giovedì 11 Aprile 2024
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Nespresso, l’ad Duvoisin: «Con le capsule abbiamo rivoluzionato il caffè»

La Nespresso fa parte del gigante svizzero dell’alimentazione Nestlé. In Svizzera si trovano anche i tre centri di produzione di cui dispone l’azienda

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Fino a qualche tempo fa era impensabile, specie in Italia. Accantonare la moka e sostituirla con macchinetta e capsule, scegliere da una lunga lista di sapori, avere boutique dell’aroma fatte come negozi di lusso.

Ma oggi il caffè non è più solo caffè, ed è questo che racconta la storia di Nespresso.

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«Il cambio di paradigma è partito da noi, quando nel 1986 inventammo le prime capsule. Qualcuno ci ha paragonati a Google. Io non so se siamo come Google. Ma da quella prima capsula è nato un cambiamento nelle abitudini sul consumo di caffè». A dirlo è Jean-Marc Duvoisin (FOTO sopra), amministratore delegato della multinazionale svizzera, parte del gruppo Nestlé e arrivata ormai in 62 Paesi diversi.

La rivoluzione è già compiuta o continuerà?

«Il potenziale resta molto alto. Il consumo di caffè sta crescendo un po’ ovunque. Nei Paesi dove era già un’abitudine – Italia, Svizzera, Francia e così via – ma soprattutto dove c’è meno tradizione, come Regno Unito, Corea del Sud e in generale in Asia. Con poche eccezioni ovunque si sta arrivando a un elevato consumo di caffè. E la forte tendenza è passare da quello macinato e filtrato alle capsule. È qui che ci sono ancora margini di crescita, perché le capsule rappresentano, Paese per Paese, al massimo un 25 per cento del mercato. Resta un 75 per cento da conquistare».

A quali Paesi guardate con più attenzione?

«Soprattutto Stati Uniti e Canada, dove si è messo in moto tutto più tardi e dove ci sono concorrenti con una posizione forte. E poi l’America latina: punteremo molto su nazioni come Messico o Brasile, dove c’è un elevato consumo di caffè. Stesso discorso per Russia ed Europa dell’Est, dove si beve molto caffè ma quello in capsule non è ancora così diffuso».

E l’Italia?

«Per noi è fondamentale per due aspetti: il primo è che è un Paese che ama il caffè e soprattutto il buon caffè. E poi perché gli italiani apprezzano i marchi di qualità. Nespresso ha affrontato l’Italia con una certa – direi – umiltà. Siamo arrivati più tardi che altrove, per il grande rispetto dovuto alla cultura locale. Vendere caffè in Italia era come per un australiano vendere cioccolato agli svizzeri».

Ma poi non è andata male.

«Tutt’altro, l’Italia è tra i Paesi in cui Nespresso ha più successo. E questo fa riflettere su come – in fondo – una cosa sia la tradizione del caffè e un’altra il modo di prenderlo. In Italia l’abitudine del caffè corto e forte esiste da generazioni. Ma le tecniche per farlo, inclusa la moka, non sono così antiche».

Intanto il caffè sta diventando un oggetto gourmet: è questo l’obiettivo?

«Sì, è quello che già è successo con il vino. Le persone amano i sapori. Se sono abituati a un gusto semplice e standard, hanno solo bisogno di tempo per capire e apprezzare la varietà. Poi non tornano più indietro. Dopo aver provato, diventa un’aspettativa: si vuole poter scegliere tra esperienze diverse. Ecco perché stiamo portando Nespresso nei ristoranti, negli stellati Michelin: per dare la possibilità di abbinare a una cena perfetta un caffè perfetto. Da scegliere tra diversi sapori».

La guerra delle capsule è diventata molto serrata: voi su cosa puntate?

«Sulla qualità del caffè, di certo. Ma anche sul valore del marchio, che nasce dall’esperienza che i nostri clienti hanno in una nostra boutique, dal rapporto diretto che abbiamo creato con loro. I nostri clienti sentono di essere i veri proprietari del brand Nespresso, noi siamo solo l’azienda che glielo racconta».

La vostra ricerca a cosa è rivolta?

«Il cuore del nostro lavoro sulla qualità sono i coffee specialists, che viaggiano per tutto il mondo per trovare nuovi aromi e nuove miscele. Al mondo ci sono circa 60 varietà diverse di caffè, ma finora l’uomo ne usava otto. Ci sono 50 specie da trovare e sviluppare, scoprendo poi il modo giusto per miscelarle e tostarle. Per esempio, da ormai tre anni stiamo investendo in Sud Sudan, dove le piante di caffè crescono naturalmente nella foresta. Lì ci sono splendide varietà da scoprire».

I produttori di caffè sono spesso minacciati da povertà e cambiamenti climatici. Questo per voi cosa comporta?

«Ci porta a considerare la sostenibilità un mezzo decisivo per la qualità. Noi compriamo caffè dall’uno o due per cento di quello migliore prodotto nel mondo. Vogliamo essere certi di averlo anche in futuro. Così paghiamo meglio i nostri produttori, chiediamo loro di essere attenti nel consumo di acqua, nel riciclo degli scarti, nel tenere al minimo i pesticidi. In questo modo migliorano anche le loro condizioni, perché riescono a produrre più caffè di ottima qualità. Se da commodity – da semplice merce – il caffè passa ad essere una specialità, qualcosa di maggior valore, si crea anche ricchezza. In Colombia, i cafeteros vivono meglio degli altri contadini e la loro regione è molto ben protetta dai conflitti. Contiamo di ottenere lo stesso risultato anche in Sud Sudan, in prospettiva futura».

Stefano Rizzato

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