lunedì 01 Dicembre 2025
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La Diba 70 compie 50 anni: dal caffè nei distributori alle piantagioni organiche dell’Honduras

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Da sinistra: Sandro Bonacchi, patron di B.farm, Claudio Guazzini, direttore reparto tecnico Diba 70, il sindaco di San Gimignano Andrea Marrucci (immagine concessa)

SAN GIMIGNANO (Siena) – Era presente anche il sindaco Andrea Marrucci alla cerimonia di sabato 30 settembre per festeggiare i 50 anni di attività della storica azienda valdelsana Diba 70 con il patrocinio del Comune di San Gimignano. Con il primo cittadino c’erano i titolari Claudio Guazzini e Leonardo Maggiori che hanno ripercorso i momenti salienti del percorso aziendale e raccontato alcuni aneddoti in compagnia di Sandro Bonacchi, patron di B.farm e partner ufficiale del percorso di evoluzione che ha visto l’azienda acquistare parte delle quote della piantagione organica Finca Rio Colorando in Honduras nel 2020.

La Diba 70 festeggia 50 anni di attività

L’avventura della Diba 70 era incominciata nel 1973 grazie a Stelio Maggiori, scomparso nel 2013, che aveva installato i primi distributori automatici di bevande calde all’ospedale di San Gimignano e successivamente in quello di Colle di Val d’Elsa, per poi diventare un fornitore di spicco per fabbriche, calzaturifici, scuole, ditte, piccole comunità e uffici.

Nei primi anni ’70 egli aveva persino compreso con anticipo che la plastica iniziava a essere un problema e fu tra i primi in Italia a credere all’espresso in cialda di carta di riso. Negli ultimi anni la Diba ha portato la propria esperienza maturata in anni di Vending nel settore horeca applicando il comodato d’uso gratuito a ristoranti, hotel e bar e puntando su prodotti che rispettano i valori della responsabilità sociale e ambientale.

Per Leonardo Maggiori è necessario ripartire dalle origini per essere finalmente consapevoli del valore della bevanda poiché il caffè percorre una lunga filiera ed è giunto il momento di raccontare la sua storia: “Cosa c’è dentro una tazzina di espresso? Esiste solo un tipo di caffè? Da dove proviene? Chi lo coltiva? Come si produce? Il caffè ha sempre lo stesso sapore? Quanti metodi esistono oltre la moka?”.

L’acquisto delle piantagioni in Honduras ha come scopo quello di coltivare e vendere caffè di alta qualità, offrire formazione e al contempo perseguire la sostenibilità applicata all’agricoltura.

Il progetto rappresenta un modello di produzione in un regime agricolo biodinamico che segue una logica di sostenibilità ecologica, sociale, educativa, finanziaria.

La sostenibilità sociale in Finca è garantita con l’assunzione a tempo pieno delle persone che ci lavorano durante tutto l’anno. Nella valle in questione nessuno degli oltre 2.000 coltivatori di caffè aveva un contratto di lavoro.

Ora la previdenza sociale è assicurata dal regolare pagamento di contributi per garantir loro l’assistenza sanitaria e quella pensionistica. I varietali utilizzati sono: Parainema, Lempira, Bourbon, Red Catuai.

Durante il 2023 è stato coltivato anche un piccolo raccolto di Geisha, il varietale più raro ed esclusivo al mondo. Per garantire la biodiversità in queste piantagioni trovano casa diverse specie vegetali e animali e anche alcune arnie per l’allevamento di api che garantiscono l’impollinazione delle piante di caffè e di tutti gli alberi.

In quest’area non si utilizzano diserbanti chimici e le sfalciature dell’erba rimangono sul terreno a beneficio della sua fertilità.

In Finca Rio Colorado non è stato volutamente adottato alcun marchio di certificazione biologica per garantire la sostenibilità economica del progetto ma i canoni dell’agricoltura biologica e alcuni dell’agricoltura biodinamica sono seguiti con rigore.

Vengono utilizzati fertilizzanti fogliari derivanti dalla lavorazione del caffè come la mucillagine, la cascara e alcuni microorganismi di montagna provenienti dal Parco Nazionale del Celaque.

Questi fertilizzanti biodinamici, scarti di lavorazione, assumono nuova vita nella catena della produzione aumentando le difese naturali contro parassiti e malattie. Per lavorare i caffè viene utilizzato un processo di sedimentazione e depurazione delle acque reflue.

Da qualche mese Diba 70 fa parte di The farmers ‐ Coffee Revolution People, un “movimento” culturale del caffè che sta attuando un vero e proprio cambiamento per rimettere al centro la storia delle persone che lo lavorano in modo etico, buono e socialmente responsabile.

La filosofia è quella di un caffè frutto delle persone che lo coltivano, lo tostano, lo servono al bar, come risultato dell’incontro tra terra, cultura, uomini e lavoro dal seme alla tazzina.

Da un anno i caffè Finca Rio Colorado e il microlotto Dona Elda fanno parte della Slow Food Coffee Coalition, un network di comunità, esperti e produttori che si riconoscono intorno ai valori del loro manifesto: un caffè buono, pulito e giusto che rispetta una serie di valori condivisi. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web dell’azienda.

TheFork Awards 2023 si conclude con il premio People’s Choice Award al ristorante 50 Kalò di Ciro Salvo a Roma

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La conclusione dei TheFork Awards (immagine concessa)

MILANO – Si conclude con la consegna del People’s Choice Award al ristorante 50 Kalò di Ciro Salvo la quinta edizione dei TheFork Awards, premio annuale assegnato da TheFork alle migliori nuove aperture e gestioni dell’anno. Una giuria di 54 top chef, tra cui Cannavacciuolo, Cracco, Sadler, Uliassi e i fratelli Cerea, solo per citarne alcuni, sono stati coinvolti da Identità Golose, primo congresso italiano di cucina e pasticceria d’autore, per individuare le migliori 43 nuove aperture e gestioni dell’ultimo anno.

La conclusione dei TheFork Awards

Gli utenti di TheFork, app più utilizzata d’Italia per prenotare il ristorante, hanno votato il loro preferito, rivelato il 24 ottobre durante una serata spettacolo condotta da Gerry Scotti a Palazzo Mezzanotte con cena firmata da Davide Oldani.

Ad aggiudicarsi il primo posto assoluto con il premio People’s Choice è Ciro Salvo, con il suo ristorante 50 Kalò (Roma).

Nominato dallo chef Mauro Uliassi, con i suoi impasti eseguiti a regola d’arte e le materie prime di primissima scelta, 50 Kalò porta la pizza, il piatto italiano per eccellenza, sul gradino più alto del podio.

Ma i riconoscimenti non sono finiti qua. Durante l’evento sono stati anche rivelati i ristoranti più apprezzati dal grande pubblico del sud e del nord che sono rispettivamente Sustanza a Napoli, un ristorante elegante e ricercato, dove la firma dello chef è chiara e molto personale, e Verso a Milano, un ambiente contemporaneo e accogliente, dove si vive in diretta l’esperienza della cucina e lo chef’s table è per tutti.

Assegnati anche dei premi speciali che definiscono le migliori 10 nuove aperture e gestioni del 2023.

Il premio People’s Choice (nazionale) è stato assegnato a 50 Kalò di Ciro Salvo (Roma), il premio People’s Choice Centro è stato assegnato a 50 Kalò di Ciro Salvo (Roma), il premio People’s Choice Sud è stato assegnato a Sustanza (Napoli – Chef Marco Ambrosino).

Il premio People’s Choice Nord è stato assegnato a Verso (Milano – Chef Remo e Mario Capitaneo).

Il premio Innovazione promosso da Samsung è stato assegnato a Nin al Belfiore Park (Brenzone, VR – Chef Terry Giacomello).

Il ritorno di Terry Giacomello conferma la straordinaria vocazione di questo chef estroso e immaginifico: fare della tavola un luogo di meraviglie, di ricerca costante, di sorprendente innovazione gustativa, tra mirabilie tecniche e materia prima a km 0 o km 10mila. Il mondo nel piatto.

Il premio Sfida promosso da Barilla è stato assegnato a La Coldana (Lodi, MI – Chef Alessandro Proietti Refrigeri). La Coldana è l’ennesima sfida di Alessandro Proietti Refrigeri, che già si era confrontato col mondo della pizza, innervando poi di sapore (e riconoscimenti) una prima periferia lombarda e infine portando la sua scommessa in un’altra, quella lodigiana. Una scarica di adrenalina golosa in un mondo quieto.

Il premio Ricerca promosso da Acqua Panna – S. Pellegrino è stato assegnato a Sustanza (Napoli – Chef Marco Ambrosino). Marco Ambrosino ha portato a Napoli il suo mirabile lavoro di ricerca sulle radici della cucina mediterranea, che l’hanno portato a fondare il Collettivo Mediterraneo. Ora che non è più a Milano, ma ai piedi del Vesuvio, il suo studio attento e colto trova un’ambientazione ancor più esatta, in un locale bellissimo.

Il premio Contaminazioni promosso da Amara è stato assegnato a Il Gusto di Xinge (Firenze – Chef Xinge Liu). Inaugurato nel gennaio 2023, il Gusto di Xinge è il sogno, diventato realtà, della vulcanica trentenne Xin Ge Liu che, arrivata in Italia per seguire gli studi di Fashion Design, si è scoperta appassionata di cibo e imprenditrice della ristorazione.

Qui la cucina ha un’anima fusion, con molti racconti gastronomici legati ad aree geografiche cinesi come Guangzhou o Sichuan.

Il premio Contemporaneità promosso da Oppure è stato assegnato a Orma (Roma – Chef Roy Caceres). Uno chef colombiano che ha sposato l’Italia e ne trasporta la cucina in una dimensione più ampia, con continui crossover che non toccano solo le sue origini sudamericane, ma tutto il mondo, come ricordi di un viaggio o come suggestioni creative. È piena, evoluta contemporaneità cosmopolita.

Il premio Tradizione promosso da PiùSud è stato assegnato a Bianca Trattoria (Roma – Chef Davide Del Duca e Luca Carucci). Tradizione con gli occhi della contemporaneità: la garanzia la forniscono due chef evoluti come Davide Del Duca e Luca Carucci. C’è l’anima profonda, l’identità: ossia l’idea di una proposta alla portata di tutti, un ritorno alle origini, con materie prime di qualità, con la tecnica al servizio dei sapori più veri.

Il premio Cucina Sostenibile promosso da TheFork è stato assegnato ad Arieddas di Cantine Su’entu (Sanluri, CA – Chef Piergiorgio Parini e Francesco Vitale). Il ristorante ha ricevuto, in virtù di questo suo impegno, un voucher da 3.500 € utilizzabile per il pagamento delle bollette Plenitude luce e/o gas e valido su tutte le forniture già attive con Plenitude o su nuove forniture. Sarà attivabile entro il 30/04/24. In aggiunta il premio prevede anche due voucher e-mobility Plenitude da 100€ utilizzabili per la ricarica a consumo entro il 30/06/2024 sull’App Be Charge.

Il premio Influencers’ Choice Awards è stato assegnato a Saporium (Firenze – Chef Ariel Hagen) dalla giuria firmata da Realize Networks, presieduta da Benedetta Parodi e formata da alcuni dei più importanti influencer food e creator italiani ovvero Francesco Saccomandi, Elena Tee, Giuliano Ubezio e Luca Pappagallo.

TheFork Awards è patrocinato dal Ministero del Turismo e dal Comune di Milano e vanta importanti partner istituzionali quali Le Soste e APCI-Associazione Professionale Cuochi Italiani, le media partnership di Dove, il sistema viaggi di RCS, Realize Networks e Blinkoo la partnership tecnica di NH Collection e Caraiba e la partnership commerciale di Plenitude (Eni).

I prestigiosi sponsor dell’evento sono Samsung Electronics Italia (divisioni Mobile e Audiovideo), Barilla, Acqua Panna e S. Pellegrino, Bibite Sanpellegrino, Amara, Oppure e PiùSud.

La scheda sintetica di TheFork

TheFork, brand di Tripadvisor è la principale piattaforma per le prenotazioni online di ristoranti in Europa e Australia.

In prima linea nel sostenere e promuovere la cultura della ristorazione, TheFork utilizza la tecnologia per favorire le connessioni reali tra clienti e ristoratori e per avviare questi ultimi al successo.

Con una rete di circa 55.000 ristoranti partner in 12 Paesi, quasi 40 milioni di download dell’app e più di 20 milioni di recensioni verificate, TheFork è la piattaforma di riferimento per tutti gli appassionati di food che vogliono vivere esperienze indimenticabili al ristorante.

Attraverso TheFork (sito e app) gli utenti possono facilmente selezionare un ristorante in base alle loro preferenze, consultare le recensioni degli utenti, controllare la disponibilità in tempo reale, prenotare immediatamente online 24 ore su 24, 7 giorni su 7, beneficiare di offerte speciali e pagare direttamente sull’app.

Per i ristoranti, TheFork fornisce un software, TheFork Manager, che consente di ottimizzare la gestione delle prenotazioni e il tasso di occupazione, aumentare le prenotazioni e la visibilità, combattere i no-show, gestire i pagamenti e semplificare le operazioni, connettendosi alla più ampia community di appassionati di ristorazione.

Singapore: ecco la prima birra dal riciclo dei fondi di caffè

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I fondi di caffè (immagine: Pixabay)

Un team di ricercatori della National University di Singapore ha realizzato un metodo per produrre una bevanda alcolica con il riciclo dei fondi di caffè. Per creare la bibita, gli studiosi hanno prima realizzato degli idrolizzati di fondi di caffè, poi li hanno fatti fermentare utilizzando una miscela di microrganismi come i lieviti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicata sul portale d’informazione Rinnovabili.it.

La prima birra dal riciclo di fondi di caffè a Singapore

SINGAPORE – Un team di ricercatori della National University di Singapore ha scoperto un modo per produrre una bevanda alcolica con il riciclo dei fondi di caffè.

Il professor Liu Shao Quan, del Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari dell’ateneo asiatico ha guidato lo studio, pubblicato su Food Research International.

L’idea potrebbe dare un nuovo sbocco commerciale alla crescente quantità di rifiuti generati dal consumo di caffè.

Anche se possono trovare una seconda vita grazie allo smaltimento nell’organico, i fondi di caffè non di rado finiscono in discarica. Secondo uno studio del 2019, ne produciamo una quantità enorme, pari a 15 milioni di tonnellate l’anno a livello globale.

C’è quindi una imponente quantità di materia prima seconda potenziale da utilizzare non solo in applicazioni creative, ma con un risvolto economico concreto.

Per creare questa bevanda alcolica, i ricercatori di Singapore hanno prima realizzato degli idrolizzati di fondi di caffè, poi li hanno fatti fermentare utilizzando una miscela di microrganismi come i lieviti.

Il lievito è importante per dare gusto e aroma al prodotto finale, influenzando la composizione chimica e la qualità delle bevande.

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L’uguaglianza di genere e l’approccio ai diritti umani nelle filiere del caffè e del cacao in Ecuador al centro del progetto Cospe

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La bandiera dell'Ecuador

Le donne che lavorano nelle catene del valore del cacao e del caffè in Ecuador devono spesso affrontare molteplici sfide legate al loro genere e alla loro condizione. Nell’ambito del progetto Fieds – Rafforzamento delle catene del valore del caffè e del cacao, Cospe, in collaborazione con partner locali, ha lavorato con le donne produttrici cercando di lavorare proprio su queste sfide. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Green Report.

I diritti umani nella filiera del caffè in Ecuador

MILANO – In Ecuador, le donne che vivono nelle aree rurali sono il settore della popolazione che deve affrontare la maggiore povertà e disuguaglianza, nonché la minore protezione sociale. Le donne di queste aree sono produttrici e attrici fondamentali dei sistemi agroalimentari e costituiscono circa il 60% dei produttori di agricoltura familiare, la cui produzione alimenta gran parte della dieta degli ecuadoriani (Fao 2008).

Le donne che lavorano nelle catene del valore del cacao e del caffè devono spesso affrontare molteplici sfide legate al loro genere e alla loro condizione. Nell’ambito del progetto Fieds – Rafforzamento delle catene del valore del caffè e del cacao Cospe, in collaborazione con partner locali, ha lavorato con le donne piccole produttrici nelle province di Carchi, Imbabura ed Esmeraldas cercando di lavorare proprio su queste sfide e migliorare la qualità della loro vita non solo dal punto di vista economico.

Le sfide di cui parliamo includono un accesso limitato all’istruzione, divari di genere per quanto riguarda l’accesso alla terra, alle risorse finanziarie e ai mercati, nonché la discriminazione e la violenza di genere.

In Ecuador, le donne di queste filiere in particolare, tendono a occupare posizioni meno retribuite, o invisibilizzate, all’interno dell’azienda agricola familiare, mentre gli uomini occupano generalmente posizioni decisionali e hanno un accesso più ampio al mercato, in quanto proprietari di aziende agricole, capifamiglia e/o commercianti.

Questo comporta un divario nel potere economico e decisionale. Poiché le donne nelle aree rurali tendono ad avere un accesso limitato anche alla formazione professionale e, soprattutto a causa dei ruoli e delle norme di genere nelle famiglie e nella società, incontrano gravi difficoltà e ostacoli nel migliorare le proprie competenze e nel far progredire la propria autonomia e la possibilità di proiettarsi nel futuro e di farsi strada da sole.

Le donne devono inoltre affrontare barriere sociali e culturali, discriminazioni basate sul genere, che impediscono loro di partecipare pienamente ai processi decisionali e di accedere ai mercati e al credito.

Nel complesso, il divario di genere nelle catene del valore del cacao e del caffè in Ecuador è significativo e sono necessari notevoli sforzi per affrontare le barriere strutturali e culturali che impediscono alle donne di partecipare e di trarre beneficio da questi ambiti produttivi.

Grazie al progetto, è stato possibile realizzare un’azione pilota di accompagnamento, di rafforzamento organizzativo e di empowerment femminile con un focus di genere rivolto a donne adulte e giovani produttrici legate a queste filiere.

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Camerun: prossima l’apertura dello sportello green per una filiera del cacao più sostenibile

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fave cacao ghana africa america Emily Urías cioccolato virus modica svizzera
Le fave di cacao (Pixabay licensed)

CAMERUN – È stato dato il via in Camerun la conferma per la creazione di uno sportello di transizione agro-ecologica all’interno della filiera del cacao. Lo sportello sarà parte del fondo per lo sviluppo del settore nel campo del cacao e del caffè (Fodecc).

Lo sportello di transizione agro-ecologica nella filiera del cacao in Camerun

Gabriel Mbairobe, ministro dell’Agricoltura e ideatore dell’iniziativa, ha affermato che il progetto promuoverà i risultati della ricerca agricola per un’intensificazione sostenibile.

Concretamente, secondo il Fodecc, come riportato sul portale Africa e Affari: “In termini di ambizioni, la finestra di transizione agro-ecologica mira a ridurre gradualmente l’uso di pesticidi a favore dell’agricoltura biologica. Sostiene metodi di produzione rispettosi dei suoli e delle piante”.

Bialetti e la torrefazione, un amore scoccato nel 2000 che è diventato subito un successo

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La collezione di Perfetto Moka, il caffè tostato e macinato appositamente per l'uso con la Moka Bialetti

COCCAGLIO (Brescia) – Una crescita rapida quella di Industrie Bialetti nel settore del caffè – realtà di cui abbiamo già parlato in questa prima parte -. La prosecuzione ideale del grande successo con la Moka che così poteva essere riempita con un caffè della stessa marca. Una crescita pianificata e iniziata nel 2000. Il primo passo, nel 2004, è l’ingresso nel mondo delle macchine espresso con la Mokona.

• Nel 2006 nasce il progetto retail Bialetti Store, con l’obiettivo di portare la qualità, lo stile e il design dell’offerta Bialetti direttamente a contatto con il consumatore finale.

flagship bialetti
Il flagship store Bialetti in Via Mercato-Piazza del Duomo a Milano

Nel 2007 Bialetti Industrie diventa una società quotata su MTA di Borsa Italiana.

torrefazione Bialetti
Uno scorcio della torrefazione Bialetti di Coccaglio (Brescia)

• Nel 2010 nasce il progetto torrefazione e in breve tempo Bialetti internalizza tutte le fasi, creando un vero e proprio metodo che parte dalla selezione dei chicchi, prosegue con la tostatura e, passando per macinatura e degasaggio, arriva fino all’imballaggio finale.

La versione Milano della serie 2I caffè d’Italia”

• In quegli stessi anni Bialetti fa il suo l’ingresso nel mercato del caffè con la linea di capsule per macchine espresso I Caffè d’Italia: miscele attentamente studiate con l’idea di esaltare le differenze di abitudini e gusto nel consumo di caffè, dal nord al sud della Penisola. Le capsule contengono ben 7 grammi di caffè e sono realizzate in alluminio, materiale riciclabile infinite volte e che garantisce la miglior conservazione di tutte le proprietà organolettiche del caffè.

• Nel 2014 Bialetti riconferma il proprio spirito innovativo con la creazione di Moka Induction: la prima caffettiera pensata per l’induzione, ma adatta anche ai piani cottura traduzionali.

Moka induzione
Il nuovo modello della Moka che funziona anche sulle piastre a induzione

• L’offerta di macchine espresso si arricchisce ulteriormente nel 2020 con Gioia, la nuova macchina compatta, dal design pop e contemporaneo, che diventa prodotto di punta del sistema espresso Bialetti.

Bialetti Gioia
La Bialetti Gioia

• Dalla conoscenza della Moka e dall’esperienza di Bialetti nel mondo del caffè nel 2021 nasce Perfetto Moka, la linea di caffè macinato studiata appositamente per la preparazione in moka, e il volto della campagna di lancio è quello di Luca Argentero, che viene scelto come brand ambassador. Ad aprile 2022, a soli pochi mesi dal lancio, Perfetto Moka viene eletto Prodotto dell’anno nella categoria caffè.

Moka Dolce & Gabbana
La Moka Dolce & Gabbana con i colori tipici del carretto siciliano

• Nel 2022 l’incontro tra Bialetti e Dolce&Gabbana – due realtà rappresentative del Made in Italy – dà vita ad una collaborazione unica ed esclusiva che celebra il rito italiano del caffè. Il prodotto di lancio della partnership è la Moka Express Caretto Siciliano in cui l’iconico design della caffettiera incontra il caratteristico immaginario della celebre maison di moda.

Nel 2023, oltre alla creazione della nuova miscela di caffè macinato Perfetto Moka Irresistibile, la gamma di prodotti si amplia e l’iconografia del Carretto Siciliano veste la Moka Induction, la Coffe Press e due esclusivi e inediti cofanetti regalo. Hero piece un’edizione limitata della Moka Express 50 tazze, un vero e proprio oggetto d’arte da collezionare.

La torrefazione

La torrefazione Bialetti ha rappresentato per l’azienda una grande sfida che si è sviluppata per gradi, attraverso piccoli passi attenti e curati, con l’obiettivo di poter offrire il miglior prodotto possibile.

Il periodo tra il 2007 e il 2010 è stato infatti caratterizzato da una fase di sperimentazione, studio, ricerca e formazione che nel 2010 porta al lancio delle capsule per macchine espresso I Caffè d’Italia, prodotto che sancisce l’entrata di Bialetti nel mondo del caffè.

Il metodo Bialetti

Oltre alla ricercatezza dei macchinari usati, all’attenzione nei confronti del personale, alla continua tendenza a migliorarsi sul piano tecnico, il caffè Bialetti ha origine dalla passione e dalla cura, unite a un’eredità centenaria di conoscenza del mondo del caffè.

Bialetti oggi è in grado di curare internamente tutte le fasi della torrefazione:

• la selezione dei chicchi, acquistasti direttamente dai produttori di caffè verde;
• la creazione dei blend per dare origine alle diverse miscele;
• la tostatura, tradizionale e artigianale, con una durata lunga e controllata che permette di risaltare l’intero spettro aromatico delle origini di caffè – in questa fase il caffè perde umidità e quindi peso, ma aumenta considerevolmente di volume;
• il degasaggio, processo necessario affinché il caffè raggiunga un corretto livello di anidride carbonica;
• la macinatura;
• l’imballaggio finale.

L’azienda ha dato così vita a un metodo specifico e peculiare: il Metodo Bialetti. Le miscele si distinguono per qualità e gusto, per l’attenta selezione dei migliori chicchi e per la cura messa in ogni dettaglio delle varie fasi di lavorazione. L’offerta della torrefazione Bialetti si compone di caffè in capsule, caffè macinato e caffè in grani.

Capsule Bialetti: I Caffè d’Italia

Le capsule I Caffè d’Italia sono frutto di un attento studio sulle differenze di gusto degli italiani, un viaggio sensoriale attraverso le eccellenze dell’Espresso Italiano che tocca Milano, Torino, Venezia, Roma, Napoli, Palermo.

In base all’area geografica, infatti, e a ragioni di carattere culturale e di costume che si riflettono nella ritualità di consumo del caffè, Bialetti ha creato una gamma di miscele capace di rispondere alle diverse esigenze dei consumatori.

Le capsule in alluminio sono progettate per preservare al meglio l’aroma del caffè proteggendolo dall’azione di ossigeno, luce e umidità, e contengono 7 grammi di caffè, dose ideale individuata da Bialetti per avere un espresso come al bar.

La scelta dell’alluminio guarda alla qualità ma anche alla sostenibilità, infatti:

è riciclabile infinite volte;
conserva intatte le sue caratteristiche indipendentemente da quante volte viene riutilizzato;
il suo riciclo richiede fino al 95% di energia in meno rispetto alla produzione del metallo.

Perfetto Moka

Grazie all’esperienza e al know how maturati nella produzione del caffè nel 2021 Bialetti crea Perfetto Moka, il caffè macinato studiato appositamente per la preparazione in moka, in cui la sapiente combinazione di tostatura e macinatura crea un perfetto equilibrio per un caffè dal gusto unico e inconfondibile.

La tostatura è lenta e controllata, mentre la macinatura viene attentamente studiata e calibrata: la specifica dimensione della polvere di caffè è ciò che garantisce un risultato in tazza corposo, regalando cremosità e intensità aromatica.

Perfetto Moka è disponibile in una gamma di 7 varietà – Classico, Intenso, Delicato, Deka, Cioccolato, Nocciola, Vaniglia – cui si aggiungono le limited edition che l’azienda presenta in occasioni speciali.

Esperto Grani

Completa la gamma di prodotti caffè Bialetti Esperto Grani, pensato anche per macchine automatiche e perfetto per chi ama sperimentare e comporre le proprie miscele.
Un prodotto che privilegia chicci cresciuti in aree tropicali ad alta quota, dove grazie alle forti escursioni termiche, il caffè ha un tempo di maturazione più lento e sviluppa un caratteristico aroma raffinato ed elegante.

Alcuni numeri sulla torrefazione

• 6.000 mq di spazio dedicati alla produzione del caffè
• Una capacità produttiva annua pari a:
– oltre 200 milioni di capsule
– 5 milioni di sacchetti di caffè (macinato e grani)

Una visione sostenibile

Il rispetto dell’ambiente è insito nel dna di Bialetti e la storia stessa del brand è una storia di sostenibilità ante-litteram.

Moka Bialetti
Sfilata di macchine Moka Bialetti con differenti capacità

Alla data dell’invenzione di Moka Express, nel 1933, la tematica ambientale non era ancora emersa, ma oggi – a distanza di 90 anni – la Moka si conferma essere uno tra i modi più sostenibili di preparare il caffè.

Questo perché la Moka è realizzata in alluminio – materiale riciclabile infinite volte – il suo utilizzo non produce scarti, a eccezione dei fondi di caffè compostabili, e per lavarla non servono detergenti, basta utilizzare l’acqua tiepida.

L’azienda però non si è fermata qui e oggi la visione di Bialetti si esprime attraverso una filosofia orientata al perseguimento di uno sviluppo aziendale sostenibile in termini economici, sociali e ambientali, che si manifesta con un impegno multiforme e su vari livelli:

• operando in primo luogo in conformità alle normative nazionali e locali dei singoli paesi in cui l’azienda è presente;
• tramite scelte di prodotto e processo volte ad ottimizzare l’impatto sull’ecosistema, anche andando oltre i requisiti legislativi. L’azienda è costantemente impegnata in attività̀ di ricerca e sviluppo per promuovere la sostenibilità, sia nello svolgimento dell’attività̀ produttiva, sia nella fase di utilizzo e consumo dei prodotti.

1. L’attenzione al prodotto e al processo produttivo

Bialetti è costantemente impegnata verso il miglioramento dei prodotti e del processo produttivo. L’azienda infatti sta attuando una revisione dei processi e della catena di fornitura con l’obiettivo di rendere tutta l’organizzazione più̀ consapevole sui temi ambientali e di sostenibilità.

Tra i risultati raggiunti in termini di prodotto sono da segnalare:

• La progettazione di un separa capsule che permette di riciclare correttamente quelle esauste;
• La rimozione di ogni componente di plastica da tutti i pack di Moka Express, che dal 2020 sono completamente realizzati in carta riciclata certificata FSC;
• La creazione Gioia Responsible (2022), realizzata con il 50% di plastiche riciclate e con un pack 100% in carta riciclata certificata FSC;
• La riconformazione, dal 2022, di tutti i pack dei prodotti commercializzati con l’obiettivo di dare all’utente tutte le informazioni necessarie per un corretto smaltimento di ogni singola parte.

Negli anni l’azienda si è impegnata anche con investimenti finalizzati al risparmio energetico e al contenimento delle emissioni di gas serra. Nel 2020 nella sede di Coccaglio è stata installata la piattaforma Energy Data Management, in collaborazione con Vodafone Italia: una soluzione di monitoraggio per la gestione dell’energia, grazie a cui è possibile monitorare in tempo reale i consumi, intervenendo a fronte di eventuali perdite o dispersioni e attivando azioni di ottimizzazione nell’utilizzo della risorsa. Si è stimato che tale iniziativa possa consentire un risparmio dei consumi attuali tra il 5% e il 7%.

A dicembre 2023, inoltre, Bialetti otterrà̀ la certificazione ISO 14001, che rappresenta il punto di riferimento normativo per le aziende dotate di un Sistema di Gestione Ambientale.

2. Sostenibilità: collaborazioni

L’attenzione verso la sostenibilità di Bialetti si manifesta anche nella collaborazione attiva con realtà votate alla salvaguardia del pianeta.

• Tra il 2020 e il 2022 l’azienda ha sostenuto Oceana, organizzazione impegnata nella protezione degli oceani, con la campagna #wakeupfortheoceans, mirata a sensibilizzare sul grave problema delle plastiche nei mari.

A marzo 2023 Bialetti ha siglato una partnership biennale con WWF Italia che vede l’azienda in prima linea nel sostegno a Orso 2×50, progetto nato per salvare dall’estinzione l’Orso bruno marsicano, sottospecie unica al mondo, presente solamente in poche aree dell’Appennino Centrale tra Abruzzo, Lazio e Molise e di cui oggi restano solamente tra i 50 e i 55 esemplari.

Come creare una maggiore consapevolezza del caffè in Italia? Andrej Godina: “Agire sul consumatore, è il primo passo da compiere”

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andrej godina droga consapevolezza
Andrej Godina (immagine concessa)

Andrej Godina afferma che non esiste una vera e propria consapevolezza del consumatore nei confronti del prodotto caffè, così come della sua qualità e della filiera. Ad aggravare la situazione c’è anche una lacuna del consumatore italiano sui differenti metodi di estrazione.

Godina si spinge oltre dichiarando che una maggiore conoscenza del prodotto e della filiera da portare al consumatore è ormai divenuto un passaggio urgente e obbligato.

Come è possibile raggiungere un tale risultato? Formazione al cliente, maggiore offerta di prodotti differenti e più informazioni di prodotto e di filiera sulle etichette. Leggiamo di seguito il primo di una serie di articoli di Andrej Godina che esplorano questi aspetti.

Come creare maggiore consapevolezza del caffè in Italia

di Andrej Godina

MILANO – “In Italia la cultura del caffè è spesso relegata solamente al rito di preparazione e a quello sociale che ne accompagna la bevuta. I motivi per i quali l’italiano medio consuma caffè, sia esso preparato in espresso, moka o napoletana, sono in ordine di importanza: in prima posizione il contenuto di caffeina con i suoi positivi effetti fisiologici conseguenti che permette di essere più svegli, più concentrati, di digerire meglio e di affrontare sforzi fisici prolungati con meno fatica.

Al secondo posto c’è il rito di preparazione a cui tutti noi siamo abituati, per esempio a casa fin da quando eravamo bambini e i nostri genitori preparavano il caffè per la colazione con la moka, e al rito sociale che accompagna le nostre giornate con le tipiche domande e frasi “Ciao come stai? Posso offrirti un caffè?” oppure “Ci vediamo più tardi per un caffè?” o in ufficio “Andiamo a prendere un caffè assieme”.

Il terzo motivo e che sfortunatamente è relegato al terzo posto, ma che in realtà dovrebbe essere al primo, è il desiderio di vivere un’appagante esperienza sensoriale. Infatti il caffè tostato ha più di 2000 compositi chimici, di cui la maggior parte sono aromi volatili, ed è proprio questa ricchezza aromatica che dovrebbe spingere il consumatore a bere caffè diversi in base al momento della giornata e a scegliere il giusto caffè in base al migliore abbinamento con il cibo al pasto.

Ma questo sfortunatamente non accade, infatti il caffè si beve in Italia è molto amaro, con aromi che richiamano il fumo, il bruciato, il rancido e spesso i difetti della materia prima come la terra, il sovra fermentato, la muffa, la gomma accompagnati da un corpo astringente.

In sintesi è possibile affermare che non esiste una vera e propria consapevolezza del consumatore nei confronti del prodotto caffè, così come della sua qualità e della filiera.

Ad aggravare la situazione c’è anche una completa ignoranza del consumatore sui differenti metodi di estrazione e ciò è sottolineato, per esempio, dal fatto che si ordina al bar o al ristorante o più in generale ci si riferisce alla bevanda con il semplice sostantivo “caffè”, indipendentemente che sia preparato in espresso, moka o con altri metodi, senza avere qualsiasi consapevolezza sulla differenza tra la specie Arabica e la Canephora.

Spesso non ci soffermiamo sulla constatazione che il retrogusto che il caffè lascia al palato alla maggior parte delle persone è, per loro, un qualcosa di sgradevole che non piace, infatti è usanza comune zuccherare il caffè per mascherare un amaro eccessivo e bere un bicchiere d’acqua o mangiare un biscotto o un cioccolatino per togliere un retrogusto che il consumatore percepisce come sgradevole.

Una maggiore conoscenza di prodotto e di filiera da portare al consumatore è ormai divenuto un passaggio urgente e obbligato. Il cambiamento di direzione non è banale, non è facile e richiede una forte coesione di filiera e la messa in atto di azioni mirate.

Questo cambio passa attraverso azioni verso il consumatore che hanno due distinti approcci:

  • In una prima direzione a valle della filiera richiede una maggiore varietà di prodotti offerti al consumatore che devono essere differenziati e facilmente percepiti come diversi. Questa nuova offerta di prodotto deve essere accompagnata da uno storytelling semplice, preciso e chiaro, comprensibile da chiunque assieme a una descrizione del flavore accessibile anche dal consumatore più neofita. La torrefazione deve offrire prodotti differenti e renderli accessibili al consumatore con una maggiore diversificazione nei bar, sugli scaffali della grande distribuzione e nei luoghi che sono già frequentati da consumatori formati e attenti come per esempio le enoteche e le botteghe di quartiere che selezionano prodotti di alta qualità.
  • La seconda direzione interessa il consumatore che deve essere accompagnato alla scoperta del caffè attraverso percorsi di formazione mirati.

Spesso ci si dimentica che il caffè è una bevanda ricca di composti chimici e con la presenza di tantissimi aromi volatili che sono di difficile decifrazione da parte del consumatore non formato.

In fondo è il medesimo processo che ha già fatto il mondo del vino, dove i consumatori fanno corsi per il riconoscimento dei suoi aromi e per essere in grado di identificare i possibili difetti come per esempio quello di “tappo”.

Il consumatore ovviamente non deve divenire un assaggiatore professionista ma deve essere in grado di percepire le macro differenze sensoriali che ci sono tra le differenti tipologie di caffè.

Una formazione sensoriale deve essere in grado di fornire gli strumenti per il riconoscimento dei gusti acido, dolce, amaro, per capire la differenza tra un corpo vellutato e uno astringente e per saper riconoscere le macro differenze delle famiglie aromatiche della frutta, del floreale, del tostato, dello speziato, del cioccolato assieme ai più comuni difetti.

La formazione sensoriale è solamente il primo passo che deve anticipare un secondo, altrettanto importante, che è quello della erogazione del caffè.

Ricordo che la filiera del caffè è complessa, molto più di quella del vino dove il consumatore si ritrova a comprare una bevanda già pronta da bere che è stata già “costruita” in cantina. Nel mondo del caffè il consumatore compra un prodotto che dev’essere da lui preparato in bevanda.

Quest’ultimo passaggio nasconde molte criticità che il consumatore deve essere in grado di gestire:

  •  Il caffè adatto al metodo di estrazione. Non tutti i caffè sono adatti a essere estratti con lo stesso metodo di estrazione. Banalmente l’espresso richiede un profilo di tostatura e di colore finale che non è lo stesso, per esempio, per i metodi a filtro.

L’espresso, per sua stessa definizione, richiede la presenza di uno strato di schiuma densa e persistente che è possibile ottenere solamente con un chicco particolarmente ricco di anidride carbonica e con un tenore di densità basso che gli permette di avere un indice di solubilità maggiore a quanto è richiesto ai caffè per il filtro.

Solamente da un chicco di questo tipo è possibile erogare un buon espresso. Ecco che la torrefazione deve impegnarsi per una maggiore informazione sulle etichette dei prodotti.

  •  L’acqua non è tutta uguale. Non tutte le tipologie di acque sono adatte al caffè, per esempio bisogna evitare l’acqua distillata e quelle con un bassissimo tenore di residuo fisso, così come al contrario le acque troppo ricche di sali minerali. Un’acqua con un tenore di sali medio/basso è adatta ai caffè filtro mentre quantità maggiori di sali sono necessarie per l’espresso. Le torrefazioni, assieme alle aziende produttrici di acqua in bottiglia, potrebbero fare maggiore cultura su questo punto e offrire nella GDO tipologie di acque con caratteristiche specifiche adatte proprio al caffè.
  •  Ogni singolo metodo di estrazione richiede un grado di macinatura differente: estrarre un caffè con una macinatura non adatta molto facilmente porta a una sotto o sovra estrazione della bevanda, così come una temperatura sbagliata dell’acqua di estrazione può rovinare il flavore del caffè. Una maggiore comunicazione sulle differenze tecniche dei diversi metodi di estrazione e l’accento sul corretto grado di macinatura aiuterebbe i consumatori a preparare bevande migliori.

In conclusione di questo primo articolo le parole chiave che riassumono le azioni da mettere urgentemente in campo sono formazione al consumatore, maggiore offerta di prodotti differenti e più informazioni di prodotto e di filiera sulle etichette”.

Cafiso, il racconto della World Coffee Conference: la pratica dell’economia circolare e dell’agricoltura generativa a Bengaluru

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Adriano Cafiso che pota nella piantagione Balestrieri
Adriano Cafiso che pota nella piantagione Balestrieri (foto concessa)

MILANO – Adriano Cafiso ha partecipato alla manifestazione mondiale della World Coffee Conference, svoltasi dal 25 al 28 settembre, per la prima volta in Asia, nella sua quinta edizione organizzata dall’International Coffee Organization (ICO), in collaborazione con il Ministro indiando del commercio e dell’industria, il Governo del Karnataka e il Coffee Board dell’India.

Di seguito, le considerazioni e gli appunti di chi ha vissuto di persona le giornate di questo importante evento che ha riunito diversi attori della filiera, dai coltivatori ai torrefattori.

L’iniziativa del 2023 è stata l’occasione di incontro dei rappresentanti dei 75 Stati membri dell’ICO.

Di Adriano Cafiso

World Coffee Conference: si parte dalla scelta della location il Bengaluru Palace

Bengaluru Palace (foto concessa)

Sede molto adatta, in quanto residenza del Maharaja di Mysore, ovvero colui che finanziò, più di duecento anni fa, alcune famiglie inglesi per la diffusione delle piantagioni di caffè in India.

A differenza delle altre colonie europee, in India erano già presenti alcune coltivazioni di caffè e dei contadini esperti.

Queste premesse storiche, così come è stato ribadito durante la cerimonia inaugurale dell’evento, furono la ragione fondante per cui oggi le piantagioni di caffè indiane sono, non al 99% ma al 100% sotto la copertura di alberi: una caratteristica unica al mondo.

Le nuove frontiere dell’agricoltura rigenerativa

I temi principali della World Coffee Conference sono stati due: l’agricoltura rigenerativa e l’economia circolare. Ma si è parlato anche tanto di specie e varietà botaniche, di start-up e innovazione tecnologica.

Mentre si susseguivano gli interventi, nei tanti stand si svolgevano eventi, come il campionato nazionale barista, dei workshop e delle gare di assaggio.

All’esterno, un padiglione dedicato ai farmers ed un altro ai torrefattori

Tra chi è intervenuto nelle sessioni, è spiccato il Dottor Mandappa I.M, head quality del Coffee Board India e persona molto amata dalla comunità caffeicola indiana, che ha esplicitato tutti i vantaggi della rigenerazione del suolo, resilienza al clima, recupero della biodiversità e indipendenza da monocultivar che si hanno grazie ad una gestione “agroforestale” delle coltivazioni di caffè.

Yannis Apostolopoulos (foto concessa)

Ha partecipato alla conferenza anche il presidente della Specialty Coffee Association (USA), Yannis Apostolopoulos, che ha ribadito come il nuovo modo di intendere gli specialty non può essere solo attribuito ad un punteggio di qualità, ma anche a tanti altri attributi come appunto la gestione ambientale delle coltivazioni.

Marc Tormo, Aaron Paul Davis e al centro, Adriano Cafiso (foto concessa)

La World Coffee Conference ha visto come partecipanti anche numerose personalità, tra cui Aaron Davis, Sunalini Menon, Andrea Illy, Christophe Montagnon.

Che cos’è l’economia circolare?

Un concetto che si confonde spesso con il termine generico di sostenibilità. L’economia circolare è intesa invece come approccio sistemico allo sviluppo di una filiera, in questo caso del caffè, volto a scardinare il modello “lineare” composto dalle fasi di produzione, consumo e scarto.

Al contrario si vuole incentivare un sistema che presti attenzione a tutte gli step del ciclo di vita del caffè, dall’utilizzo della cascara, all’introduzione di api, dalla gestione del turismo, al trasporto e al consumo finale del prodotto, tutto al fine di gestirne gli scarti prevedendone un nuovo utilizzo a fine vita, massimizzando quindi il valore.

In Europa i fondi di caffè, ad esempio, rappresentano un tipo di rifiuto organico diffusissimo e ad alto potenziale energetico, tuttavia in questo momento sottovalutato e sottoutilizzato.

Le possibilità di valorizzazione energetica e di riconversione di questo scarto sono in produzione di fertilizzanti, biogas, biocarburanti, pellet, costruzioni, cere e oli cosmetici ma sono stati riportati esempi anche di utilizzo nel settore dell’abbigliamento.

Nel mezzo, tra ecosistema e prodotto finito, a livello cioè di piantagione si apre il grande gap.

Questo era il fine della conferenza stessa: provare a colmarlo. Obiettivo in parte raggiunto, con una giornata interamente dedicata solo ai coltivatori.

Conclave di produttori (foto concessa)

Tanti gli incontri che si sono susseguiti, e sul tema riporto le parole di Marc Tormo, noto come Q Grader per l’Arabica, nonché ricercatore e torrefattore di eccezionale levatura oltre che fondatore di Marc’s Coffees, la prima torrefazione di caffè di specialità in India:

“L’evento recente ha visto una notevole partecipazione dalle regioni meno esplorate del caffè nel Nord-Est dell’India, tra cui Sikkim, Assam, Nagaland e Darjeeling. Incastonate al di là del 20° parallelo nord, queste regioni offrono profili di gusto distinti grazie alle loro condizioni geografiche e climatiche uniche.

Nonostante la produzione in queste aree rimanga relativamente piccola, sta emergendo una tendenza promettente.

I coltivatori in queste regioni hanno abbracciato con entusiasmo il movimento del caffè di specialità, dimostrando un impegno saldo nella produzione di piccoli lotti di eccezionale qualità.

Risulta sorprendente che la coltivazione in queste regioni avvenga senza l’uso di fertilizzanti chimici, erbicidi e fungicidi.

La maggior parte delle coltivazioni è condotta dalle comunità tribali, che, insieme al caffè, coltivano anche una varietà di verdure e frutta per il consumo proprio. Questo approccio sostenibile alla coltivazione del caffè li posiziona come veri campioni nel campo della produzione eco-sostenibile.

È imperativo che estendiamo il nostro sostegno a queste iniziative e a queste nuove origini in via di sviluppo.

Facendolo, non solo incoraggiamo pratiche agricole sostenibili, ma contribuiamo anche alla crescente reputazione di queste regioni del Nord-Est sulla scena globale del caffè.”

Molti hanno riconosciuto in questa World Coffee Conference un evento storico per l’India e per l’evoluzione dei caffè speciali, sia Arabica, ma di tante altre specie, in primis la Canephora(Robusta), gioiello delle coltivazioni indiane e oggetto di numerosi seminari, ma anche le C. Stenophylla, Racemosa, Eugenioides, Zanguebariae, Dewevrei(Excelsa) e altre per le quali sono stati proposti numerosi assaggi, curati nell’estrazione dall’italiano Matteo Pavoni.

Caffetterie a marchio: negli Stati Uniti i market leader tornano all’ottimismo

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caffetterie a marchio prezzi americani consumi USA
Il bancone di un coffee shop americano (foto di Pexels da Pixabay)

MILANO – L’insegna di Starbucks è sempre quella che brilla più spesso nel mercato Usa delle caffetterie a marchio, un comparto che ha superato il traguardo storico delle 40 mila unità e che guarda con fiducia al futuro, pur non avendo ancora pienamente assorbito i postumi post-pandemici.

Secondo il nuovo Project Café USA 2024 di World Coffee Portal, le vendite del settore sono cresciute, nei 12 mesi trascorsi, dell’8% raggiungendo un totale di 49,5 miliardi di dollari, pari al 104% del valore pre-Covid.

Il numero di esercizi sale a 40.062 unità: +4% in termini di aperture nette nei 12 mesi e il 7% al di sopra del periodo pre-pandemia. Starbucks mantiene nettamente la sua leadership, con quasi 500 nuove aperture nette, che portano il totale dei locali in patria a 16.144 unità.

Ciò equivale a una share del 40%, che colloca la catena della sirenetta nettamente davanti a Dunkin’ (9.434 locali, con 172 aperture nette) e Panera Bread; quest’ultima perde 22 locali e scende a un totale 2.151 unità.

Il clima è positivo, con la maggior parte dei competitor che si dichiarano ottimisti per il futuro. Oltre i tre quarti degli intervistati (76%) descrivono infatti l’attuale contesto di mercato come positivo, contro il 49% di un anno fa.

E appena l’11% sostiene di trovarsi in condizioni di difficoltà: il 10% in meno rispetto a un anno fa. Va anche ricordato però che il 19% degli operatori del settore delle caffetterie a marchio afferma di non essersi ancora pienamente risollevato dalle pressioni dovute alla pandemia.

Il 70% degli operatori intervistati registra un incremento delle vendite nei 12 mesi trascorsi.

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Ucimac sulle norme dei consumi energetici delle macchine da caffè professionali, Giorgio Beretta: “Necessario metodo di misura oggettivo per energia e produttività”

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ucimac macchine
L'ingegnere Giorgio Beretta

MILANO – Nell’area di Host dedicata ad Assofoodtec – l’Associazione italiana costruttori macchine, impianti, attrezzature per la produzione, la lavorazione e la conservazione alimentare aderente ad Anima Confindustria – nell’ultimo giorno della Fiera, Ucimac, ente che appresenta l’associazione dei Costruttori delle attrezzature per il mondo dell’espresso, professionali e semi professionali, ha fatto il punto sulle nuove norme per la sicurezza, l’igiene e i consumi energetici delle macchine da caffè e i macinacaffè. Ad esporre i progressi svolti fino ad ora, l’ingegnere Giorgio Beretta, responsabile area tecnica Ucimac.

Ucimac sulle norme per la sicurezza, l’igiene e i consumi energetici delle macchine da caffè

Giorgio Beretta spiega: “Abbiamo organizzato questo incontro per far luce sull’evoluzione della normativa europea in merito alle direttive che regolano le macchine per il caffè e i macinini nei criteri di sicurezza, igiene e consumi energetici.

Chi è Ucimac? Ucimac rappresenta un’associazione di costruttori all’interno di Anima Confindustria che fa capo al settore meccanico.

All’interno di Anima c’è Assofoodtec che riguarda le macchine per la lavorazione degli alimenti.

All’interno di AssoFood abbiamo Tecprofood, Ucimac, che si occupa di macchine del caffè e macinini, e Assocold, che si occupa di refrigerazione”.

Ucimac è un’associazione italiana di costruttori di macchine di caffè e di macinacaffè ad utilizzo professionale e commerciale come, ad esempio, quelle che trovate nei bar. Come si lavora da Ucimac e quali sono i comitati tecnici? A livello italiano abbiamo due comitati. Incominciamo con l’Uni, la parte meccanica. All’interno di Uni c’è un comitato tecnico in cui si parla di sicurezza e di igiene.

L’altro comitato è il Cei, la parte elettrotecnica, in cui lavoriamo nel comitato 59-61. Il Cei fa parte del Cenelec.

In parallelo, a livello europeo, c’è il comitato europeo meccanico Cen. L’Uni fa parte del Cen. Nel Cen/TC 153 lavoriamo per macchine di caffè e macinini per questi due comitati all’interno del CENELEC: wg 4 (working group), gruppo sull’equipaggiamento catering, e il wg 13, gruppo orizzontale che lavora sugli aspetti igienici delle macchine”.

Dall’altra parte c’è la parte elettrica con due comitati: il 59-X (sui consumi) con il gruppo di lavoro 21, a guida dell’Ucimac.

I criteri della classificazione

Beretta rivela: “Per quanto riguarda i consumi energetici delle macchine per il caffè siamo partiti da una norma tedesca già esistente. In Germania le macchine superautomatiche sono molto comuni e la loro norma era stata costruita ad hoc per quelle attrezzature: tuttavia non era calzante per le macchine tradizionali da bar italiane. Noi di Ucimac abbiamo sviluppato una nuova norma sempre sui consumi energetici considerando il punto di vista delle diverse macchine italiane sotto un criterio oggettivo.

Ad esempio, una macchina tradizionale che si trova all’Autogrill e ha tre o quattro punti di erogazione deve essere capace di preparare un gran numero di caffè in fila. Al contrario, una macchina da sala per una colazione in un piccolo albergo non ha bisogno di essere così efficiente: richiedono obiettivi differenti.

Il lavoro che abbiamo fatto raccoglie l’esperienza italiana e tedesca e la ricerca del comitato tecnico europeo con anche costruttori Spagnoli, Francesi, Svizzeri e Irlandesi, per trovare un punto comune: la norma che stiamo scrivendo, la 50730, serve per misurare la produttività e il consumo energetico”.

Il metodo di misura per la produttività

La norma non classifica le macchine ma ha uno scopo ben preciso. Non si applica alle macchine da casa o vending ma solo professionali. È il metodo di misura per consumi e produttività. Quali sono i parametri fondamentali per la misura di consumi e produttività
per ciascun tipo di bevanda erogata?

La temperatura della bevanda erogata dalla macchina, la quantità di erogazione e il delivery time, ovvero il tempo di erogazione con valori e range di riferimento accettabili.

Beretta rivela: “Il tempo di erogazione è legato a come è macinato il caffè: se macinato grosso l’acqua scorre più velocemente, se macinato fine scorre di meno. Il tempo di erogazione è un indice che si può prendere come riferimento per capire quale tipo di bevanda si sta preparando”.

L’ingegnere scende poi nel dettaglio dei test per le normative: “Per misurare l’energia abbiamo dovuto trovare un criterio oggettivo per tutte le macchine. Per questo abbiamo deciso di preparare tutte le attrezzature allo stesso modo: il giorno prima della prova si fa funzionare la macchina per almeno 1 ora e, dopo 16 ore dallo spegnimento, si fa la prova. Questa è stato il metodo di standardizzazione per tutte le macchine.

Dopo abbiamo l’erogazione: abbiamo definito gli ingredienti, la quantità e la temperatura e tempo di erogazione delle varie bevande possibili da preparare e i range di riferimento.

Per esempio per il caffè creme, abbiamo definito il ciclo di erogazione con 6 erogazioni, una ogni 2 minuti. La seconda erogazione inizia dopo 2 minuti della prima. Tra le bevande presenti abbiamo: cafe crème, doppio espresso, solubili (solo acqua calda), latte caldo (con lancia vapore, con erogazione diretta). Queste sono le prove del primo giorno”.

I test

Nel secondo giorno dobbiamo riscaldare ancora la macchina e metterla in energy saving per poi riattivarla: in quel poco tempo, non definito, bisogna poi farla tornare operativa. Non c’è un criterio per l’energy saving: ogni costruttore ha un proprio approccio differente. Nella norma si considera che se impiega più di 30 minuti per riprendersi allora la macchina non era energy-saving in primo luogo.

Mettiamo la macchina in quello stato per 2 ore e poi la riattiviamo entro la mezz’ora successiva. Se la macchina si riattiva in 10 minuti, questa mezz’ora facciamo ancora 20 minuti di energy saving e gli ultimi 10 la riattiviamo: l’abbiamo chiamato “waking up time” (tempo di risveglio). Però volevamo essere sicuri che prima di mettere la macchina in energy saving fosse realmente pronta ad erogare.

Ecco perché abbiamo introdotto un test prima un ciclo di controllo per capire se la macchina è in grado di erogare le macchine correttamente per temperatura, quantità e tempo. Se passa il test allora possiamo procedere con il test energy saving. Ma quando si riattiva la macchina è ancora pronta o no? Facciamo ancora il test del ciclo di controllo erogando 16 bevande. Avviene poi un cleaning, pulizia interna di circuito, e si misurano i consumi. Ci può essere una transizione di cui misuriamo l’energia”.

L’indice di produttività delle macchine

“Veniamo alla produttività che è una misura della velocità della macchina. Per misurala abbiamo introdotto due metodi: il primo è indicator driven, tipico di una macchina superautomatica, con un display che informa quando è pronto per erogare. Attendo perciò alle indicazioni della macchina.

Ci sono altre macchine che non hanno un indicatore e perciò abbiamo introdotto un metodo chiamato Clock in cui ci atteniamo alle informazioni del costruttore. Ad esempio, se il costruttore afferma che è possibile erogare un caffè crème ogni 30 secondi, noi, in laboratorio, erogheremo il prodotto nel tempo indicato e ci assicuriamo che le tazze preparate siano corrette in termine di quantità, tempo e temperatura. Abbiamo accettato la presenza di qualche errore ma oltre un certo margine non è possibile sforare”.

Sicurezza e igiene nelle macchine da caffè

Una volta occupati dell’aspetto relativo ai consumi energetici si passa alla seconda parte. L’ingegnere riflette: “L’altro aspetto da esplorare nel panorama delle norme è quello relativo alla sicurezza e all’igiene. Sulle macchine da caffè ci sono alcune norme da seguire come la 60335-2-75 che ci siamo accorti che è carente nella parte igienica e meccanica. Tuttavia c’è un’altra norma strettamente correlata a quest’ultima: la 1672-2, una norma di tipo B.

Le norme di tipo C sono quelle specifiche e calate su una certa tipologia di prodotto come, ad esempio, quelle relative solo alle macchine del caffè. La norma B ha un valore più alto e si applica a tutte le macchine a contatto con gli elementi alimentari.

Questa norma è richiamata dalla EN 16889, una norma sulla migrazione di nichel e piombo per le macchine del caffè: sostanzialmente si usa un’acqua definita all’ingresso della macchina, si fa passare all’interno della macchina calda e si eroga. Si confronta perciò l’acqua in ingresso con quella in uscita. Lì si vede quanto nichel e piombo sono migrati. Questa norma richiama la 1672-2. Se applico la 16889 sono forzato a usare la 1672-2. È una norma pensata per tutte le attrezzature e se applico tutti questi requisiti su una macchina da caffè, quest’ultima verrà distrutta“.

Una semplificazione delle norme

“Perché i requisiti della EN 1672-2 non si possono applicare direttamente ma devono essere tradotti e calzati sulle macchine specifiche. Questa norma è una norma generale per macchine alimentari sia ad uso industriale che ad uso professionale (non si applica al domestico).

Allora, noi di Ucimac abbiamo pensato a cosa aggiungere per arrivare ad una norma armonizzabile alla Direttiva Macchine a cui devono essere conformi le macchine da caffè professionali e/o commerciali.

Stiamo lavorando alla stesura di una norma che tiri le fila di tutte queste norme esistenti ed applicabili e che semplifichi le sovrapposizioni. Stiamo sviluppando perciò una norma a partire da quelle che esistono”.

Beretta conclude: “La norma ha lo scopo di essere applicabile alle macchine da caffè tradizionali, alle super-automatiche e alle ibride (a metà tra tradizionali e super-automatiche). Il gruppo di lavoro 4 del CEN TC 153 si occupa anche di macinini con cui faremo un lavoro simile a quello svolto dalle macchine da caffè. Lavoreremo perciò anche sui macinini, importanti come macchine stand-alone e come componenti di macchine da caffè”.