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domenica 04 Maggio 2025
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Gianfranco Carubelli, pulyCAFF: “Per togliere buona parte dei difetti dal nostro espresso basterebbe svolgere la corretta pulizia delle macchine nei bar”

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MILANO – La pulizia delle attrezzature nei bar, dalla macchina per espresso ai macinacaffè, è stato uno dei punti focali della puntata andata in onda su Report che sta facendo molto discutere gli addetti ai lavori in questi giorni. Tra di loro, non poteva mancare a pronunciarsi su questo tema chi della pulizia ha fatto una professione, forse quasi una missione: il titolare di pulyCAFF Gianfranco Carubelli.

REPORT quindi, che cosa possiamo dire rispetto a quello che si è visto dentro i bar italiani?

Carubelli: “Abbiamo tutti notato che il problema fondamentale in Italia, così come stiamo dicendo da quando Asachimici ha concepito pulyCAFF, è che ancora non si è compreso come sia necessario usare un prodotto specifico per pulire le padelle.

Mi spiego meglio: il chicco di caffè altro non è che un prodotto semilavorato dalla torrefazione e, nel momento in cui arriva nelle mani del barista, egli deve usare una macchina per espresso, ovvero la padella adeguata, per estrarne i flavors.

Così come nei ristoranti si usano le padelle con alluminio ma trattate con dei materiali che ne evitano il contatto diretto con il cibo, alla fine della lavorazione le padelle vengono lavate ad ogni uso. La nonna un tempo poteva aver ragione quando diceva di non pulire la moka che era in alluminio, perché all’epoca non esisteva un prodotto che non corrodesse questo materiale lavandolo.

Ma oggi le macchine per espresso e la moka stessa (molti modelli costruiti in acciaio Inox) sono costruite con materiali più nobili compatibili con i detergenti atti alla pulizia e questo è il concetto di base fondamentale che vorrei passasse (vedi certificazione NSF International).

Osservando la puntata di Report, credo che serva maggior attenzione nell’attribuire titoli in merito alla qualità di un marchio o un altro, infatti, come è stato evidenziato a più riprese durante la trasmissione è fin troppo facile evidenziare lacune o incuranza lungo tutta la filiera, di prodotto e/o di trasformazione.

Carubelli: “In Italia, spesso accade di arrivare al punto di non compiere le operazioni che normalmente ciascuno di noi svolge a casa propria: pulire le attrezzature per cucinare, come le padelle ogni volta che si devono usare.”

Carubelli prosegue: “Nel servizio, un bar ha dichiarato di fare 15-18 chili al giorno di caffè. Bene, da anni pulyCAFF, dopo attenti studi e valutazioni (di cui sono piene i nostri pulyDAY), ha risocntrato che dopo cinquecento espressi, l’attrezzatura subisce un calo del 20/25% in termini di estrazione, proprio a causa dell’intasamento dei passaggi acqua. Per evitare questo fenomeno, durante la giornata è necessario compiere almeno 4 cicli di pulizia, come da nostre istruzioni durante i nostri pulyDAY.

Altrimenti, alla fine si sentiranno difetti in tazza, tra cui il copertone, il bruciato…. È colpa delle procedure scorrette. Stiamo cercando di far passare questo semplice messaggio anche attraverso i corsi di formazione pulyDAY.

Eppure, è ancora un concetto che si perde tra il torrefattore e l’operatore: il primo, spesso, è convinto che il proprio prodotto sia il migliore di tutti, e probabilmente lo è fin quando è ben protetto nella confezione originale. Ma una volta che il nostro amato chicco viene messo nella tramoggia del macinino, questa qualità rischia di perdersi se non si svolgono preventivamente le giuste operazioni di manutenzione.

Quindi, anche i torrefattori dovrebbero comprendere che trasmettere insieme a noi questo messaggio è sicuramente un vantaggio anche per il loro chicco, in quanto non verrà contaminato da difetti di estrazione. Stiamo cercando di coinvolgere con le nostre competenze anche i torrefattori proponendoci continuamente in maniera capillare presso le loro sedi e le loro reti di vendita. Sarò certo che tutto l’indotto abbia capito l’importanza della pulizia solo quando tutti i professionisti del settore ci inviteranno loro direttamente a casa propria per poter acquisire le corrette procedure.

Per chiudere, direi che se noi volessimo togliere buona parte dei difetti dal nostro espresso, basterebbe svolgere la corretta pulizia delle macchine. Al barista che si è comportato così per 40 anni dietro al bancone dico: in passato puoi anche aver avuto ragione, ma ora le cose sono cambiate. Abbiamo fatto passi in avanti in termini di formulazioni, rapporti ed offerta al cliente, nonché sul fronte della qualità e del trattamento di ciò che ci cibiamo e che assaporiamo.

Le cose sono cambiate rispetto al passato, attrezzature e metodi di estrazione si sono affinati via via sempre di più, e quindi anche il barista deve evolversi e fare la sua parte all’intero del comparto caffeicolo, per essere parte attiva e non sempre negativa di questo lungo percorso come quello del caffè”.

CoffeeandLucas in risposta a REPORT: “In Italia oggi ci sono molte più caffetterie di qualità, basta sparare su Napoli e sui baristi”

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CoffeeandLucas comunicatore social del caffè di qualità, che spinge da anni attraverso i suoi canali in diverse occasioni e modalità, anche uscendo dalla sua zona di riferimento, sfociando nel food e negli abbinamenti, decide di rispondere a REPORT di Rai 3 analizzando la situazione del caffè in Italia a 360°. Già attivo in questo suo percorso di divulgazione, quando si parlava veramente poco di specialty e di cultura del caffè.

“Ho letto tanti punti di vista. Alcuni anche molto interessanti. Ma ho notato che poche persone, dopo la trasmissione di REPORT, hanno messo in risalto alcuni aspetti che proverò ad analizzare. Credo di poter avere una certa voce in capitolo perché nel 2014 io c’ero“.

Back to 2014

Nel 2014 l’illuminazione. Con la puntata “Espresso nel caffè” REPORT segnò, a livello mainstream, un prima e un dopo.

Benché la trasmissione fosse opinabile sotto molti punti di vista (cosa che non di rado, nelle loro inchieste a tesi, capita durante le puntate di Report) quel reportage illuminò molte persone.

Compreso il sottoscritto, che dedicò i mesi e gli anni successivi alla causa del caffè di qualità.

Uscì un documentario che co-diressi (2017) dove gran parte dei protagonisti furono gli stessi dell’inchiesta di Report. E tante altre cose successero.

La realtà è cambiata. E non di poco.

L’immobilismo di REPORT

Report ha dedicato negli anni 3 puntate al caffè: nel 2014, nel 2019 e quest’ultima del 2024.

Le puntate sono state seguite sempre dallo stesso giornalista, Bernardo Iovene, con a seguito, a parte rare eccezioni, gli stessi esperti. Già questo di per sé rappresenta, per me,
un grosso punto debole. Dal 2014 sono cambiate molte cose e in questo mondo è entrata o si è affermata gente, lavorativamente parlando, di tutto rispetto.

Inserire nuove voci e punti di vista sarebbe stato utile. Sempre rimanendo in tempi ed esigenze televisive che, quando si è in prime time su una rete nazionale, devono essere per forza di cose seguite (o inseguite?).

Vedere questo immobilismo di Report sia nell’approccio che nei protagonisti ricorda davvero molto da vicino l’immobilismo che si vede in certa politica in Italia.

“L’altro giorno pensavo stessero facendo vedere la replica della puntata di dieci anni fa” mi ha detto un mio amico proprio mentre stavo scrivendo questo pezzo.

Classismo e caffè

Veniamo a un capitolo spinoso ma che se nel 2014 era passabile nel 2024 inizia a diventare quantomeno discutibile.

Non trovate sia un po’ classista dall’alto di un (probabilmente) più che discreto 730 andare a giudicare il lavoro di persone che si svegliano all’alba e devono combattere con i clienti?

Voi che lavorate dietro a un banco tutti i giorni sapete benissimo cosa intendo. Sgombriamo il campo dagli equivoci. La pulizia delle attrezzature e una corretta estrazione del caffè non è solo auspicabile ma dovrebbe essere la normalità.

Ma c’è una sottile linea tra questo aspetto e non capire la complessità e la profondità di questioni che non possono essere archiviate solo con un “non sai nulla, vatti a formare
perché per lavorare qua dietro dovresti fare corsi e formazione”.

Corsi e formazione che sono importanti ma che, oltre a costare non poco, spesso non interessano a certi datori di lavoro. Corsi sui quali forse andrebbe aperto un altro capitolo.

Ecco perché fare una fotocopia nel 2024 della trasmissione del 2014 mi è suonato così stonato.

Anche nei confronti delle persone messe un po’ alla gogna durante la trasmissione. Ok, i meme sono molto belli, ma vi sentite davvero così tanto più intelligenti a prendere in giro una persona che da 30/40 anni alza la serranda del locale all’alba e lavora a testa bassa?
S

oprattutto gente che non lo ha mai fatto nella propria vita.

Che poi diciamocela tutta. Vogliamo giustamente difendere i diritti dei farmer dall’altra parte del mondo ma poi ce la prendiamo, nel “nostro” mondo, con l’ultima ruota del carro che, probabilmente nella maggioranza dei casi, ha molte meno colpe di quante vogliamo addosargliene. Facile sparare sul barista.

La battuta scappa ed è scappata a tutti però dai dopo dieci anni evolviamo un pochino nel nostro pensiero per favore.

Che poi tra l’altro credo sia ora di parlare di quello che secondo me è un grandissimo equivoco”.

Tra bar e caffetteria

CoffeeandLucas: “Davvero pretendiamo di avere dei sommelier del caffè dietro il bancone di bar che assomigliano più a una catena di montaggio? Posti dove i clienti vogliono il caffè in due secondi e dove, palesemente, non gliene frega nulla di cosa stanno ingurgitando?

Ci sono caffetterie specialty che quando sono leggermente ingolfate e con la coda non hanno il tempo di farti nessun racconto.

Certo se dovessi chiedere informazioni al/alla barista probabilmente saprà cosa ti sta servendo ma quella persona, super incasinata in quel momento, non ti guarderà con grandissima simpatia.

E noi davvero pensiamo che questo story telling possa avvenire in posti dove il caffè è solo una scusa per venderti altri servizi?

Cerchiamo di essere realisti. Perché io dopo oltre 10 anni alcune idee ho dovuto rivederle.
Sono partito anch’io con delle convinzioni. Poi mi sono scontrato con la vita reale. Ho parlato con i torrefattori. Ho parlato con i baristi. Quei baristi che stanno dietro al banco.

Molti dei quali (e questo è un altro tema che nessuno ha mai voluto affrontare) dopo un grande innamoramento per il caffè hanno scoperto anche il rovescio della medaglia e questo ambiente lo hanno mollato. Quei baristi che se gli vai a chiedere a telecamere spente un semplice “come stai?” uscirebbero fuori cose che altro che la trasmissione di REPORT dell’altra sera. Per carità va dato anche atto a molti altri imprenditori e imprenditrici che nel 2024 (e sarà così anche il prossimo anno) continueranno a investire in maniera sana in un sistema Italia che tutto fa meno che aiutarli.

Il punto è questo. Come nella ristorazione ci sono locali e locali e come nell’abbigliamento c’è alta moda, artigianato popolare e fast fashion anche nel caffè ci sono Bar e Caffetterie specializzate (semplificheremo così).

Potremmo discutere se sia giusto che esista in tutti questi ambiti l’alternativa cheap e poco sostenibile ma questo è un altro discorso ancora.

Far finta di mettere insieme attività che non c’entrano e non c’entreranno mai nulla tra loro vuol dire voler essere miopi. Anche all’estero è così.

Anche in città piene di specialty come Copenaghen, Berlino (e potrei continuare) mediamente è più facile trovare delle caffetterie specializzate ma vi assicuro che si beve (e ho bevuto) un sacco di immondizia uscita da macchine poco pulite utilizzate da operatori che della materia prima e delle giuste pratiche sapevano poco o nulla anche in queste città virtuose. Questa è la realtà.”

Ma quindi è tutto perfetto?

CoffeandLucas continua: “Assolutamente no. Certe pratiche devono migliorare assolutamente. Parliamo in certi casi di HCCP praticamente.

Ma è un argomento che va trattato in modo progressivo. Ci stiamo scontrando con un aspetto che fa parte della cultura del nostro paese. La trasmissione sapete che effetto sortirà?

Per qualche settimana clienti a cui probabilmente non è mai fregato nulla del caffè romperanno le scatole a baristi sommersi dalla solita orda di comande. Mentre nelle caffetterie specialty i clienti abituali verranno a prendersi il caffè e diranno “oh ma allora avete ragione voi ad essere così rompiscatole!” (scena vista con i miei occhi).

Certamente una grande responsabilità ce l’hanno anche alcune torrefazioni che con un occhio danno il caffè e con l’altro fanno finta di non vedere.

Le risposte date da alcuni esponenti durante il programma sono state oggettivamente irricevibili. Non ci sono dubbi.

Ma non ce ne sono neanche sul fatto che se sulla materia caffè c’è un sacco di disinformazione e confusione, spesso proprio questa disinformazione e confusione viene alimentata da personalità interne a questo mondo che prendono strade quantomeno discutibili e molto contraddittorie.

Bisogna capire quando arriva il momento di dire “forse ho un conflitto di interessi”. Un po’ di sana autocritica non farebbe male anche dentro al nostro ambiente”.

Ma quindi fa tutto schifo?

CoffeeandLucas aggiunge: “Qui veniamo al capitolo per me più dolente della trasmissione. Davvero dopo 10 anni non siamo riusciti a far vedere qualche esempio virtuoso in più della caffetteria mostrata (penso a quel punto fossero le 23) quasi a fine segmento della parte dedicata al caffè?

Da questo punto di vista la puntata del 2019 era stata di una qualità indiscutibilmente migliore perché, alle solite (e giuste) critiche, aveva fatto seguire una panoramica di quanto di buono stesse succedendo nel nostro paese.

Probabilmente far vedere questi aspetti più positivi fa meno audience rispetto a del materiale critico col quale poter montare ad hoc anche qualche reel acchiappa like e flame su Instagram.

Sarebbe però stato davvero interessante far vedere facce nuove, imprese nuove e giovani. Mostrare un mondo che esiste e che giornalmente sta contribuendo a un cambiamento non di poco conto.

La puntate del 2014 fu rilevante perché all’epoca, a parte poche mosche bianche, mancava proprio la scelta per il consumatore finale. Oggi quella scelta, almeno nelle grandi città (ma non solo) c’è.

Hanno aperto moltissimi posti. Caffetterie ma anche tante pasticcerie, ristoranti e gelaterie che hanno iniziato a offrire un prodotto di qualità. Bere caffè più consapevole ora non è più un’impresa, anche in Italia.

Se ne stanno accorgendo anche nel tanto amato estero che dipingiamo come un mondo perfetto.

Qualche anno fa invece tutto era relegato a pochissimi posti (o all’acquisto online). Certo sparare su Napoli e sui baristi è più facile vero?

“Inchiodati alle abitudini (Lavori utili)
Col sole o coi fulmini (Legami futili)
Ammaccati come vecchi pugili (Legumi il lunedì)
Perché gli ultimi saranno gli ultimi (Mutui per ruderi)
Mangiamo scatolette, guidiamo scatolette, viviamo in scatolette (A trenta subdoli)
Forza, che oggi è lunedì”

(Marracash)

                                                                                                  CoffeeandLucas

Usda: volano i consumi cinesi, nel 2024/25 raggiungeranno i 6,3 milioni di sacchi

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MILANO – Volano in consumi cinesi di caffè, che saliranno quest’anno a 6,3 milioni di sacchi facendo del paese del dragone il sesto consumatore mondiale: così il report semestrale sui mercati e il commercio del caffè del Dipartimento Usa dell’agricoltura (Usda), che riporta le stime ufficiali del dicastero di Washington. Secondo il report, i consumi della Cina sono cresciuti, negli ultimi 10 anni, di quasi il 150% passando da poco più di 2 milioni di sacchi all’inizio del decennio trascorso agli oltre 6 milioni previsti quest’anno.

Ma la Cina è anche il 13° paese produttore mondiale, con un raccolto stimato, sempre per il 2024/25, in 1,8 milioni di sacchi. Il tè rimane la bevanda nazionale cinese, ma il caffè riscuote sempre più consensi, soprattutto tra i giovani del ceto medio e alto delle grandi città, grazie anche al boom delle caffetterie.

Le grandi catene nazionali e internazionali hanno conosciuto un’enorme espansione dapprima nelle metropoli di prima fascia.

A cominciare da Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen. E successivamente anche in altre città Tier 1, quali Chengdu, Hangzhou, Suzhou e Chongqing.

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Roberto Pedini sulla tostatura: “Demonizzare un processo rispetto a un altro, non è un approccio corretto”

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MILANO – Roberto Pedini, sales coordinator business development IMF Coffee Roasters si pronuncia su REPORT, da esperto di processi di tostatura. Se ne occupa da una vita per diverse aziende, e conosce bene l’argomento: alcune perplessità sono emerse dal suo punto di vista che condividiamo di seguito.

L’analisi dell’episodio andato in onda

di Roberto Pedini

“Facciamo attenzione a giudicare troppo una categoria, un certo stile di tostatura: non è la prima volta che questi temi saltano fuori, ma si deve uscire dall’impostazione del discorso in maniera tendenziosa. L’Italia resta un Paese che il resto del mondo guarda sempre con ammirazione e dal quale si vuole emulare la tecnologia delle macchine espresso, delle attrezzature per tostare e macinare, così come il rito del bar. Chi opera in questo settore, può confermare che dall’estero ci prendono come punto di riferimento.

Venendo invece alla tostatura, che per professione conosco bene, non si può dire che ne esiste una ottimale o migliore dell’altra. Bisogna innanzitutto tenere conto del mercato di riferimento, delle abitudini di consumo e dell’utilizzo finale (compresi i metodi di estrazione).

Demonizzare un processo rispetto a un altro, non è un approccio corretto. La tostatura scura viene un po’ criticata e vorrei invece spezzare una lancia a suo favore: non è soltanto un modo per coprire i difetti della materia prima.

Oltre che in Italia esistono aziende e Paesi – come in Asia o negli Stati Uniti – che scelgono di applicarla per conferire certi aromi e caratteristiche in tazza anche partendo proprio da caffè verdi pregiati. Si arriva a spingersi addirittura fino a 22 /25 punti di scala Agtron, utilizzando appunto Arabica di altissima qualità, con chicchi con alta densità che proprio per questo sopportano tostature così spinte limitando i rischi dell’autocombustione degli stessi.
Non è dunque automaticamente una modalità scorretta o che serve a dissimulare la bassa qualità del verde.

Ovviamente ci sono aziende che devono porre attenzione ai loro cicli di produzione, soprattutto se si tosta scuro: dipende anche dalle tecnologie utilizzate e ad esempio se si ottiene con altissime temperature e tempi brevi si avrà una trasudazione d’olio ancora piu’ spiccata rispetto tostature si , scure , ottenute a temperature meno elevate ma piu’ prolungate.

Con le tostature scure si deve piuttosto porre molta piu’ attenzione ai tempi di distribuzione commercializzazione del prodotto tostato: si sa che qualsiasi tipo di bevanda e cibo in cui sono presenti grassi e oli, sono soggetti ad ossidazione piu’ precoce . Il caffè tostato scuro non può essere tenuto da parte magari nei retri dei bar per troppe settimane o addirittura mesi, prima che possa finire nelle tazzine dei consumatori ; un caffè tostato scuro ha shelf life molto piu’ corta rispetto ad una tostatura chiara , ma ovviamente avrà aromi gusti e corposità differenti.

Si parte sempre dal presupposto che ogni azienda ha stabilito il proprio standard qualitativo ed esistono caffè verdi di livello inferiore e il risultato in tazza ne sarà un riflesso, come per tutti gli i tipi di cibo e bevande esistenti sul bercato.

Pensiamo solo all’uso dell’espresso nei bar che viene utilizzato anche come ingrediente per i tantissimi cappuccini serviti nel mondo: caratterizzato da un’acidità spiccata talvolta eccessiva non si otterrebbe sufficiente forza per penetrare il sapore dolciastro del latte , mentre invece al contrario con la tostatura , scura che dona gusti di caramelizzati e di tipicità amarognola sono un perfetto connubio per ottenere le tante amate gradevoli bevande a base di latte e caffè apprezzate in tutto il mondo.

Questo significa che certi tipi di tostatura chiara sono più indicati per diverse applicazioni, come la bevanda del caffè filtro per percolazione: con il metodo espresso ad alta pressione si enfatizzano le caratteristiche ,si estraggono oltre 1000 caratteristiche organolettiche, mentre con il filtro non più di 250/300, quindi una tostatura chiara o molto chiara con una spiccata acidità potrebbe nell’espresso addirittura sconfinare nel citrico.

“Quando si parla di caffè si dovrebbero coinvolgere tutte le parti interessate”

“Sembra in queste trasmissioni di vedere solo una categoria in particolare, dai baristi ai torrefattori, messa sotto accusa perché non lavora secondo canoni di associazioni come SCA, che però sono strutturate seguendo delle impostazioni derivate dai Paesi anglosassoni.

Per la formazione ci si affida a dei parametri che sono lontani dalla tradizione italiana, derivate da un mondo anglosassone in cui si prediligono metodi di estrazione diverse dall’espresso e tostature più chiare.

Ho notato troppo spesso durante i corsi che si parla più di frutta e verdura che di caffè. Mi piacerebbe invece sentir descrivere un po’ più di aromi di caffè che di fiori e frutta esotica.”

Un punto a favore della puntata

“Le provocazioni su determinate categorie del settore, obbligano però dall’altra parte a curarsi maggiormente della professionalità lungo la filiera sino alla somministrazione al consumatore finale. Se ci sono punti critici, lì si deve migliorare: un barista che non pulisce la macchina, non sa a che temperatura dev’essere tarata , come macinarlo, o non riconosce se la miscela di chicchi fornitagli è composta da piu’ arabica o robusta indispensabile per poi settare diversamente i parametri predetti non è da demonizzare tutta la categoria ma da coinvolgere in un percorso formativo almeno di base prima di improvvisarlo dietro ad un baco bar.

Per concludere, un po’ di colpe ce le dobbiamo assumere: non abbiamo capito l’esigenza degli ultimi 20 anni dove vi era l’esigenza di fare formazione per l’aggiornamento degli addetti ai lavori, dai tostatori ai baristi. Ma non avendo fatto fronte comune nel sistema caffè italiano, ma contando su associazioni divise, i torrefattori e gli utenti hanno cercato di sviluppare le proprie competenze all’interno di un’organizzazione impostata però con parametri che vengono dall’estero.

La Sca ha trovato un terreno fertile, colmando il gap di esigenza di formazione che esisteva , codificandolo laddove non siamo stati in grado di fare noi per primi da italiani. Fino al punto che non riusciamo neppure a ottenere il riconoscimento Unesco per l’espresso. Dobbiamo invece difendere le tradizioni e il know-how italiano. è anche vero pero’ cha da un certo punto di vista si deve anche ringraziare la SCA per aver costretto il modo caffè ad essere piu’ sensibili ed attenti agli aspetti qualitatitivi sia della materia prima fino al modo di somministrarla quindi è giusto porre l’attenzione là dove ci sono criticità e attivare iniziative per migliorare , senza dover puntare il dito su di un tipo di prodotto od una categoria in particolare.

Mi è sembrato un po’ superficiale il modo di affrontare il tema del caffè italiano, sentendo solo una parte di una certa tendenza e non coinvolgendo le tante voci coinvolte nella filiera di lavorazione del caffè da importatori di caffè verde , costruttori di tecnologie di tostatura , macinatura piuttosto che macchine per l’estrazione ed erogazione.

Non vedo come utile per il settore, improntare una trasmissione in una maniera così parziale tendenziosa e divisiva anziché fare fronte comune per difendere la nostra eccellenza del caffè lavorato all’Italiana nelle sue diverse sfumature apprezzato e ricercato in tutto il mondo anche dalle nuove generazioni che porterebbe sicuramente positività e vantaggi per tutti”.

                                                                                                              Roberto Pedini

Alberto Trabatti, Torrefazione Penazzi su REPORT: “Tutto deve partire dal barista, che ha l’obbligo di uscire dalle logiche dei finanziamenti”

Alberto Trabatti, titolare della Torrefazione Penazzi a Ferrara, ha voluto prendere parte al coro di addetti ai lavori che hanno guardato con interesse la puntata di Report andata in onda di recente, che ha messo sotto la lente di ingrandimento la tazzina italiana nei bar.
Nella sua azienda, una Petroncini da 10 chili ed una Giesen da un chilo e mezzo per essere più flessibili e rispondere anche alle esigenze di un consumatore che desidera specialty coffee e quelli che Trabatti definisce i “dignity coffee” – ovvero di alta qualità, ma con un punteggio inferiore – e talvolta fuori dai giri più noti di fornitori.

Trabatti commenta Report

“In realtà è già da diverso tempo che si sa come stanno le cose a Napoli: è certo che la tazzulella è un mondo a parte dentro il già vasto universo del caffè. Di fatto si creano queste piccole isole all’interno delle quali nascono dissidi e accordi tra le persone.

Per un momento però, dimenticando di essere dei tecnici, ovvero coloro che hanno frequentato i corsi e vivono come me questa bevanda con passione e professionalità da ormai 20 anni dall’avvio della mia attività, vorrei partire da altre premesse.

Innanzitutto, molto spesso la gente si lamenta se il caffè costa un po’ di più, ma sono convinto che alcune tazzine non si dovrebbero bere neppure se offerte gratuitamente.

Davanti alla puntata di Report purtroppo ho avuto delle conferme rispetto a quello che già conoscevo. Eppure, mi sembra che non sia emerso un dettaglio in più che invece potrebbe essere utile: a Napoli, spesso e volentieri la storia e la tradizione del caffè è stata associata ad una figura iconica della napoletanità, che però è sfuggita nell’episodio.

Sto parlando di Edoardo De Filippo il quale affermava di tostarsi il caffè da solo, a manto di monaco: nulla a che vedere dunque con le bruciature che vengono perpetuate da tante aziende napoletane e non. Basta guardarlo al balcone di casa, in “Questi fantasmi”, mentre racconta al “Professore” i suoi riti.

Se vogliamo quindi per un momento, parlare soltanto di tradizione e cultura della bevanda, qua si sta facendo un affronto a uno dei più grandi rappresentanti dell’essere partenopei.

A parte questa digressione, ricordiamoci che il caffè si può cuocere proprio come si fa come la carne: al sangue, medio o ben cotta, senza però bruciarla. Spesso l’eccessiva tostatura che chiamano all’estero “french roast”, è quella sbagliata che però in certi casi è voluta per nascondere i difetti della materia prima.

Ma accade di rovinare il risultato finale anche con gli specialty quando li si tosta troppo chiari, restituendo in tazza una spremuta di limone.

L’importante dunque è evitare gli eccessi e studiare questa scienza, che è inesatta: con una temperatura, un’umidità e un certo peso di caffè nella macchina, si può ottenere un determinato risultato, ma non è detto che a seguire la stessa curva di tostatura, si possa mantenere costante, perché basta cambiare anche solo leggermente un parametro per scoprire una soluzione diversa. Non più buona né più cattiva.

Bisogna stare attenti a tutti i fattori di quella giornata, per cercare di replicare il più possibile il risultato.

“Altra cosa che ricordo a tutto il settore: noi vendiamo caffè, non siamo delle banche che erogano finanziamenti e comodati d’uso. “

“Noi riforniamo i bar e i gestori proprietari o coloro che stanno acquistando le proprie attrezzature ed accessori, ma non pratichiamo strategie commerciali volte ad acquisire clienti con questa sorta di apparente vantaggio economico: proponiamo il caffè al suo giusto prezzo, che tiene conto della materia prima e dei suoi criteri di lavorazione, e se qualcuno vuole differenziarsi dai propri competitor vicini, con il nostro prodotto ci riuscirà con alta probabilità.

Il sistema del finanziamento in effetti poi può incentivare l’atteggiamento di noncuranza dell’operatore dietro il bancone: tanto ci si affida per qualsiasi cosa al finanziatore, al tecnico della torrefazione. Alcuni baristi aspettano addirittura che qualcuno di esterno arrivi a regolare per lui la macinatura: sono esperienze invece che dovrebbero saper gestire in autonomia, in modo da sviluppare fondamentali competenze tecniche.

La nostra torrefazione, ogni volta che acquisiamo nuovi clienti, si occupa anche della loro formazione. Prima di parlare di specialty coffee, bisognerebbe pensare al caffè che viene servito solitamente nei bar italiani: a chi beve l’espresso e vuole staccare per un minuto, diamo qualcosa che può essere definito caffè.”

Tutto deve partire dal barista, che si deve però liberare dalle regole del finanziamento

“Avere le proprie attrezzature significa anche poter scegliere la materia prima da usare per la propria tazzina, una che soddisfa le sue esigenze in termini di qualità. A quel punto il barista diventa professionista che sa riconoscere un buon caffè. Ed ha più potere decisionale per i suoi acquisti.

Forse per evitare questo cambio di paradigma, il torrefattore che lavora solo con in mente il profitto, ha interesse a mantenere bassa la conoscenza del prodotto dei suoi clienti, ovvero, i baristi. Oppure si formano usando i prodotti sbagliati, fatti passare per eccelsi.”

La questione del prezzo, legato alla qualità

Trabatti continua: “Il caffè ha una vita aromatica molto breve, tra i trenta e i 45 giorni si esprime al suo massimo, dopo essere stato tostato. Da lì in poi c’è un calo in termini di gusto e di qualità. Come italiani dobbiamo toglierci la testa che l’espresso debba costare un euro soltanto: se è cattivo, non si torna nel bar, altrimenti è giusto anche pagarlo il prezzo corretto rispetto alla sua qualità.

A tal proposito ho organizzato in passato un corso di difesa dal caffè cattivo: ho mostrato gli errori che un barista di solito compie e a cui dover stare attenti entrando in un locale, in modo che il consumatore sappia cosa sta pagando e bevendo.

Estrarre un espresso è come guidare un’auto: per farlo, bisogna studiare, fare pratica a scuola. Così dovrebbe essere per i baristi.

Dobbiamo anche noi dall’altra parte, iniziare a rifiutare queste richieste: quando mi capita di ricevere telefonate da gestori che vogliono tutti gli accessori e le attrezzature, li rimando a controllare la mia filosofia nel nostro sito. Difficilmente mi richiamano. Idealmente li ringrazio per non avermi fatto perdere altro tempo.

Il mio esempio sempre in mente è Gianni Frasi, con il quale condividevamo un pensiero preciso che si traduce nella dignità del caffè, con l’uso degli ingredienti giusti, trattati correttamente.

Che sia Napoli, Milano, Palermo, Ferrara, non cambia la sostanza: l’etica alla fine è quella che nobilita il nostro mestiere, e il prodotto. Si parte dall’idea di differenziarsi da chi normalmente rovina la tazzina nei bar. Non bisognerebbe parlare di qualcosa di “buono” da contrapporre all’idea di “cattivo”, nel Caffè: la qualità e la salubrità dovrebbero essere un assioma per tutti.

Le cose purtroppo ancora non sono cambiate in questi ultimi anni, ma magari proprio ricollegandosi alla celebre tonaca di monaco napoletana, si può guardare ad un futuro differente. È possibile guadagnare anche lavorando in maniera diversa. In una crescita moderata ma costante, garbata, che dà reciproca soddisfazione a me e al barista, seguendo un fine decisamente più importante nel lungo periodo.”

Sandro Bonacchi dopo il servizio su Rai3: “Torrefattori, baristi e consumatori in tutto il Paese inconsapevoli”

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Sandro Bonacchi è un caffesperto che lavora dal 2000 nel mondo del caffè come torrefattore e dal 2017 come trainer formatore per la SCA (Speciality Coffee Association) nell’ambito dell’analisi sensoriale. È co-fondatore di Umami Area Honduras. Nel 2019 è stato autore con Andrej Godina del saggio Caffè Zero a cui è seguita nel 2020 l’uscita dell’omonimo manifesto. Dal 2020 è co-fondatore di B.farm. Di seguito riportiamo la sua risposta dopo il servizio di REPORT.

Di Sandro Bonacchi

“Chi ha visto la puntata di REPORT di domenica 15 dicembre si starà facendo di certo qualche domanda: “Ma tutta questa incompetenza dei baristi e tutto questo caffè difettoso venduto loro dai torrefattori è solo esagerazione o è realtà? E questa incuranza è tipica di Napoli e di poche altre località oppure è un fenomeno diffuso?” Mi duole rispondere che tutto il nostro Bel Paese ne soffre.

Nella maggior parte dei casi il barista non ha seguito particolari corsi di formazione, non ha cognizione della materia prima che il torrefattore gli vende, riceve caffè difettosi senza valutarli come tali e non rivolge particolare attenzione nella preparazione e nella pulizia delle attrezzature. Non solo.

Non utilizza nessuna ricetta per la preparazione dell’espresso, non ha un menù dei caffè con differenti proposte e metodi di preparazione, né tantomeno possiede abilità legate all’analisi sensoriale sufficienti per valutare come ha cucinato il caffè da lui preparato.

Figuriamoci se può essere consapevole di non saper raccontare il caffè che sta servendo. L’obiettivo sarebbe invece quello di favorire un consumo più consapevole, trasformando un rito “amaro” in una “scelta di piacere”.

È doveroso ringraziare la redazione di REPORT e il lavoro di Bernardo Iovene per questo nuovo servizio dedicato al caffè. Tuttavia è demoralizzante assistere alle dichiarazioni di taluni torrefattori: “Lo facciamo così – (male così) – perché comunque è questo che il mercato ci chiede”. Stiamo forse affermando che sia giusto vendere materia prima difettosa e tostata volutamente male perché sono i clienti a chiederlo? È giunto il momento di aprire gli occhi e di non accettare un certo caffè solo perché costa poco.

In Italia si bevono difetti, ovunque. Le interviste realizzate a Napoli fanno ancora notizia visto che nell’immaginario degli Italiani il capoluogo campano rappresenta l’eccellenza del caffè, anche se nella realtà si tratta di un luogo comune.

È ormai l’ora di azzerare tutto ciò che pensiamo di sapere sul caffè, di mettere l’attenzione sulla filiera affinché siano servite tazzine senza difetti a consumatori più consapevoli. Per iniziare un possibile percorso di conoscenza della bevanda consiglio la lettura del saggio Zero Caffè di Andrej Godina e Sandro Bonacchi (Edizioni Medicea – Firenze).

Voglio comunque spezzare una lancia in favore del territorio partenopeo che può contare su molti ristoranti e caffetterie che hanno fatto del caffè una vera proposta di valore, molto più che in città solo apparentemente più virtuose ma decisamente più pigre e meno evolute. Confido che, come accaduto per la pizza, Napoli possa essere fra le prime città italiane a dare dimostrazione che tradizione non vuol dire reiterare nel tempo dei processi errati.

Grazie allo studio, alla conoscenza e all’applicazione ogni interprete della filiera può migliorare il proprio compito. Solo un consumatore più felice e consapevole può essere disposto infatti a pagare un prezzo più alto, adeguato a sostenere tutti gli attori che lavorano lungo la filiera, dal contadino al barista stesso.

Proprio nell’ultimo anno la materia prima caffè ha raggiunto prezzi più che raddoppiati ma ciò non si traduce ancora in un aumento proporzionale del prezzo della tazzina. Il timore è rivolto alla potenziale impreparazione del consumatore nel comprendere e accettare un aumento. Ma ditemi, come biasimare il consumatore? Perché pagare di più per gli stessi difetti?

Agli operatori del settore non resta che cambiare in modo onesto e responsabile le regole del gioco e il consumo del caffè. Come? Attraverso lo studio, facendo della cultura della conoscenza il proprio passaporto per il futuro”.

                                                                                                      Sandro Bonacchi

Evoca Group inaugura il nuovo magazzino sostenibile per lo stoccaggio e la gestione delle materie prime a Valbrembo

VALBREMBO (Bergamo) – Presso la sede di Evoca Group situata a Valbrembo, è stato inaugurato il nuovo magazzino per lo stoccaggio e la gestione delle materie prime, un investimento che segna un importante traguardo per l’azienda.

Realizzato con materiali conformi alle normative ambientali e dotato di pannelli fotovoltaici, il nuovo edificio unisce sostenibilità, innovazione ed efficienza.

L’esterno del magazzino (immagine concessa)

Con una superficie di 2.400 metri quadrati e uno sviluppo fino a 10 metri di altezza, la struttura di Evoca Group offre un comfort climatico ottimale, segnando un netto miglioramento delle condizioni di lavoro per il personale e un futuro più green per tutti.

L’interno del magazzino (immagine concessa)

Un progetto che guarda lontano, nel rispetto dell’ambiente e delle persone.

Lavazza Espresso Gourmet: arriva la nuova linea delle capsule in alluminio al cioccolato e caramello

TORINO – La famiglia delle capsule Lavazza in alluminio, compatibili con le macchine Nespresso* Original, si arricchisce con la nuova linea Lavazza Espresso Gourmet, che combina l’eccellenza del caffè Lavazza con le golose note di cioccolato e caramello. Un’esperienza di gusto unica, pensata per trasformare ogni caffè a casa in un piacere esclusivo.

Dopo il grande successo delle sue miscele più iconiche – Qualità Oro, Qualità Rossa, Crema e Gusto, ¡Tierra! For Planet e Dek – Lavazza amplia la propria offerta introducendo i caffè aromatizzati, disponibili nelle due varianti Cioccolato e Caramello.

Lavazza Espresso Gourmet offre un’esperienza di gusto unica e appagante, grazie alla combinazione perfetta dell’eccellente qualità del caffè Lavazza e all’aggiunta delle note aromatiche.

Lavazza Espresso Gourmet Cioccolato è una miscela di Arabica brasiliana e Robusta naturale, perfetta per esaltare le note ricche e avvolgenti del cioccolato per un caffè pieno, equilibrato e corposo.

Lavazza Espresso Gourmet Caramello nasce dall’attenta selezione delle migliori Arabiche del Centro e Sud America, che si sposano con la dolcezza vellutata del caramello, creando un caffè bilanciato, dolce e delicato.

Il lancio della gamma Lavazza Espresso Gourmet è accompagnato da materiali creati ad hoc per i punti vendita, una campagna digital, social e tv, con l’obiettivo di rafforzare il posizionamento della linea e raggiungere un pubblico giovane, curioso e orientato all’innovazione.

Lavazza Espresso Gourmet Cioccolato (immagine concessa)

Il QR code presente sui pack rimanda ad una landing page dedicata, dove scoprire ricette originali, come Caramel Viennoise, Soft Choco Cream, Tiramisù e Crunch Caramel, per scoprire nuove modalità di degustazione.

Ogni variante include una proposta beverage e una food, ideate per valorizzare al meglio il gusto unico delle miscele con pochi ingredienti e una preparazione semplice.

Con Lavazza Espresso Gourmet, l’azienda conferma la sua capacità di innovare, portando sul mercato soluzioni che uniscono qualità e piacere.

* Lavazza non è affiliata a, né approvata o sponsorizzata da Nespresso

La scheda sintetica del Gruppo Lavazza

Lavazza, fondata a Torino nel 1895, è un’azienda italiana produttrice di caffè di proprietà dell’omonima famiglia da quattro generazioni. Il Gruppo è oggi tra i principali protagonisti nello scenario globale del caffè, con un fatturato di oltre 3 miliardi di euro e un portfolio di marchi leader nei mercati di riferimento come Lavazza, Carte Noire, Merrild e Kicking Horse. È attivo in tutti i segmenti di business, presente in 140 mercati, con 8 stabilimenti produttivi in 5 Paesi.

La presenza globale è frutto di un percorso di crescita che dura da oltre 125 anni e gli oltre 30 miliardi di tazzine di caffè Lavazza prodotti all’anno sono oggi la testimonianza di una grande storia di successo, per continuare a offrire il miglior caffè possibile in qualsiasi forma, curando ogni aspetto della filiera, dalla selezione della materia prima al prodotto in tazza.

Il Gruppo ha rivoluzionato la cultura del caffè grazie ai continui investimenti in Ricerca e Sviluppo: dall’intuizione che ha segnato il primo successo dell’impresa – la miscela di caffè – allo sviluppo di soluzioni innovative per i packaging; dal primo espresso bevuto nello Spazio alle decine di brevetti industriali sviluppati.

Un’attitudine a precorrere i tempi che si riflette anche nell’attenzione rivolta al tema della sostenibilità – economica, sociale e ambientale – considerata da sempre un riferimento per indirizzare la strategia aziendale. “Awakening a better world every morning” è il purpose del Gruppo, che ha l’obiettivo di creare valore sostenibile per gli azionisti, i collaboratori, i consumatori e le comunità in cui opera, unendo la competitività alla responsabilità sociale e ambientale.

Fipe: apprezzamento per novità sui dehors e buoni pasto nell’approvazione del Ddl Concorrenza

ROMA – Fipe-Confcommercio, la Federazione pubblici esercizi, esprime in una nota il proprio apprezzamento per l’approvazione del Ddl Concorrenza avvenuta il giorno 12 dicembre 2024 in Senato, che contiene due importanti misure per il mondo dei pubblici esercizi.

Fipe a favore del Ddl Concorrenza

Si tratta della delega al governo per la semplificazione delle procedure di autorizzazione per i cd dehors, per effetto della quale è prevista anche una proroga a tutto il 2025 delle attuali concessioni di suolo pubblico e del provvedimento che, al pari di quanto già avviene per quelli utilizzati nella pubblica amministrazione, fissa al 5% il tetto alle commissioni pagate dagli esercenti sui buoni pasto dei committenti privati che comporterà un risparmio stimato in circa 240 milioni di euro a favore della rete degli esercizi convenzionati.

Due provvedimenti attesi da tempo, su cui Fipe Confcommercio esprime forte apprezzamento e che porteranno benefici diffusi in termini di riordino e qualificazione degli spazi pubblici e salvaguardia di uno strumento fondamentale di welfare a favore dei lavoratori.

Vending: l’80% delle aziende utilizza energia rinnovabile e adotta sistemi per ridurre l’impatto climatico

MILANO – Negli ultimi anni, la sostenibilità ambientale e sociale all’interno del settore della distribuzione automatica ha assunto un ruolo di crescente importanza: l’80% delle imprese, infatti, utilizza energia rinnovabile e il 78% adotta dei sistemi di gestione ambientale volti alla riduzione dell’impatto climatico delle loro attività.

È quanto emerge dal “Report di sostenibilità di settore 2023” promosso da Confida, Associazione Italiana Distribuzione Automatica, il primo dedicato a questo comparto che in Italia è composto da oltre 4.000 imprese di gestione per un indotto occupazionale di circa 30.000 persone, a cui si aggiungono le altre aziende della filiera.

“La sostenibilità è un tema che tocca vari aspetti dell’attività di un’azienda del vending – commenta Massimo Trapletti, presidente di Confida – dalla gestione dell’energia e dei magazzini, alla sostenibilità nei trasporti, dalla scelta dei prodotti alimentari alla gestione dei rifiuti. Confida ha dato vita a una serie di progetti per rendere sostenibili le aree break di aziende, enti pubblici, scuole e università come ad esempio RiVending, che mira a riciclare i bicchierini del caffè e bottigliette in PET e la collaborazione con Fondazione Banco Alimentare per combattere gli sprechi alimentari”.

Massimo Trapletti, il presidente di Confida (immagine concessa)

Grazie all’ accordo con Fondazione Banco Alimentare Onlus, il settore ha già raccolto e donato ben 74 tonnellate di beni alimentari su tutto il territorio nazionale. Al contempo, anche le aziende si impegnano a livello individuale: il 37% di esse, infatti, adotta iniziative specifiche per la lotta contro lo spreco alimentare.

Dallo studio realizzato per il Report di Confida emerge, inoltre, che il 50% delle aziende del vending realizza un report di sostenibilità e il 60% si è dotato di un responsabile dedicato al tema. Il settore, in particolare, è molto attento alla sicurezza alimentare poiché i distributori automatici sono dei veri e propri punti di ristoro che rispettano tutte le norme in materia di igiene e sicurezza, il cosiddetto sistema dell’HACCP, per la tutela della salute del consumatore finale.

Inoltre, grazie alla collaborazione con l’ente CSQA, è stata creata la certificazione TQS Vending che richiede agli operatori del settore standard qualitativi superiori a quelli di legge. Anche per il caffè, il prodotto più venduto nei distributori automatici, è nata un’ulteriore certificazione di qualità, DTP-114, che definisce specifici parametri funzionali qualitativi.

La quasi totalità delle aziende del settore (98%), inoltre, è dotata di policy che pongono l’attenzione al benessere e alla sicurezza sul posto di lavoro, e in oltre la metà dei casi (55%) queste attività sono svolte con un sistema di gestione certificato.

A questo si aggiungono le politiche del welfare su cui investono ben il 59% delle imprese con particolare attenzione verso l’assistenza sanitaria integrativa e l’analisi dei rischi di stress-lavoro correlato. L’impegno è esteso anche alle comunità di riferimento e infatti il 41% delle aziende sostiene la ricerca medico-scientifica.

Infine, alta anche l’attenzione alle politiche e iniziative per contrastare il cambiamento climatico e la salvaguardia dell’ambiente: circa il 60% delle aziende ha adottato un piano di sviluppo a medio-lungo termine dedicato a queste tematiche e il 50% valuta i nuovi fornitori anche su criteri di sostenibilità ambientale con l’obiettivo di coinvolgere l’intera catena nel raggiungimento degli obiettivi. Il 41% delle imprese, inoltre, partecipa a programmi di economia circolare – come RiVending – e il 31% utilizza veicoli elettrici.

È possibile consultare il report di sostenibilità di Confida qui.

La scheda sintetica di Confida

Costituita il 13 luglio del 1979, Confida è, a livello nazionale, l’unica associazione di categoria che rappresenta i diversi comparti merceologici dell’intera filiera della Distribuzione Automatica di alimenti e bevande. Aderisce a Confcommercio – Imprese per l’Italia e, nell’ambito UE, è partner di EVA (European Vending & Coffee Service Association).