giovedì 04 Dicembre 2025
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Caffè Borbone lancia i Kids Lab dedicati al caffè a Città della Scienza, 15-16 aprile

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borbone kids lab
Borbone Kids Lab (immagine concessa)

NAPOLICittà della Scienza ospita anche quest’anno i Borbone Kids Lab, i laboratori didattici per grandi e piccini realizzati in collaborazione con Caffè Borbone, marchio di riferimento nel business della torrefazione e del caffè porzionato. Nelle giornate di sabato 15 e domenica 16 aprile i giovani partecipanti di età compresa tra i 3 e i 13 anni, con l’aiuto delle loro famiglie, potranno cimentarsi in diversi laboratori tematici per vivere un fine settimana alla scoperta del mondo del caffè, coniugando apprendimento e divertimento.

L’iniziativa nasce con l’obiettivo di sensibilizzare i più piccoli sui principi fondamentali del rispetto per l’ambiente, insegnando loro a riciclare e riutilizzare le materie prime.

Da sempre l’azienda partenopea è attenta al tema del confezionamento responsabile. Nel 2017 ha introdotto la prima cialda compostabile con incarto riciclabile che può essere smaltita nell’umido, dimostrando come sia possibile concretizzare soluzioni sostenibili e, allo stesso tempo, mantenere l’aroma tipico del caffè in un involucro di carta.

Tra le tante attività, infatti, sono in programma laboratori dedicati alla sostenibilità per imparare a donare nuova vita alle cialde ormai esauste e al packaging dei prodotti Caffè Borbone e per scoprire i molteplici utilizzi del caffè come, ad esempio, arricchire il terriccio grazie alle sue proprietà benefiche, far sbocciare fiori dalle cialde usate, scrivere un papiro come gli Egizi con la tecnica del coffee-painting.

Inoltre, in occasione della giornata internazionale dei viaggi dell’uomo nello Spazio, che si celebra il 12 aprile, Caffè Borbone ha ideato, sempre per il fine settimane del 15 e 16 aprile, anche uno speciale laboratorio dove i più piccoli avranno l’occasione di scoprire i segreti sulle galassie e ricrearle con l’aiuto della polvere del caffè.

Ma non c’è età per imparare buone pratiche quotidiane a tutela dell’ambiente. Per questo, Caffè Borbone invita anche i genitori a prendere parte ad attività pensate per approfondire tutte le curiosità sul vero caffè napoletano e la sua storia, come consumarlo in maniera responsabile e sana e tutti i benefici che ne possono ottenere. A conclusione, potranno gustare le diverse varietà di Caffè Borbone proposte in cialda, 100% amiche della natura.

I laboratori interattivi destinati ai bambini prevedono un massimo di 20 partecipanti e una durata di 45 minuti.

Per ulteriori informazioni basta cliccare qui.

La scheda sintetica di Caffè Borbone

Caffè Borbone è un marchio di Caffè Borbone S.r.l., azienda nata nel 1997 tra i principali produttori specializzati in cialde e capsule sul territorio nazionale ed internazionale. Leader assoluto nel comparto delle cialde in Distribuzione Moderna, sia in termini di quota val. % sia di vendite a Valore in mil Eur (cfr. Nielsen IT Distr. Moderna).

Caffè Borbone occupa una delle primissime posizioni nel mercato del caffè porzionato. Nel 2018 entra nel capitale sociale Italmobiliare, una delle principali investment holding italiane, con il 60% delle quote mentre il 40% rimane al fondatore Massimo Renda.

L’azienda rappresenta un caso di crescita esemplare, grazie anche al costante investimento in Ricerca & Sviluppo che ha portato alla realizzazione di prodotti innovativi come la cialda compostabile 100%, l’incarto totalmente riciclabile nella raccolta della carta e la capsula compostabile Don Carlo che, gradualmente, hanno conquistato i consumatori sempre più attenti all’ambiente.

Howard Schultz sotto inchiesta per le pratiche antisindacali, l’ex ceo di Starbucks: “Ho i miliardi, ma li ho guadagnati”

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Il logo di Starbucks

Il ceo di lunga data di Starbucks, Howard Schultz, è attualmente sotto inchiesta per le pratiche lavorative della catena di caffetterie. Afferma al Comitato per la salute, l’istruzione, il lavoro e le pensioni: “Non mi piace essere chiamato miliardario”. Leggiamo di seguito la prima parte della notizia pubblicata sul portale HiTech Glitz.

Howard Schultz sotto inchiesta

SEATTLE – Schultz è attualmente oggetto di un’audizione da parte del Comitato per la salute, l’istruzione, il lavoro e le pensioni, presieduto dal senatore Bernie Sanders, sulle tattiche antisindacali dell’azienda apparentemente diventare equivalente con il marchio Starbucks ultimamente. National Public Radio descrive come Schultz, un tempo un eminente democratico, sia stato recentemente al centro degli sforzi antisindacali mentre i baristi di tutto il paese chiedono a gran voce condizioni migliori e salari più alti.

Quando Sanders e i suoi elettori hanno richiamato Schultz per queste violazioni dei diritti dei lavoratori, Schultz – who ceduto come ceo di Starbucks la scorsa settimana – era davvero sconvolto dal fatto di essere stato etichettato come miliardario.

“Parliamo di come io venga chiamato miliardario”, ha detto Schultz durante l’udienza, come si è sentito in un clip caricato su Twitter. “Sono cresciuto in alloggi sovvenzionati. I miei genitori non hanno mai avuto una casa. Sono venuto fuori dal nulla. Pensavo che tutta la mia vita fosse basata sulla realizzazione del sogno americano. Sì, ho miliardi di dollari, ma li ho guadagnati. Nessuno mi ha regalato nulla”.

Si dice che i baristi di Starbucks abbiano scatenato un’ondata di movimenti sindacali nei negozi di tutto il paese iniziata più di un anno e mezzo fa ma, secondo quanto riferito, l’azienda ha fatto saltare gli sforzi sindacali dagli anni ’80. Di recente, Starbucks ha resistito alla spinta sindacale chiudendo negozi, tagliando gli orari e licenziando importanti dipendenti pro-sindacati.

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Frankly insieme a Red Bull per il menù di primavera a base di tè e caffè in 5 drink

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red bull matcha mate
Il Matcha Mate (immagine concessa)

MILANO – Un menù tutto nuovo e da scoprire quello che l’azienda Frankly propone per la stagione primaverile: nuovi ingredienti, bevande vegane e in edizione limitata per Pasqua sono i protagonisti della nuova proposta. Innanzitutto trovano spazio 5 nuovi drink, tre dei quali sono realizzati con ingredienti presenti per la prima volta in menù, grazie alla recente partnership con Red Bull.

I nuovi drink Frankly

Ecco allora il Matcha Mate, realizzato con The Organics Viva Mate di Red Bull –   caratterizzato da ingredienti quali l’estratto naturale di mate, caffeina naturale e succo concentrato di limone da agricoltura biologica – e con tè verde matcha premium.

Ci sono poi il Red Bull Sunset, a base di Red Bull Green Edition – al gusto esotico del dragon fruit – e succo di limone e il Red Bull Colada, preparato con Red Bull White Edition – al gusto di cocco e acai – e purea di ananas fatta in casa.

Oltre a questi drink, il menù prevede altri due nuovissimi drink a base di caffè: il Salted Brown Sugar Coffee, realizzato con caffè, zucchero bruno e l’ormai iconica mousse salata fatta in casa e il Dirty Mint, a base di latte e menta con caffè.

Frappè Vegani

Un’altra grande novità riguarda le proposte per i clienti vegani o intolleranti al lattosio che ora potranno scegliere bevande a base di soia, mandorla, cocco e avena bio, senza perdere la tradizionale cremosità. E quindi, avranno la loro versione vegana anche i drink più amati, come il Matcha Frappè, a base di latte e tè verde matcha in polvere, il Melrose Frappè, un iconico drink che fa il suo ritorno quest’anno, a base di latte, sciroppo di rosa e fragola fresca e il Caramel Coffee Frappè, a base di latte, caffè e gustoso caramello.

Ovviamente ogni drink può essere gustato con i topping scoppiettanti, come Popping Boba alla frutta, Jellies al cocco, tapioca e molto altro.

Easter drink

Infine, il menù prevede anche una bevanda in edizione limitata solo per il mese di aprile: si tratta di un drink a base di latte alla menta con due shots di caffè, accompagnato da sciroppo di cioccolato croccante e panna montata.

Questa bevanda è in sconto al 25% registrandosi sulla app di Frankly.

La cucina italiana demolita dal prof. Alberto Grandi, docente di storia dell’alimentazione: “Tiramisù e panettoni nati al supermercato”

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tiramisù grandi zaia
Tiramisù (immagine: Pixabay)

La provocazione nasce da un’intervista del Financial Times a Alberto Grandi, docente dell’università di Parma di storia dell’alimentazione, che ha dedicato la sua intera carriera a sfatare miti legati alla tradizione culinaria del nostro Paese. Sui social: “Probabilmente questo post verrà ricordato come l’inizio della terza guerra mondiale”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicata su Sky Tg24.

La controversia sulla cucina italiana

MILANO – Il Financial Times stravolge la tradizione culinaria italiana con un’intervista ad Alberto Grandi, autore e presidente del corso di laurea in Economia e management all’Università di Parma, una delle capitali del cibo made in Italy. In sostanza, lui ritiene che il parmigiano originale si trovi solo in Wisconsin. Il panettone e il tiramisù sarebbero nati al supermercato e la carbonara l’avrebbero inventata gli americani.

Come riporta Il Messaggero, la provocazione nasce da un’intervista realizzata da Marianna Giusti ad Alberto Grandi, che ha dedicato la sua intera carriera a sfatare miti legati alla tradizione culinaria del nostro Paese.

Ad esempio, sul panettone si è espresso così: “Prima del ventesimo secolo, il panettone era una focaccia sottile e dura farcita con uvetta. Era mangiato solo dai poveri e non aveva legami con il Natale. Il panettone come lo conosciamo oggi è un’invenzione industriale. Negli anni ’20 Angelo Motta introdusse una nuova ricetta di impasto e diede inizio alla tradizione del panettone a forma di cupola. Poi, negli anni ’70, di fronte alla crescente concorrenza dei supermercati, i panifici indipendenti iniziarono a produrre loro stessi panettoni a forma di cupola. Dopo un bizzarro viaggio a ritroso, il panettone è finalmente arrivato a essere ciò che non era mai stato prima: un prodotto artigianale”.

Poi è toccato al tiramisù. Sulle origini c’è da sempre contesa tra città e regioni che si contendono il titolo di culla del dessert più famoso al mondo. Secondo Grandi è apparso per la prima volta sui libri di cucina negli anni ’80 e prima il suo ingrediente principale, il mascarpone, difficilmente si trovava fuori da Milano.

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Cecilia Tessieri Rabassi, 1ª Maitre Chocolatier al mondo: “Mi piace gustare caffè e cioccolato al latte”

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Cecilia Tessieri Rabassi vicino alla materia prima (foto concessa)
Cecilia Tessieri Rabassi vicino alla materia prima (foto concessa)

MILANO – Abbiamo potuto confrontarci con Cecilia Tessieri Rabassi, la prima donna al mondo ad essere diventata Maitre chocolatier. Oltre ai tanti riconoscimenti che hanno caratterizzato la sua carriera, nel 2021 le è stato assegnato il primo President’s award della London Chocolate Academy come la persona che ha rivoluzionato il mondo del cacao e cioccolato negli ultimi 30 anni.

Tessieri Rabassi, le facciamo una prima domanda per rompere il ghiaccio: che cos’è il cioccolato per lei?

“Per me il cioccolato è un sogno. Chi lo mangia, vivrà questa dimensione onirica che ho potuto creare con le mie mani. Poi certo è tecnica, è prodotto alimentare. Ma così, di getto, sicuramente lo definirei come un sogno che diventa realtà.”

Come si diventa la prima donna al mondo ad essere Maitre chocolatier e che cosa significa?

Tessieri Rabassi: “Significa aver raggiunto degli obiettivi innanzitutto nell’aver saputo costruire un mestiere come donna, in un percorso di oltre 30 anni fa che si traduce nel ruolo di Maitre Chocolatier. È importante invece fare le dovute distinzioni, in un momento in cui tutti si definiscono Maitre chocolatier: c’è chi acquista da altri la materia prima, la scioglie, poi riproduce un uovo di Pasqua e si sente un Maitre; c’è invece chi parte dalla selezione dei semi in piantagione, li processa facendoli diventare cioccolato. Ecco, quest’ultimo è il Maitre.

Nell’accezione francese, si intende come Maitre, l’unico tra tutti i cioccolatieri che seleziona i semi e li processa in prodotto finito. I cioccolatieri invece lavorano soltanto il prodotto. Ma il Maitre dalle sue origini, era colui che si occupava della materia prima, un mix tra enologo e agronomo. Questa non è molto conosciuta e quindi, quando mi capita, voglio fare chiarezza.

Cecilia Tessieri Rabassi con una delle sue creazioni (foto concessa)
Cecilia Tessieri Rabassi con una delle sue creazioni (foto concessa)

Ho dato valore con la mia storia ad un nuovo modo di fare il cioccolato. Nel 2021 ho vinto un premio a Londra che riconosce proprio questa svolta che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni. Gli altri hanno preso spunto da questo mio modo di operare. Ho aperto una via che prima era impensabile. Ho creato una professione nuova che prima non c’era in Italia e nemmeno nel mondo. C’erano alcuni produttori in Svizzera, ma ad esempio nel mercato americano esistevano soltanto le grandi aziende.

Il mio approccio è sempre stato quello di lavorare senza pensare di esser legata o influenzata in qualche modo dal mio genere: la mia testa ha lavorato senza porsi il problema di essere donna in mezzo agli uomini. Facevo tutto come loro e quindi ero percepita come una collega. Avevo una missione precisa: imparare e lavorare il cacao e il cioccolato per poi creare la mia azienda e non ho mai incontrato ostacoli di questo tipo.”

Tessieri Rabassi, che cosa l’ha colpita di più viaggiando nelle piantagioni e come l’ha ispirata nel trattare la materia prima?

“La cosa che mi ha più colpita, sin dai primi viaggi, era vedere la cabosse, il frutto del cacao, attaccato al tronco dell’albero. Abbiamo l’immagine dei frutti attaccati ai rami dell’albero e quindi vedere poi presenti le cabosse in quest’altro punto della pianta, mi ha stupito di più. Come mi ha ispirata l’esperienza? Diciamo che per fare un grande cioccolato, partendo dalla terra come per fare un buon vino, bisogna conoscere il terroir, il modo in cui viene coltivato, la storia della piantagione stessa. Quando si crea un cioccolato devo conoscere ogni dettaglio della produzione e della coltivazione. Non è soltanto una selezione per l’acquisto, ma è l’avere un rapporto diretto con i contadini, con gli agronomi locali. Il mio cioccolato nasce in piantagione ancor prima che nel laboratorio.

A questo proposito, sin dall’inizio ci siamo posti il problema di rispettare le condizioni alle origini dei produttori – non tutto quello che è bio e che ha un bollino sull’etichetta è garanzia di tutela per queste persone – e ho sempre valorizzato il rapporto diretto con il contadino. Spesso lavoriamo con le cooperative, che sono meglio organizzate e garantiscono dei salari e delle condizioni migliori.

Ma anche loro vanno formati sulla gestione del proprio business. Abbiamo fatto crescere una cultura imprenditoriale tra i farmers. Oggi la situazione è migliorata, ci sono cooperative che riescono a investire meglio il denaro anche per produrre pasta e burro di cacao, prodotti già semilavorati. “

Quali sono le origini più pregiate quando si parla di cacao?

Tessieri Rabassi: “Le varietà del cacao sono principalmente tre: la più aromatica è il Criollo (puro e nativo, rappresenta appena il 2,5% della produzione mondiale), il Forastero (cacao africano delle grandi coltivazioni) e il Trinitario (ibrido tra i primi due). In ogni Paese dobbiamo fare una selezione: se parliamo ad esempio del Venezuela, che tanti anni fa rappresentava il top di cacao di qualità, dobbiamo considerare che al suo interno si può trovare di tutto.

Oltre che scegliere quindi l’origine, bisogna studiare la qualità di quella stessa area, analizzando il terreno, la zona, la cooperativa di riferimento. Per questo motivo, si può trovare un ottimo cacao in Venezuela, in Messico e in Perù, ma anche in Madagascar, nel Sud Est asiatico e nel Ghana, che negli ultimi anni ha lavorato molto di più sulla qualità e sul lavoro dei contadini. Per cui direi: origine, sì, ma anche selezione.”

Come si creano le miscele che poi si possono trovare nel suo stesso atelier? Quanto può costare la top di gamma?

La maitre chocolatier all’opera (foto concessa)

“La miscela o il monorigine del prodotto si crea selezionando le origini, facendo test sui campioni. Quando c’è un prodotto in commercio, ogni volta si deve mantenere lo standard impostato in laboratorio. La capacità del Maitre chocolatier è tutto nel suo lavoro, in questo riesce a capire quanto cacao, quale cacao e in che percentuale può esser unito ad altro. Questa è l’abilità di poter creare un cioccolato aromatico, delicato: lì inizia lo studio complicato, difficile, a cui deve essere educato il palato.

Tutti i miei cioccolati sono Top di gamma e il prezzo varia in base al raccolto e alla tipologia del prodotto.”

Quali sono le nuove tendenze che segneranno il futuro di voi Maitre chocolatier?

“Negli ultimi anni ho trovato che molti si sono concentrati sul pistacchio. Ci sono anche le uova di Pasqua adesso. Se è quello di Bronte, ha senso, ma non credo che lo usino tutti. Mi chiedo: è una moda? Il food segue molto queste tendenze e il cioccolato è sempre stato un prodotto che ne è stato molto influenzato. Ma dal mio punto di vista per fare qualità, si deve tornare indietro per andare avanti. Il futuro sarà sempre la qualità in tutto il food, così come il mangiare un po’ meno, ma bene.

Quindi senza logiche di marketing, che pur è importante, a patto che elevino il prodotto già di eccellenza per renderlo conosciuto. Il futuro è dedicato a quei prodotti che ti danno piacere e non ci deludono. Nei miei cioccolati ci sono tre ingredienti: zucchero, burro e pasta di cacao. Senza questi, non c’è cioccolato. “

Lei ha abbinato vino e cioccolato: come ci è riuscita?

Uno dei prodotti creati nel laboratorio (foto concessa)

“Con tante prove e un lavoro molto intenso che è nato durante la pandemia nella mia testa. Applicando un processo particolare, ho unito il vino che mi arriva in bottiglia all’interno del cioccolato. Quando noi lo mangiamo, con un 15% di Cabernet Franc, tutta la parte aromatica più caratteristica del vino in purezza che poi è ampliata dai profumi e dai sentori del cacao. Mangiamo un prodotto che ci lascia stupiti. Aumenta la quercetina che non esiste nel cacao ma è presente nel vino. Questo flavonoide fa bene.”

Tessieri Rabassi, penserà a un abbinamento magari con il caffè? In un dolce oppure semplicemente in degustazione?

“Abbiamo uno spazio in Toscana dove organizzeremo la parte dell’accoglienza dei clienti e dove creiamo abbinamenti. Con il caffè ho sempre amato abbinare il cioccolato al latte. Il caffè quando è buono, ha già la sua parte aromatica importante, quindi bisogna affiancare un prodotto non particolarmente acido troppo aromatico . Il cioccolato al latte invece lascia una sensazione piacevole.

Un’altra cosa poi sono i dolci. Faccio l’esempio del tiramisù, che spesso viene preparato con la polvere del cacao amaro e secco che rovina l’insieme. In realtà, su quel tiramisù sarebbe più adatto un cioccolato a scaglie che si sposa con il caffè. Io spesso preparo il caffè in azienda e ci abbino un pezzetto di cioccolato al latte “.

Lei ha vinto tantissimi premi e riconoscimenti: cosa l’ha distinta rispetto ad altri maestri artigiani secondo lei?

“Nel 2021, a Londra, il premio mi ha dato più soddisfazione degli altri, perché riconosce la persona e la professione sviluppata negli anni e il lavoro che c’è dietro. Soltanto io l’ho vinto. Ho dato tanto al mondo del cacao e del cioccolato. E penso di poter fare tante altre cose.”

E quindi, quali sono i suoi prossimi progetti da creatrice ma anche imprenditrice?

Conclude Tessieri Rabassi: “Voglio far vivere un sogno alle persone che vengono a trovarci nei nostri atelier. Io voglio offrire un’emozione con i miei prodotti, con il mio progetto futuro, voglio raggiungere questo obiettivo. Questa è la sfida: il cioccolato deve essere il file rouge per vivere un momento particolare verso il “CIOCCOLATO DI DOMANI”. Questo darà una svolta per il cioccolato di domani. Un momento di gioia e benessere.”

Cecilia Tessieri Rabassi specializzata nel mondo del cioccolato alla fine degli anni ‘80 lavorando e imparando il mestiere di Maître Chocolatier in tutta Europa. Dopo aver fondato e gestito una tra le più famose aziende di cioccolato italiane, con la quale ha ottenuto i più prestigiosi riconoscimenti internazionali, Cecilia ha deciso di intraprendere una nuova iniziativa e di ripartire da un piccolo laboratorio artigianale, dove poter sperimentare e dedicarsi alla creazione del “cioccolato di domani”. Nel 2007 è stata nominata Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, onorificenza riservata solo ai migliori ambasciatori del Made in Italy nel mondo e nel 2008 è stata insignita dall’Accademia della Cucina Italiana del prestigioso premio “Dino Villani” per la valorizzazione di un prodotto tradizionale eccellente della tavola italiana. Nel 2021 le è stato assegnato il 1° President’s award della London Chocolate Academy come la persona che ha rivoluzionato il mondo del cacao e cioccolato negli ultimi 30 anni.

Caffè Borbone accelera sulla crescita: più sviluppo nel nord Italia e consolidamento al sud

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Borbone

Nei giorni scorsi si è svolto a Napoli Live In, l’evento di Sky TG24 che porta le notizie e i dibattiti fuori dagli studi tv. Tra gli ospiti dello spazio dedicato all’economia c’era anche Marco Schiavon, amministratore delegato di Caffè Borbone. L’azienda italiana, fondata a Caivano nel 1997, registra anno dopo anno numeri al rialzo grazie a una strategia di distribuzione vincente e per il futuro punta soprattutto all’espansione nel Nord Italia, continuando a rafforzarsi al sud e guardando ai mercati esteri. Leggiamo di seguito parte dell’articolo pubblicato su SkyTg24.

Il piano strategico di Caffè Borbone

CAIVANO (Napoli) – Caffè Borbone spinge la crescita del settore del caffè monoporzionato italiano, mercato già in forte effervescenza su tutti i canali anno dopo anno, con prospettive future che vedono un obiettivo di aumento della penetrazione nel Nord Italia e di ulteriore sviluppo nel Meridione.

Nonostante lo sviluppo sui mercati esteri e su quello nazionale, Napoli – il territorio in cui sorge l’azienda e dove tutto è iniziato – rimane di primaria importanza. Nel 2022 l’azienda ha visto una crescita dell’export del +22% con una presenza capillare in 57 Paesi nel mondo, ma continua a contribuire fortemente all’indotto della regione Campania spingendo il tasso di occupazione locale e utilizzando una maggioranza di fornitori locali.

L’azienda conta circa 278 dipendenti con 91 assunzioni solo dal 2020 al 2022, nonostante la pandemia. I dipendenti diretti, prevalentemente campani, sono per il 70% under 35. Grazie agli investimenti in innovazione produttiva, l’obiettivo per il futuro è quello di ampliare l’offerta e quindi la produzione di caffè monoporzionato sia con le cialde Ese che con le capsule compatibili, spingendo quindi ulteriori assunzioni.

Un esempio virtuoso di impegno per lo sviluppo del sud Italia è il progetto C.O.R.E, riconosciuto dal ministero dello Sviluppo economico, un progetto di crescita industriale aziendale che non punta solo al fatturato ma anche allo sviluppo sociale di un territorio che ha dato a Caffè Borbone la possibilità di esistere e le risorse per crescere.

Il progetto, di durata triennale, prevede investimenti industriali che consentiranno entro il 2024 di aumentare la capacità produttiva dello stabilimento di Caivano attraverso un innovativo sistema di torrefazione 4.0, in grado di controllare in modalità automatica il confezionamento di cialde e capsule per macchine da caffè. C.O.R.E aiuterà a far crescere ulteriormente l’indotto economico e a creare nuovi posti di lavoro, una conferma della volontà dell’azienda di puntare sul territorio e soprattutto sulle persone.

Per l’intervento, il ministero dello Sviluppo economico ha allocato circa 5,4 milioni di euro di agevolazioni.

“Caffè Borbone è un’azienda innovativa, originale e capace di creare prodotti che soddisfano i consumatori di tutta Italia. La comunità di persone che ci lavora è il valore aggiunto di questo successo, capace di sdoganare i luoghi comuni sulle imprese e i lavoratori del sud Italia”, sottolinea Marco Schiavon. Durante Live In Napoli, l’amministratore delegato ha aggiunto: “Siamo un’azienda sorprendentemente ricca di talenti, che in qualche modo virtuosamente vengono attratti. Spesso vanno anche cercati, presi e portati al sud. Al sud però ci sono già delle eccellenze e vanno sfatati dei miti. Abbiamo eccellenze incredibili, dal mondo digitale al food alla tecnologia. Talenti disponibili anche a spendersi”.

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L’Ico rivede al rialzo le stime sui consumi e i mercati volano

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Ico export mondiale prezzi caffè robusta G7 mercati
Il logo dell'Ico

MILANO – L’Ico rifà i conti e scopre un situazione fortemente deficitaria sul mercato mondiale del caffè dell’annata trascorsa e di quella attuale. Il report per il mese di marzo – diffuso nel tardo pomeriggio di mercoledì 5 aprile – contiene la prima stima dell’Organizzazione londinese sull’annata caffearia 2022/23, nonché i dati riveduti e corretti relativi al 2021/22. Cifre che modificano sensibilmente il bilancio tra domanda e offerta e il conseguente outlook.

E che hanno contribuito, sin da ieri, a spingere al rialzo le borse del caffè, in particolare quella di New York.

Cominciamo dall’annata 2021/22. L’Ico ha alzato lievemente la sua stima sulla produzione, ma soprattutto ha aumentato considerevolmente la stima sui consumi.

La produzione mondiale per l’annata trascorsa è ora quantificata in 168,485 milioni di sacchi, di cui 94,248 di arabica e 74,237 di robusta.

Ciò rappresenta una flessione dell’1,4% rispetto ai 170,868 milioni prodotti nel 2020/21.

In forte ripresa, invece, i consumi, che sono stati pari a 175,605 milioni: oltre 7 milioni in più (+4,2%) rispetto al 2020/21.

Un’impennata a cui ha contribuito l’allentarsi dell’emergenza sanitaria globale e la forte ripresa dell’economia mondiale. Risultato: la stima sul deficit dell’annata trascorsa è ora di 7,12 milioni di sacchi.

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Rancilio Group si annuncia già tra i protagonisti di The London Coffee Festival che è in programma dal 20 al 23/4

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london coffee festival
Rancilio Group al The London Coffee Festival (immagine concessa)

VILLASTANZA DI PARABIAGO (Milano) – Dal 20 al 23 aprile The Truman Brewery nell’East London si riaccende per il ritorno del The London Coffee Festival, l’evento che celebra la vivace e vibrante scena del caffè londinese. Rancilio Group sarà presente per accogliere i 30.000 professionisti del settore e appassionati di caffè che sono attesi a partecipare all’evento di quest’anno.

Rancilio Group al The London Coffee Festival

Anche la campionessa Barista League 2022 Claudia Cho Ngai Lam si unirà al team di Rancilio Group in questa occasione per lavorare al fianco di Invicta, la nuova macchina per caffè espresso a caldaia singola dotata di tecnologia Steady Brew. RS1 completerà la linea dando ai visitatori la possibilità di testare in prima persona la sua tecnologia di pre-infusione e Advanced Temperature Profiling.

Gli appassionati di Rancilio Home Line possono provare la macchina espresso a un gruppo con tecnologia a doppia caldaia Silvia Pro X e il nuovo macinacaffè ultracompatto Stile adatto alla casa e al bar.

Per chi cerca un tocco più moderno e automatizzato, l’elegante macchina da caffè superautomatica Egro Next Pure Coffee raddoppierà la sua presenza: una versione con iSteam per un latte dalla consistenza impeccabile e una versione senza caldaia a vapore per massimizzare il risparmio energetico. Questa configurazione speciale offre tecnologie di estrazione di alta qualità e facilità d’uso per stabilimenti con un consumo elevato, portando la produttività di Next Pure Coffee a 4 tazze di caffè per servizio.

Con oltre 250 caffè artigianali, degustazioni e dimostrazioni di baristi di fama mondiale, musica dal vivo e workshop interattivi, il London Coffee Festival è l’evento a base di caffeina da non perdere per gli amanti del caffè.

I biglietti sono disponibili qui

The London Coffee Festival / Rancilio Group

  • 20-23 aprile 2023
  • Piano terra G1, stand G24
  • The Truman Brewery (qui la posizione su Google Maps)
  • Brick Lane
  • E1 6QR Londra

Per ulteriori informazioni sull’evento basta cliccare qui.

Capsule di caffè: European Bioplastics sostiene la proposta della Commissione per l’obbligo di compostabilità

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capsule caffè brumen esselunga riciclo politecnico compostabili austria pack-ital bioplastiche
Capsule di caffè (immagine: Pixabay)

Le capsule di caffè compostabili aumentano significativamente la raccolta dei rifiuti organici, riducendo la contaminazione del compost con materie plastiche non compostabili ed evitano l’aumento della contaminazione di altri flussi di rifiuti: questi sono i motivi che portano European Bioplastics a sostenere la proposta della Commissione europea di renderle obbligatoriamente compostabili. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicata sul portale adnkronos.

La proposta delle capsule obbligatoriamente compostabili

MILANO – European Bioplastics (EUBP) sostiene la Commissione europea nell’intenzione di rendere le capsule di caffè obbligatoriamente compostabili e invita il Parlamento e il Consiglio dell’UE a sostenere questa specifica iniziativa per non comprometterne l’efficacia.

“Sebbene ci rincresce che attualmente sia stato proposto di rendere compostabili per obbligo solo un numero limitato di confezioni, sosteniamo senza riserve l’inclusione da parte della Commissione delle capsule di caffè nell’elenco dei prodotti che, in futuro, potranno essere immessi sul mercato UE solo se certificati compostabili”, afferma Hasso von Pogrell, amministratore delegato di EUBP.

Il caffè costituisce circa l’80% del peso di una capsula di caffè. Grazie alla raccolta del componente principale delle capsule via riciclaggio organico, si garantisce la massima conservazione del valore dell’applicazione utilizzata, in linea con i principi fondamentali della circolarità. Il compost contenente i fondi di caffè presenta diversi vantaggi se utilizzato come ammendante del terreno. In qualsiasi altra opzione di smaltimento, il prezioso materiale organico viene semplicemente perso.

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L’81% delle imprese italiane investe solo fino al 10% del fatturato nel digitale: cloud, è la tecnologia più utilizzata

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Corrado Panzeri Partner di The European House Ambrosetti e responsabile dell’Innovation and Technology Hub imprese
Corrado Panzeri Partner di The European House Ambrosetti e responsabile dell’Innovation and Technology Hub (immagine concessa)

MILANO – Trasformazione digitale ma con ampi spazi di miglioramento. È questa la principale indicazione che emerge dalla nuova ricerca realizzata da The European House – Ambrosetti e Workday intitolata “Innovazione e nuovi modelli organizzativi: obiettivi e sfide per i CFO” (scaricabile a questo link) che si è posta l’obiettivo di approfondire quali sono i driver di cambiamento che stanno influenzando la funzione amministrativa, finanziaria e di controllo delle aziende italiane, analizzando lo stato di adozione del digitale nelle imprese in una situazione attuale di mercato contraddistinta da spiccata volatilità e instabilità economica.

Gli investimenti

Analizzando gli investimenti in relazione al fatturato, la ricerca evidenzia che per l’81% delle imprese italiane il budget dedicato alla trasformazione digitale non supera il 10% del fatturato complessivo. I dati della ricerca mostrano che:

  • il 16% delle aziende investe meno dell’1% in relazione al proprio fatturato;
  • il 65% delle aziende investe tra l’1% e il 10% in relazione al proprio fatturato;
  • l’11% delle aziende investe tra il 10 e il 20% in relazione al proprio fatturato;
  • l’8% delle aziende investe oltre il 20% in relazione al proprio fatturato.

A livello di volumi, considerato l’ultimo triennio, la maggior parte delle aziende intervistate (il 59%) ha investito meno di un milione di euro nella trasformazione digitale. In particolare:

  • il 25% ha investito non più di 100.000 euro;
  • il 26% ha investito tra 100.000 e 500.000 euro;
  • l’8% ha investito tra 500.000 e un milione di euro;
  • Il restante 41% ha investito più di un milione di euro.

La ricerca segnala che non ci sono aziende che non hanno effettuato investimenti digitali negli ultimi tre anni.

“La trasformazione digitale rappresenta un insieme di profondi cambiamenti tecnologici, organizzativi, sociali e manageriali che sta pervadendo tutti gli aspetti della vita sociale” indica Corrado Panzeri Partner di The European House Ambrosetti e responsabile dell’Innovation and Technology Hub.

“Come tale, la digitalizzazione non si limita alla semplice adozione di nuove tecnologie bensì abilita la possibilità per i cittadini, per gli ecosistemi business e per la pubblica amministrazione di fruire di servizi innovativi, di vivere nuove esperienze, di poter accedere a grandi quantità di contenuti creando opportunità di contatto impensabili fino a qualche anno fa. La diffusione della digitalizzazione richiede pertanto un’evoluzione in parallelo delle tecnologie, dei modelli organizzativi e del capitale umano per valorizzare appieno gli investimenti che le aziende stanno facendo e per trasferire i benefici dell’innovazione sia agli utenti finali sia al personale delle imprese”.

 Le tecnologie utilizzate

La survey ha permesso di raccogliere importanti evidenze circa lo stato di adozione delle principali tecnologie digitali utilizzate dal mondo imprenditoriale: l’82% delle aziende italiane ha adottato soluzioni di cloud computing per facilitare e ottimizzare il proprio business come soluzioni di human e financial management.

andrea cissello workday
Andrea Cissello, Interim Country Manager per l’Italia di Workday (immagine concessa)

“Le moderne soluzioni cloud richiedono un approccio completamente diverso dal passato. Le aziende italiane necessitano di tecnologie agili che permettono di potere scalare facilmente e fare fronte a scenari di mercato mutevoli ma senza perdere focus sull’innovazione continua che il cloud offre. Workday offre una soluzione moderna e integrata per la gestione delle finanze e delle risorse umane, consentendo alle organizzazioni di sostituire sistemi obsoleti e frammentati e di evitare potenziali ostacoli che potrebbero compromettere le loro iniziative di business. Per questo ci impegniamo a posizionarci come player di riferimento in Italia per la gestione finanziaria e delle risorse umane”, afferma Andrea Cissello, Interim Country Manager per l’Italia di Workday.

Dopo le soluzioni di cloud computing, queste sono le tecnologie più utilizzate dalle imprese italiane:

  • Business Application (62%)
  • Cybersecurity (53%)
  • Big Data e intelligenza artificiale (46%)
  • Internet delle cose (38%)
  • Robotica e automazione (36%)
  • Calcolo ad alte prestazioni (HPC) (11%)

Per quanto riguarda la funzione finanziaria e amministrativa i CFO hanno sottolineato l’importanza di avere dati e modelli accurati per valutare gli investimenti in tecnologie digitali necessari per la trasformazione dei modelli di business e l’innovazione dei processi aziendali.

Inoltre, la ricerca evidenzia l’importanza di stabilire rapporti di collaborazione attiva tra la funzione finance e la funzione IT per superare gli ostacoli che possono compromettere la reperibilità, la fruibilità e il successivo utilizzo dei dati, come i rischi legati alla sicurezza e alla data governance, le limitazioni delle infrastrutture tecnologiche interne e le problematiche inerenti alla sicurezza come i possibili attacchi informatici che sono sempre di più all’ordine del giorno per le grandi organizzazioni.

Un paradigma culturale

La ricerca ha evidenziato inoltre che il vero limite all’adozione di nuove tecnologie digitali è legato a fattori “soft” come la cultura aziendale e le competenze, piuttosto che alla carenza di fattori “hard” quali l’assenza di infrastrutture adeguate. Più della metà dei rispondenti ha indicato che il ritardo nell’innovazione digitale sia dovuto alla cultura aziendale (52%) e alla carenza di competenze (48%). Tra le altre cause che ostacolano l’adozione delle tecnologie digitali nelle aziende vi sono:

  • Incertezze sul ritorno degli investimenti (ROI) (32%)
  • Mancanza di investimenti (30%)
  • Mancanza di infrastrutture adeguate (18%)
  • Difficoltà legate all’indisponibilità dei fornitori (17%).

Alcuni di questi ostacoli e limitazioni per la trasformazione digitale chiamano in causa direttamente il ruolo del CFO svolto all’interno dell’azienda confermando che in periodi caratterizzati da incertezza economica e volatilità tutte le aziende devono da un lato sapersi aprire all’innovazione mentre dall’altro devono mantenere un forte spirito di coesione interno e nella C-Suite e un elevato allineamento sulle priorità strategiche che deve raggiungere l’impresa.

Key Takeway: i 7 pilastri su cui sviluppare l’organizzazione del futuro

 In conclusione, la ricerca The European House – Ambrosetti e Workday indica 7 driver di sviluppo per le strategie di innovazione digitale:

  1. Attenzione all’ecosistema esterno

Occorre definire il modello di business aziendale in coerenza con l’ecosistema esterno, valutando caso per caso e settore per settore l’opportunità e la necessità di adottare schemi di coopetizione con partner e/o competitor;

  1. Finance sempre più strategica

La funzione finance deve essere attivamente coinvolta nella formulazione della strategia aziendale ampliando progressivamente il ruolo tradizionalmente ricoperto fino ad oggi;

  1. Metriche ESG essenziali

Occorre affiancare, alle tradizionali misure di performance basate sulla contribuzione delle diverse linee di business alla generazione di valore, nuovi modelli di misurazione e nuove metriche (KPI) che tengano conto anche della sostenibilità sociale e ambientale, in aggiunta alla dimensione economica;

  1. Rising Risks

Diventa sempre più urgente diffondere a tutti i livelli della struttura organizzativa la cultura del rischio promuovendo la condivisione dei modelli e delle metriche di monitoraggio e favorendo la diffusione a tutte le strutture delle capacità di identificare gli eventi aleatori che possono minare la sopravvivenza aziendale;

  1. Capitale umano realmente al centro

Per accrescere il vantaggio competitivo le aziende devono cogliere tutte le opportunità di valorizzazione del capitale umano quale presupposto irrinunciabile per creare team molto motivati ed orientati al conseguimento dei target di performance definiti;

  1. Skills contamination

Le aziende devono sviluppare un clima interno favorevole alla collaborazione a tutti i livelli dell’organizzazione favorendo la contaminazione delle competenze, lo spirito di team e lo sviluppo di una cultura orientata al lavoro di squadra;

  1. Technology top of mind

Per conseguire pienamente i benefici legati alla digitalizzazione occorre adottare le architetture applicative più idonee in relazione al modello di business che l’azienda persegue privilegiando le soluzioni che offrono maggiori gradi di libertà e garantiscono i livelli di flessibilità più elevati per fronteggiare le nuove sfide poste dai mercati e per soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei consumatori.