sabato 13 Aprile 2024
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Andrej Godina parla al talk Comunicaffè di Sigep: “Una filiera più sostenibile passa dal giusto prezzo per i produttori”

L'esperto del caffè: "Lavorando attivamente in piantagione per produrre un caffè sostenibile, fin da subito, ho capito che il termine sostenibilità doveva essere declinato in differenti aspetti: innanzitutto doveva essere praticato dal punto di vista ambientale, poi da quello sociale e infine dall’aspetto economico-finanziario; quest'ultimo vuol dire garantire al coltivatore il giusto riconoscimento che gli permetta di coprire i costi di produzione del caffè, di avere uno stipendio dignitoso per garantire alla sua famiglia uno stile di vita adeguato e un utile da reinvestire nella sua attività, ad esempio per costruire sistemi di irrigazione, cambiare varietà botanica, comprare impianti di lavorazione del caffè più moderni"

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RIMINI – Riportiamo di seguito l’intervento integrale che Andrej Godina, dottore di ricerca in scienza, tecnologia ed economia nell’industria del caffè, ha tenuto al convegno Comunicaffè durante il Sigep sull’importante tema della sostenibilità nella filiera del chicco. Secondo l’esperto, risulta necessario un maggiore dialogo tra i Paesi di produzione e quelli di consumo con una presa di coscienza dell’industria mirata a cambiare il modello di fissazione dei prezzi e di acquisto della materia prima. Leggiamo di seguito le sue opinioni.

La sostenibilità nella filiera del caffè

di Andrej Godina

“Ho la fortuna di avere una visione di filiera competa dal primo anello fino all’ultimo grazie alla mia attività di consulente esperto in caffè nei paesi consumatori e di produzione del caffè in Honduras, paese d’origine, grazie all’azienda Umami Area Honduras che con altri soci mi vede impegnato nella gestione della piantagione Rio Colorado.

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Lavorando attivamente in piantagione per produrre un caffè sostenibile, fin da subito ho capito che questo termine doveva essere declinato in differenti aspetti: innanzitutto la sostenibilità doveva essere praticata dal punto di vista ambientale, poi da quello sociale e infine dall’aspetto economico-finanziario, sul quale mi soffermerò durante questo mio intervento.

La sostenibilità economico-finanziaria vuol dire garantire al coltivatore il giusto riconoscimento che gli permetta di coprire i costi di produzione del caffè, di avere uno stipendio dignitoso per garantire alla sua famiglia uno stile di vita adeguato e un utile da reinvestire nella sua attività, ad esempio per costruire sistemi di irrigazione, cambiare varietà botanica, comprare impianti di lavorazione del caffè più moderni.

La mia storia di consumatore mi ha visto iniziare a bere caffè quando da ragazzo studiavo all’università per sfruttare le proprietà stimolanti della caffeina.

All’epoca ero un consumatore inconsapevole e non avrei mai immaginato che dietro una tazzina di espresso ci fossero più di 135 milioni di produttori, la maggior parte dei quali di piccole dimensioni e a conduzione familiare che spesso non riescono nemmeno a coprire il costo di produzione a causa del prezzo basso che gli viene pagato dai trader di caffè verde.

Godina afferma: “Quando ho iniziato a sentir parlare di sostenibilità sulla filiera, ormai tanti anni fa, avevo capito che questa era solo quella ambientale, eppure, diventando io stesso un produttore ho capito molto bene che la sostenibilità, in primis, deve essere quella economica-finanziaria”.

“Godina continua: “Infatti, senza un giusto guadagno del farmer, non è possibile fare attività a sostegno della sostenibilità sociale né tanto meno di quella ambientale. Da produttore di caffè ho altresì potuto osservare uno dei grandi paradossi di questa filiera che è fortemente agganciata, per la determinazione del prezzo di vendita del caffè verde, alle quotazioni delle borse merci di NY e Londra.

Infatti la dinamica che determina il prezzo a cui devo vendere il nostro caffè viene fissato sulla borsa di NY, e in particolare negli ultimi anni, queste quotazioni non hanno un vero collegamento con il mercato fisico ma sono il frutto di attività speculative.

Nel passato, come tanti operatori di settore ricorderanno, il mercato del caffè verde veniva gestito a livello globale attraverso la fissazione delle quote di esportazione dai paesi di produzione dall’International Coffee Organization.

Questa pratica permetteva di avere un mercato fisico controllato nel quale l’offerta di caffè verde era calcolata sull’effettivo consumo mondiale e ciò garantiva una fissazione dei prezzi sulle borse merci strettamente legate all’incontro tra la offerta e la domanda”.

Godina spiega: “Nella nostra piantagione sperimentiamo ogni anno come il prezzo al quale dovremmo vendere il caffè è completamente slegato dalla nostra realtà produttiva e non tiene assolutamente conto dei costi di produzione.

In Honduras, così come negli altri paesi di produzione, in periodi di sovrapproduzione i prezzi salgono o scendono, senza alcun tipo di correlazione con la produzione. Qualche anno fa i prezzi sulle borse merci erano così bassi che non hanno garantito ai piccoli produttori la copertura dei costi di produzione, in tanti casi il produttore di caffè ci ha rimesso dei soldi! Questo fatto ha costretto i produttori ad indebitarsi e ancora oggi ne stanno pagando gli interessi,

Questo modello di business non è sostenibile e chi ne paga effettivamente i costi? Ovviamente tutto questo ha un costo che è sempre pagato dal piccolo produttore di caffè. Infatti queste persone riescono poi alla fine e in qualche modo a sopravvivere perché lavorano senza un contratto di lavoro, senza stipendio.

Nella valle di Las Capucas in Honduras, dove abbiamo la piantagione, sono presenti più di 2000 piccoli produttori, raggruppati in una cooperativa.

Se non fosse per lo sforzo e le attività di responsabilità sociale della cooperativa queste persone, lavorando senza un contratto, non avrebbero un’assistenza sanitaria e la possibilità per i figli di un’educazione universitaria.”

Godina riflette: “Questo grave problema di non rendere sostenibile economicamente il lavoro del farmer ha un effetto devastante, non solamente quello di impoverire i nuclei familiari ma anche quello di costringere le famiglie ad abbandonare la loro terra, strozzati dagli interessi dei prestiti chiesti in banca, emigrando illegalmente negli USA.

Nel 2050 non avremo più una produzione sufficiente di caffè Arabica non tanto per gli effetti del cambio climatico ma perché non ci saranno più produttori che coltiveranno il caffè. Una parte della responsabilità va imputata ai trader di caffè verde e alle torrefazioni che generalmente acquistano la materia prima in modo indifferenziato, al prezzo più basso, senza ricercare un rapporto stabile con il farmer, senza comprendere le sfide e le problematiche dei paesi di produzione e senza una vera consapevolezza di filiera”.

Il prezzo della sostenibilità

Godina afferma: “Come fare per garantire che il caffè consumato si possa definire veramente sostenibile? La risposta è molto semplice, è necessario per prima cosa pagare il giusto prezzo al produttore, garantendo la completa copertura dei costi di produzione e assicurando un guadagno che dev’essere agganciato alla qualità del prodotto, alle attività messe in campo a salvaguardia dell’ambiente e ai servizi sociali garantiti alla comunità locale.

Il consumatore è all’oscuro di tutte queste dinamiche di filiera e ne è inconsapevolmente responsabile, tanto quanto i trader di caffè verde e i torrefattori. Qualche anno fa, per esempio, quando i prezzi del caffè sulle borse merci erano al minimo, succedeva che nel bar o sullo scaffale del supermercato, l’atto di acquisto del consumatore si rifletteva nei paesi di origine con un effetto di impoverimento del piccolo produttore.

Questo “corto circuito” di filiera crea una serie di fenomeni anomali come l’emigrazione forzata dei farmer e, alla lunga, alla carenza di caffè. Siamo noi, gli ultimi attori della filiera, a rappresentare il motivo di fallimento dei piccoli farmer in quanto siamo sempre noi a determinare e imporre il prezzo di acquisto ai paesi produttori.

I paesi di produzione così come il farmer non ha nessuna voce in capitolo e nessuna forza contrattuale sul prezzo perché terminato il raccolto ha necessità di “fare cassa” e di vendere la produzione (soprattutto perché si tratta di una produzione annuale che produce un solo incasso nei 12 mesi) e non ha gli strumenti tecnici e finanziari necessari per intervenire sulle borse merci.

I primi attori della filiera subiscono quello che succede a valle tant’è che in questo ultimo periodo gli esportatori sono addirittura costretti a cambiare i differenziali dei loro caffè per riuscire in qualche modo a calmierare l’effetto devastante al ribasso delle borse merci”.

Godina non ha dubbi: “Oggi la necessità di declinare valori di sostenibilità sulla filiera richiede un differente approccio di tutti gli operatori di filiera e di una profonda rimodulazione delle loro attività, risulta necessario un maggiore dialogo tra i paesi di produzione e quelli di consumo e di una presa di coscienza dell’industria del caffè che deve cambiare il modello di fissazione dei prezzi e di acquisto della materia prima”.

Godina conclude: “La parola sostenibilità deve essere in primis declinata nella sostenibilità economico-finanziaria dei farmer e solamente dopo in una versione sociale e ambientale.”

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