giovedì 27 Novembre 2025
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Fipe e Afidop: arrivano le linee guida per valorizzare Dop e Igp nei ristoranti italiani

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Fipe e Afidop al Cibus di Parma (immagine concessa)

PARMA – Puntare sui ristoranti per valorizzare e tutelare le eccellenze casearie del nostro Paese, fornendo a ristoratori e chef uno strumento che aiuti a raccontare questa ricchezza ai consumatori, italiani e no. Da questa consapevolezza nasce il patto tra Afidop – Associazione formaggi italiani Dop e Igp e Fipe–Confcommercio, Federazione italiana pubblici esercizi, che hanno annunciato l’intesa per promuovere, in Italia e all’estero, due settori strategici del made in Italy: i formaggi certificati, primo comparto del cibo DOP italiano, con un valore al consumo di 8,6 miliardi di euro, e la Ristorazione che, con i suoi 92 miliardi di euro di consumi, è un punto di riferimento fondamentale delle produzioni agroalimentari di qualità.

Nel palcoscenico di Cibus, il salone dedicato alle eccellenze del food italiano, Afidop e Fipe hanno siglato un Protocollo d’Intesa e hanno lanciato le prime Linee Guida destinate alla ristorazione per garantire una maggiore tutela e valorizzazione dei prodotti caseari certificati nei ristoranti.

Uno studio promosso da Afidop e realizzato da GriffeShield su oltre 20mila ristoranti italiani rivela che l’intesa tra Afidop e Fipe arriva al momento giusto: oggi i formaggi DOP sono di casa in un ristorante italiano su 4, ma solo uno su 10 li valorizza, riportandone la corretta denominazione nel menu.

Le Linee Guida Afidop-Fipe hanno l’obiettivo di contrastare questa tendenza. Si tratta diun autentico vademecum pensato per i ristoratori al fine di valorizzare i formaggi DOP e IGP: per ognuno dei 21 formaggi attualmente certificati (e altri ne potrebbero arrivare in futuro) vengono indicate la corretta denominazione nei menu, la descrizione delle loro caratteristiche e le indicazioni sulle modalità di conservazione. Saranno presenti anche consigli sulla mise en placee sul mantenimento delle proprietà organolettiche.

Uno strumento chiave per la ristorazione italiana, che punta sull’esperienza degli addetti ai lavori per educare correttamente il consumatore, in Italia, ma anche all’estero, dove i formaggi sono il prodotto italiano più utilizzato nei ristoranti (94,7%) dopo il vino per la preparazione dei piatti della cucina italiana (seguono poi a pari merito olio e pasta e infine i salumi)

Per il Presidente di Afidop Antonio Auricchio: “Grazie alla sinergia AFIDOP-FIPE e alle Linee Guida sviluppate, sarà possibile sensibilizzare i professionisti del settore, ristoratori e chef, sull’importanza di scegliere e utilizzare i formaggi DOP e IGP, di seguire precise modalità di conservazione per permettere ai consumatori di gustarli al meglio e di valorizzarli correttamente all’interno dei menu, contrastando così anche il problema della contraffazione e permettendo a questi autentici ambasciatori della tradizione casearia italiana di essere legittimamente riconosciuti. Valorizzare i formaggi DOP e IGP nella ristorazione significa garantire ai consumatori la possibilità di apprezzare anche fuori casa prodotti unici e di alta qualità, frutto di secolari tradizioni.”

Per Aldo Mario Cursano, vice presidente vicario Fipe-Confcommercio: “Con i suoi 92 miliardi di euro di consumi, la ristorazione è un punto di riferimento per le filiere agroalimentari del nostro Paese. Valorizzare le produzioni certificate nei menù permette a un comparto così importante dell’economia di promuovere e diffondere una cultura in grado di esaltare l’unicità e l’altissima qualità del patrimonio agroalimentare italiano”.

Aldo Mario Cursano continua: “I pubblici esercizi, dai bar ai ristoranti, passando per le pizzerie e le osterie, svolgono da sempre il ruolo di porta d’accesso alla cultura, alle tradizioni e ai valori dell’Italia nel mondo e rappresentano un veicolo estremamente importante per la valorizzazione dei prodotti Made in Italy. Con le Linee Guida non solo daremo ai titolari di Pubblici Esercizi gli strumenti idonei per dotarsi di prodotti di alta qualità, ma anche ai consumatori la certezza di consumare cibo eccellente e di provenienza certificata”.

Le Linee Guida arrivano in un momento propizio per i consumi fuori casa (+7% a valore nel 2023), con la ristorazione tornata finalmente sopra i livelli pre-Covid (+3,9%), ma anche per i formaggi certificati. I 55 formaggi a denominazione DOP e IGP italiani, infatti, a fronte di 590mila tonnellate prodotte nel 2023, arrivano a un fatturato alla produzione che va ormai ben oltre i 5 miliardi di euro, pari a quasiun terzo del valore totale alla produzione dei prodotti lattiero-caseari italiani. Corre anche l’export: i formaggi DOP-IGP rappresentano ormai stabilmente quasi il 60% del fatturato export dei formaggi nazionali, per un valore stimato che sfiora i 3 miliardi di euro (+11%). E il 2024 si apre con dati in crescita: a gennaio sono soprattutto Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+25% in volume) a fare da traino; bene anche il Gorgonzola (+7%), il Pecorino Romano (+4%), i duri DOP grattugiati (+16%).

un accordo per contrastare l’italian sounding (che colpisce i formaggi e la ristorazione)

Il Protocollo d’Intesa Afidop-Fipe punta anche a contrastare il falso Made in Italy dell’italian sounding, che genera un giro d’affari stimato in oltre 90 miliardi di euro  (dati Ismea-MASAF).

I formaggi certificati sono, da sempre, tra le vittime preferite di questo fenomeno, che tocca anche il fuori casa. Secondo le stime Fipe, nel mondo esistono circa 600mila ristoranti che si autodefiniscono italiani. Di questi soltanto 2.218 lo sono davvero. All’estero, esistono esercizi commerciali (ristoranti, bar, pasticcerie) che offrono servizi, hanno layout, possiedono gli stessi loghi e presentano la stessa offerta di quelli presenti nelle metropoli del nostro Paese. Almeno sulla carta.

In realtà, i menù di questi pseudo “Italian restaurant” non hanno nulla a che vedere con quelli che pretendono di imitare, senza conoscerne la qualità. Secondo un’indagine del Centro Studi Fipe del 2021 rivolta ai ristoranti certificati italiani all’estero, è emerso che nei loro Paesi, il 94% degli intervistati rileva nei competitor non certificati contraffazione dei prodotti, l’89% vede contraffazione nelle ricette, non conformi a quelle autentiche, mentre il 60% trova ristoranti falsi italiani e il 43% ha dubbi sull’origine dei prodotti.

Il virus del cacao in Africa: vaccino e matematica per salvare gli alberi

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Le fave di cacao (Pixabay licensed)
Un virus in Ghana e in altri Paesi nell’Africa occidentale stanno minacciando la salute delle pianti di cacao. La malattia è nota come cacao swollen shoot virus e l’infezione con i ceppi più virulenti può causare una perdita di resa che va dal 15 al 50%. A suggerire una soluzione al problema è la matematica: un gruppo di ricercatori ha proposto un modello che aiuti i coltivatori a calcolare la distanza di sicurezza per la semina delle piante.
Un’altra strategia messa in campo per ridurre la diffusione del CSSV è quella di “vaccinare” le piante infettandole volontariamente con i ceppi meno pericolosi del virus. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Sara Carmignani per La Repubblica.

Le soluzioni contro il virus del cacao

MILANO – C’è un virus che si sta rapidamente diffondendo in Ghana e in altri paesi dell’Africa occidentale, dove sta mettendo in serio pericolo la salute delle piante di cacao e, di conseguenza, la produzione di cioccolato.

È noto come cacao swollen shoot virus (CSSV, virus dei germogli di cacao ingrossati) e la malattia che causa è considerata come la più dannosa fra le patologie virali che possono colpire la pianta del cacao: si stima infatti che l’infezione con i ceppi più virulenti possa causare una perdita di resa che va dal 15 al 50%.

Negli anni passati, anche a seguito di alcune delle strategie messe in campo per limitarne la diffusione, il Ghana ha perso diversi milioni di alberi di cacao. Forse, però, un rimedio più efficace rispetto a quello di tagliare le piante infette c’è, e a suggerirlo è la matematica: un gruppo di ricercatori ha infatti proposto un modello matematico che aiuti i coltivatori a calcolare la “distanza di sicurezza” per la semina delle piante, affinché i parassiti che trasmettono il virus non si diffondano da una all’altra. I dettagli dello studio sono stati pubblicati su PLOS ONE.

La malattia causata dal CSSV è stata identificata per la prima volta in Ghana nel 1936 e la sua origine virale è stata confermata pochi anni dopo, nel 1939. Il vettore del virus è costituito da un certo tipo di insetti, noti come cocciniglie, che si ciba della pianta del cacao.

“Questo virus è una vera minaccia per l’approvvigionamento globale di cioccolato”, racconta Benito Chen-Charpentier, docente di matematica presso l’Università del Texas di Arlington (Stati Uniti) e co-autore dello studio. Circa il 50% della produzione globale di cacao proviene infatti dalle piantagioni di paesi dell’Africa occidentale come la Costa d’Avorio e il Ghana.

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Pào Pào Kombucha, soluzione in lattina per gli aperitivi non alcolici a base di tè fermentato

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Luisa e Antonio, fondatori di Pao Pao Kombucha (foto concessa)

MILANO – Antonio Iemolo e Luisa Hu sono i due fondatori di Pào Pào Kombucha, che nasce dall’hobby della produzione di birra in casa di lui e della passione per il tè di lei: “Non vedevamo grandi alternative sul mercato – racconta Luisa – ed io stessa sono astemia e intollerante all’alcol” cosa che spesso la costringeva a ritrovarsi da sola per l’aperitivo “Quando chiedo qualcosa di analcolico, i cocktail non sono mai soddisfacenti“.

Pào Pào Kombucha nasce dopo un anno di studio

Continua Antonio: “Quando abbiamo aperto la nostra attività volevamo cambiare vita e mettere in lattina il nostro prodotto per venderlo. A dicembre 2021 avevamo già affittato il nostro laboratorio con le attrezzature necessarie per procedere. Sentivamo che era il momento giusto: è un’alternativa che nel resto del mondo esiste già e funziona bene, mentre in Italia ancora non è molto conosciuto.”

Luisa aggiunge: “Quando mi ha proposto di avviare Pào Pào Kombucha ho risposto di sì perché ne vedevo io stessa i benefici sul mio corpo: mi trovavo in un periodo in cui non stavo molto bene, ma bevendo il nostro prodotto mi sentivo meglio, a partire dallo stomaco. Così ci siam detti: dobbiamo farne in grandi quantità.”

Ed ecco che si allestisce il laboratorio

“In diversi fermentatori infondiamo a freddo tre tipi di tè, non scaldiamo e non raffreddiamo il nostro infuso, risparmiamo su acqua ed energia elettrica e al contempo non estraiamo tannini e sostanze astringenti del tè.

Ci prendiamo cura ciclicamente delle colture di batteri e lieviti e le nutriamo come una cosa sacra. Con la stagionalità, queste cambiano e si sviluppano diversamente, anche se poi il sapore muta impercettibilmente. “

Ma facciamo un passo indietro: cosa intendiamo quando parliamo di Kombucha?

“Il Kombucha per come è inteso all’origine, è una sorta di aceto che noi però raccogliamo nel momento ideale prima che diventi troppo acido: misuriamo l’alcol, il ph, il grado zuccherino e tutto ciò che serve per vedere che la fermentazione stia andando bene, lo scoby – cellulosa batterica che si forma sulla superficie – ci mostra come una mappa se si stanno sviluppando le giuste colture di microorganismi all’interno e la loro salute.

Abbiamo provato parecchi tè per confrontare tutti i diversi aromi e sfumature. Ovviamente il tè nero in foglia è essenziale, anche se si possono utilizzare tutti i tipi di tè, dall’affumicato Lapsang al delicato tè bianco o verde.

Insomma, potenzialmente si può fermentare qualsiasi tipo di erbe, tisane, spezie e anche caffè, materia prima che stiamo studiando per una nuova ricetta con un partner. Sono un paio d’anni che cerchiamo di trovare l’equilibrio giusto per il perfetto kombucha al caffè, dalle diverse origini, alla tostatura e alla macinatura perfetta. “

Da chi vi rifornite per i vostri tè?

“Da La Via del Tè compriamo ciò che ci serve per la produzione in lattina. Poi importiamo direttamente dalla Cina anche dei tè che si prestano meglio per le nostre ricette più pregiate e per quelle in bottiglia.

Usiamo per lo più il tè nero e l’Oolong: quest’ultimo è semi ossidato e vengono raccolte due foglie alla volta, poi arrostite e per questo dà note tostate e caratterizzanti. Vogliamo far sì che nel kombucha sia valorizzato il tè: le aromatizzazioni arrivano da erbe e spezie ma non frutta fresca, perché non vogliamo inquinare le colture madri con altri organismi esterni.

Abbiamo tante proposte: lavanda e camomilla, lemon grass e zenzero, alloro e pepe rosa, persino clementine nere ossidate realizzate in collaborazione con Kekoji, mentre con l’Associazione Fermenta, che gestisce alcuni orti comunali a Milano, abbiamo creato con un processo partecipato della comunità di parco nord il gusto sambuco e menta.”

Elisa col progetto Fermenta per gli orti comunali

Come produrre kombucha, la bevanda di tè fermentato e come poi metterla in lattina? Ci sono dei problemi dal punto di vista della shelf life e dell’abbattimento della carica batterica? Come li avete superati?

“Non pastorizziamo e non filtriamo, il prodotto resta vivo. Ci sono zuccheri residui, per quanto siano pochi e se non viene conservato correttamente in frigorifero, c’è il rischio che le lattine esplodano.

Diamo una shelf life in frigorifero di 6 mesi per garantire la freschezza del prodotto e facendo batch piccoli continuativi riusciamo ad offrire un prodotto sempre fresco che viene consumato velocemente. Il formato è da 33 cl – nel resto del mondo ci sono anche formati familiari, da un litro, in America e in Spagna -.

Le lattine di Kombucha (foto concessa)

Stiamo lavorando per divulgare meglio come conservare e come consumare questa bevanda come accade negli altri Paesi. I riscontri fin qui sono andati bene: ho portato dei campioni nei locali ed è piaciuto. Si vende da solo: è possibile trovarlo nei locali partner ad un prezzo che va dai 4€ ai 6€.

Naturalmente il kombucha viene prodotto in maniera artigianale e ogni azienda da la propria impronta per questo i kombucha possono essere molto diversi tra di loro. Questo aumenta il rischio per le persone di avere dei pregiudizi o aspettative nate da qualcosa che si è assaggiato in precedenza. Noi assaggiamo tutti i vari kombucha che troviamo ed altri prodotti pastorizzati e microfiltrati, che in teoria non si potrebbero neppure definire kombucha.

Infatti esiste un disciplinare americano (KBI Code of Practice) che ha stabilito dei parametri, per cui il pastorizzato e microfiltrato non può esser considerato kombucha autentico o per lo meno dev’essere indicato in etichetta il trattamento utilizzato, in modo che il cliente finale sia consapevole del prodotto che acquista.“

Quindi come vi misurate con la concorrenza?

“Parliamo di un mercato molto sviluppato all’estero, pensiamo che soltanto in Spagna è cresciuto da 3.1 milioni complessivi nel 2020 a 21.1 milioni nel 2022. E siamo certi che arriveranno tanti nuovi kombuchai italiani nei prossimi anni.

La pressione per noi si gioca sul prodotto: se qualcuno realizzasse un kombucha confezionato migliore del nostro, ci spingerebbe soltanto a fare di meglio. La competizione vera e propria per noi si misura in laboratorio. E attualmente ci sono già dei produttori molto bravi in Italia. “

Come producete il vostro kombucha?

Il 70% del lavoro per produrre il kombucha consiste nel pulire e igienizzare: la sua creazione è in effetti proporzionata alla pulizia. Un laboratorio sporco renderebbe impossibile la formazione delle colture perfette perché contaminerebbe il tè ad ogni batch.

“Lo facciamo fermentare un mese, anche se può variare dalla dimensione del batch (il nostro è da 300 litri alla volta, a rotazione). Poi a seconda del vaso e dalla forza della coltura, si possono impiegare anche dai 7 ai 15 giorni. Ne osserviamo lo sviluppo quotidianamente, mentre i parametri una volta alla settimana.

Dopo la prima fermentazione lo trasferiamo in keg d’acciaio in cui facciamo aromatizzazione e carbonazione forzata di Co2 e spilliamo nella lattina, chiudendo il tutto con un macchinario semplice che teniamo revisionato, misurandone la calibrazione per sigillare al meglio.

Infine, le lattine vengono sistemate nei six pack di fibra di canna da zucchero e bamboo ecologico e compostabile per le spedizioni.

Una nota importante riguarda il design e l’aspetto grafico delle lattine, per questo dobbiamo ringraziare la collaborazione con Ehsan Mehrbakhsh, illustratore e tatuatore di Milano che fa un grande lavoro per il design del nostro prodotto rendendolo pazzo, simbolico e psichedelico.”

Dove possiamo trovare il vostro Kombucha?

“Spediamo direttamente ai privati e ai negozi che lo richiedono in tutta Italia, mentre consegno direttamente io a Milano. Si può trovare in caffetterie specialty, ristoranti vegani e non, cocktail bar e pub.

Lavoriamo molto bene con le caffetterie e i pub, che sono i nostri migliori clienti. Il kombucha si presta bene alla colazione per chi non beve caffè, ma anche alla sera, per chi non consuma birra e cerca un’alternativa decente alle solite bibite gasate e piene di zuccheri.”

Perché avete scelto proprio questo formato?

“La lattina è leggera, è riciclabile all’infinito perché è d’alluminio, può essere stoccata meglio di una bottiglia e si raffredda più velocemente.

Facciamo anche delle bottiglie di kombucha leggermente alcolico, da 2 gradi e mezzo, per dare un’alternativa ad un vino naturale. La lattina poi si presta ai pub, mentre la bottiglia può essere adatta anche per i locali più ricercati.

Per questo formato usiamo tè bianco al gelsomino, perché sostiene bene la punta d’alcol presente nella ricetta. Lo facciamo fermentare in vetro e non in acciaio e poi ancora rifermentare in bottiglia per un altro mese senza anidride carbonica aggiunta. È un prodotto concepito diversamente.”

Luisa spiega ancora: “Da intollerante, posso dire che si sente poco la presenza dell’alcol. Percepisco la differenza rispetto all’impatto di un altro alcolico.”

Prossime evoluzioni per Pào Pào Kombucha?

“Abbiamo tanti gusti ma vogliamo sempre sperimentare in laboratorio e portare avanti questa ricerca con costanza, magari costruendo un sito e-commerce da cui ordinare direttamente.

Non abbiamo obiettivi particolari: procediamo passo dopo passo, per fare le cose bene, anche perché non ci sono ostacoli per la crescita in Italia: lo spazio è talmente vuoto che c’è soltanto da espandersi. Sono sicuramente più coraggiosi nel settore caffè specialty perché abbiamo una tradizione che è difficile da abbattere: con il kombucha invece si parte da zero.

Con sorpresa poi abbiamo notato che gli anziani sono un target molto ricettivo: questo perché abbiamo scoperto che c’era già stata una piccola ondata di kombucha negli anni ‘50 che poi però si era arrestata, ma aveva già incuriosito le vecchie generazioni.

In generale comunque l’età di mezzo si avvicina al kombucha perché vuole ridurre il consumo di alcol.

Mentre la gen x e alfa, è molto più informata e conoscono già il prodotto, che si sposa bene con la tendenza verso un’alimentazione più consapevole.

Persino i bambini lo adorano: il kombucha è divertente da bere, con la sua componente acetica che solletica la lingua e resta dolcina. Al primo sorso lascia stupiti e i bambini ne rimangono conquistati. Il consiglio è di berne poco, perché contiene tracce di alcol (meno di mezzo grado alcolico).

Per quanto riguarda il contenuto di caffeina con la fermentazione scende ad un terzo di quello che troveremmo nello stesso tè prodotto in tazza, in particolare l’estrazione a freddo e l’utilizzo di tè oolong tostato lo rendono povero di caffeina (circa 5mg per 100ml) e adatto al consumo in ogni momento della giornata.”

Cimbali Group ottiene la certificazione per la parità di genere UNI Pdr 125

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Fabrizia Cimbali, amministratore delegato di Cimbali Group (immagine concessa)

MILANO – Cimbali Group, azienda italiana tra i principali produttori di macchine professionali per caffè espresso, ha ottenuto la certificazione volontaria UNI Pdr 125, che ha lo scopo di assicurare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ridurre il gender pay gap.

La certificazione per la parità di genere testimonia l’impegno di Cimbali Group e il forte impulso alla messa a sistema, la razionalizzazione e quindi la valorizzazione delle numerose iniziative in atto in azienda finalizzate ad offrire le medesime possibilità sia alle donne che agli uomini, senza alcuna forma di discriminazione di genere, di etnia, religione, orientamento sessuale, disabilità od altra caratteristica personale.

Cimbali Group per la parità di genere

Iniziative che esprimono un approccio imprenditoriale che da sempre pone le persone e la comunità al centro della strategia di Cimbali Group. Tale impegno a sostegno della parità di genere è concretamente espresso in tutte le aree della certificazione: governance, cultura & strategia; processi HR; tutela genitoriale e conciliazione vita-lavoro; equità remunerativa; opportunità di crescita ed inclusione. Ambiti, questi, che rappresentano le linee guida dell’approccio di Cimbali Group verso le proprie persone.

“Questa certificazione rappresenta uno dei tanti obiettivi che il percorso del gruppo verso la Sostenibilità sociale vuole raggiungere. Per noi rappresenta un riconoscimento del nostro modo di fare impresa, in cui le persone hanno sempre più un ruolo centrale e, senza le quali, nessun successo sarebbe possibile” sottolinea Fabrizia Cimbali, amministratore delegato di Cimbali Group.

Cimbali aggiunge: “Evidenzia, ancora una volta, l’importanza dei processi di gestione e delle azioni di welfare aziendale che da sempre caratterizzano il modo di lavorare di Cimbali Group, con un costante operare in modo responsabile, assicurando valore per le Persone e generando benessere per la Comunità”.

“Come gruppo leader nel settore, abbiamo sentito il dovere di aderire a questa certificazione volontaria perché crediamo fortemente che l’inclusione sia un valore essenziale dell’esperienza che le Persone di Cimbali Group fanno in azienda o di chi si relaziona con noi, e che non possa esistere percorso di inclusione che non parta anche da quello di genere” – sottolinea Paolo Filippi, group people & organization.

Paolo Filippi, group people & organization (immagine concessa)

“La certificazione di genere UNI:Pdr125 consente alle Aziende di essere agenti di un cambiamento  che rende gli ambienti di lavoro contesti in cui la parità e l’inclusione siano reali e in cui  le donne e la diversità siano protagoniste di un’esperienza di comunità nella quale – prima di tutto – si sta bene perché si è consapevoli di avere tutti le medesime opportunità e di creare valore insieme”  – continua Paolo Filippi. L’impegno sulla parità di genere si inscrive nel più ampio riconoscimento della centralità della persona nell’organizzazione di Cimbali Group, in un contesto orientato al lavoro di squadra e all’integrazione con processi sostenibili” – conclude.

La centralità della persona trova espressione compiuta nella “People Policy”, la missione di Cimbali Group a creare un ambiente di lavoro inclusivo, equo e rispettoso in cui ciascuno possa esprimere le proprie capacità ed il proprio potenziale, promuovendo la diversità, l’equità e l’inclusione di genere, etnia, religione, orientamento sessuale, disabilità e altre caratteristiche personali.

La scheda sintetica di Cimbali Group

Cimbali Group è tra i principali produttori di macchine professionali per caffè e bevande a base di latte e di attrezzature dedicate alla caffetteria. Il Gruppo, di cui fanno parte i brand La Cimbali, Faema, Slayer e Casadio, opera attraverso tre stabilimenti produttivi in Italia e uno negli Stati Uniti (a Seattle, dove vengono prodotte le macchine a marchio Slayer), impiegando complessivamente circa 850 addetti.

L’impegno del Gruppo per la diffusione della cultura del caffè espresso e per la valorizzazione del territorio si è concretizzato nel 2012 con la fondazione del MUMAC – Museo della macchina per caffè, la prima e più grande esposizione permanente dedicata alla storia, al mondo e alla cultura delle macchine per il caffè espresso situata all’interno dell’headquarter di Cimbali Group a Binasco. MUMAC ospita MUMAC Academy, l’accademia della macchina per caffè di Gruppo Cimbali, centro di formazione, divulgazione e ricerca.

Arriva dall’India il primo caffè “Eudr-ready”

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La bandiera dell'Unione Europea

MILANO – Arriva dall’India il primo caffè “Eudr-ready”, la cui conformità al nuovo Regolamento europeo contro la deforestazione è stata verificata da Rainforest Alliance. La consegna a destino, sul territorio dell’Unione Europea, avverrà nel corso di questo mese.

Il caffè proviene da High Range Coffee Curing, azienda operante nelle aree di Periyapatna e Kushalnagar nel distretto di Kodagu, nel Karnataka, lo stato dove si concentra oltre il 70% della produzione indiana.

Fondata nel 1995, la farm, che si estende su una superficie totale di 142 ettari in un rigoglioso habitat forestale, produce sia arabica che robusta e vanta clienti del calibro di Nestlé, Unilever, E-Com Commodities, Olam, Continental Coffee, Louis Dreyfus Company, Vidya Coffee e Allanasons.

I caffè indiani sono tipicamente coltivati sotto alberi di copertura di varie essenze autoctone

Ciò contribuisce al mantenimento della biodiversità e di un ecosistema equilibrato.

La conformità alle norme Eudr è di fondamentale importanza per i produttori di questo paese, poiché buona parte del caffè indiano prende la via dell’Europa e, in particolare, dell’Italia, che ne è il principale mercato di destinazione.

Quasi il 20% del caffè coltivato in India è certificato Rainforest Alliance.

Grande soddisfazione è espressa da Zaidan M Saly, direttore di High Range Coffee Curing: “L’implementazione dell’Eudr ha posto delle sfide significative per il nostro team, ma sotto la preziosa guida dei referenti di Rainforest Alliance della nostra regione, le abbiamo superate prendendo sempre più fiducia.

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Il porto di Trieste aumenta del 140% le tasse portuali per tutte le merci

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Trieste (immagine: Pixabay)

Sono state rese note le nuove aliquote delle tasse portuali e erariali. Per il porto di Trieste si nota un aumento del 140% per tutte le merci con l’eccezione degli olii minerali a cui verrà applicato solo un aumento del 20% dell’aliquota vigente. Tuttavia malgrado “l’incremento, nella misura massima, della tassa erariale e della tassa portuale”, l’Adsp, Autorità di sistema portuale, tiene a sottolineare che, come riportato da Shipping Italy, per quel che riguarda i punti franchi di Trieste, il regime che li contraddistingue consentirà “di conservare in ogni caso una tariffa agevolata rispetto agli importi percepiti presso gli altri porti”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su Shipping Italy.

L’aumento delle tasse portuali e erariali al porto di Trieste

TRIESTE – Sono entrate in vigore in queste ore le nuove aliquote delle tasse portuali e delle tasse erariali applicate dall’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico Orientale presieduta dal dimissionario Zeno D’Agostino.

Per quel che riguarda i punti franchi di Trieste si tratta di un aumento del 140% per tutte le merceologie, sia delle tasse portuali che di quelle erariali, con l’eccezione degli olii minerali, cui, essendo già stato applicato il raddoppio nel 2022, verrà applicato solo un aumento del 20% dell’aliquota vigente. Sempre del 20% rispetto alle tariffe vigenti sarà l’aumento applicato a tutte le merceologie nei porti doganali di Trieste e Monfalcone.

Nel decreto di adozione delle nuove aliquote, l’Adsp ha spiegato “che la situazione economico-finanziaria dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale ha evidenziato, negli ultimi esercizi, a causa degli sviluppi dell’attualità, una contrazione delle entrate di parte corrente a fronte di un incremento delle uscite di parte corrente, correlate anche alle notorie dinamiche inflattive che hanno inciso sul costo dei servizi da rendere all’utenza portuale e delle manutenzioni delle aree comuni nei porti di competenza”.

E che “le aliquote attualmente previste per il porto franco di Trieste relativamente alle restanti categorie merceologiche risultano essere inferiori a quelle praticate sul resto del territorio nazionale, con conseguente limitazione della capacità di spesa dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale”.

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Osservatorio Sigep sui consumi estivi di gelato in Italia: previsioni al +6%, +12% nelle città d’arte

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Il gelato protagonista in una delle passate edizioni del Sigep (immagine concessa)

RIMINI – Alle porte dell’estate, l’Osservatorio Sigep (46° Salone internazionale del dolciario artigianale, organizzato da IEG – Italian Exhibition Group, alla Fiera di Rimini dal 18 al 22 gennaio 2025), fotografa dati e tendenze nel settore gelateria. Nei 5 maggiori Paesi europei (Italia, Spagna, Francia, Germania, UK) si contano 2,2 miliardi di gelati venduti nel 2023, anno nel quale, secondo i dati CREST-Circana, i consumi di gelato in Europa sono cresciuti del 4,7%.

I dati: lo scenario in Europa e Italia: le previsioni per l’estate 2024

Il nostro Paese si conferma il mercato principale con il 28% delle porzioni di gelato servite sul totale europeo. Per Circana nel 2024 è previsto un aumento grazie a un consumatore che trova nel gelato un irrinunciabile e accessibile piacere, in un contesto economico ancora incerto.

Secondo Claudio Pica, presidente Fiepet Confesercenti e segretario generale dell’Associazione italiana gelatieri (Aig) “Le performance positive delle vendite registrate in questa primavera consentono di stimare in Italia un aumento dei consumi che dal 6% può raggiungere il 12% nelle città d’arte con alta presenza turistica. Una crescita da ricercarsi nelle strategie di internazionalizzazione del gelato all’estero messe in atto da colossi fieristici come Sigep e dal mondo associativo di tutta la filiera”.

Le tendenze dell’estate italiana del gelato

Giancarlo Timballo, presidente della Coppa del mondo di gelateria e maestro gelatiere di Udine spiega che per l’estate 2024 creerà nuovi gusti attingendo dalle tradizioni locali e lavorando sui prodotti dei territori per i quali la richiesta dei consumatori, sempre più attenti e aggiornati, è alta. Tra le sue proposte, il gelato con lampone e rosmarino.

Eugenio Morrone, maestro gelatiere con due celebri gelaterie romane ricorda che i clienti prestano attenzione alla moderazione degli zuccheri e dei grassi: grande quindi la richiesta per gelati privi di latte, come i gusti classici preparati con massa di cacao o pistacchio. In tema salutistico, Morrone presenta il gelato carota, mandarino e limone che vuole essere anche un omaggio al grande Jannik Sinner.

La “sorpresa” è invece il ritorno del gusto al tiramisù, sempre più richiesto soprattutto dai turisti stranieri. Per Domenico Belmonte, noto maestro gelatiere di Santa Maria di Castellabate, in Cilento con i primi caldi sono tornati i gusti classici come le creme. Ma c’è anche un autentico boom della frutta esotica, tra cui mango e frutto della passione.

Gelati: stagionalità e low sugar in Spagna e Germania

Marco Miquel Sirvent, presidente Asociación Nacional Heladeros Artesanos de España, sottolinea l’aspetto salutista. In Spagna negli ultimi due anni la tendenza è stata l’acquisto di gelato a basso contenuto di zucchero, tuttavia i gusti classici come torrone, vaniglia e cioccolato resistono. Le prospettive per l’estate 2024 sono ottimistiche, con un aumento dei consumi previsto tra il 3% e il 5%.

I consumatori tedeschi restano invece affezionati ai grandi classici ma senza rinunciare alla stagionalità e alla curiosità per le novità. Dario Fontanella, fondatore di una nota gelateria a Mannheim in Germania spiega che Nonostante i gusti di massima restino quelli classici, il cliente tedesco è incuriosito dalle commistioni particolari e ricerca la stagionalità. La sua proposta è un gelato al cioccolato bianco con gli asparagi, tipici della regione del Baden-Württemberg. Tra i nuovi gusti, quello al bergamotto con curry e wasabi.

CSC, Caffè speciali certificati: Paolo Milani e Paolo Scimone sono gli assaggiatori ufficiali

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Da sinistra: Paolo Milani e Paolo Scimone (immagine concessa)

MILANO – Un’origine con una definizione fino al terroir, una conoscenza approfondita del caffè e un rapporto diretto, professionale e umano con il produttore, sono le basi di una produzione di alto livello, che da oltre 25 anni accompagnano i caffè certificati CSC – Caffè speciali certificati.

L’assaggio, soprattutto, ha un ruolo essenziale e ha quali figure centrali i produttori nelle terre d’origine e, nel nostro Paese, due professionisti di grande esperienza: Paolo Milani, dal 1996 (anno di fondazione del Consorzio) assaggiatore ufficiale per l’espresso e, da qualche mese, Paolo Scimone, assaggiatore ufficiale per il metodo in infusione.

“I nostri caffè vengono sottoposti ad una selezione e un controllo molto attenti e severi – spiega Graziano Carrara, presidente della commissione tecnica Caffè speciali certificati -; abbiamo definito uno standard che vogliamo ritrovare nel caffè in origine come nei campioni di sbarco. I livelli sono ovviamente diversi per provenienza: non posso pretendere di ottenere da un Brasile naturale gli stessi aromi di un caffè del Guatemala o da quest’ultimo il corpo del primo. Dunque, verifichiamo che il campione di un determinato Paese corrisponda al profilo organolettico desiderato attraverso assaggi incrociati, fatti con metodi differenti”.

Tradizionalmente trader e torrefattori effettuano assaggi con un solo tipo di estrazione, per lo più in infusione: un buon voto con questo metodo assicura una base di qualità, ma lo stesso caffè può non risultare altrettanto buono quando viene estratto in modalità espresso: in quei 25-30 millilitri ottenuti ad alta pressione è possibile non trovare gli aromi e il gusto che il primo assaggio sembrava promettere e viceversa. Sul risultato finale influisce anche la diversa tostatura necessaria. Per questo, in più casi, si è provveduto a insegnare ai produttori ad assaggiare i loro caffè anche in espresso.

“È stata una necessità – afferma Paolo Milani -: quando abbiamo iniziato a lavorare con i farmer, abbiamo verificato che non capivano bene cosa volessimo da loro. Spesso ci davano dei caffè molto acidi, una caratteristica che nell’espresso si traduceva in astringenza; abbiamo fatto conoscere questa estrazione e da allora è stato più semplice ricevere caffè rispettosi delle nostre aspettative”.

Per l’assaggio in infusione, ha da poco preso il posto di Fries, che ne è stato a lungo il responsabile, Paolo Scimone, Q-Grader Arabica e Robusta, giudice internazionale Cup of Excellence e giudice sensoriale per le gare internazionali di SCA.

“Sono molto contento di essere entrato nella squadra di Caffè Speciali Certificati, che apprezzo per la serietà, l’alta qualità dei caffè che seleziona e mette a disposizione delle torrefazioni affiliate, e la professionalità dei suoi soci – dice Scimone -. Con Paolo Milani mi sono subito inteso: ognuno ha il suo stile, ma ci siamo trovati molto bene. Da parte mia sia all’imbarco sia allo sbarco valuto l’umidità, la densità, la water activity (l’’acqua libera) dei chicchi: questi dati indicano se durante il trasporto ci sono state delle alterazioni; ha poi un ruolo centrale il profilo di assaggio che eseguo in infusione su 5 tazze. Se riscontro discordanze con il prodotto all’origine o con il profilo desiderato lo segnalo: la commissione tecnica deciderà come procedere”.

L’assaggio in espresso ha tempi diversi dal primo in quanto, spiega Paolo Milani, “a differenza di quello in infusione, non si può assaggiare subito dopo la tostatura, ma si devono aspettare 24-36 ore. Eseguo 6 assaggi di espressi realizzati con la stessa modalità: 15 grammi di macinato e 30-32 grammi di prodotto in tazza e per ognuna compilo una scheda, facendo infine una media dei risultati ottenuti. Il mio giudizio è molto importante, in quanto per lo più i torrefattori di CSC eseguono tostature per estrazioni in espresso. È interessante verificare come vi sia una continuità tra l’assaggio in infusione e in espresso: ad esempio note agrumate o fiorite si percepiscono in entrambe le estrazioni, ovviamente con diverse intensità”.

Grazie al rapporto diretto con i produttori nelle terre d’origine che prosegue da anni, la qualità dei caffè è eccellente e costante. “Penso che una selezione attenta come la nostra la ricevano solo i microlotti dei caffè specialty, che in Italia rappresentano una percentuale molto piccola del mercato – riprende Graziano Carrara -. A ciò si aggiunge la certificazione ISO 22005, che dà un valore aggiunto al prodotto finito e a chi lo produce, offrendo la garanzia di origini certe e della tracciabilità lungo tutta la filiera, dal chicco al confezionamento”.

Un motivo in più per unirsi al Consorzio o per scegliere i prodotti di CSC, che dal 1996 promuove la qualità e la cultura del caffè di pregio.

La scheda sintetica di Caffè speciali certificati

Le torrefazioni che aderiscono a CSC sono Barbera 1870 – Messina; Blaser Café – Berna (CH); Caffè Agust Brescia; Caffè Moreno – Casoria (NA); DiniCaffè – Firenze; Goppion Caffè – Preganziol (TV); Le Piantagioni del Caffè – Livorno; Mondicaffè C.T.&M. – Roma.

I torrefattori che vogliono avere la certezza di approvvigionarsi di un prodotto di qualità superiore, possono associarsi a CSC, che non acquista direttamente, ma organizza ed effettua i controlli necessari per garantire i migliori caffè, mettendoli a disposizione degli associati.

Quando ne viene acquistata una partita, i suoi assaggiatori la confrontano con il campione testato in precedenza: se le sue caratteristiche sono in linea con il prodotto di riferimento, può ricevere la certificazione di caffè speciale certificato, dunque il bollino. È la garanzia che in quelle confezioni ci sono prodotti con una storia: un importante strumento di vendita per il barista e un piacere in più per il cliente.

Luigi Odello spiega lo stile dell’espresso in Lombardia

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Luigi Odello del Centro studi assaggiatori caffè carbonio artificiale espresso
Il professor Luigi Odello presidente Iiac

Luigi Odello, professore di analisi sensoriale in università italiane e straniere e presidente del Centro Studi Assaggiatori e dell’Istituto internazionale assaggiatori caffè, spiega nel libro Espresso Italiano Specialist lo stile dell’espresso nella Lombardia caratterizzato da velocità e leggerezza. Leggiamo di seguito l’approfondimento sul tema pubblicato sul sito Coffee Taster.

Lo stile dell’espresso in Lombardia

di Luigi Odello

MILANO – Odello: “Il caffè della Lombardia è figlio della quotidianità produttiva e la caffeina è il carburante per avviare il motore della regione, che si mette in marcia di prima mattina con l’uscita dalle case di milioni di lavoratori diretti negli uffici e nelle fabbriche. Immaginate la scena a vol d’uccello, negli anni Cinquanta del grande sviluppo economico, questi milioni di persone che all’unisono si riversano sulle strade e confluiscono in fiumi ordinati verso i luoghi del lavoro.

Quello che non si vede è il retroscena: dieci minuti prima, la tazzina fumante portata dalla padrona di casa e bevuta d’un sol sorso sulla soglia di casa con la borsa in mano. Un comune denominatore a questi milioni di deglutizioni che si svolgono in contemporanea: la velocità. Anzi la fretta. E l’assenza di qualsiasi indulgenza al piacere.

Tutto questo lascia l’impronta nello stile del caffè bevuto. Al Sud proprio negli anni Cinquanta dilagavano le napoletane, portate dalle numerose famiglie emigrate al prosperoso Nord. Ma quello strumento di estrazione così delicato, usato a Napoli e in Sicilia a fuoco lento, si trasforma al Nord nella moka, proprio per fare più in fretta.

E ci guadagna anche in corposità e in intensità di aromi, perché per quanto bassa la pressione di esercizio di una moka è comunque superiore alla forza di gravità che distingue la napoletana.

La filosofia della velocità rimane anche quando dal caffè moka si passa all’espresso. A partire dalla metà degli anni Sessanta si inizia a sentire il benessere: è il miracolo economico.

È da qui che inizia il vero boom del bar: fare colazione a casa non è più di moda, chi vuole fare il brillante va a prendersi la sua tazzina per la via, andando al lavoro. E poi è più veloce: l’estrazione lombarda non è mica come quella del meridione, goccia a goccia. Al contrario, dalla macchina espresso esce un bel filo di caffè continuo, fluido, che assicura al cliente in piedi al bancone la sua rapida tazzina, giusto in tempo per prendere il tram e arrivare puntuale in ufficio.

A questa velocità il gusto lombardo del caffè è molto congeniale. La Lombardia non è terra dai sapori forti: la sua gastronomia predilige aromi più raffinati, delicati, e privilegia nettamente l’equilibrio gustativo e tattile, valorizzando con la sapienza della preparazione gli ingredienti spesso poveri dell’area continentale in cui è immersa. Il caffè ne è specchio: l’estrazione più veloce, la tostatura mai scura, le miscele più delicate danno proprio quell’espresso delicatamente profumato e leggero di corpo che è nella tradizione della regione.

Sarà forse vero, come è stato scritto, che l’espresso è il frutto della povertà e della fantasia italiane, perché ottiene una tazza di caffè migliore con sette grammi di macinato in luogo di dodici. Ma c’è da dire che, nella selezione dei caffè, i torrefattori lombardi non si fanno certo condizionare né da fattori economici, né da fattori geografici: d’altronde non sono forse al centro dei traffici, dei commerci e dei porti del Nord Italia?”

Luigi Odello

Specialty coffee: il locale progetto di Marco Tassone e Ilaria Giovannini da Londra a Murazzano

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Chicchi di caffè tostato (credits: Alexa from Pixabay)

Marco Tassone e Ilaria Giovannini si sono trasferiti a Londra nel 2008 e sono approdati per caso nel caffè specialty: un mondo che ha portato i due ragazzi ad aprire una loro attività, The Hive, uno specialty coffee nella zona est di Londra. Dopo 15 anni, il Covid di mezzo insieme a problemi di salute, i due decidono di tornare in Italia e replicare il successo a base di specialty coffee in un locale oltre la Manica a Murazzano (Cuneo), in Alta Langa. Leggiamo di seguito parte dell’articolo di Nicoletta Moncalero per La Repubblica.

Il progetto di Marco Tassone e Ilaria Giovannini: da Londra a Murazzano

MILANO – Quando nel 2008 Marco ed Ilaria andarono a Londra, non potevano immaginare che si sarebbero fermati 15 anni e che avrebbero aperto lì una attività tutta loro. Lui, Marco Tassone, era partito con un’esperienza da producer musicale da Chiusa Pesio (Cuneo), per migliorare l’inglese e guadagnare qualcosa si era trovato un lavoro in un coffee shop.

Uno di quelli in cui piano piano si stava sperimentando l’esperienza degli specialty coffee, caffè che crescono in zone particolarmente vocate e che hanno un aroma decisamente unico. L’argomento suonava bene con gli interessi di lei, Ilaria Giovannini, con una passione, all’epoca fuori dal comune, per la cucina vegetale, vegana per l’esattezza.

In Italia, in Piemonte era ancora difficile fare una cucina di questo tipo, soprattutto più di quindici anni fa.

Anche il mondo degli specialty coffee in Italia ancora non era arrivato, ma a Londra si stava muovendo benissimo. Un’onda lunga arrivata dall’Australia. Marco cominciò ad occuparsene: “Il primo assaggio lo ricordo ancora – racconta – perché mi ha cambiato la vita. Come si dice: mi ha aperto un mondo”.

Un mondo che ha portato i due ragazzi, allora fidanzati e oggi marito e moglie, ad aprire una loro attività, il The Hive, uno specialty coffee nella zona est di Londra, a Bethnal Green per l’esattezza.

Tassone comincia a sperimentare, a provare questo nuovo modo di interpretare il caffè e ci costruisce attorno il suo racconto che per molti versi ricorda quello dei vini.

Poco più avanti trovano il posto ideale. E in un attimo passano 15 anni. C’è anche il periodo del Covid in mezzo. Ed è un momento difficile anche per la coppia. Poi nel 2022, un problema di salute e la difficoltà a rinnovare il contratto d’affitto semplificano la decisione su cui Marco ed Ilaria stavano ragionando: si torna in Italia. A Murazzano (Cuneo), in Alta Langa, a vivere in mezzo alla natura e accanto a un vigneto.

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