domenica 09 Novembre 2025
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Fipe: la ristorazione è la prima voce di spesa digitale dei turisti stranieri in Italia con oltre 5,5 miliardi

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fipe
La ristorazione si conferma la prima voce di spesa dei viaggiatori stranieri in Italia (immagine concessa)

ROMA – Con oltre 5,5 miliardi di euro spesi tramite moneta elettronica, la ristorazione si conferma la prima voce di spesa dei viaggiatori stranieri in Italia, rappresentando più del 26% del totale rilevato dal rapporto “Tourism and Incoming Watch” di Nexi e Ministero del Turismo. Se si prende come riferimento la spesa complessiva stimata da Banca d’Italia in 54 miliardi di euro complessivi, il valore attribuibile alla ristorazione supera i 14 miliardi di euro.

“Questi dati – commenta Roberto Calugi, direttore generale di Fipe-Confcommercio – certificano il ruolo cruciale della ristorazione nella spesa dei turisti internazionali e l’alto grado di digitalizzazione dei pagamenti del comparto, che registra un utilizzo sempre più esteso dei pagamenti elettronici, anche nelle transazioni di piccolo importo”.

La ristorazione è determinante in tutti i mercati strategici per il turismo italiano: in particolare in Europa occidentale, con Germania e Francia in testa, e nel Nord America, dove i viaggiatori statunitensi si confermano i più fidelizzati. Proprio da queste aree provengono i cosiddetti food lovers, turisti che destinano alla ristorazione una quota di spesa superiore del 70% rispetto alla media.

Dal punto di vista geografico, oltre alle grandi città d’arte (Roma, Milano, Venezia, Firenze, Napoli), emergono anche distretti turistici ad alta attrattività per gli stranieri come la Costiera Amalfitana, Pompei, le colline toscane, le Cinque Terre, i laghi di Garda e Como, la Costa Smeralda.

A fronte di questa crescita, la Federazione Fipe rilancia anche il tema del costo delle commissioni sui pagamenti elettronici, che resta particolarmente gravoso per le piccole transazioni e che, per favorire un’ulteriore diffusione della moneta digitale, dovrebbe essere azzerato.

NKG Bero Italia, Uberto Marchesi e Donato Pensa: “La stima sulla produzione mondiale ’25-/’26? Oltre i 173 milioni di sacchi”

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NKG Bero Italia
Conilon raccolto 25-26 (foto concessa)

GENOVA – Uberto Marchesi e Donato Pensa, co-managers di NKG Bero Italia, di Genova, tornano su queste pagine a commentare l’attuale contesto che stanno vivendo gli attori della filiera, tra mercati con prezzi impazziti, difficoltà di reperimento della materia prima, EUDR, logistica sempre complessa.

Per NKG Bero Italia, inizia Uberto Marchesi rispondendo alla domanda: negli ultimi due mesi i futures del caffè hanno perso oltre 20% del valore, quali sono i motivi?

“Gli ultimi “crop survey” effettuati dal nostro Statistical Unit hanno evidenziato un miglioramento delle previsioni per i raccolti 25/26, soprattutto per quanto riguarda Conilon e Uganda. Inoltre quest’anno una parte molto limitata di caffè brasiliano é stata venduta in anticipo, il flusso di nuovo raccolto sta quindi creando pressione sulle borse.”

Il raccolto (foto concessa)

Questa tendenza può continuare nei prossimi mesi?

Donato Pensa si unisce alla conversazione: “I fondamentali sono ribassisti, con un trend di produzione in rialzo e consumi in leggera contrazione. Ad ogni modo ci sono ancora moltissime variabili in gioco che potrebbero contribuire ad estendere la grande volatilità attuale: un contesto geopolitico instabile, l’inverno brasiliano, i livelli di stocks certificati, l’impatto dell’EUDR.”

Parlavate prima di crescita produttiva di Brasile Conilon e Uganda, sono le origini del futuro?

Uberto Marchesi: “Secondo le nostre stime il Conilon andrà a produrre poco meno di 28 milioni di sacchi, un quantitativo analogo al Vietnam, grazie agli importanti investimenti fatti dai produttori e all’irrigazione. L’Uganda é un produttore sicuramente dal grandissimo potenziale, non a caso il Gruppo Neumann inaugurerà a breve a Kampala lo stabilimento di lavorazione del verde più grande in Africa.”

Il comparto Arabica invece?

Torna Donato Pensa di NKG Bero Italia: “Per quanto riguarda il Brasile é ormai consenso generale una produzione vicina ai 40 milioni di Arabica, contrariamente alle previsioni catastrofiste di un importante operatore del settore. Continua la sofferenza del Centro America, che si trova a lottare alla ricerca di manodopera dopo l’importante flusso migratorio degli ultimi anni. Nonostante i livelli di borsa, le “remesas”, ovvero soldi che vengono spediti in origine dagli emigrati, rappresentano una fonte di entrata più remunerativa rispetto al caffè.”

Quali sono le vostre stime per quanto riguarda il raccolto di quest’anno del Brasile e del Vietnam?

Uberto Marchesi: “Per quanto riguarda il 25/26 le nostre stime sono di 67.2 milioni di sacchi per quanto riguarda il Brasile, 39.6 di Arabica e 27.6 di Robusta, mentre per il Vietnam possiamo indicare il raccolto attuale a 27.2 milioni (di cui 26 di Robusta) mentre le previsioni sul raccolto successivo, previsto per la fine di quest’anno, sono di una possibile crescita a 29.2 milioni (di cui 28 di Robusta). Anche nel caso del Vietnam infatti, i produttori hanno investito molto nella produzione caffeicola e sembrano oggi lontana l’ipotesi di una massiva sostituzione con altre colture.”

Ritenete che il raccolto brasiliano di arabica 2026/27 possa essere potenzialmente da record, come si sostiene da più parti?

Donato Pensa: “Il potenziale per vedere un raccolto record sicuramente c’è tutto, la minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici però anche. Nel caso il meteo fosse finalmente favorevole, considerando gli importanti investimenti in produttività e espansione territoriale, potremmo davvero andare incontro ad un raccolto brasiliano su livelli record, fra i 45 e i 50 milioni di sacchi di Arabica. E’ però essenziale che queste sempre più frequenti e forti escursioni di temperatura che ormai si verificano durante l’inverno brasiliano non facciano dei danni rilevanti.”

Quali sono le stime da NKG Bero per quanto riguarda produzione e consumi mondiali relative a questa annata e alla prossima?

Uberto Marchesi: “La produzione mondiale nell’anno caffeicolo 2025/26, secondo le ultime stime al rialzo, dovrebbe superare i 173 milioni, in aumento di oltre 3 milioni di sacchi rispetto al precedente. Per quanto riguarda la domanda è davvero molto complesso fare un’analisi attendibile, anche per via dei flussi di importazione estremamente irregolari degli ultimi mesi, a causa dei problemi logistici e dello “spettro” EUDR. Considerando i mercati maturi in contrazione e i mercati emergenti non esplosivi come gli anni precedenti, possiamo ipotizzare un calo di domanda di circa lo 0.5%, da 172 a 171 milioni di sacchi.”

Quali scenari possiamo ipotizzare per un futuro a medio lungo termine? Quale ruolo possono e devono svolgere i paesi consumatori per rendere sempre più sostenibile e resiliente la filiera del caffè?

E ancora Donato Pensa: “Se già è complesso fare previsioni attendibili sulla produzione agricola, fortemente condizionata dai cambiamenti climatici, è ancora più difficile stimare con precisione la domanda a medio-lungo termine, soprattutto in vista della crescita demografica attesa in molti paesi emergenti consumatori.

Ci auguriamo un futuro di maggiore stabilità dei prezzi, anche attraverso una diversificazione degli ingredienti in miscela, ma soprattutto un percorso di conoscenza e valorizzazione della nostra meravigliosa materia prima.

In uno scenario in cui il costo del lavoro e i consumi nei paesi produttori continueranno verosimilmente a salire, per garantire una filiera davvero sostenibile e resiliente è indispensabile che tutti gli attori, soprattutto nei paesi consumatori, contribuiscano attivamente al trasferimento del valore lungo tutta la filiera, fino al consumatore finale.”

A proposito di conoscenza, come sta andando il progetto “Coffee Culture” di NKG Bero?

Ultimo evento Coffee Culture in collaborazione con Nordic Approach (foto concessa)

Uberto Marchesi in chiusura: “Molto bene. I tre moduli Workshop, Master e Coffee Journey sono ben avviati e a breve pubblicheremo il calendario per le sessioni autunnali. Previsto un altro appuntamento con Nordic Approach per gli amanti dei caffè specialty e entro fine 2025 partiremo con giornate di approfondimento su specifiche origini. Le prime tre che faremo? Brasile, Etiopia e … sorpresa!”.

illycaffè acquisisce il controllo del 100% del distributore svizzero

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Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè (immagine concessa)

TRIESTE – illycaffè S.p.A. comunica di aver acquisito il controllo del 100% del distributore svizzero con sede a Thalwil.  “Il mercato svizzero è altamente strategico per dimensione, premiumness e potenziale, rappresentando una significativa area di crescita per il brand. L’acquisizione si inserisce altresì nella più ampia strategia di rafforzamento del presidio diretto nei mercati chiave europei”, ha commentato l’amministratore delegato Cristina Scocchia.

 Attraverso questa acquisizione illycaffè potrà ampliare la propria presenza in tutti i principali canali distributivi, potenziare la brand experience e incrementare l’efficienza operativa, in linea con i propri obiettivi di crescita e di sviluppo internazionale.

L’operazione rappresenta un’ulteriore conferma della volontà dell’azienda di proseguire nel proprio piano di investimenti nonostante il contesto macroeconomico e geopolitico complesso e la continua volatilità del prezzo del caffè verde che è triplicato negli ultimi tre anni.

 La scheda sintetica di illycaffè

Azienda familiare italiana fondata a Trieste nel 1933, che da sempre si prefigge la missione di offrire il miglior caffè al mondo. Produce un unico blend 100% Arabica composto da 9 ingredienti diversi. L’azienda seleziona solo l’1% dei migliori chicchi di Arabica. Ogni giorno vengono gustate più di 10 milioni di tazzine di caffè illy nei bar, ristoranti, alberghi, caffè monomarca, case e uffici di oltre 140 paesi, in cui l’azienda è presente attraverso filiali e distributori.

Fin dalla nascita illycaffè ha orientato le proprie strategie verso un modello di business sostenibile, impegno che ha rafforzato nel 2019 adottando lo status di Società Benefit e nel 2021 diventando la prima azienda italiana del caffè ad ottenere la certificazione internazionale B Corp.

Tutto ciò che è ‘made in illy’ viene arricchito di bellezza e arte, a cominciare dal logo, disegnato da James Rosenquist, le illy Art Collection, le tazzine decorate da più di 135 artisti internazionali o le macchine da caffè disegnate da designer di fama internazionale. Con l’obiettivo di diffonderne la cultura della qualità ai coltivatori, baristi e amanti del caffè, l’azienda ha sviluppato la sua Università del Caffè che ad oggi svolge corsi in 24 paesi del mondo.

Nel 2024 illycaffè ha generato un fatturato consolidato pari a €630 milioni. La rete monomarca illy conta 157 punti vendita in 28 Paesi.

Usda: così le nuove previsioni su produzione, commercio e consumi mondiali di caffè

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Usda Brasile
Il logo del dipartimento dell'agricoltura di Washington

MILANO – Produzione mondiale a nuovi massimi storici – grazie soprattutto alla crescita dei raccolti in Vietnam, Indonesia ed Etiopia – export in lieve aumento e consumi mondiali sempre sostenuti: questo il quadro delineato dal report semestrale del Servizio agricolo estero (FAS) del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (Usda) “Coffee: World Markets and Trade”, per l’annata 2025/26.

Il report dedica il focus di apertura all’Uganda, paese che ha quasi raddoppiato la sua produzione (perlopiù di robusta) nel corso degli ultimi 10 anni.

L’export di caffè ha raggiunto, l’anno scorso, il valore di 1,1 miliardi di dollari, pari a quasi il 20% delle entrate valutarie della nazione africana.

L’Italia è di gran lunga il massimo mercato e conta per il 39% delle esportazioni. L’Europa assorbe circa i due terzi dell’export ugandese.

L’anno scorso, una nuova legge ha sciolto la storica Autorità ugandese per lo sviluppo del caffè (Ucda) trasferendo le sue attribuzioni al ministero dell’agricoltura, allo scopo di ridurre i costi ed efficientare l’operatività.

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Lavazza Training Center, Carpigiani Gelato University e Vitaletti Academy promuovono la ricerca nel mondo delle spezie con la masterclass

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La masterclass Caffè, spezie e gelato (immagine concessa)

ROMA Con il progetto “Le spezie, il linguaggio del gusto”, la Vitaletti Academy di Italpepe continua a diffondere la cultura delle spezie, coinvolgendo importanti partner del food & beverage. L’ultima iniziativa ha visto la realizzazione di due masterclass, organizzate in collaborazione con Lavazza Training Center e Carpigiani Gelato University, in occasione dell’ultima edizione di TuttoFoodper raccontare in chiave del tutto inedita l’utilizzo delle spezie nel mondo del gelato e del caffè.

Il progetto “Le spezie, il linguaggio del gusto”

Sebbene l’uso delle spezie in cucina sia ormai consolidato – per arricchire i piatti dal punto di vista aromatico/gustativo e benefico – nel mondo del gelato il loro impiego resta ancora limitato a spezie più comuni come vaniglia e cannella o a quelle più di tendenza come la fava tonka.

Diletta Poggiali, docente della Carpigiani Gelato University e specialista in Storia e cultura dell’alimentazione – ha illustrato l’importanza di saper combinare spezie ed erbe aromatiche, creando gelati innovativi e sorprendenti.

La chef, insieme ai docenti della Carpigiani Gelato University, ha dimostrato come la forma e il trattamento delle spezie – intere, in polvere, fresche o disidratate, tostate o macinate – influenzino profondamente il profilo aromatico del prodotto finale. Un esempio emblematico è il pepe lungo, che può sprigionare note piccanti o balsamiche a seconda del tipo di lavorazione.

“Le spezie rappresentano un vantaggio concreto per i professionisti del settore: vengono utilizzate in quantità minime e il loro impatto sul food cost è limitato – ha dichiarato Diletta Poggiali – ma sono in grado di donare originalità e raffinatezza. Anche una semplice sfumatura aromatica, se ben dosata, può rendere un gelato unico e indimenticabile”.

Il desiderio di sperimentazione ha coinvolto anche Lavazza con il suo Training Center che ha reinterpretato il rito dell’espresso con l’utilizzo di spezie come cardamomo, zenzero, chiodi di garofano e pepe di Sichuan, trasformandolo in un’esperienza aromatica unica e in un rituale capace di creare connessioni benefiche per il corpo e la mente.

L’aggiunta di gelato fiordilatte Carpigiani o l’impiego di caffè gourmet Lavazza Factory 1895 – come il colombiano El Paraíso, della regione del Cauca, con note di mango e vaniglia – eleva il piacere del caffè a un’esperienza multisensoriale.

“Non è solo gusto: è una coccola rigenerante – ha dichiarato Alessandro Cocco, Training center manager Lavazza durante la masterclass. Rendere il caffè un rito consapevole di vitalità quotidiana, arricchito da spezie e ingredienti naturali, rappresenta anche un’opportunità per ridurre l’uso di zucchero o dolcificanti. È un modo semplice per onorare il presente e costruire un futuro più sano, un sorso alla volta”.

Le ricette della Masterclass

  • Gelato fior di mentolo (ottenuto con infusione di mentuccia ed eucalipto) con caffè Planger arricchito da zenzero.
  • Caffè in infusione con chiodi di garofano, servito con gelato fiordilatte blendizzato con polvere di chiodi di garofano.
  • Caffè in infusione con pepe di Sichuan, accompagnato da gelato fiordilatte.
  • Gelato fiordilatte alla base con caffè e, in superficie, emulsione al cardamomo.

Per scoprire la Masterclass a TuttoFood 2025

Caffè, gelato e spezie si fondono in un’esperienza sorprendente.

 La scheda sintetica di Italpepe

Italpepe è un’azienda italiana che da oltre 50 anni crede nel fascino misterioso delle spezie, che ogni giorno accompagnano e danno colore alla nostra vita. Un brand garanzia di eccellenza, ricercatezza, sostenibilità e qualità. Un’eccellenza che persegue con l’attenta selezione dei prodotti, con la tutela della biodiversità e delle specialità locali in via d’estinzione. Rifornisce le principali insegne della grande distribuzione ed esporta i suoi prodotti in tutto il mondo.

Lamborghini: condannato il cugino Fabio per violazione dei diritti del marchio, Tonino trionfa

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Tonino Lamborghini
Tonino Lamborghini

Il Tribunale civile di Bologna ha condannato Fabio Lamborghini, in realtà Gianmarco Fabio Lamborghini, e la manager della sua società, per violazione dei diritti del marchio e di concorrenza sleale confusoria. La pena? L’imposizione del pagamento di mille euro per ogni eventuale singola violazione futura, più circa 15 mila euro di spese legali. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Vincenzo Brunelli per Il Corriere della Sera.

La condanna di Fabio Lamborghini

MILANO – Si accreditava in giro per il mondo come erede di Ferruccio Lamborghini, il fondatore della mitica casa automobilistica italiana, promuovendo diverse iniziative e partecipando a vari eventi di alto livello, ma ora non potrà più farlo. O meglio, non come erede della famiglia Lamborghini.

Il Tribunale civile di Bologna, a sei anni di distanza dall’inizio della causa, ha condannato Fabio Lamborghini (in realtà Gianmarco Fabio Lamborghini) e la manager della sua società al rispetto di alcune disposizioni, ritenendoli responsabili di violazione dei diritti del marchio e di concorrenza sleale confusoria, imponendo il pagamento di mille euro per ogni eventuale singola violazione futura, più circa 15 mila di spese legali, come riporta Il Corriere della Sera.

Così hanno deciso i giudici della sezione specializzata in materia di Imprese Antonio Costanzo, Vittorio Serra e Roberta Dioguardi al termine del processo civile di primo grado.

La causa legale tra i cugini Lamborghini

A dare il via alla causa era stato Tonino Lamborghini, assistito dai legali Sandro Corona e Federico Ghini, figlio ed erede ufficiale di Ferruccio, e padre della cantante Elettra, di Lucrezia, Flaminia, Ginevra e Ferruccio jr, che sono gli unici eredi Lamborghini esistenti.

Tonino aveva denunciato il cugino in quanto titolare della sua società. L’azione legale era cominciata perché Fabio Lamborghini, figlio di un fratello di Ferruccio, aveva iniziato alcune pratiche ritenute scorrette e contra legem, da parte di Tonino.

Nel processo è emerso, come sottolinea il Corriere, che avrebbe utilizzato il marchio  (quello con il classico toro) e avrebbe speso il suo cognome facendo credere di essere uno degli eredi di Ferruccio, o comunque generando confusione in merito, per scopi personali.

La sentenza dei giudici

Per i giudici bolognesi, come riportato dal Corriere della Sera: “rileva poi la circostanza che Fabio Lamborghini abbini abitualmente il proprio nome ed i propri segni ad eventi rievocativi del marchio nei quali, presentandosi anche come erede del fondatore della casa automobilistica, favorisce l’idea di una continuità con l’erede ufficiale, ingenerando confusione che poi si riverbera anche sulle attività commerciali di quest’ultimo”.

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Espresso italiano champion: Giulia Ruscelli è la prima donna a vincere la competizione

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Giulia Ruscelli, vincitrice Espresso italiano champion 2025 (immagine concessa)

BRESCIA – È Giulia Ruscelli di Forlì, la migliore barista dell’anno, vincitrice dell’Espresso italiano champion 2025. Giulia si è aggiudicata il titolo di migliore barista in tema di espresso e cappuccino italiani con la miscela Mokador. La barista forlivese è la prima donna italiana a vincere la gara nazionale di Espresso Italiano Champion e lo ha fatto dopo aver sfidato altri undici professionisti nella competizione organizzata dall’Istituto espresso italiano (Iei) che si è svolta a Conegliano Veneto (Treviso) nella sede di Dersut, socio dell’Istituto.

In un tempo di soli 11 minuti ha dovuto tarare la sua attrezzatura la macchina Rancilio Classe 20 ASB e il macinadosatore Eureka Atom 20W con sistema acqua Brita, e dimostrare di sapere preparare quattro espressi e quattro cappuccini. Al secondo posto della finale il veneziano Tianyu Wang, mentre al terzo posto si è piazzato Matteo Colzani.

“L’Espresso italiano champion ha visto la partecipazione di decine di giovani professionisti in tutta Italia che già dalle prove di qualifica si sono confrontati e stimolati alla crescita personale e professionale in questo settore che proprio su loro punta molto in quanto ultimo anello della filiera prima del consumatore finale – spiega il presidente dell’Istituto espresso italiano (Iei), Alessandro Borea – sono particolarmente felice che a vincere sia stata una giovanissima professionista, la figura femminile nel settore è sempre più fondamentale, su tutta la filiera”.

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Alessandro Borea, presidente Iei (immagine concessa)

Giulia Ruscelli è barista al Lovo Bar e Pasticceria di Forlì. Professionista da 14 anni, ma solo negli ultimi quattro specializzata nella tecnica della latte art, facendola diventare una personale grande passione.

“È la mia prima gara e non mi aspettavo assolutamente di vincere, neanche di arrivare in finale, il motivo per la quale ho scelto di essere qui era crescere a livello personale e lavorativo, e per conoscere un ambiente diverso dove ci sono tutti esperti e appassionati di caffè – le prime parole della vincitrice – porto a casa l’essere più minuziosa, attenta ai dettagli e alla pulizia nel bar in cui lavoro con l’obiettivo di trasmettere questa cosa alla mia clientela, sono contenta di aver raggiunto un trampolino di lancio che mi permetterà di avere varie porte aperte, dandomi o l’opportunità di scegliere la strada che sentirò più mia”.

La ricetta del miglior espresso italiano secondo Iei

I prodotti presentati in gara hanno rispecchiato i parametri di qualità dell’Istituto espresso italiano (Iei): per l’espresso una tazzina con circa 25 millilitri di caffè ornato da una crema consistente e di finissima tessitura, di color nocciola, una bevanda sciropposa con aromi intensi e ricchi di note di fiori, frutta, cioccolato e pan tostato.

Per il cappuccino una crema finissima e lucida, con un perfetto bilanciamento di aromi del latte e del caffè. La sfida ha visto una semifinale martedì 24 giugno con 12 concorrenti e la finale il giorno successivo, con 6 baristi. Alla fase finale hanno avuto accesso i migliori professionisti qualificatisi alle selezioni interne effettuate da diverse aziende associate a Iei.

I finalisti sono stati giudicati da giudici tecnici, giudici sensoriali e giudici marketing. Questi ultimi hanno valutato la capacità dei concorrenti di comunicare e valorizzare il prodotto, i giudici tecnici la capacità di lavorare in modo professionale e quelli sensoriali hanno valuto gli espressi e i cappuccini prodotti alla cieca, cioè senza sapere chi li avesse preparati, con il metodo IIAC – International Institute of Coffee Tasters dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè.

“Proviamo un grande orgoglio nell’aver potuto ospitare la finale, dove sono emersi l’alto livello professionale dei partecipanti e il valore della collaborazione oltre la mera competizione – le parole di Lara Caballini di Sassoferrato, amministratore delegato di Dersut Caffè – questa iniziativa evidenzia a livello mediatico questa professione e tutto quello che valorizza la filiera del caffè italiano, alla vincitrice un augurio, non solo per questa competizione, ma in generale nel lavoro e nella vita, di avere sempre consapevolezza di ciò che si è, delle proprie capacità e del proprio valore. Il valore che tu ti dai è quello che poi gli altri percepiscono e dovrebbero riconoscerti; quindi, le auguro di credere sempre nelle proprie capacità e quando ci sono le capacità vanno anche comunicate, fatte capire agli altri”.

La scheda sintetica dell’Espresso italiano champion

L’Espresso italiano champion da diversi anni è la gara per i baristi che desiderano mettersi alla prova con i simboli della caffetteria italiana: espresso e cappuccino. Negli anni ha coinvolto centinaia di professionisti da una decina di paesi, sia quelli con una lunga tradizione nel caffè sia i cosiddetti nuovi mercati. La gara è aperta a tutti e si svolge con un meccanismo di selezione locale per arrivare alle semifinali e alle finali nazionali e internazionali.

La scheda sintetica dell’Istituto espresso italiano

L’Istituto espresso italiano (Iei), di cui fanno parte torrefattori, costruttori di macchine per caffè e macinadosatori e altre aziende della filiera, tutela e promuove la cultura dell’espresso e del cappuccino italiani di qualità. Oggi conta 36 aziende aderenti con un fatturato aggregato di circa 700 milioni di euro. Maggiori info: www.iei.coffee.

Starbucks celebra il 30° anniversario dell’iconico Frappuccino Blended Beverage

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Il 30° anniversario dell’iconico Frappuccino Blended Beverage (immagine concessa)

MILANO – Starbucks celebra il 30° anniversario dal lancio del Frappuccino Blended Beverage, la bevanda fredda rivoluzionaria, capace di mescolare il piacere del caffè ad altri ingredienti gustosi con la freschezza del ghiaccio. Per la speciale occasione, arriva il Birthday Frappuccino Blended Beverage: una edizione speciale celebrativa dell’iconica bevanda al gusto di vaniglia e nocciola, decorata con panna montata e vivaci codette colorate.

Il Birthday Frappuccino Blended Beverage

A partire da giovedì 26 giugno e fino al 15 luglio (fino ad esaurimento scorte), la nuova bevanda sarà disponibile in tutti i 48 store distribuiti sul territorio nazionale e in 23 mercati dell’area EMEA. Inoltre, il Birthday Frappuccino in versione grande, verrà servito – fino a esaurimento scorte – nella reusable cup special edition con la riproduzione del logo Starbucks introdotto nel 1992.

Lanciato per la prima volta nel 1995 negli Stati Uniti e in Canada con soli due gusti, Coffee e Mocha, il Frappuccino Blended Beverage ha rapidamente conquistato il palato dei clienti in cerca di una nota di freschezza e novità.

Nel 1999 viene introdotto anche il gusto Caramel, ancora oggi una delle varianti più apprezzate. Successivamente vengono proposte le versioni Frappuccino Cream, realizzate senza caffè né tè, e Frappuccino Light, con il 30-40% di calorie in meno. Nel 2010 Starbucks lancia anche il Frappuccino However-You-Want-It, che permette ai clienti di personalizzare la bevanda scegliendo tra diversi tipi di latte, o soia, caffè, sciroppi e guarnizioni.

Oggi il Frappuccino Blended Beverage è molto più di una bevanda, è un fenomeno globale amato e scelto ogni giorno da migliaia di clienti nel mondo, un’icona che in trent’anni di storia ha saputo rinnovarsi intercettando i trend del momento con edizioni stagionali e limitate, come l’indimenticabile Unicorn Frappuccino, diventato virale per i suoi colori scenografici.

“Il Frappuccino Blended Beverage è parte integrante dell’identità di Starbucks e il risultato di una strategia vincente che ha saputo coniugare negli anni la varietà nel gusto con la possibilità di personalizzazione. Ogni cliente può sempre contare su edizioni limitate e stagionali del Frappuccino Blended Beverage, oltre alle versioni classiche sempre presenti nel menù. Siamo grati a tutti gli appassionati dell’iconica bevanda che anno dopo anno hanno reso celebre il Frappuccino Blended Beverage. Continueremo a proporre nuove e fantasiose varianti per ripagare la loro fiducia e offrire nuove esperienze di gusto.”, ha dichiarato Vincenzo Catrambone, general manager di Starbucks Italia.

L’iniziativa del 30° anniversario sarà supportata da una campagna social sui profili Starbucks Italia dal 26 giugno.

La scheda sintetica di Starbucks Coffee Company

Dal 1971, Starbucks Coffee Company è impegnata nell’approvvigionamento etico e nella torrefazione di caffè Arabica di alta qualità. Con oltre 33.000 negozi in tutto il mondo, oggi Starbucks è il primo torrefattore e rivenditore di specialità caffearie al mondo. Grazie all’impegno costante per l’eccellenza e i valori, porta l’unicità della Starbucks Experience nella vita di tutti i nostri clienti attraverso ogni singolo caffè.

La scheda sintetica di Percassi

Percassi è una società le cui attività comprendono lo sviluppo e la gestione di reti commerciali in franchising di importanti marchi (come Gucci, Armani Exchange, Saint Laurent, Nike, Jordan, Victoria’s Secret, Bath&Body Works, LEGO, Garmin in ambito fashion-beauty e consumer, e Starbucks nel food).

Il gruppo Percassi è anche attivo nella gestione di brand propri (KIKO Milano, Womo e Bullfrog nel settore della cosmetica, Atalanta in ambito sportivo, Da30Polenta nel food). Percassi opera anche in ambito real estate per la realizzazione di importanti progetti immobiliari nel settore commerciale e direzionale. Per ulteriori informazioni: www.percassi.com

Il cappuccino più caro al mondo si beve a Zurigo: costa 5,8 euro a tazza

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Cappuccino (immagine: Pixabay)

Una pausa caffè nella città di Zurigo non è decisamente a buon mercato. Assieme a Ginevra, Zurigo resta nel plotone di testa delle località più care al mondo, stando a uno studio della Deutsche Bank. Nella capitale economica elvetica, una tazza costa mediamente 6,77 dollari (5,8 euro). Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Daniele Mariani per tvsvizzera.it.

Il cappuccino più costoso al mondo

ZURIGO – Se non avete nessuna idea del costo della vita in Svizzera e ordinate un cappuccino a Zurigo, correte il rischio che, quando vi presenteranno il conto, il vostro cuore inizi improvvisamente a battere come quello di un ciclista impegnato nell’ascesa del Passo dello Stelvio.

Nella capitale economica elvetica, una tazza costa mediamente 6,77 dollari (5,8 euro). Secondo l’edizione 2025 del rapporto Mapping the World’s PricesCollegamento esterno dell’istituto di ricerca della Deutsche Bank, in nessun’altra località del mondo un cappuccino costa così caro. Ginevra segue a ruota: con 5,86 dollari, si piazza al quinto posto della classifica globale.

A titolo di paragone, a Milano la stessa bevanda costa in media 2,15 dollari, a Roma 1,79. La capitale italiana è al penultimo posto della classifica per quanto riguarda il cappuccino. Solo al Cairo si spende meno.

Il dato è emblematico di una tendenza più ampia: le due città svizzere sono tra le più care del pianeta in quasi tutte le categorie analizzate dal rapporto, che confronta i prezzi nelle 69 metropoli più importanti per i mercati finanziari globali.

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Settore food: crescita a +5,9% nel 2024 con previsioni positive per il caffè a +6,9% nel 2025

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specialty mercati rossi Brasile caffè UE futures specialty Etiopia
Chicchi di caffè tostato (Image by Couleur from Pixabay)

MILANO – Il Food Industry Monitor analizza le performance di un campione di oltre 860 aziende, con un fatturato aggregato di circa 87 miliardi di euro, attive in 15 comparti del settore food. L’osservatorio sulle performance e sui modelli di business delle aziende italiane del food , realizzato dall’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors, analizza le performance storiche delle aziende del food dal 2009 al 2024 focalizzandosi sulle seguenti dimensioni: crescita, export, redditività, produttività e struttura finanziaria.

Per ogni comparto vengono elaborate previsioni biennali (2025-2026) sulla crescita del fatturato e dell’export e sull’andamento della redditività.

Performance 2024, proiezioni 2025 e previsioni per il 2026

Nel 2024, i ricavi del settore sono cresciuti del 5,9% confermando performance superiori rispetto all’economia italiana, con un PIL nazionale fermo sullo 0,7%. Il settore mostra buoni livelli di redditività commerciale con un ROS al 5,7% un ROIC al 6,9%, valori positivi, anche se in lieve calo rispetto agli anni precedenti.

La solidità finanziaria resta elevata con un indice di indebitamento pari ad 1,19 (mezzi di terzi su mezzi propri).

Per il 2025, il settore food dovrebbe confermare, con un 4,6% il trend positivo, seppure con tassi leggermente inferiori rispetto all’anno precedente. Per il 2026 si prevede una crescita dei ricavi del +4,4%.

Il mercato interno dovrebbe tenere grazie alla positiva dinamica dell’occupazione, che dovrebbe stimolare i consumi e quindi la domanda di prodotti del settore food. La crescita dei salari resta una variabile fondamentale per un salto di qualità dei consumi interni. La positiva evoluzione degli investimenti industriali conferma come l’industria italiana, in particolare quella del food, stia rispondendo alla sfida della produttività.

A livello di comparto, nel 2025 cresceranno significativamente farine (+9,9%), caffè (+6,9%), olio (+6,3%) e surgelati (+5,6%).

Evoluzione dell’export

L’export (in valore a prezzi correnti) del settore food, per i comparti analizzati dal FIM (con i relativi codici ATECO), registrerà una crescita del 7,3% nel 2025, leggermente inferiore rispetto al +8,2% del 2024. Le previsioni restano positive anche per il 2026, con un incremento stimato del 7%.

L’export relativo ai comparti mappati dal Food Industry Monitor ha raggiunto i 47 miliardi di euro, di cui circa il 13% destinato agli Stati Uniti. Il vino, da solo, genera esportazioni per oltre 8 miliardi di euro, con circa il 30% del totale diretto verso gli USA.

Le esportazioni del comparto food (incluso il vino) sono cresciute del 5,5% nel 2024, in netta ripresa rispetto al -1,6% registrato nel 2023. Tuttavia, è evidente che le politiche dell’amministrazione americana in materia di importazioni potrebbero avere effetti significativi sulle vendite negli USA.

Focus su aziende familiari, governance e performance

Per la XI edizione del Food Industry Monitor, è stato sviluppato un focus specifico sugli assetti istituzionali e sui modelli di governance adottati dalle imprese. Il settore food si conferma fortemente caratterizzato da una presenza di imprese familiari, che rappresentano il 67% del campione analizzato (870 aziende).

Le analisi sono state condotte anche a livello di comparto. I comparti delle farine (95%), distillati (83%), olio (82%) e caffè (81%) superano l’80% di aziende a proprietà familiare. Anche in comparti caratterizzati dalla presenza di grandi players internazionali, come surgelati, birra e vino, le aziende familiari rimangono prevalenti, seppur con un’incidenza di poco superiore al 50%.

La governance delle imprese varia in base alla natura proprietaria: nelle aziende familiari, il 75,8% è gestito tramite Consiglio di amministrazione, mentre il 24,2% è guidato da un Amministratore unico.

Nelle aziende non familiari la struttura è più formalizzata, con una netta prevalenza del CdA (93,6%) e una marginale presenza dell’Amministratore Unico (6,4%). Dal punto di vista della composizione di genere dei CdA si evidenzia come le aziende familiari presentino una quota di donne nei CdA del 24,7%, sensibilmente più alta rispetto al 10,1% rilevato nelle aziende non familiari.

Il settore del food evidenzia una buona longevità delle imprese, infatti il 53,3% delle aziende familiari del campione è guidata da esponenti della terza generazione, mentre un ulteriore 36,8% ha superato la terza, solo il 9,9% delle aziende è guidata dalle prime due generazioni. I comparti con la prevalenza di aziende di prima e seconda generazione sono: farina, pasta distillati e dolci. I comparti con le aziende più longeve, arrivate oltre la terza generazione, sono: birra, olio, farine e acqua.

Dal punto di vista delle performance economiche, le aziende familiari si distinguono per risultati mediamente superiori alle non familiari. Il ritorno sul capitale investito (ROI) e il Return on Equity (ROE) sono sensibilmente superiori per le aziende familiari.
In generale, per tutte le aziende, i modelli di governance evoluti determinano performance superiori.

In particolare la presenza di una leadership collegiale, cioè una distribuzione delle deleghe tra più figure, migliora significativamente le performance, con effetti positivi sui principali indici di redditività. Ancora più rilevante è l’effetto positivo della presenza di amministratori che siano anche parte della compagine proprietaria: la presenza nei CdA di consiglieri-azionisti, infatti, porta a un miglioramento significativo del ROA.

Nelle imprese familiari, la presenza di un presidente familiare, che esercita il ruolo di collegamento strategico tra famiglia e impresa, ha un’influenza rilevante sulle performance reddituali.

Dichiarazioni

“Il 2024 è stato un anno interlocutorio per settore del food, che è cresciuto a ritmi inferiori rispetto alle previsioni formulate ad inizio anno, allineandosi a quanto è stato riscontrato per il PIL. Le prospettive per il 2025 sono positive, ma andranno sicuramente riviste al ribasso in caso di attivazione dei dazi doganali e qualora l’evoluzione della guerra in Medio Oriente comportasse una contrazione significativa della produzione di petrolio e dei flussi turistici. Per questo l’evoluzione sui mercati internazionali va valutata con grande attenzione. In particolare, l’introduzione di dazi potrebbe comportare una drastica riduzione delle esportazioni. Occorre considerare che solo alcuni player italiani hanno strutture produttive negli USA e potrebbero quindi preservare le proprie quote di mercato, ma questa non è un’opzione alla portata di tutte le aziende.” Carmine Garzia, professore di Management e responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Industry Monitor dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

“Quanto sta accadendo a livello internazionale deve farci riflettere seriamente sull’opportunità per le imprese italiane di dare una forte accelerazione alle strategie d’internazionalizzazione investendo direttamente sui mercati in strutture produttive. Non dobbiamo vedere il “made in Italy” solo come un modello basato sull’esportazione di prodotti finiti, ma anche come l’esportazione di know-how di innovazione e produzione, che può essere messo a sistema direttamente nei mercati di destinazione. Le previsioni per il 2026 sono positive, ma potremmo essere costretti a confrontarci con i dazi USA e le possibili contromisure che potrebbero essere approvate in mercati strategici per il Made in Italy, come quello cinese. La crescita esterna, per rafforzare la massa critica e la presenza all’estero, resta una delle opzioni più efficaci per sostenere le sfide dei mercati internazionali e non perdere i trend di crescita”. Alessandro Santini, head of corporate & investment banking di Ceresio Investors

Round table: i relatori

Il convegno è stato introdotto e moderato da Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente del Financial Times per l’Italia. Dopo i saluti istituzionali del Prof. Nicola Perullo, Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche, e di Gabriele Corte, Direttore Generale di Banca del Ceresio SA, è intervenuto il professor Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, che ha presentato i risultati dell’ultima edizione del Food Industry Monitor, con un focus sulla crescita e sull’export per il prossimo biennio. Sono stati presentati dei dati inediti sugli assetti proprietari e i modelli di governance delle aziende del food e l’impatto che hanno sulle performance.

Il professore Michele Fino ha moderato un dibattito dedicato al valore “made in Italy” a cui ha partecipato Matteo Lunelli, Presidente e CEO di Ferrari Trento e Guido Repetto, Presidente di Elah Dufour. Silvia Sciorilli Borrelli ha moderato la seconda sessione del dibattito dedicata agli strumenti finanziari per la crescita e l’internazionalizzazione, a cui hanno preso parte Maria Luisa Miccolis, Head of Sales PMI di SACE e Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking di Ceresio Investors.

Le conclusioni del convegno sono state affidate, come da tradizione a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e Presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche.

La scheda sintetica dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo

L’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, fondata nel 2004 su iniziativa di Slow Food, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo è un ateneo non statale e legalmente riconosciuto dallo Stato italiano, nato per dare dignità accademica alla gastronomia e promuovere un modello interdisciplinare di studio del cibo.

Istituzione dinamica e di impronta fortemente internazionale, l’UNISG ha visto nella sua ventennale attività la presenza di oltre 4000 studenti da oltre 100 Paesi. L’ateneo forma food specialist con competenze professionali, capaci di indirizzare la produzione, la distribuzione e il consumo di cibo in modo sostenibile.

La scheda sintetica di Ceresio Investors

Ceresio Investors rappresenta il gruppo bancario svizzero che fa capo a Banca del Ceresio – specializzato nella gestione di patrimoni, nella custodia titoli, nel Corporate & Investment Banking e nel consolidamento fiscale e patrimoniale – fondato nel 1919 a Milano da Antonio Foglia.

La terza generazione della famiglia Foglia è attiva oggi a Lugano attraverso la capogruppo Banca del Ceresio e Lagom Family Advisors; a Milano tramite Ceresio SIM, Global Selection SGR e Eurofinleading Fiduciaria; a Londra con Belgrave Capital Management. La solidità patrimoniale (Leverage ratio semplificato 42.7%), la reputazione nella gestione (CHF 9 miliardi di attivi in gestione) e la logica del co-investimento tra proprietà e clientela rappresentano da sempre i suoi principali elementi distintivi