lunedì 01 Dicembre 2025
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In Giappone il ristorante con i dipendenti affetti da demenza

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tokyo giappone nescafé
Tokyo (immagine: Pixabay)

La tiktoker Myhlee ha visitato il Giappone e tramite i video su TikTok ha parlato di un locale speciale situato a Tokyo: i camerieri sono solo pazienti affetti da demenza e, proprio per questo, qualche volta, dimenticano gli ordini o le varie comande. Il ristorante si chiama Café of mistaken orders, ovvero il Caffè degli ordini dimenticati. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Leggo.

Il Café of mistaken orders in Giappone

TOKYO – La tiktoker Myhlee ha visitato il Giappone e più precisamente Tokyo. Tramite i suoi video su TikTok ha raccontato ai suoi follower il suo viaggio emozionante e, in particolare, ha parlato di un locale molto speciale: i camerieri sono solo pazienti affetti da demenza e, proprio per questo, qualche volta, dimenticano gli ordini o le varie comande. Il ristorante si chiama Café of Mistaken Orders, ovvero, il Caffè degli ordini sbagliati.

Il video del Café of Mistaken Orders che Myhlee ha postato sul proprio profilo TikTok, è diventato virale in poco tempo e lo dimostrano le visualizzazioni che ammontano a quasi due milioni. La particolarità di questo locale è che i dipendenti di sala sono solo anziani affetti da demenza. Quindi, potrebbe capitare che un piatto non arrivi mai a destinazione, che una pietanza non ordinata sostituisca quella scelta dal cliente oppure che il nonnino torni più volte a chiedere quale sia l’ordine di cibo.

La tiktoker ha spiegato: “Questo è uno spazio sicuro in cui i pazienti affetti da demenza possono interagire con nuove persone e sentirsi utili, il che è importante per rallentare la demenza, che non ha cura. Spesso, si dimenticano gli ordini ma questo non infastidisce i clienti che, invece, li guardano con ammirazione”.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui.

Maurizio Giuli, Simonelli Group, parla al Trieste Coffee Experts: “La sostenibilità non può più attendere: passiamo dallo storytelling all’azione”

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maurizio giuli mercato
Maurizio Giuli

Riportiamo di seguito l’intervento integrale che Maurizio Giuli, executive for corporate strategy Simonelli Group, attuale vice presidente dell’Ucimac – l’associazione dei costruttori italiani delle macchine per l’espresso – ha tenuto al convegno Trieste Coffee Experts di Bazzara a Trieste. Tema centrale dell’analisi di Giuli, chiamata “Innovare per sostenere“, è la sostenibilità nella filiera del caffè. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.

L’analisi di Maurizio Giuli sulla sostenibilità presentata al Trieste Coffee Experts

TRIESTE – “La presente analisi è ricavata dalla relazione fatta al Trieste Coffee Experts organizzata da Bazzara. Il titolo assegnato a questa relazione è “Innovare per sostenere”. Sono due parole molto usate in questi ultimi anni, a volte persino abusate, per cui risulta difficile non cadere nella banalità. Tutti parlano di innovazione, ma ancora di più di sostenibilità.

Se pesassimo tutto quello che viene dichiarato in tema di sostenibilità e se questo valore corrispondesse alla realtà avremmo già un mondo pulito e con una buona equità sociale; non saremmo ancora nel mondo perfetto ma vicini.

Di fronte al tema sostenibilità avverto due generi di approccio: c’è chi lo vive in modo quasi ansioso come un problema e per questo si sente in obbligo di agire velocemente per tentare di contenere e chi invece assume un atteggiamento più distaccato e più conservativo, della serie, “tanto è un problema così grande e sproporzionato che qualsiasi cosa io faccia avrebbe poca rilevanza”.

Il messaggio implicito di sottofondo è: tanto vale che non faccia nulla. Sorvoliamo sui negazionisti che non meritano di essere considerati.

Secondo questo recente grafico di Visual Capitalist nel 2021 sono state emesse 34 miliardi e mezzo di tonnellate di CO2 e tre paesi da soli sono responsabili per oltre la metà di tutte le emissioni.

Noi italiani contribuiamo solo per lo 0,9% e quindi secondo la logica descritta sopra qualcuno potrebbe affermare che prima di noi dovrebbero iniziare i top tre”.

trieste giuli
(immagine concessa)

Giuli continua: “Stessa cosa se ci spostiamo dai paesi ai settori. Nel grafico sotto vediamo il contributo dei vari comparti dell’economia alle emissioni di carbonio. L’energia ed i trasporti la fanno da padroni e quindi ancora una volta saremmo tentati di ritenere che prima di agire noi della filiera del caffè, sono altri a doversi muovere.

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Il caffè è innanzitutto un prodotto agricolo ed il settore agricolo nel suo complesso è responsabile del 26% delle emissioni di CO2. Come mostrato dai due grafici sotto, il caffè è uno fra i prodotti agricoli a maggiore impatto ambientale.

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Secondo il whitepaper “Carbon and Coffee” di SCA il settore del caffè sarà responsabile dell’emissione da 1,65 a 3,3 gigatons di carbonio entro il 2050.

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Allora forse qualcosa dovremmo farla anche noi. Un mese e mezzo fa è uscita la notizia riportata sotto e capiamo che forse le cose non stanno proprio come ce le stiamo raccontando”.

Se non acceleriamo il passo ci vorranno 200 anni per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti sul cambiamento climatico e che delineano la condizione base per garantire un futuro alle prossime generazioni.

Giuli si spinge oltre: “La concentrazione atmosferica di anidride carbonica è ora di quasi 415 parti per milione (ppm), rispetto alle 280 ppm circa di prima della rivoluzione industriale. Di conseguenza, la Terra si sta riscaldando più velocemente.

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Anzi, la situazione sta continuando a peggiorare e il 2023 è già l’anno più caldo di sempre; siamo già oltre quel fatidico obiettivo del +1,5°C stabilito negli accordi di Parigi.

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Dal seguente grafico, ricavato da Copernicus, vediamo come si stanno muovendo le temperature nel corso dei mesi dell’anno”.

Giuli precisa: “Notiamo che fino al 1980 la situazione era abbastanza stabile, negli anni ’80 e ’90 abbiamo alternato temperature normali con temperature superiori alla media, ma dal 2000 si è innescata un’accelerazione che come è evidente dalla cromia dei vari mesi sembra inarrestabile.

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Il tema climatico è talmente pressante che lo stesso World Economic Forum nel report dello scorso gennaio parla di “Tomorrow’s Catastrophes” relativamente ai temi ambientali.

Le prime tre fra le principali sfide che le istituzioni economiche mondiali dovranno affrontare nei prossimi anni riguardano i temi climatici e ben sei fra i top dieci rischi sono afferibili al cambiamento climatico.

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La loro importanza è ancora più evidente nella mappa seguente, in cui i temi relativi “all’incapacità a mitigare gli effetti climatici”, “all’incapacità ad adattarsi ai cambiamenti climatici” e “agli effetti avversi del clima” sono tutti posizionati nel quadrante alto a destra, quello con maggiori effetti sia nel breve che nel lungo termine”.

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Giuli: “Che ci piaccia o no è tempo di agire seriamente. Mettiamo allora in sottofondo il chiasso comunicativo per andare a vedere come stanno davvero le cose.

Se vogliamo che il caffè diventi più sostenibile, dobbiamo innanzitutto capire come e dove vengono emessi i gas serra lungo le varie fasi del suo ciclo produttivo. Dobbiamo cioè avere una misura, perché altrimenti non riusciamo a valutare gli effetti delle nostre azioni e dei nostri sforzi.

Da un po’ di tempo abbiamo tutti iniziato a familiarizzare con il concetto del LCA (Life Cycle Analysi) che, per quanto imprecisa sia, è comunque la misura più proxy per valutare l’impatto ambientale di un prodotto o di un’azienda.

Il problema è che calcolare l’LCA è particolarmente complesso e lo è ancor di più quando si fa riferimento ai prodotti agricoli come evidenzia questo studio del 2017.

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Qualsiasi studio LCA si basa su delle assunzioni e delle stime che occorre conoscere per avere una corretta interpretazione dei dati, altrimenti si rischia di giungere a delle conclusioni fuorvianti.

Al fine di fornire un quadro quanto più esaustivo possibile dell’impronta generata da un kg di caffè o da una tazzina di caffè e di quali sono i principali fattori che la determinano vi riporto una rassegna dei principali studi pubblicati sull’LCA del caffè.

Partiamo da questo studio del 2006 di Coltro et al., molto citato in letteratura, in cui si cerca di quantificare i fattori che generano un impatto ambientale nella produzione di una tonnellata di caffè verde in Brasile.

In questa chart sono stati rapportati i valori relativi ad un chilogrammo di caffè per il quale vengono consumati 11,4 Kg di acqua, 0,09 Kg di gasolio, 0,9 Kg di fertilizzanti, 0,01 Kg di pesticidi e per produrre una tonnellata viene consumata una superficie di 0,05 ha.

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Nel 2009 uno studio condotto da S. Humbert, Y. Loerincik, V. Rossi, M. Margni, O. Jolliet, fa un confronto LCA fra il caffè solubile e altri sistemi di estrazione, in particolare caffè filtro e espresso in capsule, da cui emerge che il caffè solubile con sistema spay-dry (con un’impronta di 0,07 Kg CO2 eq) risulta essere quello meno impattante perché richiede minore energia e usa una minore quantità di caffè verde rispetto al caffè filtro e alla capsula”.

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Giuli continua: “Nel 2011 viene pubblicato un altro studio molto citato in letteratura, condotto da E. Brommer et al. che calcola il contributo in termini di impatto ambientale delle varie fasi della catena del caffè consumato in Germania da cui emerge che il 55,4% delle emissioni deriva dai processi di farming e di lavorazione, l’1,9% dallo shipment, il 6,6% dal roasting e packaging ed il 36% dal consumption e post-consumption.

In questo studio viene fatta anche una comparazione fra i diversi sistemi di estrazione da cui emerge che i meno impattanti sono il French Press e il Filter Drip machine, per poi salire con le Fully Automatic coffee, mentre il sistema con impronta maggiore è costituito dalla macchina a capsule.

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Nel 2012 esce un interessante studio sulle piantagioni in Costa Rica in cui si cerca di verificare l’impatto in termini assoluti e percentuali delle varie fasi della catena del caffè.

Secondo tale studio ogni chilogrammo di caffè consumato genera un’impronta ambientale pari a 4,98 Kg CO2-eq, di cui il 38% avviene nelle attività svolte nel paese di origine ed il 62% in quelle del paese di consumo.

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Nel 2014 uno studio giapponese realizzato da Hassard et al. fa un confronto della carbon footprint energetica fra diverse tipologie di bevande caffè, incluso il caffè in lattina, da cui emerge che una dose di espresso ha un impatto di 49g di CO2eq contro i 223g di una lattina”.

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Giuli spiega: “Se però si calcola l’impatto per ogni mL di bevanda la situazione si ribalta: l’impronta di un mL di espresso è pari a 1,62gr CO2-eq contro 1,17gr CO2-eq per lo stesso volume in lattina.

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Nel 2015 Quantis pubblica uno studio commissionato dal Packaging Consortium (Markhan, Ontario, Canada) in cui viene comparata la carbon footprint di una tazza di caffè filtro realizzato con il sistema single serve e di una tazza col sistema “bulk coffee brewing”.

Il risultato è che il sistema porzionato ha un minore impatto rispetto al drip coffee perché in questo caso viene previsto un doppio fattore scarto di caffè dovuto a: a) over-production nel senso che si prevede che il consumatore prepari normalmente più caffè del necessario per evitare carenze e b) problemi di freschezza, ovvero si suppone che il consumatore tenda a smaltire una certa quantità di caffè a causa della perdita di freschezza dei chicchi. Nel caso delle capsule queste due forme di spreco non sono contemplate.

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Nel 2017 un altro studio effettua un confronto fra tre diversi sistemi di caffè: il drip filter, il French Press e Pod style, da cui emerge che il sistema drip filter è quello con maggior impatto ambientale, mentre il french press risulta essere il sistema più virtuoso.

Il Pod coffee si posiziona fra i due. E’ interessante la conclusione riportata, ovvero che le due principali cause dell’impatto ambientale sono: la dose di caffè utilizzata e l’energia necessaria per estrarre il caffè.

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A settembre 2017 viene realizzata una pubblicazione da parte dello stato dell’Oregon ed in collaborazione con l’università del Michigan in cui vengono riportati i risultati di nove precedenti studi LCA tentando di fare una sintesi fra i vari sistemi di bevande.

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Da questo studio emerge che il caffè solubile è quello a minore impatto ambientale seguito a breve distanza dal caffè espresso soprattutto per la minore dose di caffè consumata e per il minor fabbisogno energetico.

I sistemi French press, one cup filter, il drip filter sono tutti più impattanti. C’è un salto di impatto nel caso del caffè in lattina e del latte (espresso + latte)”.

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Giuli chiarisce: “Nel 2019 viene pubblicato uno studio realizzato dal tailandese Phrommarat che intende quantificare gli indicatori dell’impatto ambientale relativi a tre diversi sistemi di estrazione: il Drip maker, il sistema Moka ed il Pour-over.

In tutti e tre i sistemi viene utilizzata la dose di 13,5g di caffè Arabica per ottenere una bevanda di 150 mL. Secondo tale studio il sistema più impattante risulta essere la moka soprattutto per un maggior fabbisogno energetico in fase di estrazione.

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A gennaio 2020 viene pubblicato un controverso studio realizzato da Tavares-Mourad che intende calcolare l’impatto ambientale di diversi sistemi di estrazione del caffè: in particolare il caffè espresso in un coffee shop che produce 2,7kg di caffè al giorno, l’aeropress, il french press, il V60, il caffè filtro, sia a casa che nel coffee shop, e due diversi tipi di capsula (Capsula 1 e 2).

Negli istogrammi e nella tabella sotto sono riportati i valori. Il sistema a Capsula 2 risulta essere il sistema più impattante con 35,63 gCO2eq, seguito dall’espresso, con 31,21gCO2eq e poi dalla capsula 1 sempre da espresso, con un impatto di 26,6 gCO2eq. Un lettore distratto, o semplicemente con scarse competenze tecniche sul caffè, sarebbe portato ad avvalorare questi dati e quindi a sostenere che l’impatto della capsula 1 (in alluminio lasciando intendere che è prodotta in Svizzera)[1], sia di gran lunga inferiore a quella di un espresso al bar (-15%).

Andando ad analizzare meglio la metodologia della ricerca si nota però che, dopo aver citato le indicazioni del libro Illy 1995 secondo cui per un espresso occorrono 6,5 gr più o meno 1.5 gr, nello studio per l’espresso sono stati considerati 12 gr di polvere di caffè, senza darne motivo (a parte un generico riferimento di visite ad alcuni coffee shops e bakeries nelle città di Campinas e São Paulo), contro i 5,1 gr della capsula 1. Ora vi chiedo quanti di voi fa un espresso con 12 gr per dose?”.

[1] The energy consumption for the capsule espresso coffee method of 1.8 MJ/cup of 100 mL in Switzerland (Humbert et al. 2009), which is similar to capsule 1 of this study (0.32 MJ/50 mL), is higher than the present study.

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Giuli nota: “La differenza nella dose la si riscontra anche a livello di Brix: il caffè espresso presenta un valore di 6,5 a fronte del 3,7 della Capsula 1 (in alluminio). Cioè in pratica si stanno confrontando bevande sostanzialmente diverse dal momento che nel caso dell’espresso non corrisponde alla normale prassi del mercato.

Dal momento che la quantità di polvere di caffè è uno dei principali fattori dell’impatto ambientale è chiaro che prevedere per l’espresso al bar l’uso di un quantitativo ben 2,3 volte superiore rispetto a quello della capsula 1 e comunque distante da ogni prassi può avere due significati: o c’è una profonda incompetenza da parte di chi ha condotto lo studio o semplicemente si è voluto dirottare la ricerca verso un determinato obiettivo. Lascio a voi fare le dovute considerazioni.

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Secondo uno studio italiano presentato ad un convegno scientifico nel febbraio 2020, una tazzina di caffè espresso al bar ha un impatto pari a 21,23 grCO2eq.

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Sempre nello stesso anno viene pubblicato un interessante studio inglese in cui vengono paragonati gli impatti di 1Kg di Arabica importato dal Brasile e dal Vietnam ottenuto sia con il sistema convenzionale e sia con un sistema eco-sostenibile”.

Da questo studio emerge che in media 1kg di caffè ha un impatto di 15,33Kg CO2, che secondo lo standard PAS 2050 (Publicly Available Specification) è ad intensità molto elevata, poiché ha un rapporto delle emissioni superiore a 5[2].

Secondo questo studio la differenza di impatto fra i due Paesi di origine è principalmente associata alla logistica per le diverse distanze; il caffè vietnamita ha un impatto più alto di quello brasiliano.

Giuli osserva: “L’aspetto forse più interessante di questa analisi è che applicando soluzioni sostenibili lungo tutta la filiera si può abbattere l’impatto anche del 77% passando da 15,33 Kg CO2eq a 3,51 Kg CO2eq per ogni chilogrammo di caffè Arabica.

[2]PAS 2050 classifica le emissioni superiori a 5 kg di CO2e Kg–1 come “intensità molto elevata”, mentre quelli compresi tra 0,1 e 1,0 kg di CO2e Kg–1 sono classificati come “di media intensità”

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Nel caso del caffè brasiliano si riuscirebbe a scendere da 14,61 Kg CO2eq a 3,37 Kg CO2eq, mentre nel caso del caffè vietnamita si passerebbe da 16,04 Kg CO2eq a 3,64 Kg CO2eq.

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Sempre nello stesso anno uno studio finlandese calcola l’impronta ambientale del caffè consumato in Finlandia sulla base delle varie origini.

Da esso emerge che il carbon footprint varia da 0,27 a 0,70 Kg CO2eq/per lt di caffè a seconda del paese d’origine e della produttività della piantagione.

A livello generale i processi di farming e processing sarebbero responsabili del 68% delle emissioni, seguiti dal brewing che incide per l’11% e dal trasporto, tostatura e packaging che nel complesso incidono per il 4%.

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Uno studio italiano realizzato da Cibelli e altri confronta la moka con il sistema a cialda e a capsula da cui emerge che la moka a induzione risulta essere il sistema meno impattante, seguito dalle capsule e dalle cialde.

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Sempre gli stessi autori nel 2021 hanno pubblicato un altro studio in cui si confronta l’impronta ambientale del consumo domestico di una tazza di caffè da 40mL ricavata con vari sistemi, fra cui moka tradizionale, moka a induzione, macchina da caffè espresso, sistema a cialda e sistema a capsula. Ancora una volta la moka ad induzione risulta la più ecologica, mentre l’espresso e la cialda ESE risultano essere i meno ecologici”.

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Giuli continua: “Nel gennaio 2023 viene data ampia copertura mediatica (fra cui Washinghton Post e BBC) ad uno studio condotto dall’Università del Quebec in Canada dal titolo le capsule sono più ecologiche del sistema filtro tradizionale. Questo studio prende a riferimento un classico caffè filtro da 280 mL realizzato con quattro diversi sistemi di estrazione: sistema tradizionale, French Press, Solubile e Capsula. Ancora una volta i dati sono a favore delle capsule. Da notare che anche in questo caso per il sistema filtro tradizionale vengono previsti 25gr in per 280 mL out di bevanda contro i 14gr per le capsule a parità di output.

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Arriviamo ai giorni nostri. Qualche settimana fa è stata pubblicata una ricerca dell’Università olandese di Wageningen finalizzata a calcolare gli impatti ambientali e la circolarità dei diversi materiali con cui si fabbricano le capsule di caffè monodose. Da essa emerge che, se si considerano sia la circolarità dei materiali sia le emissioni di gas serra per la produzione, le capsule compostabili rappresentano l’opzione più sostenibile.

La circolarità è stata quantificata con il MCI (Material Circularity Indicator), uno strumento sviluppato dalla Ellen MacArthur Foundation. Questo indicatore è fra i più completi disponibili: comprende tassi di riciclo, contenuto riciclato, resa del processo di riciclo, contenuto di origine biologica, riutilizzabilità e durata media della vita.

Il MCI delle capsule compostabili ha un valore del 100% (completamente circolare) laddove vengono realmente compostate, contro un valore del 60% per le capsule in alluminio se correttamente sottoposte a raccolta selettiva. Anche nel caso in cui le capsule siano prodotte utilizzando alluminio riciclato, un sistema chiuso di riciclo non è possibile raggiungerlo. Nel caso delle capsule in plastica i valori di circolarità sono ancora più bassi (inferiori al 50%)”.

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Giuli: “Cosa possiamo ricavare da questa lunga rassegna?”

“Innanzitutto emerge la grande difficoltà nel calcolare l’impronta ambientale del caffè. Tanti sono i fattori che condizionano i risultati e come è emerso a volte i vari studi giungono a conclusioni del tutto discordanti: lo stesso sistema di estrazione risulta il più virtuoso in alcune ricerche ed il più inquinante in altre. Tutto ciò rende difficile, se non impossibile, per un osservatore ricavare una sintesi attendibile della situazione. In questo contesto è anche facile orientare i risultati a seconda degli scopi, per cui occorre prestare molta attenzione alla metodologia utilizzata ed ai parametri presi a riferimento dallo studio più che ai valori finali.

Tutto ciò non deve però costituire un alibi per non agire e per non mettere in campo misure capaci di attenuare l’impatto ambientale.

Anche perché il caffè non è solo uno dei fattori che genera impatto ambientale, ma è soprattutto la prima vittima dei cambiamenti climatici: secondo diverse fonti il 70% delle attuali aree di coltivazione non saranno più tali entro il 2050 per le variazioni climatiche”.

Giuli sottolinea: “Nell’analisi di due anni fa sul futuro del mercato del caffè, emergeva in modo chiaro che c’erano buone prospettive sul fronte della domanda di caffè, mentre sul lato dell’offerta il quadro era più cupo per una serie di problematiche legate sia a ragioni socio-economiche dei farmers e sia a ragioni ambientali, in quanto l’attuale sistema di business non è in grado di reggere i ritmi di crescita del consumo del caffè a livello globale”.

C’è di più: “Dobbiamo quindi impegnarci seriamente se vogliamo garantirci un futuro e ciò richiede un grande sforzo di innovazione, perché la vera sfida è rendere compatibile l’obiettivo della sostenibilità con quello del business.

Secondo varie ricerche, anche recenti, allo stato attuale la maggior parte dei consumatori non sembra ancora pronta (nei fatti e non nelle dichiarazioni) a spendere di più per avere un prodotto più sostenibile. Compito delle aziende della filiera è quindi quello di cercare soluzioni capaci di conciliare i due aspetti.

Dalle ricerche esaminate emergono tre direttrici verso cui le aziende dovranno muoversi per abbattere l’impronta ambientale:

1) Efficientamento energetico: sviluppando e adottando soluzioni tecnologiche meno energivore lungo tutta la filiera, ma soprattutto in fase di consumo. Noi di Simonelli Group dal 2009 monitoriamo l’impatto LCA delle macchine per caffè espresso da cui emerge che i consumi energetici della fase d’uso rappresenta oltre il 98% della carbon footprint prodotta nel corso dell’intero ciclo di vita del prodotto in tutti gli scenari presi in considerazione (mix bevande di un coffee shop italiano e di un coffee shop internazionale a tre diversi livelli di intensità). Per chi fosse interessato ad avere maggiori dettagli sull’impronta ambientale dei nostri prodotti è possibile consultare il nostro report integrato di sostenibilità all’interno del quale abbiamo pubblicato tutti i valori.

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Se le nostre macchine più recenti garantiscono un risparmio energetico effettivo del 37% a parità di prestazioni è perché già nel 2007 avevamo avviato dei progetti di ricerca con l’Univ. Poitecnica delle Marche per trovare soluzioni di efficientamento della macchina da caffè, come è possibile notare da questa vecchia slide.

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Sempre sul fronte energetico da segnalare anche la diffusione delle bevande fredde, come il cold brew, che richiede minore energia e che sposa anche i gusti delle giovani generazioni.

2) Efficientamento dell’estrazione: un dato comune a tutte le ricerche riportate è il peso dell’impronta ambientale del caffè nelle fasi di coltivazione, raccolta e lavorazione, che in linea di massima è responsabile per circa il 50-60% dell’impronta di una tazzina di caffè. E’ chiaro quindi che abbassando la dose di macinato per produrre le stesse bevande attraverso un migliore efficientamento dell’estrazione si riduce l’impronta ambientale e si pongono anche i presupposti per sostenere i futuri ritmi di crescita della domanda. Capisco che questo tema potrebbe non piacere a chi fa business vendendo caffè, ma questa sarà una delle direzioni verso cui si muoverà la futura innovazione.

3) Coltivazioni più ecosostenibili: sul fronte agricolo l’intensivo uso di pesticidi e fertilizzanti costituisce il principale fattore di emissione. Incentivare e privilegiare colture più ecosostenibili e preferire in fase di acquisto caffè che rispettano i canoni socio-ambientali costituiscono la pre-condizione per avviare un percorso virtuoso che poi il marketing dovrà valorizzare adeguatamente per trasmetterlo al consumatore finale rendendolo partecipe di questo percorso.

Si deve tuttavia fare attenzione ad evitare qualsiasi azione che possa apparire di greenwashing o di cause-related marketing, perché produrrebbe l’effetto opposto sul consumatore, aumentando la sua diffidenza nei confronti dell’industria”.

Maurizio Giuli conclude: “In altri termini occorre spostare l’enfasi dallo storytelling allo storydoing”.

Referenze

  • Bessou, C., C. Basset-Mens, T. Tran and A. Benoist. 2013. LCA applied to perennial cropping systems: a review focused on the farm stage. The International Journal of Life Cycle Assessment 18(2): 340-361.
  • Brommer, E., B. Stratmann and D. Quack. 2011. Environmental impacts of different methods of coffee preparation. International Journal of Consumer Studies 35(2): 212-220.
  • Coltro, L., A. Mourad, P. Oliveira, J. Baddini and R. Kletecke. 2006. Environmental Profile of Brazilian Green Coffee. The International Journal of Life Cycle Assessment 11(1): 16-21.
  • Coltro, L., A. Mourad, P. d. Oliveira and J. Andrade. 2012. Regional differences of coffee cultivation in Brazil. Coffee Science 7(1): 31-41.
  • Hicks AL, Halvorsen H (2019) Environmental impact of evolving coffee technologies. Int J Life Cycle Assess 24:1396–1408
  • Hassard, H., M. Couch, T. Techa-Erawan and B. McLellan. 2014. Product carbon footprint and energy analysis of alternative coffee products in Japan. Journal of Cleaner Production 73: 310-321.
  • Humbert, S., Y. Loerincik, V. Rossi, M. Margni and O. Jolliet. 2009. Life cycle assessment of spray dried soluble coffee and comparison with alternatives (drip filter and capsule espresso). Journal of Cleaner Production 17(15): 1351-1358.
  • Lighart, T. N. and A. M. M. Ansems. 2007. Single use Cups or Reusable (coffee) Drinking Systems: An Environmental Comparison. TNO, 2006-AS-R0246(E)/B. Available from
  • https://www.tno.nl/media/2915/summary-research-drinking-systems.pdf.
  • Noponen, M. R., G. Edwards-Jones, J. P. Haggar, G. Soto, N. Attarzadeh and J. R. Healey. 2012. Greenhouse gas emissions in coffee grown with differing input levels under conventional and organic management. Agriculture, ecosystems & environment 151: 6-15.
  • Quantis. 2011. Comparative full life cycle assessment of B2C cup of espresso made using a packaging and distribution system from Nespresso Espresso and three generic products: Final Report. prepared for Nespresso. Available from:
  • https://nestle-nespresso.com/sites/site.prod.nestle-nespresso.com/files/Quantis%20-%20Comparative%20LCA%20Study%20on%20Four%20Capsules%20Systems%20-%20Executive%20Summary%202011.pdf
  • Quantis Canada. 2015. Life Cycle Assessment of coffee consumption: comparison of single-serve coffee and bulk coffee brewing: Final Report. prepared for PAC.
  • Salomone, R. 2003. Life cycle assessment applied to coffee production: investigating environmental impacts to aid decision making for improvements at company level. Food, Agriculture and Environment 1(2): 295-300.

Federica Parisi, Simonelli Group sul Coffee Value Assessment System: “L’unico modo per interiorizzarlo è fare pratica”

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Federica Parisi con le mani in pasta (foto concessa)
Federica Parisi con le mani in pasta (foto concessa)

MILANO – Federica Parisi, la Coffee and Beverages Community Director della nuova divisione di Simonelli Group, creata a inizio anno e formata da un gruppo di professionisti da tutta l’industria caffeicola (molti AST e Q Grader ma non solo), accomunati da talento e competenze. Focus generale: tutto ciò che riguarda la formazione per i clienti, la ricerca e l’innovazione.  Con lei abbiamo aggiunto un ulteriore tassello sul nuovo Coffee Value Assessment System presentato durante l’Educator Summit al Campus Simonelli Group.

“Sono innanzitutto una grande fan di questo cambiamento, perché penso che rappresenti l’innovazione più grande della coffee industry da oggi almeno per i prossimi 5 anni.

È proprio un cambio di mindset del settore, nella forma di un protocollo che diventa attuale rispetto all’esigenze reali del mercato. D’ora in avanti, la community potrà adottare un approccio differente che le permetta di avvicinarsi a più persone.

L’obiettivo di questi nuovi strumenti messi a disposizione dalla Specialty coffee Association, è quello di essere più comprensibili e di poter rispondere a più necessità.

A questo scopo, all’interno del Coffee Value Assessment è possibile usare una scheda piuttosto che un’altra a seconda dei bisogni che guidano l’assaggio o la scelta del caffè: un passo in avanti per esser in grado di comunicare anche con un cliente che di caffè non sa molto, in quanto dà valore a degli aspetti della materia prima che da sempre abbiamo considerato fondamentali come ad esempio la dolcezza, che tuttavia in precedenza non aveva una categoria specifica di riferimento.

Sono molto contenta di essere tra gli early adopter nonché tra i primi futuri trainer.”

Per diffondere il Coffee Value Assessment, la chiave è la formazione

“E proprio con questo obiettivo sono stati organizzati questi primi due giorni di formazione con 17 corsisti, seguiti da 3 trainer tra cui il coordinatore nazionale Davide Cobelli, Roukiat Delrue e Daimon Chen. È stato veramente bello, ed è stato strutturato in maniera il più chiara possibile. Abbiamo fatto molto pratica, sia in assaggio che nella compilazione.

Sin dall’inizio chi ha partecipato al corso aveva un approccio propositivo, seppur naturalmente portando con sé dei dubbi. Proprio per questo, la prima cosa che abbiamo fatto è stata elencare le perplessità, per poi smarcarle durante il corso.

Volevamo essere lì per imparare e capire come funzionasse questo nuovo protocollo e alla fine, anche i più dubbiosi con i loro nodi più difficili da sciogliere, sono finiti per trovare
risoluzione.

La scheda precedente ci obbliga ad essere iper multitasking durante l’assaggio e questo impedisce di concentrarsi al massimo su ogni singolo aspetto. Invece il nuovo Coffee Value Assessment è studiato apposta per fare un passo dopo l’altro, semplificando il lavoro.

Tra noi sensorist c’era già un po’ il desiderio di un cambiamento rispetto al cupping form proprio perché non risultava attuale. Il feedback è stato colto poi da SCA, che continua ad essere tutt’ora molto ricettiva, fornendo un form a cui si può accedere per condividere il proprio consiglio con l’Associazione.

È la prima volta che noi, all’interno di SCA possiamo contribuire davvero e fare la differenza.”

Come siete riusciti con il Campus Simonelli Group, ad essere stati scelti come i primi a lanciare il Coffee Value Assessment in tutto il mondo?

“Anche se non ho seguito personalmente l’organizzazione, posso darti il mio parere da dipendente Simonelli Group e dire che l’azienda crede tantissimo nella formazione, nell’innovazione e nell’essere parte del cambiamento della coffee industry. Da questa visione nasce lo stesso dipartimento di cui sono alla guida. Penso che tutto ciò sia stato riconosciuto da SCA.

Il Campus è stupendo ed è pensato proprio per essere un luogo in cui si condivide e si fa ricerca. Con un approccio open source.”

Com’è andata la partecipazione al summit?

“L’Educator summit è stato incredibile e aveva tra gli altri l’obiettivo di condividere il Coffee Value Assessment e la ricerca di Christopher Hendon sull’impatto elettrochimico del caffè e poi una parte dedicata alle soft skills dei trainer. L’incontro era aperto a tutti, non solo agli AST.

Al corso del C.V.A., erano tutti trainers tra AST, Q grader e cuppers: Dario Ciarlantini, Lauro Fioretti, Alessandro Galtieri, Davide Cobelli, Luca Ventriglia, Andrea Fagiana, Davide Spinelli, Marco Cremonese. La settimana prima dell’Educator Summit SCA Italy ha fatto in modo di poter coinvolgere tutti gli AST e arrivare preparati a queste giornate: il chapter ha infatti organizzato un webinar tenuto da Davide Cobelli e Andrea Matarangolo dedicato agli AST in cui spiegavano il Coffee Value Assessment. Sono state due ore
dedicate al far capire come funzionava questo protocollo.

Parliamo di un sistema nuovo che un po’ spaventa e per questo forse sono stati presenti meno professionisti del previsto. Inoltre, c’erano alcune persone interessate che però non hanno potuto partecipare perché in partenza per i mondiali di Taipei.
Penseremo con Lauro Fioretti di iniziare il percorso da trainer per continuare ad essere parte attiva e sostenere la coffee community.”

Qualcosa cambia per il consumatore?

“L’obiettivo è proprio arrivare a due interlocutori in particolare: ai consumatori e ai produttori. Questi ultimi oggi hanno meno strumenti a disposizione, mentre con queste schede di valutazione avranno più possibilità per raccontare meglio il loro prodotto. Lo stesso vale per il consumatore: usando un linguaggio più facile, meno da specialisti, arriverà meglio il caffè di qualità.

Con la scheda che sarà ultimata, quella estrinseca, tutti gli elementi che possono essere interessanti per il consumatore al fine di identificare la qualità, verranno comunicate e valutate: parliamo delle certificazioni, dell’impatto sociale e iniziative di promozione dell’emancipazione femminile, che sono tutte qualità che verranno condivise con il consumatore finale.

Anche la parte emozionale del lavoro dietro alla tazzina, spinge di più all’acquisto consapevole. E anche la descrizione sensoriale messa a disposizione del consumatore, sarà più semplice.”

Qual è la parte più rivoluzionaria e necessaria di questo Coffee Value Assessment?

“Il fatto che non è più una scheda d’assaggio, ma un sistema in cui posso scegliere e utilizzare ciò che mi serve. Ad esempio, per fare la valutazione del caffè verde, utilizzerò una determinata scheda. Per gli AST sensory interessati più al profilo aromatico e gustativo, ci si potrà concentrare solo su quella descrittiva.

È una scatola di strumenti: prima ne avevamo a disposizione solo uno. Nella fase descrittiva, nel precedente format potevamo usufruire di uno spazio libero con scritto note in cui scrivere tutto, mentre in quella attuale ci sono le macrocategorie, prendendo in riferimento la parte interna del flavor wheel.

Nella scheda invece affettiva, la cosa importante è dare un’impressione individuale della qualità secondo la propria esperienza di quel caffè. Cambia tutto, perché consiglia di specificare il motivo per cui si fa quell’assaggio.

Uno può essere:per fare training, oppure per dare il giusto suggerimento al cliente che ama caffè africani.”

Quindi in definitiva oggi che cos’è specialty coffee?

“Cambia proprio la definizione che si distanzia anche dal punteggio a cui siamo stati abituati. Lo specialty coffee è un caffè o una coffee experience riconosciuto per i suoi attributi. Il cambio di passo consiste nel dover riconoscere il suo valore all’interno del mercato. Tutti gli attributi devono essere misurabili (come l’intensità, la dolcezza, l’acidità, gli aromi e altri) con la scheda descrittiva.

Immaginiamo di dividere la proposta di caffè in tre settori: dove ci sono pochissimi attributi, si parla di commodity; poi esiste uno spazio intermedio per un caffè premium o gourmet; infine quello specialty, che ha tantissimi attributi di qualità. Più se ne riconoscono, più il valore è elevato e donerà un’esperienza completa. Questo è l’attribute continuum che i nostri trainer ci hanno sapientemente raccontato.

L’unico modo per interiorizzarlo è fare pratica. Nel mio team avevamo già provato a testarlo a partire da maggio. Ma le due giornate assistiti dai tre trainer preparatissimi, che ci hanno guidato nella compilazione, è stato utilissimo per approfondire le competenze.

È stato molto bello vivere questa esperienza come gruppo, perché ti rendi conto che si sta partecipando ad un movimento che porterà al cambiamento. C’è stata molta condivisione anche con gli altri colleghi internazionali.”

Best Coffee srl personalizza i sacchi da caffè per sensibilizzare contro la violenza sulle donne

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best coffee violenza
Uno dei sacchi di caffè come simbolo per sensibilizzare sulla violenza contro le donne (immagine concessa)

TARANTO – La violenza sulle donne è un problema sociale di portata globale che richiede una maggiore attenzione e sensibilizzazione da parte della società. In questo contesto, Best Coffee srl ci vuole mettere del suo personalizzando i sacchi che partono da varie origini con il simbolo “Stop violence against women”.

Best Coffee contro la violenza di genere

Best Coffee srl ritiene che affrontare la violenza sulle donne richiede un impegno collettivo da parte della società, delle istituzioni e delle organizzazioni non governative.

Solo attraverso una maggiore sensibilizzazione e una risposta globale coordinata possiamo combattere efficacemente questo problema sociale complesso.

Il sacco personalizzato (immagine concessa)

A partire dal sacco sino alla singola tazzina di caffè, una delle bevande più popolari in tutto il mondo, possiamo far si che se ne parli e tutto può diventare un simbolo potente per sensibilizzare su questo tema .

L’idea di utilizzare il sacco di caffè come simbolo nasce dalla storia di una donna colombiana che ha trovato rifugio in un’associazione locale dopo essere stata vittima di violenza domestica.

La nuova estetica del sacco (immagine concessa)

La donna, che aveva sempre lavorato nei campi di caffè, decise di portare con sé un sacco di caffè durante la sua fuga per sentirsi sicura.

Questa storia ha ispirato Best Coffee srl a utilizzare il sacco di caffè come strumento per sensibilizzare e supportare le vittime non facendole sentire sole.

Mercati: cosa c’è dietro i saliscendi delle borse

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mercati del caffè robusta futures Eudr arabica esportazioni Brasile export prezzi borsa Vietnam meteo
Il logo dell'Ice

MILANO – I mercati del caffè seguitano nel loro andamento erratico, che riflette il nervosismo degli operatori, a fronte di un mix di fragilità finanziaria e fondamentali incerti. A New York, la scadenza marzo, che continua a calamitare la maggior parte dell’attività è risalito ieri, martedì 5 dicembre, a 183,75 centesimi per libbra guadagnando 435 punti e compensando buona parte delle perdite subite a cavallo della settimana.

Il contratto era volato, giovedì 30 novembre, al massimo semestrale di 184,70 centesimi assestandosi lievemente al ribasso nella prima seduta di dicembre (-35 punti) e arretrando ulteriormente in quella di lunedì (-495 punti) chiudendo a 179,40 centesimi.

Pronta risalita anche per l’Ice Robusta: il contratto per scadenza gennaio ha chiuso ieri a 2.585 dollari, in ripresa di 39 dollari rispetto a lunedì, ma lontano dal massimo 2.611 dollari raggiunto, anche in questo caso, nell’ultima seduta di novembre.

Sul fronte dei fondamentali dei mercati permangono forti incertezze. I bollettini meteo, che arrivano dal Brasile, portano messaggi contradditori.

Nei giorni scorsi sembrava prevalere un quadro ottimistico, con la previsione di un regime delle piogge più regolare e di temperature più in linea con le medie stagionali.

Ma gli aggiornamenti di ieri hanno delineato scenari più incerti generando preoccupazione, con immediati riflessi sui mercati. Va poi aggiunta la situazione, sempre precaria, sul fronte delle scorte certificate, pari ad appena 229.341 sacchi.

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Il cacao del futuro? La carruba: ecco il progetto Freecao tutto made in Italy

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Da sinistra, Massimo Brochetta, Riccardo Bottiroli, Giuseppe d'Alessandro e Massimo Sabatini (foto concessa) freecao
Da sinistra, Massimo Brochetta, Riccardo Bottiroli, Giuseppe d'Alessandro e Massimo Sabatini (foto concessa)

MILANO – E se il cacao del futuro fosse quello senza cacao? Ci ha pensato Giuseppe D’Alessandro insieme a Massimo Sabatini, creando Freecao: alla vista sembra cioccolato, sa di cioccolato, ma dentro principalmente, c’è la carruba. Un risultato che è stato faticoso da raggiungere – e che ha da poco conseguito il premio Startcup puglia -, ma che ha un grosso potenziale per i prossimi sviluppi sul mercato.

Freecao nasce da un’esigenza condivisa

Racconta D’Alessandro: “Siamo 4 co founder, 8 in totale nel team. Il progetto nasce più o meno un anno fa, quando con Massimo Sabatini abbiamo condiviso un articolo che parlava del problema della sostenibilità del cacao: io lavoravo già nel settore, ma ignoravo questa criticità.

Trovare un’alternativa al cioccolato era un’opportunità importante sul mercato. Così abbiamo trovato gli altri due fondatori, Riccardo Bottiroli e Massimo Brochetta, che si occupano più che altro della ricerca e sviluppo del prodotto.

Da lì abbiamo capito che si poteva fare e tra dicembre-gennaio abbiamo fatto dei test, ottenendo i primi risultati.

L’unica cosa che è rimasta invariata è l’ingrediente principale, cioè la carruba, tutto il resto è cambiato: a partire dai grassi, che è stata la parte più difficile per ricreare la stessa struttura del cacao tradizionale.

Il sapore è identico a quello al cioccolato al latte, perché è il più venduto e conosciuto. Stiamo lavorando ora anche per un’alternativa per il fondente, per riprodurre le note di tostature e di amaro.”

Carruba made in italy: da dove arriva e come viene lavorata?

La carruba (foto concessa)

“Questo ingrediente principale è totalmente italiano: la carruba è presa dalla Sicilia e dalla Puglia – non molti lo sanno, ma l’Italia è al secondo posto nella produzione di questa materia prima -.

E tuttavia è molto sottovalutata: noi vogliamo un po’ farla scoprire.
Ha un sapore molto forte, ma attraverso vari processi riusciamo a renderla buona e gustosa come il cioccolato.

Stiamo lavorando con l’università di Puglia e di Bari per creare una filiera di questo prodotto che oggi è considerato quasi come uno scarto, come cibo per gli animali.

Lo abbiamo scelto quasi per caso: la carruba era chiamato dai miei nonni il “cacao dei poveri”. Siamo partiti da lì: il colore e la farinosità erano simili.

Le praline di Freecao (foto concessa)
Le praline di Freecao (foto concessa)

Il formato che oggi abbiamo realizzato è quello delle praline, perché sono più facili da condividere e far assaggiare in giro.

Ci piacerebbe poi fare la tavoletta e le creme spalmabili, che ovviamente sono un po’ più complesse da creare. Ma questo è il piano: diffondere Freecao in vari utilizzi. A pensarci, quanti prodotti contengono il cioccolato oggi? Noi vogliamo che Freecao diventi quasi un ingrediente da usare in cucina.”

Dove create Freecao?

“Il nostro laboratorio è attualmente a Milano, perché le opportunità di mercato e gli investimenti si trovavano qui. Per l’anno prossimo vorremmo aprire un primo impianto pilota produttivo a Bari.

In fase di lavorazione (foto concessa)

Partiamo dalla Carruba grezza e da lì tirar fuori un prodotto finito privo di allergeni che sia un semilavorato pronto per esser utilizzato in vari processi produttivi. Utilizziamo quasi per tutta la linea i macchinari impiegati oggi per la realizzazione del cioccolato. Così che un giorno possa entrare facilmente anche nelle aziende che già producono il cacao.”

Altre caratteristiche di Freecao

“Freecao ha un pilastro fondamentale: la sostenibilità. Oggi abbiamo ottenuto un prodotto che consuma il 90% dell’acqua in meno: per un chilo di cioccolato ci vogliono 24mila litri. Noi usiamo ingredienti selezionati che richiedono poca acqua.

Stesso discorso per la CO2: il cacao è il terzo prodotto per l’emissione di CO2 del mondo e noi abbiamo un impatto minore dell’80%. Produzione locale, con materie prime quanto più vicino a noi che non causano deforestazione come il cacao.

Completamente vegano: ripartendo da zero con la nostra alternativa lo abbiamo usato con la bevanda di avena: che è più sostenibile e ha un risultato migliore in termini di gusto, ed è anche senza glutine.”

Freecao dove si trova, quando lo si potrà acquistare e a che prezzo?

“Sul nostro sito online, una box online con 12 cioccolatini, tra i 15-20 euro e i panettoni. Sarà un punto di incontro con il consumatore per validare il prodotto e capire anche i risultati. Fin qua chi lo ha provato ha avuto reazioni molto positivi.

Abbiamo iniziato ad aprile circa, con più del 90% che non riconosceva la differenza. Vorremmo arrivare a produrre anche le uova di Pasqua.

Per i costi siamo più o meno sulla fascia del cacao di alto livello. Il nostro vantaggio produttivo è dato dall’utilizzo della carruba che ha un prezzo più basso del cacao, che solo nell’ultimo anno ha visto un incremento del 60%.”

Sca Italy propone la selezione per i regali di Natale a tema caffè per il 2023

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Il logo Sca Italy

MILANO – Che sia alle prime armi o già molto esperto in materia, il Natale potrebbe essere l’occasione perfetta per un regalo a tema caffè, che lega passione e utilità. Sono molte, infatti, le idee regalo da mettere sotto l’albero per gli amanti di questa bevanda, che spaziano tra diverse fasce di prezzo, e quindi adatte a tutte le tasche.

Ecco quindi una selezione direttamente da Sca Italy, l’associazione di categoria che si impegna a supportare tutta la filiera del caffè, creando una comunità globale, che mira, non solo a valorizzare il caffè di qualità e mantenere elevati standard, bensì a rendere la catena del valore più sostenibile, dal punto di vista ambientale e sociale.

La selezione di regali di Natale Sca Italy

Sca Italy oggi ingloba buona parte dei paesi produttori e consumatori del globo, ed è formata da oltre 10 mila soci nel mondo e trainer autorizzati che diffondono e difendono il valore del caffè.

I 6 regali di natale perfetti per gli amanti del caffè

1) Caffè in grani: in genere, acquistabile online direttamente dal sito della torrefazione, il caffè in grani è la scelta ideale per chi ama gustare un caffè appena macinato, sentirne gli aromi e apprezzarne le caratteristiche uniche. Il caffè in grani, infatti, preserva i sapori autentici delle migliori varietà di caffè e rappresenta quindi un regalo perfetto per chi è pronto a provare un gusto nuovo nel caffè di tutti i giorni.

2) Macinacaffè manuali: il macinacaffè è il regalo perfetto per un vero coffee lover. Può trasformarsi in un bellissimo oggetto di design, oltre alla sua funzione pratica, e la sua fascia di prezzo va dai 40 ai 300 euro circa, a seconda dello strumento che si sceglie e dell’uso che se ne intende fare.

In questo caso, infatti, il prezzo è sinonimo di qualità, e per chi è già avvezzo alla pratica è bene optare per un prodotto più completo, anche se non mancano sul mercato le versioni più economiche per chi si sta avvicinando a questo mondo.

Tra le caratteristiche a cui prestare attenzione in un prodotto di questo tipo ci sono sicuramente le macine, che devono essere di acciaio, di ceramica o di altri materiali di qualità per evitare la formazione di ruggine, i sentori metallici e l’usura nel tempo; possiamo aggiungere inoltre altri due aspetti apprezzabili quando si sceglie il prodotto: la facilità di regolazione della macinatura e quella dello smontaggio dei pezzi al fine di pulire correttamente il macinacaffè, elementi che ne denotano la qualità.

3) Moka: un superclassico sempre molto apprezzato è la moka, regalo intramontabile adatto a tutti. Anche in questo caso ne esistono moltissime versioni sul mercato e per ogni fascia di prezzo, ma per provare ad assaporare al meglio il caffè è necessario fare attenzione al filtro della moka: se ha i fori piccoli, trattiene meglio le polveri sottili di caffè che potrebbero rendere la moka amara. Un altro dettaglio a cui fare attenzione nel tempo è la pulizia, oltre all’integrità di tutte le parti usurabili della moka.

4) Accessori per caffè filtro: quando si parla di caffè filtro, ci si addentra nel mondo filtro & brewing, che valica quindi i confini dell’espresso. Proprio in questo mondo sono inclusi numerosi accessori, oltre che all’oggetto protagonista dell’estrazione, indispensabili per completare la preparazione della bevanda. Si tratta di filtri di tutti i tipi e forme, compatibili con i brewing tools, passando per le caraffe, le bilance e i bollitori per l’acqua con il caratteristico becco d’oca: questi accessori sono il regalo perfetto per chi naviga già da anni nel mondo del caffè e vuole consolidare sempre di più la sua conoscenza affinando la tecnica. Chemex, V60, Aeropress ma anche altri strumenti di estrazione più sperimentali sono sempre un ottimo regalo.

5) Caraffe per acqua filtranti: per realizzare un buon caffè occorre partire da una buona acqua. Per questo motivo è importante avere in casa una caraffa per acqua filtrante, e quale occasione se non proprio il natale per regalarne una? In questo caso il prezzo medio varia dai 20 agli 80 euro, è adatto ad ogni livello di expertise in materia e si può ovviamente riutilizzare anche per gli usi domestici dell’acqua, slegati dal mondo del caffè.

6) Un grembiule da barista: per sentirsi dei veri baristi, l’abito qui fa proprio il monaco! Di grande scena e soprattutto molto pratico e utile, il grembiule da barista è un regalo versatile e adatto a tutti, da sfoggiare con gli amici o semplicemente da soli in casa quando si macina il proprio caffè. (Qui, ad esempio, il grembiule firmato Sca Italy e tanti altri regali per il vero coffee lover).

Tetra Pak e Lactogal presentano la confezione asettica con barriera a base carta

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La nuova confezione (immagine concessa)

RUBIERA (Reggio Emilia) – Dopo il successo dei test commerciali condotti sui consumatori nel 2022, Tetra Pak e Lactogal annunciano il lancio di un cartone asettico per bevande con una barriera a base carta. Realizzato con circa l’80% di cartone, la nuova confezione aumenta il contenuto rinnovabile al 90% riducendo di un terzo l’impronta di carbonio (33%[1]), ed è stata certificata come Carbon Neutral da Carbon Trust[2].

Questo lancio fa parte di un processo di validazione tecnologica su larga scala, che comprende circa 25 milioni di confezioni attualmente disponibili a scaffale in Portogallo. Le emissioni di gas serra, gli sprechi alimentari e l’accumulo dei rifiuti di plastica rappresentano le sfide più urgenti che l’industria del food & beverage deve affrontare da qui ai prossimi cinque anni[3] nel percorso verso la sostenibilità ambientale.

Le soluzioni di packaging come la nuova confezione asettica presentata da Tetra Pak e Lactogal, che aumenta il contenuto di carta, abbassa le emissioni di carbonio e assicura un’ottima conservazione del cibo, aiutano tutta l’industria alimentare a superare queste sfide.

Nel 2015 Tetra Pak è stata la prima azienda nell’industria del food & beverage ad introdurre una confezione rinnovabile, realizzata con materiali di origine vegetale – cartone e plastica a base di canna da zucchero. Si tratta della confezione Tetra Rex Plant-based: adatta alla distribuzione nella catena del freddo, è completamente rinnovabile e l’azienda ha consegnato finora circa 6,5 miliardi di queste confezioni ai clienti di tutto il mondo.

Ora, con il lancio della confezione Tetra Brik Aseptic 200 Slim Leaf con la barriera a base carta, Tetra Pak fornisce insieme a Lactogal un packaging dal 90% di contenuto rinnovabile e che può essere distribuito a temperatura ambiente.

Questo consente a Tetra Pak di avvicinarsi ulteriormente al suo obiettivo di realizzare confezioni di cartone composte unicamente da fonti rinnovabili e materiali riciclabili e carbon neutral. Lo scopo dell’azienda è quello di rendere disponibile questo nuovo packaging su scala industriale entro il 2025.

José Capela, presidente di Lactogal, commenta: “La nostra collaborazione con Tetra Pak si basa sulla convinzione comune che un futuro più sostenibile sia possibile. Innovare insieme è una parte importante di questo obiettivo. Siamo entrambi concentrati su un’ambiziosa trasformazione sostenibile e la riduzione del 33% delle emissioni di gas serra[4] di questo nuovo cartone, insieme alla sua certificazione Carbon Neutral da parte del Carbon Trust, è un risultato significativo verso questo obiettivo.”

“La ‘paperization’ degli imballaggi è un tassello fondamentale nel percorso di ricerca di Tetra Pak di un’innovazione sostenibile.  Questa implementazione commerciale di una barriera a base di carta per sostituire il foglio di alluminio è la prima di una serie di innovazioni industriali che abbiamo in programma per raggiungere un’economia circolare a basse emissioni di carbonio”, commenta Laurence Mott, executive vice president development and technology Tetra Pak.

Così conclude Paolo Maggi, Presidente Tetra Pak South Europe: “Il lavoro congiunto con Lactogal dimostra che è possibile innovare in modo sostenibile garantendo la sicurezza alimentare e apre le porte di questa nuova soluzione anche per il mercato italiano. Il nuovo packaging asettico con barriera a base di carta è infatti la soluzione che i retailer stavano aspettando e risponde prontamente alle richieste che stanno facendo al settore in termini di sostenibilità ambientale “.

Nel 2022, insieme ai suoi partner industriali dell’Alliance for Beverage Cartons and the Environment (ACE), Tetra Pak ha adottato congiuntamente le linee guida Design for Recycling per i cartoni per bevande, che forniscono indicazioni tecniche per ottimizzare il riciclo di questo tipo di imballaggi.

Più recentemente, l’alleanza 4evergreen ha aggiunto le linee guida per la progettazione degli imballaggi per bevande al suo set di strumenti per la circolarità basati sulle fibre.

4evergreen è una piattaforma intersettoriale che mira a potenziare il contributo degli imballaggi a base di fibre in un’economia circolare e sostenibile, e vede Tetra Pak tra i suoi membri fondatori.

La linea guida aggiornata sulla circolarità della progettazione riguarda i tipi di imballaggi compositi a base di fibre (compresi i cartoni per bevande) e informa i progettisti sulla loro compatibilità con i processi di riciclaggio specializzati.

 Note

La scheda sintetica di Lactogal

Fondata nel 1996 in Portogallo, Lactogal è un’azienda leader nel settore lattiero-caseario, che opera per il benessere attraverso l’alimentazione. Impegnata nella sostenibilità, nelle persone e nel pianeta, l’azienda si concentra sulla continua ricerca e sull’innovazione, lungo l’intera catena del valore, per rispondere alle richieste e alle esigenze dei consumatori in termini di nutrizione e per ridurre l’impatto ambientale delle sue attività. Attualmente Lactogal ha 10 stabilimenti nella penisola iberica e più di 2300 dipendenti. Il portafoglio dell’azienda comprende diversi marchi: Mimosa, Agros, Matinal, Gresso, Vigor, Pleno, Castelões, Milhafre dos Açores, Primor, Serra Dourada, Castelinhos, Serra da Penha e Fresky.

La scheda sintetica di Tetra Pak

Tetra Pak è l’azienda leader mondiale nelle soluzioni per il trattamento e il confezionamento degli alimenti. Lavorando a stretto contatto con i nostri clienti e fornitori, offriamo prodotti sicuri, innovativi e a basso impatto ambientale, che ogni giorno soddisfano le esigenze di centinaia di milioni di persone in più di 160 paesi. Con oltre 23.000 dipendenti in tutto il mondo, crediamo nella leadership industriale responsabile e in un approccio sostenibile al business. Il nostro motto, “Protegge la bontà”, rispecchia il nostro impegno per rendere gli alimenti sicuri e disponibili, ovunque.

Maggiori informazioni su Tetra Pak sono disponibili qui.

References

[1] Certificato dal Carbon Trust – parametro di riferimento: Confezione in cartone Tetra Brik Aseptic 200 Slim Leaf con strato di alluminio.

[2] “Carbon neutral” significa che, dopo aver ridotto il più possibile le emissioni di CO2 convertendo i polimeri di origine fossile in polimeri di origine vegetale, le emissioni residue di CO2 associate alla produzione dell’imballaggio vengono compensate finanziando progetti climatici certificati Gold Standard in tutto il mondo.

[3] Ricerca B2B di Tetra Pak sulle sfide planetarie e il loro impatto sulle attività dei produttori F&B (2023).

[4] Certificato dal Carbon Trust – parametro di riferimento: Confezione in cartone Tetra Brik Aseptic 200 Slim Leaf con strato di alluminio.

illycaffè presenta il nuovo libro dello chef ambassador Massimo Bottura e di Lara Gilmore

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illycaffè libro
Il libro Slow Food, Fast Cars: Casa Maria Luigia - Storie e ricette (immagine cocnessa)

TRIESTE – illycaffè e L’Ippocampo Edizioni presentano Slow Food, Fast Cars: Casa Maria Luigia – Storie e Ricette, il nuovo libro dello chef ambassador Massimo Bottura e di Lara Gilmore. Inaugurata dallo chef e da sua moglie nel 2019, Casa Maria Luigia è stata trasformata in un’esperienza contemporanea e coinvolgente che vanta non solo ottimo cibo, ma anche oggetti d’arte e di design all’avanguardia, interni lussureggianti e una vastissima collezione di auto e moto.

In Slow Food, Fast Cars, gli autori Massimo Bottura e Lara Gilmore invitano i lettori a godere del cibo genuino, del design ricercato e dell’eccezionale ospitalità della guest house attraverso.

Con il contributo della Chef di Casa Maria Luigia, Jessica Rosval, il libro presenta una raccolta di 85 ricette realizzate quotidianamente nella guest house: da frittate e focacce a torte e dolci, marmellate, conserve, fino ad arrivare a una selezione di piatti a base di pesce, carne e verdure presentati attraverso l’accurata spiegazione della loro origine e dei loro ingredienti.

“Casa Maria Luigia è una casa e un albergo”, spiega Lara Gilmore. “Un luogo fatto per riflettere, dove godere dei libri, della musica e dell’arte. Un luogo per le passeggiate in giardino e per il buon cibo, in cui riposare senza sentirsi un estraneo, o dove andare e venire a piacimento. È la nostra versione di quell’Hotel California, in onore di Maria Luigia e Luigi Magelli. È un luogo tanto fantastico quanto reale, pieno di storie e di ricette, molte ancora da scrivere”.

“A Casa Maria Luigia esce fuori un altro lato di me”, commenta Massimo Bottura. “Qui posso parlare con le persone delle loro passioni, della loro vita, non solo di cucina. L’intimità delle stanze regala momenti privati, il giardino ispira un senso di libertà. Qui posso togliermi la giacca da chef ed essere semplicemente Massimo. Nella Stanza della Musica di Casa Maria Luigia posso riflettere su come la cucina, al pari della musica, non stia solo nella qualità degli ingredienti, ma anche in quella delle idee”.

Bottura continua: “Oggi cucino con tutto: l’arte, i vinili, il rombo di una moto, i ricordi della mia infanzia e il paesaggio che mi sta intorno. Lara e io abbiamo intrapreso l’avventura di Casa Maria Luigia per creare un luogo dove le idee di tutta una vita possano sbocciare e crescere”.

Slow Food, Fast Cars accoglie il lettore nell’incantevole paradiso dello Chef Bottura e di Lara Gilmore, dai lussureggianti giardini alla sala della musica con i suoi 7.000 dischi in vinile e condivide le creazioni culinarie servite nella guesthouse che per la prima volta ora potranno essere ricreate dai lettori a casa.

I valori fondamentali di innovazione, sostenibilità ed altissima qualità sono alla base della collaborazione tra illycaffè e Massimo Bottura, un legame nato a gennaio 2023 con l’entrata dello Chef all’interno del programma illy Chef Ambassador, rafforzato con il sostegno di illy a Food For Soul, che si consolida oggi ulteriormente grazie al supporto dell’azienda al tour globale di presentazione del libro, che dopo UK e Italia, proseguirà a dicembre 2023 e a inizio 2024 in varie città degli Stati Uniti.

Riguardo Massimo Bottura, Lara Gilmore e Jessica Rosval

Massimo Bottura è lo chef patron dell’Osteria Francescana, un ristorante tre stelle Michelin di fama mondiale con sede a Modena, in Italia, paese dove è cresciuto. Il suo ristorante è stato inserito nella lista dei “Best of the Best” della World’s 50 Best Restaurants.

Lara Gilmore è laureata in Belle Arti, ristoratrice, autrice ed albergatrice, ha conosciuto Massimo, suo marito, mentre lavorava a New York. Insieme hanno aperto l’Osteria Francescana nel 1995 e Casa Maria Luigia nel 2019. Jessica Rosval è una chef canadese che lavora nel settore della ristorazione dal 2001. Attualmente è capo chef di Casa Maria Luigia.

La scheda sintetica di illycaffè

illycaffè è un’azienda familiare italiana fondata a Trieste nel 1933, che da sempre si prefigge la missione di offrire il miglior caffè al mondo. Produce un unico blend 100% Arabica composto da 9 ingredienti diversi. L’azienda seleziona solo l’1% dei migliori chicchi di Arabica al mondo.

Ogni giorno vengono gustate 8 milioni di tazzine di caffè illy nei bar, ristoranti, alberghi, caffè monomarca, case e uffici di oltre 140 paesi, in cui l’azienda è presente attraverso filiali e distributori.

Fin dalla nascita illycaffè ha orientato le proprie strategie verso un modello di business sostenibile, impegno che ha rafforzato nel 2019 adottando lo status di Società Benefit e nel 2021 diventando la prima azienda italiana del caffè ad ottenere la certificazione internazionale B Corp. Dal 2013 illycaffè è inoltre una delle World Most Ethical Companies.

Tutto ciò che è ‘made in illy’ viene arricchito di bellezza e arte, a cominciare dal logo, disegnato da James Rosenquist, le illy Art Collection, le tazzine decorate da più di 125 artisti internazionali o le macchine da caffè disegnate da designer di fama internazionale.

Con l’obiettivo di diffonderne la cultura della qualità ai coltivatori, baristi e amanti del caffè, l’azienda ha sviluppato la sua Università del Caffè che ad oggi svolge corsi in 25 paesi del mondo.

Nel 2021 Rhône Capital è entrato nel capitale di illycaffè con una quota di minoranza per accompagnare l’azienda nella crescita internazionale. Nel 2022 illycaffè ha impiegato 1230 persone e ha generato un fatturato consolidato pari a €567,7 milioni. La rete monomarca illy conta 190 punti vendita in 34 Paesi.

La scheda sintetica de L’Ippocampo Edizioni

L’ippocampo Edizioni, fondata nel 2002 a Milano da Patrick Le Noel e Giuliana Bressan, è una casa editrice specializzata nella pubblicazione di libri illustrati di pregio per adulti e ragazzi.

Dalle prime pubblicazioni dedicate al viaggio, il catalogo si è poi ampliato toccando ambiti quali cucina, arte, moda, scienza e storia, distinguendosi sempre per la particolarità e la qualità delle opere nonché l’attenzione e la cura riservati anche ai più piccoli dettagli. Dello Chef Massimo Bottura, L’ippocampo Edizioni ha pubblicato “Vieni in Italia con me” (2014), “Il pane è oro” (2017) e “Slow Food, Fast Cars. Casa Maria Luigia – Storie e ricette” (2023).

Milano: rincari in arrivo per i dehors tra il 30% e il 50% dal 2025

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Il settore del bar e della ristorazione (immagine: pixabay)

L’aumento previsto per i dehors a Milano si aggira tra il 20% e il 40%, cifra destinata a salire tra il 30% e il 40% dal 2025 secondo gli esperti. Esenti dagli aumenti solo le edicole, i mercati e i traslochi. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Federica Venni per il quotidiano La Repubblica e riportato sul portale Microsoft Start.

I rincari in arrivo a Milano per i dehors

MILANO – Dal primo gennaio 2024, i pubblici esercizi che hanno uno spazio esterno sul marciapiedi o in strada pagheranno di più per l’occupazione del suolo pubblico. Non tutti, ma una buona parte sì: l’aumento oscilla tra il 20% e il 40%. Forbice che salirà tra il 30% e il 50% a partire dal 2025. Ad essere più colpiti sono bar e ristoranti delle zone centrali della città o di quelle più prestigiose, mentre quelli affacciati in alcune periferie beneficiano di una riduzione. Sono invece esenti da aumenti le edicole, i mercati e i traslochi.

Facciamo qualche esempio: un locale di 50 metri quadrati con altrettanti di spazio esterno, che sborsa 70.800 euro l’anno di affitto per stare nel centro storico, oggi versa 10.624 euro di suolo pubblico, nel 2024 ne darà 15.434.

Le stesse metrature in Sant’Ambrogio passano da 6.979 euro di tassa sul plateatico a 10.959. In corso Buenos Aires si va da 7.604 a 8.341, mentre intorno al parco Lambro 4.479 euro diventano 4.014, con una leggera diminuzione.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui