mercoledì 10 Aprile 2024
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Un caffè invece di un like: la storia di Irene e dei suoi amici su Facebook

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ROMA – C’è una ragazza con molti capelli e un bellissimo sorriso, si chiama Irene. Irene è di Reggio Calabria, ha trent’anni, vive a Roma da un po’: prova a scrivere per il teatro e la tv, prova a fare l’attrice.

Vive sola, in quella dimensione che tutti i precari fuorisede conoscono: a giorni incantevole e malinconica, altri piena solo di quello che manca.

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Una sera Irene passa in rassegna i suoi amici su Facebook. Sono 800, più o meno. Pensa: non ne conosco, davvero, che una piccola parte.

E sì che ha accettato solo l’amicizia di chi sapeva chi fosse, in qualche forma indiretta. Eppure di gran parte dei contatti, dice “conoscevo solo l’identità e la vita web, non quelle reali.

Cioè: non li avevo mai visti”. Così Irene decide di giocare con loro, “perché la vita social è un gioco, no?”, e li sfida alla prova.

Manda a tutti un messaggio. Ciao, sto facendo un esperimento: vorrei incontrare per un caffè tutti i miei amici su Facebook.

Un’ora, un caffè.

Ne scriverò sulla mia pagina. Puoi anche rispondere di no, se rispondi è già una bella cosa”. Perché, dice Irene, la mia generazione “è abituata ad avere il silenzio al posto del no.

Mandi un curriculum, rispondi a un’offerta di lavoro, chiedi un consiglio e se non ti rispondono allora quello è no. Il nulla è no.

Ma poi neanche noi ci sappiamo rispondere tra di noi, spesso”. Da ottobre scorso Irene ha incontrato settantaquattro amici. Settantaquattro tisane e caffè.

“Ho eliminato da FB quelli che al mio invito non rispondevano o rispondevano male. Poi ho cominciato, al principio con un po’ di timore perché le relazioni virtuali sono qualcosa di ignoto, in fondo.

Ho deciso di andare a vedere negli occhi quel fondo di spavento, di smascherarlo e riportarlo alla realtà”.

E’ stato anche, dice Irene, un modo per capire meglio come sono io: come reagisco di fronte a persone che non mi va tanto di incontrare, le frequento solo attraverso lo schermo, e come di fronte a quelle che conosco di persona invece ma che non ho voglia di reincontrare.

“Conosco loro e imparo di me”. Di ogni incontro pubblica un post con foto (scattata da una terza persona, un testimone) sulla pagina FB “Ah, social”.

“Sì, un po’ come asociale, o come un’esclamazione sarcastica in romanesco. Non voglio fare la morale, ma mi pare chiaro che sui social si diventi asociali. Poi dipende da quanto, certo. Io volevo far questo: partire dal web, andare nel mondo vero e tornare nel web, con il diario della vita reale di persone finora solo virtuali”.

C’è un altro ragazzo che lo fa: Mattew Kulesza, 28 anni, australiano. “Lo so, lo conosco: ho visto che lui gira il mondo. Io non posso, non ho soldi per andare a Milano, a Londra a incontrare i miei contatti.

Magari avviare una raccolta fondi. Non so, finora ho fatto da sola. Ho pensato che aggiungendo Mattew agli amici potremmo essere noi due gli ultimi ad incontrarci. Sarebbe bello”.

Solo una volta l’incontro è stato spiacevole, racconta Irene.

Non ci siamo capiti, non ci siamo forse piaciuti. Una volta su settantaquattro: “In fondo molto meno che nella realtà, ammesso che nella realtà ci sia chi ha settantaquattro amici in carne ed ossa e un’ora di tempo da spendere con ciascuno di loro” ride. Buona domanda, per tutti.

Concita De Gregorio

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