In ogni caso non demordiamo: aiutare le farms è l’obiettivo principale.”

Cosa servite ora dietro il bancone di Caffè Sansone, a che prezzo e con quali metodi di estrazione?

“Questa settimana ad esempio ho un l’India Plantation A per l’espresso. Perché? Perché è una monorigine particolare, che si avvicina come corpo e dolcezza alla tazzina più classica. Poi una volta che le persone assaggiano questa single origin e sono riuscito a guadagnarne la fiducia, posso procedere nel prossimo giro con consigliare qualcosa di più estroso ad esempio un Etiopia Sidamo gr2.

Tutto quello che si può trovare nel Caffè Sansone (foto concessa)

Ho anche una miscela per la moka – faccio buste da 250 grammi fornendo una spiegazione per prepararla correttamente nei passaggi – ma ho anche areopress, french press, chemex, la cuccuma: insomma, offro tutti i tipi di estrazione. Posso macinarlo e adattarlo per qualsiasi metodo. A volte regalo una bustina di specialty da 100 grammi per far sperimentare ai clienti la differenza rispetto a un caffè classico, anche a casa.

Parlando dei prezzi, ho fissato a un euro e venti l’espresso: sono quello che lo vende più caro nella zona, ma a me non interessa scendere al di sotto di questa cifra. Ci sono alcuni che si sono lamentati ma sono comunque tornati. Vendo un prodotto di una certa qualità e offro un servizio e la professionalità necessaria a valorizzarlo e quindi per me 1 euro 20 è persino poco. Anzi, conto di aumentarlo a breve, anche per coprire le spese di tutte le utenze che sono aumentate. Devo dire che, lavorando tanto con i turisti, con loro il prezzo non è proprio un punto di discussione.

Certo, creare una realtà di questo tipo a Napoli è difficile, ma io comunico molto con i miei clienti. Ad esempio vendo tanto caffè per la moka e una volta che hanno sperimentato seguendo le mie istruzioni, non tornano a quello industriale.”

Che macchine per espresso usate e che macinini?

La macchina XLVI da Caffè Sansone (foto concessa)

“Una XLVI targata Operai del vapore per l’espresso e come macinini Fiorenzato e Eureka (i piccoli per presentare le monorigini). “

Il vostro personale è formato? È stato difficile trovarlo?

“Di molte cose me ne occupo io direttamente, ma anche i miei ragazzi mi seguono anche nella formazione. Questo perché loro sono il mio bigliettino da visita e se non sono bravi loro, è come se ne risentisse l’immagine di Caffè Sansone. Non è facile trovare personale, ma devo dire che la retribuzione giusta aiuta a tenerli. E poi bisogna anche motivarli. Ad esempio, quando ci sono le fiere li coinvolgo per osservare tutto questo mondo e creare un team affiatato. Voglio condividere con loro l’ambizione e la passione. Ora siamo in 4 me incluso.”

Cosa abbinate con il vostro caffè in termini di cibo?

“Ho pensato a questa possibilità, ma ancora sto studiando per concretizzarla. Poco tempo ho visto degli abbinamenti con gli specialty e devo dire che l’idea non mi dispiace. Proporrei degli eventi per la degustazione abbinata.”

Com’è la scena dello specialty a Napoli? Siete tanto isolati o comincia qualcosa a muoversi in questa direzione?

“Qualcosa comincia a muoversi. Siamo pochi ma qualcosa sta cambiando. Nella zona mi vengono in mente, Gran Caffè Secondigliano, Castorino a Salerno, 20metri quadri a Napoli, Campana a Pompei ma sicuramente ce n’è ancora qualcun altro. “

Cosa vedete nel futuro di Caffè Sansone?

“Sogno di creare qualcosa di più grande rispetto alla mia sola attività e di allargarmi aprendo un’altra caffetteria specialty a Napoli sempre con la torrefazione annessa. Io mi stacco dal bancone e vado a tostare. Chi viene qua mi vede in azione sui chicchi. Imbusto, degaso, faccio tutto dentro il locale. Sono 30 metri quadrati, e l’aroma del caffè è ovunque, proprio come me. Caffè Sansone è un po’ come un figlio. Sogno di farlo crescere a regola d’arte.”

 

In Corea del sud, il mercato delle caffetterie è saturo e i big puntano sul lifestyle

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Corea del sud
L'esterno dello Yangpyeong drive-thru store di Starbucks, nella provincia di Gyeonggi, in Corea del sud (credits: Starbucks)

MILANO – Cambiano le strategie dei market leader nel mercato sud coreano delle caffetterie. La Corea del sud rimane tra i massimi mercati di consumo dell’Asia e del mondo. Recenti indagini rivelano che quasi un sud coreano su due (47,4%) beve tra le due e le tre tazze al giorno di caffè.

E un ulteriore 40% della popolazione adulta non meno di una tazza. Cinquantenni e quarantenni i bevitori più assidui, mentre i consumi diminuiscono gradualmente al calare dell’età.

Ma il mercato delle catene di caffetterie (e sale da tè) specialty – quasi cinque miliardi di euro di fatturato, secondo Euromonitor – appare ormai saturo. E la concorrenza a basso prezzo si fa sempre più aggressiva.

Insegne come Compose Coffee, passato da 725 locali, nel 2020, a 1.285 un anno più tardi, in barba alla pandemia. O Paik’s Coffee, che è cresciuto dai 971 locali del 2021 agli attuali 1.276.

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Victoria Arduino con la Eagle One serve l’espresso nel Castello di Lancaster in Gran Bretagna

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lancaster eagle one
Il castello di Lancaster (immagine concess)

BELFORTE DEL CHIENTI (Macerata) – Il magnifico cortile ristrutturato del castello di Lancaster, uno dei più grandi del Regno Unito, è uno sfondo favoloso per un pranzo, uno spuntino delizioso e un menu di caffè selezionati a mano provenienti da tutto il mondo preparati con Eagle One di Victoria Arduino.

Eagle One al castello di Lancaster

“Quando abbiamo saputo che il castello, con i suoi 900 anni di storia, era stato restaurato per diventare un’attrazione turistica invece di una prigione, sapevamo che sarebbe stato un’ottima location per un caffè! Al giorno d’oggi, tutte le attrazioni turistiche hanno bisogno di un buon cafè e questo spazio storico rende The Cafè davvero unico” – ha dichiarato Caspar Steel, amministratore delegato di Atkinson Coffee Roaster.

Dominando l’intero skyline locale, il Castello di Lancaster è uno dei castelli meglio conservati d’Inghilterra. Gli inizi della sua lunga storia non sono chiari, ma il castello potrebbe essere stato fondato nell’undicesimo secolo sul sito di un forte romano che si affaccia su un attraversamento del fiume Lune.

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L’interno di The Café (immagine concessa)

The Cafè, situato nel punto più alto del cortile, è composto da due edifici: la vecchia cucina e l’unico edificio del ventunesimo secolo facente parte di un segmento esterno del castello.

Anche se l’edificio in cui si trova The Café è molto antico, il coffee shop stesso è un completamento in chiave moderna. “Abbiamo ritenuto che se avessimo cercato troppo forzatamente di rendere il caffè simile al castello, sarebbe sembrato finto dato che il nostro spazio è nuovo. Di conseguenza, la nostra scelta di un design minimal ci ha permesso di mettere in evidenza l’architettura storica che ci circonda e anche di riflettere il carattere di Atkinson Coffee Roaster come azienda dalla lunga tradizione, ma moderna” – continua Caspar.

the cafè eagle one
Un barista di The Café al lavoro con Eagle One (immagine concessa)

“Abbiamo cercato di utilizzare materiali che contribuissero a creare un ambiente caldo e accogliente in un grande spazio. Per fare questo abbiamo usato molto legno di multistrato di betulla per i mobili e legno di compensato di Formica nero opaco per i piani di lavoro e alcuni piani dei tavoli. Abbiamo aggiunto molte grandi piante per ammorbidire il grande spazio”.

Ogni dettaglio è allineato al design del coffee shop. “Eagle One è una macchina per caffè espresso di grande design in sé, ma ha anche una linea in grado di arredare molti interni diversi in quanto è elegante, minimale e altamente personalizzabile. Abbiamo scelto Eagle One 3 gruppi con una speciale customizzazione realizzata da Urban Espresso a Birmingham che ha verniciato a polvere l’intera macchina in nero opaco, comprese la testata del gruppo, il piatto raccogligocce e il logo; persino i piedi sono neri opachi! Questa speciale customizzazione si adatta perfettamente al nostro piano di lavoro nero opaco accanto ai macinini, sempre di colore nero opaco, e al Puqpress” – ha specificato Caspar.

Atkinson Coffee Roasters è un’azienda fondata nel 1837, ma ha avuto una nuova prospettiva di vita nel 2005 quando la famiglia Steel l’ha acquisita.

Ora, 17 anni dopo, Atkinson Coffee Roasters ha 4 sedi di proprietà, un intenso programma commerciale, un sito web e un impianto di torrefazione all’avanguardia. L’attenzione di Atkinson è sempre rivolta all’approvvigionamento e alla tostatura del miglior caffè, costruendo relazioni a lungo termine con i produttori.

“Il nostro obiettivo principale è cercare di presentare i nostri caffè e tè e abbiamo anche un’ampia selezione di torte e pasticcini dalla nostra panetteria, oltre a panini e zuppe fatti in casa. Per questo motivo cerchiamo sempre di scegliere attrezzature per il caffè che ci consentano di produrre la migliore qualità e il caffè più consistente con la massima facilità ed efficienza. Cerchiamo anche di scegliere attrezzature che siano affidabili e di design! Abbiamo deciso di optare per l’Eagle One perché soddisfa tutte queste richieste!” – spiega Caspar.

“È anche sorprendente avere tutte queste caratteristiche e un basso consumo energetico; la maggior parte delle macchine multiboiler che garantiscono una temperatura di erogazione affidabile e potenza del vapore consumano molta energia! Grazie a innovazioni come le caldaie più piccolo e isolate, il sistema di recupero del calore e l’autopurge, Eagle One utilizza molta meno energia e offer qualità”.

Questa parte del castello non è stata vista a memoria d’uomo “e miriamo a dare a coloro che vengono qui un’esperienza indimenticabile”.

Latte art 3D, spopola in Giappone, Clemente: “Ma la crema è piena d’aria”

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Un'immagine di Totoro in latte art 3d (dal profilo di Kohei Matsuno)
Un'immagine di Totoro in latte art 3d (dal profilo di Kohei Matsuno)

MILANO – Si parlava di latte art 3D già nel 2017, quando in Giappone una speciale stampante aveva reso possibile la personalizzazione della crema sul caffè con le forme e i coloranti alimentari più incredibili. Un nuovo modo per attrarre la clientela, già molto ricettiva di fronte a rosette, animali e cuoricini sul proprio cappuccio: a che punto siamo arrivati oggi?

Latte art: dal Giappone si pensa alla tridimensione

Due nomi che si sono fatti notare tra gli altri su questa particolare tecnica, sono due artisti che si trovano a Tokyo: Kohei Matsuno e Runa Kato.

Dopo anni di allenamento ed esperimenti, il risultato delle tazze di Kato sono riconoscibili in tutto il mondo: una latte art 3D con cui si può praticamente interagire, senza rompere i personaggi tratti da anime e videogiochi che emergono dalle tazze, ricavati grazie all’utilizzo di una penna speciale – uno strumento sottilissimo di metallo, un paio di cucchiai e sciroppo di cioccolato per rifinire le linee e i dettagli -.

Kohei Matsuno è specializzato invece nei ritratti e nelle nature morte, come parte del collettivo Reissue di pittori e scultori di latte.

Ma invece di guardare sempre dall’altra parte del mondo per riflettere sulle novità, rivolgiamoci alla nostra attuale campionessa mondiale di latte art, Carmen Clemente

Alla quale abbiamo chiesto che cosa ne pensasse di questa evoluzione 3D.

“E’ qualcosa che abbiamo provato a fare già diversi anni fa, quando io e Manuela Fensore avevamo il nostro bar. Siamo nate come latte artist che lavoravano con la choco art e il painting e quindi abbiamo studiato su youtube i primi tentativi di latte art 3D.

Purtroppo sono tazze più che altro scenografiche ma non bevibili. E’ una bevanda che proporrei in un locale soltanto per fare scena, da mostrare come vetrina per i clienti un cappuccino in 3D. Ma non la servirei per gustarla.

Non è che non sono buoni, anche perché la base resta comunque di latte e caffè, ma la parte del disegno in 3D è tutta crema piena d’aria e sinceramente non so quanto bene possa fare di primo mattino.

Certo se propone un cappuccio 3D ad un bambino, potrebbe preferirlo un po’ un come gioco. Anche noi abbiamo provato a servire il latte bianco, ma colorato, ai più piccoli, seguendo lo stesso principio.”

Manuela Fensore si allinea:” Comunque bisogna sempre considerare che ci vuole del tempo per preparare un cappuccino del genere. Un barista che è dietro al banco e lavora in un bar che ha un bel ritmo, fa fatica a stare dietro a certe creazioni. Mentre la latte art più standard è molto più veloce se si conosce la giusta tecnica.

Quindi bello ma non buono e ci possiamo fidare delle parole di una campionessa di questa categoria. Perché se è vero che la latte art deve esser un piacere per gli occhi, bisogna comunque considerare la reale natura del cappuccino: col cuore sì, purché poi sia una gioia anche per il palato.

In Giappone faranno la fila per ammirare i cappuccini decorati in 3D, ma magari poi vanno altrove per bersene uno più standard.

La Latte art migliora anche la percezione del gusto oltre all’estetica: ecco lo studio e i consigli de Linkiesta

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latte art espresso udine
Un cappuccino a regola d'arte (immagine: pixabay)

Una ricerca pubblicata sul British Food Journal ha dimostrato che la decorazione artistica del cappuccino non è solo un vezzo estetico, bensì ne migliora anche la percezione del gusto. La Latte art è diventata una disciplina consolidata anche in Italia con Carmen Clemente, oro ai campionati del Mondo di latte art 2022 e Manuela Fensore, campionessa mondiale 2019, come punti di riferimento. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su Linkiesta.

L’importanza della Latte art

Lo guardiamo dietro il bancone e ci appare un po’ mago un po’ artista quando, ordinato un cappuccino, dopo pochi movimenti armoniosi il barista ci porge una tazza con un cuore o un fiore disegnato sulla schiuma, facendoci sentire un po’ speciali.

Ottenuta la corretta materia prima, su Youtube sono centinaia i video tutorial che insegnano ad abbozzare le varie tecniche della Latte art: quella più spettacolare e impegnativa del pouring (che consiste nel versare il latte nel caffè con gesto sicuro e una serie di movimenti che seguono determinati “punti” nella tazza) e quella più alla portata di tutti dell’etching, con la quale si disegna sulla schiuma tramite un apposito pennino.

Meglio acquistare quelle professionali (si trovano anche al supermercato), ideate per facilitare l’emulsione. Ormai ce ne sono delle origini più varie: pistacchio, canapa, sesamo e patata gli ultimi arrivi. Non resta che provarle per scoprire quale piace di più.

E per chi ha voglia di cimentarsi tra le mura domestiche, la buona notizia è che ora si può riprodurre questa capacità quasi soprannaturale del barista anche a casa. Realizzando quella schiumina, leggera come una nuvola e vellutata, grazie alla Steam Wand, il braccio metallico che esce dalla macchina disponibile nella Accademia Gaggia.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui.