MILANO – Unite da una visione comune che valorizza la perfezione, l’artigianalità e la cultura della performance, Faema – brand storico di Cimbali Group – e bimota annunciano una partnership esclusiva in occasione della tappa di Cremona del WorldSBK, in programma dal 2 al 4 maggio 2025, per poi proseguire per tutto il campionato.
Da sempre pioniere nel mondo del caffè e delle motociclette, continuano a portare innovazione e stile senza compromessi.
Faema in partnership con bimota
Cimbali Group, tra i principali player a livello globale nel mondo delle macchine per caffè professionali, ha dato vita a un’iniziativa pensata per esaltare l’unicità di questa collaborazione: una doppia edizione limitata della macchina per caffè Faemina, interamente dedicata ai due piloti del team BbKRT.
Firmata da ItalDesign – da sempre sinonimo di Made in Italy – Faemina è la macchina per caffè espresso ideale sia per l’ambiente domestico che per gli small business. Un vero oggetto di design, che combina sapientemente innovazione ed estetica, elegante nello stile e minimal nelle sue linee e forme geometriche.
Il progetto con bimota ha previsto la creazione di due versioni custom di Faemina, disegnate da Manuela Bucci Design e prodotte in tiratura numerata:
47 esemplari con carrozzeria nera dedicati ad Axel Bassani – in omaggio al suo numero di gara e al suo stile deciso
22 esemplari con carrozzeria bianca ispirati ad Alex Lowes, espressione di equilibrio e dinamismo.
Ogni macchina, porta la firma dei piloti ed è pensata per diventare un oggetto da collezione per veri appassionati.
“Per il team bimota, il nostro carburante quotidiano è il caffè, e prepararlo bene è un gesto tecnico e culturale che richiede precisione, stile e attenzione. Collaborando con Faema, abbiamo subito riconosciuto la stessa ossessione per il dettaglio e la pulizia del design che mettiamo in ogni moto. È un progetto nato dall’incontro naturale di due realtà che parlano la stessa lingua: quella dell’eccellenza autentica”, racconta Pierluigi Marconi, Chief Operating Officer di bimota.
Ma la collaborazione non si esaurisce con la produzione della serie limitata. In ogni tappa del Campionato WorldSBK, infatti, nell’area hospitality del team BbKRT saranno presenti tre macchine Faema – una E71e e due Faemina – per offrire un’esperienza di caffè professionale all’interno del paddock, trasformando così ogni gara in un momento di condivisione e cultura italiana.
Come spiega Biel Roda, Marketing Manager del team BbKRT: “Quando abbiamo iniziato il progetto con bimota, Paolo Marchetti, uno dei nostri ingegneri di pista, mi ha detto: ‘Biel, ora saremo un costruttore italiano; quindi, abbiamo assolutamente bisogno del miglior caffè del paddock’. Faema è stata la scelta più naturale. Quando abbiamo proposto questa idea a Cimbali Group, abbiamo trovato una risposta entusiasta. Da lì è nato tutto”.
Anche i piloti sono stati tra i primi a sperimentare questa nuova presenza nel paddock, con riscontri immediati. “Abbiamo iniziato a usare le macchine da caffè Faema ad Assen, e all’improvviso abbiamo visto molte persone di altri team e membri del paddock venire nella nostra hospitality per un espresso. È stato bello vedere quanto questa presenza abbia fatto la differenza. Adoro questa partnership: le macchine in edizione limitata sono vere opere d’arte! Peccato che solo pochi fortunati potranno possederne una”, commenta Axel Bassani, pilota del team BbKRT.
A sottolineare il significato profondo della collaborazione è Jacopo Bambini, Group Marketing Director di Cimbali Group: “Faema e bimota si incontrano nel concetto di eccellenza progettuale e manifatturiera, nella cura per i dettagli, ma soprattutto nella volontà di non omologarsi. Entrambe sono icone per chi cerca un’esperienza autentica e potente, che sia in sella a una moto o dietro al banco di un caffè, l’obiettivo è sempre lo stesso: offrire emozioni vere, che lasciano il segno”.
Faemina x Bimota (immagine concessa)
La Faemina in edizione limitata rappresenta anche un’opportunità strategica per proseguire la collaborazione veicolando i valori condivisi attraverso la presenza di Faemina presso le concessionarie bimota e per i tanti coffee lover appassionati del marchio. “Questa macchina è pensata per offrire una coffee experience di alto livello in diversi contesti: dal paddock, dove accoglierà i clienti bimota durante tutto il campionato WorldSBK, fino agli spazi domestici dei veri fan del marchio e coffee lovers che desiderano vivere l’esperienza Faemina anche a casa. Proprio come l’essenza del campionato WSBK che lega i modelli da gara a quelli di produzione, Faemina garantisce infatti le prestazioni professionali dei migliori bar anche in un contesto domestico”, afferma Andrea Clerici, Group Business Director di Cimbali Group.
Le macchine saranno disponibili in esclusiva su WorldSBKstore.com e ordinabili anche presso le concessionarie bimota. Il debutto ufficiale della partnership sarà celebrato con un momento speciale: il “Paddock Coffee Break”, in programma venerdì 2 maggio alle 12:30, durante il quale all’adrenalina delle gare si unirà l’aroma del caffè appena estratto. A Cremona, il gusto e la passione parleranno italiano.
Due brand leggendari, un progetto unico: Faema e bimota dimostrano che, quando il saper fare italiano si unisce, nascono esperienze che corrono veloci e lasciano il segno.
La scheda sintetica di Faema Art Machine
Il brand Faema, nato nel 1945 a Milano, fa parte di Cimbali Group, tra i principali produttori di macchine per caffè espresso professionali. Design iconico, innovazione tecnologica, impegno per la sostenibilità e passione per la cultura del caffè: sono questi i pilastri che guidano ogni creazione del brand Faema, che propone un’offerta diversificata di soluzioni per caffetterie, ristorazione, hotellerie, workplaces e per l’ambiente domestico.
Faema ha fatto la storia, proponendo negli anni 50’ le macchine a leva e, negli anni ’60 con la macchina Faema E61, la prima ad utilizzare una pompa volumetrica. Grazie al talento di uno dei più iconici designer italiani, Giorgetto Giugiaro, e a Italdesign, sono state prodotte Faema E91, Faema Emblema, la gamma Faema E71 e la Faema President.
Nel 2021 il brand dà vita all’esclusiva Faemina, una macchina dal design minimal ed elegante con cui l’azienda fa ritorno nel segmento Home rivolgendosi anche ad un target consumer e small business.
TREVISO – L’Assemblea degli azionisti, riunitasi il 30 aprile, in sessione ordinaria ha approvato il bilancio dell’esercizio 2024, come da proposta del Consiglio di amministrazione approvata il 14 marzo 2025. È così stato ribadito che nei dodici mesi il Gruppo De’Longhi ha conseguito: ricavi a € 3.497,6 milioni, in aumento del 13,7% (+6,6% a perimetro costante) (ne abbiamo parlato qui).
• adjusted ebitda a € 559,8 milioni, pari al 16,0% dei ricavi (rispetto al 14,4% del 2023);
• utile netto (di competenza del Gruppo) a € 310,7 milioni, in crescita del 24,1%;
• flusso di cassa prima dei dividendi e delle acquisizioni per € 416,1 milioni;
• posizione finanziaria netta a fine 2024 positiva per € 643,2 milioni, sostanzialmente in linea con quella registrata nel 2023.
Il rinnovo del consiglio di amministrazione
L’Assemblea degli azionisti ha anche rinnovato il consiglio di amministrazione e il Collegio Sindacale per il triennio 2025-2027. Entrambi gli organi nominati resteranno in carica sino alla data dell’assemblea che sarà chiamata ad approvare il bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2027.
Fabio de’ Longhi amministratore delegato del Gruppo De’ Longhi
Il dottor Fabio de’ Longhi è stato nominato dall’Assemblea presidente del Consiglio di amministrazione e confermato amministratore delegato.
Il nuovo Consiglio di amministrazione è composto da 12 (dodici) membri di cui 5 (cinque) donne e 7 (sette) uomini, nel rispetto dell’equilibrio tra i generi prescritto dalla normativa vigente e dallo statuto sociale di De’ Longhi S.p.A.
Ora i componenti del consiglio di amministrazione sono:
Fabio de’ Longhi
Micaela Le Divelec Lemmi
Silvia de’ Longhi
Christophe Olivier Cornu
Carlo Garavaglia
Cristina Finocchi Mahne
Carlo Grossi
Nicola Serafin
Stefania Petruccioli
Massimiliano Benedetti
Luisa Maria Virginia Collina
Ferruccio Borsani
Il presidente uscente Giuseppe de’ Longhi, padre di Fabio de’ Longhi
Di questi, gli amministratori Micaela Le Divelec Lemmi, Christophe Olivier Cornu, Cristina Finocchi Mahne, Carlo Grossi, Massimiliano Benedetti e Ferruccio Borsani hanno dichiarato di essere in possesso dei requisiti di indipendenza di cui al combinato disposto degli articoli 147-ter co. 4° e 148, co. 3° del D. Lgs. n. 58/1998 (il “TUF”) e all’art. 2, Raccomandazione n. 7 del Codice di Corporate Governance, mentre la consigliera Luisa Maria Virginia Collina ha dichiarato il possesso dei soli requisiti di indipendenza previsti dalle succitate norme del TUF.
Fabio de’ Longhi nominato dall’Assemblea presidente del Consiglio di amministrazione.
Tutti i candidati, ad eccezione di Ferruccio Borsani, sono stati tratti dalla lista presentata dall’azionista di maggioranza De Longhi Industrial S.A. (titolare, anche alla data di presentazione della lista, di una partecipazione pari al 53,511% del capitale sociale di De’ Longhi S.p.A. e al 69,408% dei diritti di voto complessivi) che ha conseguito voti favorevole pari al 78,82% dei voti presenti o rappresentati.
Il Consigliere Ferruccio Borsani è stato tratto dalla lista c.d. di minoranza presentata da un gruppo di società di gestione del risparmio e di intermediari finanziari (titolari congiuntamente, alla data di presentazione della lista, di una partecipazione pari al 6,7384% del capitale sociale di De’ Longhi S.p.A.), che ha conseguito voti favorevole pari al 21,13% dei voti presenti o rappresentati.
L’Assemblea ha inoltre deliberato di fissare il compenso annuo spettante a ciascun membro del Consiglio di amministrazione in Euro 55.000 ciascuno e di dare mandato al Consiglio di Amministrazione per la definizione di eventuali maggiori compensi spettanti agli amministratori investiti di particolari cariche in conformità all’atto costitutivo, ai sensi dell’art. 2389, comma 3° del Codice Civile.
* In questa colonna è indicato se la lista da cui è stato tratto ciascun amministratore è “di maggioranza” (indicando “M”), oppure “di minoranza” (indicando “m”) (dati concessi)
Il nuovo Collegio Sindacale – che rispetta l’equilibrio tra i generi prescritto dalla normativa vigente e dallo statuto sociale di De’ Longhi S.p.A. – è composto da:
Cecilia Andreoli (Presidente)
Marcello Francesco Priori (Sindaco effettivo)
Alessandra Dalmonte (Sindaco effettivo)
Daniela Travella (Sindaco supplente)
Gianluca Bolelli (Sindaco supplente)
Il presidente del nuovo Collegio Sindacale, Cecilia Andreoli e il sindaco supplente Daniela Travella sono stati tratti dalla lista c.d. di minoranza presentata da un gruppo di società di gestione del risparmio e di intermediari finanziari (titolari alla data di presentazione della lista, di una partecipazione complessiva pari al 6,7384% del capitale sottoscritto e versato di De’ Longhi S.p.A.) che ha conseguito voti favorevole pari al 21,07% dei voti presenti o rappresentati, mentre gli altri componenti sono stati tratti dalla lista presentata dall’azionista di maggioranza De Longhi Industrial S.A. (titolare, anche alla data di presentazione della lista di una partecipazione pari al 53,511% del capitale sociale di De’ Longhi S.p.A. e al 69,408% dei diritti di voto complessivi) che ha conseguito voti favorevole pari al 78,82% dei voti presenti o rappresentati.
L’Assemblea degli Azionisti ha altresì deliberato di stabilire in Euro 77.000 il compenso annuo da attribuire al Presidente del Collegio Sindacale ed in Euro 53.000 il compenso annuo da attribuire a ciascun Sindaco Effettivo.
I curricula vitae dei membri del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale (con l’indicazione, riguardo a questi ultimi, degli incarichi di amministrazione e di controllo ricoperti presso altre società aggiornati alla data odierna) sono disponibili sul sito internet della Società all’indirizzo www.delonghigroup.com (sezione “Governance” – “Organi Sociali” – “Assemblea Aprile 2025”).
Ai sensi dell’art. IA.2.6.7 delle Istruzioni al Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A., si rende noto che, sulla base delle informazioni rese disponibili alla Società, tra i membri del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale nominati risultano possessori di azioni De’ Longhi gli amministratori Fabio de’ Longhi (per n. 321.855 azioni di cui n. 100.000 possedute dal coniuge), Nicola Serafin (per n. 56.011 azioni) e Carlo Grossi (per n. 4.330 azioni di cui n. 800 possedute dal coniuge).
Il Consiglio di Amministrazione di De’ Longhi, riunitosi subito dopo l’Assemblea sotto la presidenza di Fabio de’ Longhi ha, tra l’altro:
confermato Fabio de’ Longhi quale amministratore delegato, nonché Chief Executive Officer ai sensi del Codice di Corporate Governance;
nominata Silvia de’ Longhi quale vice- presidente;
verificato la sussistenza dei requisiti di indipendenza in capo ai propri componenti ai sensi del combinato disposto degli articoli 147-ter 4° e 148, co. 3° del TUF, nonché ai sensi dell’art. 2, Raccomandazione 7 del Codice di Corporate Governance al quale la Società aderisce, tenendo conto, per questi ultimi, dei criteri di significatività relativi alle circostanze di cui alle lettere c) e d) della Raccomandazione n. 7 del Codice medesimo, adottati dal Consiglio di Amministrazione, così come esposti nella relazione illustrativa degli amministratori sulle materie all’ordine del giorno dell’odierna Assemblea, disponibile sul sito internet della Società all’indirizzo www.delonghigroup.com (sezione “Governance” – “Organi Sociali” –“Assemblea Aprile 2025”), nonché sul meccanismo di stoccaggio autorizzato 1Info (www.1info.it). Il Consiglio ha inoltre verificato anche l’esecutività dei propri componenti ai sensi del Codice di Corporate Governance. Gli esiti di entrambe le suddette verifiche effettuate dal Consiglio di Amministrazione sono sintetizzati nella tabella riportata in calce; costituito i seguenti Comitati interni al Consiglio:
Comitato Remunerazioni e Nomine nominando quali membri gli amministratori Carlo Grossi (Presidente – membro indipendente), Ferruccio Borsani (membro indipendente) e Carlo Garavaglia (membro non esecutivo);
Comitato Controllo e Rischi, Corporate Governance e Sostenibilità nominando quali membri gli amministratori Micaela Le Divelec Lemmi (Presidente – membro indipendente), Cristina Finocchi Mahne (membro indipendente) e Stefania Petruccioli (membro non esecutivo);
Comitato Indipendenti nominando quali membri gli amministratori indipendenti Ferruccio Borsani (Presidente), Micaela Le Divelec Lemmi e Carlo Grossi;
nominato, ai sensi del Codice di Corporate Governance, l’amministratore indipendente, Ferruccio Borsani, Lead Independent Director.
Vincenzo Pagliero, ceo di P&C spa (immagine concessa)
SETTIMO TORINESE (Torino) – È stato siglato il 29 aprile 2025, l’atto di acquisizione da parte P&C spa, proprietaria del marchio Tuttocapsule, della totalità delle quote di Mondocaffè srl di Albenga (Savona). La società ligure, proprietaria dell’omonimo brand, è presente in modo omogeneo in tutta la regione con 20 punti vendita, di proprietà e in franchising.
La catena Mondocaffè va ad aggiungersi ai 282 Tuttocapsule già esistenti in Italia e all’estero, consolidando quindi la capillarità dell’azienda di Settimo Torinese e rafforzandone la presenza soprattutto in Liguria.
Mondocaffè nasce nel 2007 grazie all’idea e al lavoro di Roberto Giammusso, prematuramente scomparso lo scorso anno. Giammusso, forte di una trentennale esperienza come agente di commercio in Saeco S.p.a, ebbe la felice intuizione di effettuare l’apertura del primo negozio di capsule multimarca in Italia.
Ha condotto questa innovativa impresa, affiancato dal figlio Gabriele, con costanza e grande professionalità, allargando l’opportunità anche al mondo del franchising focalizzando il suo sviluppo su tutto il territorio ligure.
Grazie a questa acquisizione Tuttocapsule si consolida quindi sempre più come la prima catena retail in Italia dedicata al mondo del caffè. Fondata nel 2013 da Vincenzo Pagliero, vanta oggi una rete importante composta da 282 punti vendita: 234 in Italia – di cui 37 diretti e 197 in franchising – e 48 in franchising all’estero in 18 Paesi. Con l’acquisizione della catena Mondo Caffè supera quindi i 300 punti vendita, un risultato raggiunto in poco più di 10 anni a conferma della grande professionalità e dell’ottimo servizio fornito a clienti e consumatori finali.
“L’acquisizione di Mondocaffè rappresenta per noi un passo importante teso a rafforzare la nostra presenza in Liguria – ha commentato il ceo di P&C spa, Vincenzo Pagliero – abbiamo sempre dedicato una forte attenzione a questo territorio cercando di costruire un solido rapporto di fiducia con il consumatore. L’ottimo lavoro svolto dal fondatore Roberto Giammusso e dal figlio Gabriele, ci porta a voler continuare ad investire sul marchio Mondocaffè”
Quella di Tuttocapsule è una storia fatta di persone, esperienza, impegno e professionalità. Il brand indica oramai un luogo dove ogni palato può trovare il suo caffè: nei punti vendita sono infatti proposte centinaia di miscele provenienti da ogni parte del mondo, sapientemente lavorate dai migliori torrefattori italiani.
Nei negozi Tuttocapsule si ha il piacere di scegliere che aroma dare alla propria pausa caffè, con la grande possibilità di approcciare a nuove esperienze gustative.
Dietro Nuo Capital, la holding che ha comprato Bialetti (ne abbiamo parlato qui), c’è l’imprenditore Stephen Cheng, magnate 46enne di Hong Kong, figlio dell’illustratrice Doreen Pao Pui-wai e del medico Edgar Cheng Wai-kin e nipote di Yue-Kong Pao. Tra il portfolio della holding figurano Venchi (il 3,5% è detenuto in collaborazione con Jakyval, holding degli eredi di Émile-Maurice Hermès, il fondatore della prima bottega Hermés), Proraso, Tannico, Bending Spoons, Slowear e Scarpa – e ha legami con Borsa Spa.
Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Alessandro Zoppo per il portale d’informazione Borsa e Finanza.
Il team dietro il fondo Nuo Capital
MILANO – Nata nel 2016 all’interno di World-Wide Investment Company Limited (WWICL), uno dei più antichi family office asiatici che fa riferimento alla famiglia dell’imprenditore Yue-Kong Pao, il fondatore della compagnia di spedizioni marittime Worldwide Shipping Group di Hong Kong, Nuo Capital è la holding di investimento della famiglia Pao Cheng, gli eredi di Sir Y.K. Pao.
Da non confondere con Nuo Spa, il fondo controllato al 50% da Exor della famiglia Agnelli-Elkann che ha il suo quartier generale a Milano, Nuo Capital è sostenuta da capitali familiari ed “è specializzata nel supporto e nell’accelerazione dell’espansione internazionale di medie imprese italiane, con uno sguardo rivolto a transizioni generazionali e sostenibilità”, sottolinea la società.
Acronimo di New Understanding Opportunities, Nuo punta su brand italiani eccellenti dall’alto potenziale di crescita (in particolare nei settori moda e alimentare) per aiutarli a vincere sui mercati globali.
È per questo motivo che Nuo Capital non è nuovo a investimenti in Italia – nel suo portfolio figurano Venchi (il 3,5% è detenuto in collaborazione con Jakyval, holding degli eredi di Émile-Maurice Hermès, il fondatore della prima bottega Hermés), Proraso, Tannico, Bending Spoons, Slowear e Scarpa – e ha legami con Borsa Spa.
Nel 2017 il fondo ha rilevato (insieme a Cassa Depositi e Prestiti) il 10% del network Elite, il programma lanciato da Borsa Italiana nel 2012 e oggi parte di Euronext Group che raccoglie le piccole e medie imprese non quotate aiutandole a crescere sotto il profilo industriale e finanziario e ad accedere ai mercati dei capitali privati e pubblici.
Dietro Nuo Capital c’è l’imprenditore Stephen Cheng, magnate 46enne di Hong Kong, figlio dell’illustratrice Doreen Pao Pui-wai e del medico Edgar Cheng Wai-kin e soprattutto nipote di Yue-Kong Pao.
Cresciuto a New York, laureato in Studi visivi e ambientali all’Università di Harvard, appassionato di arte contemporanea (ha creato la Empty Gallery a Hong Kong ed è nel board di Artists Space a New York) e direttore della non-profit The Ink Society che promuove nel mondo l’antica pittura a inchiostro e acqua cinese, Cheng è presidente e co-fondatore della investment firm.
Per leggere la notizia completa basta cliccare qui.
Andrea Illy, presidente illycaffè (immagine concessa)
Il consiglio di amministrazione di illycaffè ha confermato otto degli undici componenti tra cui Andrea Illy come presidente, Cristina Scocchia, che rimane l’amministratrice delegata, e Raffaele Jerusalmi, nominato vicepresidente. Andrea Illy spiega nel dettaglio la strategia di crescita dell’azienda. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Emily Capozucca per il Corriere della Sera.
Il piano di investimento di illycaffè
TRIESTE – Si rinnova il consiglio di amministrazione di illycaffè, che conferma otto degli 11 componenti, tra cui Andrea Illy nel ruolo di presidente, Cristina Scocchia come amministratrice delegata e Raffaele Jerusalmi, nominato vicepresidente.
La novità riguarda l’ingresso di tre nuovi consiglieri: Michaela Tod, Marco Bizzarri e Gianmario Tondato Da Ruos, che rispondono a “una strategia ben definita di accelerazione — ha spiegato Andrea Illy al Corriere della Sera —. Abbiamo un grandissimo potenziale di crescita, e puntiamo al raddoppio del business nel medio termine, ovvero entro i prossimi 3-5 anni”.
Una prospettiva tutt’altro che scontata, in un settore sotto pressione: “Il prezzo del caffè ha superato i 4 dollari per libbra, un livello mai visto prima. Le cause sono climatiche — siccità in Brasile e Vietnam, i due principali produttori mondiali — ma c’è anche una forte speculazione”.
La crisi non è solo economica: “Siamo entrati in una fase di disordine geopolitico, è finito l’ordine mondiale della globalizzazione e ancora non è chiaro cosa lo sostituirà — ha aggiunto il presidente sempre al Corriere della Sera —. Siamo presenti in oltre 140 paesi. La nostra strategia resta coerente nel lungo termine, ma dobbiamo continuamente riallinearla”.
La strategia
Due i principali assi strategici individuati: da un lato, “aumentare il valore aggiunto, per affrontare meglio la volatilità delle materie prime, puntando su prodotti a più alto contenuto di servizio, sull’integrazione tra macchina e caffè, sull’e-commerce e su un rapporto diretto col consumatore”.
Dall’altro, “una revisione del nostro posizionamento geografico: continueremo a investire negli Stati Uniti, dove siamo presenti dalla fine degli anni 70, ma con un approccio più istituzionale, cercando partnership di lungo periodo. E in Europa dove crediamo ci siano margini per rafforzare la competitività, investiremo con fiducia”.
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L’azienda di Gradisca d’Isonzo ha fatto della macchina a leva il suo carattere distintivo. Sono trascorsi 105 anni dai primi modelli, che recano ancora l’incisione originale Fratelli Romanut Udine. Ora La San Marco arriva anche al Café Vuitton di Milano con la nuovissima macchina con sistema di estrazione brevettato Leva class: la E.luxury. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Giorgia Pacino per il portale NordEst.
La E.luxury di La San Marco presente al Cafè Vuitton di Milano
GRADISCA D’ISONZO (Gorizia) – Scocca in vetro temperato, tecnologia led multicolore e la garanzia del sistema di estrazione brevettato Leva class per offrire il meglio del caffè. Farà bella mostra di sé nel nuovissimo Da Vittorio Café Louis Vuitton di palazzo Taverna, a Milano, la E.luxury, l’ultimo modello di macchina professionale per il caffè espresso firmato La San Marco.
L’azienda di Gradisca di Isonzo in Friuli-Venezia Giulia ha fatto della macchina a leva il suo carattere distintivo.
Sono trascorsi 105 anni dai primi modelli, che recano ancora l’incisione originale Fratelli Romanut Udine, dove l’impresa è nata nel 1920, a quest’ultima versione, elettronica e dal design raffinato, ora scelta da Lavazza per impreziosire l’esclusivo locale milanese nato dalla collaborazione tra il ristorante stellato Da Vittorio e il colosso francese del lusso.
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I vincitori Paolo Capitani, Carmela Maresca e Giulio Maisto (immagine concessa)
SENIGALLIA (Ancona) – Si è conclusa la seconda fase di selezione di “The Latte Art Grading Battle“, ospitata in una cornice spettacolare: la Rotonda a Mare di Senigallia (Ancona), il 29 aprile. L’evento ha visto la partecipazione di numerosi latte artist provenienti da ogni angolo d’Italia. La competizione è stata coordinata da Luca Ramoni, con il prezioso supporto del team di Caffè Saccaria. Quattro giudici certificati – Andrea Villa, Diletta Sisti, Iuri Grandini e Angelo Dossi – hanno assegnato i riconoscimenti ai vincitori delle categorie di livello verde, rosso e nero.
Il podio Lags Battle è stato così definito:
Vincitore livello nero: Carmela Maresca
Vincitore livello rosso: Giulio Maisto
Vincitore livello verde: Paolo Capitani
Sono stati presenti numerosi partner dell’evento, tra cui Rancilio, Hemro, Recappuccio, pulyCAFF, Metallurgica Motta, Clean Express, Brita, Toschi ,IPA e Ferri dal 1905, che hanno offerto premi e cadeau.
Terza tappa di selezione 21 maggio a Chieri (Torino)
Data di apertura/chiusura delle iscrizioni:
Apertura 05 maggio 2025 h 15.00 – chiusura 12 maggio 2025.
Partecipazione: accessibile ai livelli verdi, rossi e neri.
La quota di partecipazione è di 45€.
Numero limitato di iscrizioni: Ogni tappa ha un numero limitato di posti disponibili. Il Latte Art Grading System si riserva quindi di definire il numero dei partecipanti in base al numero di adesioni: se il numero fosse eccessivo si verrà spostati alla tappa successiva a cui il competitor desidera partecipare.
Link di registrazione: l’apposito link per l’iscrizione sarà attivo nelle date ed orari sopra indicati. Si ricorda a tutti che bisogna accedere una volta scattata l’ora indicata e che non è possibile mettersi in coda in anticipo. Per informazioni basta contattare la mail system@latteartgrading.com o il numero 0309636365.
Erika Koss in ZukaCoffee, SouthAfrica (foto concessa)
MILANO – Nata e cresciuta a Los Angeles, la dottoressa Erika Koss è scrittrice, educatrice e ricercatrice con una particolare attenzione alla sostenibilità e alla parità di genere nelle filiere come quelle del caffè, tè e cacao.
Vive a Nairobi, in Kenya, dove ha fondato la sua attività di formazione e ricerca, A World in Your Cup Consulting. Erika Koss è inoltre formatrice autorizzata SCA per lo specialty in competenze sensoriali e sostenibilità. Giudice barista e co-creatrice del curriculum SCA sulla sostenibilità, Koss ha insegnato letteratura, scrittura e politica in diverse università del Nord America.
Il suo dottorato esamina i divari di genere nell’industria del caffè con un’analisi storica e casi studio del Kenya. Nel 2024 ha lanciato il corso Gender in Coffee, incentrato sulle discriminazioni storiche e le sfide attuali delle donne nel settore del caffè.
Koss collabora regolarmente a diverse pubblicazioni sul caffè e con aziende come Urnex, oltre a essere spesso coinvolta nel ruolo di relatrice. Attualmente, sta lavorando al suo primo libro di saggistica creativa.
Dottoressa Koss, iniziamo con il concetto da lei ideato di “Gendered coffee paradox”: in che cosa consiste e dove si trova il caffè?
“È un’espressione che ho formulato durante i miei studi di dottorato, con l’obiettivo di trovare una maniera per rendere più conciso un concetto complesso: mi sono chiesta quale fosse il problema e come comunicarlo nel modo più diretto possibile. L’attenzione su questo argomento è stata ispirata dalla lettura di un libro intitolato proprio “The Coffee paradox”, scritto da due scienziati sociali e pubblicato nel 2005.
Tutto è iniziato quando stavo lavorando alla mia seconda laurea magistrale in Scienze politiche: è stato allora che ho dovuto consultare molti testi relativi alle supply chain nel mondo, dal punto di vista antropologico, sociologico ed economico.
Dopo aver letto molti, moltissimi libri sul caffè, è risultato chiaro che mancava una parte fondamentale. Dove erano le storie delle donne?
Com’è possibile che nonostante i tanti testi sulla materia prima, su un settore in cui le donne hanno indubbiamente un ruolo fondamentale, nessuno pubblicasse le loro storie?
Ne “The Coffee Paradox”, ci si concentrava sull’analisi dei mercati globali e sulle catene di approvvigionamento del caffè, dove è evidente lo squilibrio tra le zone di produzione e quelle di consumo, tra il Nord e il Sud del pianeta.
Tutto questo è chiaro e vero, ma gli autori non hanno discusso un’altra grande lacuna: la mancanza di studi approfonditi dedicati alle donne che lavorano lungo tutta la catena globale di valore del caffè.”
Koss: “Una filiera che contiene al suo interno un enorme divario di genere.”
“Un giorno, lavorando alla mia tesi di dottorato, mi sono detta: questo potrebbe essere chiamato “the gendered coffee paradox”. C’è una citazione a cui ho fatto riferimento a questo punto del mio viaggio: “Se c’è un libro che vorresti leggere, ma non è ancora stato scritto, allora devi scriverlo”. – da un discorso di Toni Morrison del 1981, pronunciato all’Ohio Arts Council (negli Stati Uniti).
Quindi, di fronte all’evidenza che ci sono così tante donne nel settore – lo sappiamo tutti, ne siamo consapevoli – e che, nonostante questo, si ponga poca attenzione su queste protagoniste, ho voluto svolgere io una ricerca apposita, dare un contributo diverso.”
Koss: “Il paradosso dell’invisibilità”
“Mi sono chiesta: perché le donne svolgono la maggior parte del lavoro nelle piantagioni e tuttavia gli uomini – soprattutto in Africa dove sono loro a detenere i titoli di proprietà della terra – continuano a ricevere il denaro, il credito e il potere?
E non si tratta solo della produzione. Questo paradosso di genere si presenta anche su scala globale: ho conosciuto e ascoltato diversi studenti ciascuno con la propria storia e che ricoprivano molti ruoli lungo la filiera. Ho notato che, anche quando le donne si trovano in posizioni di comando, non è stato così scontato che sentissero davvero di avere una voce.”
“Insomma, anche quando le donne raggiungono i vertici, si sentono davvero autorizzate a farsi avanti e a difendere le altre donne?”
Erika Koss con in mano le ciliegie (foto concessa)
“La risposta è spesso, purtroppo, no. Ho cercato di racchiudere tutto questo nel singolo assioma del “Gendered coffee paradox” per cercare di riassumere il Gender Gap del caffè: un intero sistema che produce e si basa su questa ingiusta dinamica tra uomini e donne”.
Secondo la sua esperienza, la condizione delle donne è la stessa in tutti i paesi in via di sviluppo? E rispetto alle donne dei Paesi consumatori?
Koss: “In effetti, per rispondere a questa domanda in modo completo e approfondito è necessaria un’ulteriore riflessione. Il mio Master è stato incentrato sulla realtà del Ruanda, mentre il mio dottorato sul Kenya.
Certo poi ho viaggiato in tutto il mondo e posso quindi affermare, anche come insegnante con diversi anni di esperienza in corsi online di supply chain e sostenibilità, di essere entrata in contatto con più studentesse di tutto il mondo e di diverse professioni: purtroppo, ogni volta, ho raccolto diverse testimonianze di abusi di potere e molestie sessuali sul posto di lavoro e non solo.
Molte di noi donne, me compresa, hanno vissuto questi episodi in più modi, non solo nell’industria del caffè. Ci sono casi di violenza, discriminazione e non solo sessuale,
che sminuiscono il nostro valore di esseri umani. Spesso per le donne è ancora più difficile denunciare e parlare di questi meccanismi perché viene quasi percepito come qualcosa di acquisito come nella norma.
Non molti ne parlano perché fa paura, ma succede quotidianamente. Spesso non condividiamo la nostra esperienza perché temiamo che, se lo facessimo, perderemmo il lavoro o la possibilità di averlo – e dall’altra, abbiamo bisogno di soldi per noi stesse o per i nostri figli -.
Koss: “Ecco perché ho voluto concentrarmi sulle donne”
“Esistono questi paradossi lungo tutta la catena, dalle origini ai Paesi consumatori. È qualcosa che le donne vivono in modo diverso dagli uomini, ed è molto presente nell’industria del caffè.
Spesso, soprattutto in Kenya, dove vivo, o altrove durante i miei viaggi, sono l’unica donna a un tavolo di cupping. Perché succede? Spesso, in Kenya, la maggior parte degli acquirenti e torrefattori che arrivano in visita, sono uomini.
Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, ho appreso alcuni dati significativi da una professionista italiana del caffè: in Italia ci sono in tutto 80 AST, i formatori di SCA, e di questi solo otto sono donne. Già questo la dice lunga.
Quindi, in definitiva, rispetto alla domanda, ecco cosa posso dire: ho osservato, sulla base della mia esperienza a contatto con tanti professionisti e studenti del caffè in tutto il mondo, che il “gendered coffee paradox” esiste e contiene al suo interno vari fattori che si esprimono in modo diversi a seconda del Paese in cui viene analizzato.
È importante aggiungere che bisogna guardare sempre al contesto. Spero che più donne diano voce e condividano le loro esperienze di vita, nel caffè e non solo.
Ad esempio, quando vivevo in Canada, ho visto che il paradosso di genere funziona in modo diverso rispetto al Kenya, eppure è certamente presente in entrambi i casi”.
Ci sono dati che ci parlano delle attuali condizioni lavorative e sociali delle donne nel caffè?
“Quando si parla di donne e caffè, ci sono pochissimi dati precisi. Questa è stata una grande motivazione che mi ha spinto a proseguire il dottorato. Volevo provare a dare un contributo al mio campo di ricerca: sviluppo internazionale e scienze politiche.
Non volevo però solo lamentarmi della mancanza di informazioni e dati: volevo verificare se questa mia prima impressione fosse effettivamente giusta. Infine, attraverso più di 160 interviste, uomini e donne dell’Africa orientale hanno confermato l’esistenza di questo squilibrio.
Dobbiamo lavorare insieme per rendere i nostri sistemi più equi.
Ricordate: il genere non riguarda solo le donne: si tratta di rendere il mondo migliore per i nostri figli, di qualsiasi genere siano, senza paura”.
Ci parli del caso di studio che ha esaminato, sullo stato del Kenya?
“Per riassumere, ho deciso di concentrarmi sul punto di vista degli agricoltori, proprio dove esiste la sfida più grande e sui quali vengono pubblicate meno storie.
In Kenya, le donne sono molto presenti in tutte le aziende agricole, dalla raccolta e dalla selezione, alla lavorazione. Le stesse contadine mi hanno esortato a condividere e pubblicare le loro storie. Qui, sono sempre loro, nelle zone rurali, a portare le ciliegie di caffè sulla testa e sulle spalle, anche per decine di chilometri su e giù per le colline.
Troppo spesso le stazioni di lavaggio sono lontane dalle loro fattorie o dai campi, tuttavia questo compito di portare le drupe per un viaggio molto lungo e accidentato spetta alle donne, secondo l’abitudine culturale. Questo vale anche anche per il trasporto dell’acqua, anch’essa molto pesante e difficile da portare per lunghe distanze.
Ho anche osservato forti connessioni tra il gendered coffee paradox e gli effetti del colonialismo. Sebbene il Kenya abbia lottato per la sua indipendenza e l’abbia ottenuta nel 1963, ancora oggi ci sono dinamiche e procedure che resistono: per esempio, il commercio e il trasporto del caffè all’interno e all’esterno del Paese, perpetuano la struttura imposta dagli inglesi in passato.
Un caso esemplificativo: prima dell’arrivo degli inglesi, la proprietà della terra era comunitaria, non basata su quella individuale della terra.
I britannici hanno imposto il concetto di un “titolo di proprietà” per possedere la terra. Dopo l’indipendenza, questo protocollo fondiario è rimasto in atto. Certo, con la nuova Costituzione del 2010, le donne in Kenya sono legalmente autorizzate a possedere la terra, ma queste dinamiche radicate nel tessuto socio-culturale, possono di fatto escluderle da questa opzione.
Questo aspetto è importante, perché se le donne non hanno accesso al titolo di proprietà, potrebbero non diventare mai finanziariamente indipendenti, né tanto meno in grado di accedere a un conto bancario o di ottenere un pagamento per il loro caffè.
In alcuni casi, quindi il denaro non entra nelle tasche delle donne, nonostante siano loro a svolgere il duro lavoro fisico nei campi.
Tuttavia, il quadro non è del tutto desolante, perché in Kenya e non solo, ci sono molti esempi eccellenti di donne leader. Molte di loro, che ho avuto il piacere di conoscere, alcune anche coinvolte nella mia tesi di laurea, stanno lavorando con tanta diligenza per cambiare le cose nel loro ambito.
Il settore del caffè è complesso. Sono una scienziata sociale, quindi non si può fare lo stesso ragionamento per tutte le culture, storie, tradizioni, lingue e religioni: una strategia per migliorare è quella di prendere in considerazione l’avanzare delle donne nei ruoli di potere nei diversi modi possibili e contesti.
Oggi molte ONG e aziende produttrici di caffè si stanno muovendo per promuovere modelli di educazione e formazione, includendo diversi tipi di interventi. A volte si tratta di esperti di agricoltura che si recano nelle piantagioni, ma è importante che le donne possano partecipare a queste occasioni, in orari o date per loro convenienti.
Ricordate che le donne spesso non hanno tempo o energie per aggiungere anche la formazione al loro calendario di impegni. Fanno già molto, si occupano dell’azienda, della famiglia e cercano di garantire l’istruzione dei figli.
Paradossalmente, ancora una volta, le persone che frequentano i corsi di formazione o le lezioni sono uomini, che non riescono a trasmettere le informazioni alle donne, coloro che però svolgono il lavoro manuale e fisico, ogni giorno.
Semplicemente, chiediamo prima di tutto alle donne stesse delle loro esigenze, senza pensare di spiegare loro ciò di cui hanno realmente bisogno. Ascoltiamole lungo tutta la catena: sembra ovvio, ma non sempre è così.
Una grande soluzione che ho visto all’opera è la teoria e la formazione GALS, che sta per “Gender Action Learning System”.
È stato creato dalla sociologa Linda Mayoux in collaborazione con le comunità agricole, tra cui una cooperativa di caffè in Uganda. Ho visto esempi del suo effettivo funzionamento perché coinvolge uomini e donne nel processo di formazione e trasformazione delle famiglie e delle comunità.
In Africa orientale ci sono molte storie di successo derivanti dall’applicazione di questo sistema.”
Koss: “La questione del tempo per la formazione rimane un punto su cui lavorare”
“Il sistema deve essere di supporto alle donne, tenendo conto delle ore di lavoro e dei carichi effettivi che devono sopportare, in modo da garantire che siano in grado di fare entrambe le cose.
La formazione e la ricerca devono anche tenere conto di se e quando i figli sono a scuola. Gli orari delle donne variano in base alle persone di cui devono prendersi cura.
È molto difficile per una donna che lavora, che deve tenere conto di molti bambini o anziani da accudire, trovare il tempo per la propria istruzione. Non si deve considerare solo la questione del costo di questi corsi, ma anche la vita reale.
Il sostegno alle donne deve essere concreto, non solo a parole, in termini di accessibilità, di sostenibilità e di equità di genere.
I governi dovrebbero offrire più sostegno sociale ai loro cittadini, in generale, ma ora, nel XXI secolo, molte organizzazioni no-profit, aziende di caffè e associazioni proattive create da donne si stanno facendo avanti e stanno aprendo maggiori opportunità per le donne.
Per concludere, posso mandare un messaggio alle persone che lavorano con le donne nel caffè: per favore chiedete e ascoltate veramente cosa chiedono le donne. Senza dare per scontato a priori come e su cosa intervenire.
A Nandi, foto concessa
Vedo tanti casi di persone che cercano di migliorare le cose e questo spesso nasce dalla rete di donne e dal tentativo di comunicare insieme.
L’industria del caffè è piena di esempi di forti leader femminili che lavorano per rendere l’equità di genere una realtà. L’ho visto accadere dal Messico all’Indonesia, dappertutto.
Noi donne esistiamo, siamo qui, e spero che sempre di più condivideremo le nostre storie, in modo che in futuro ci siano più testimonianze e materiali. Una persona alla volta, un giorno andremo in biblioteca a leggere del mondo del caffè dal punto di vista femminile”.
Alessandro Galtieri, campione di caffetteria, barista, giudice e trainer (immagine concessa)
Alessandro Galtieri, campione di caffetteria, scrittore di apprezzatissimi manuali per baristi e coffee lover, giudice e trainer, ha commentato la notizia della transizione della gestione del programma Q Grader dal Coffee Quality Institute (CQI) con il cupping protocol, alla Specialty Coffee Association (SCA) con il Coffee Value Assessment (CVA) (ne abbiamo parlato qui).
Secondo Galtieri, il Coffee Value Assessment (CVA) nasce per offrire una valutazione più completa, comprensibile e utile per tutta la filiera. Leggiamo di seguito il suo intervento.
La transizione del Q Grader Program da CQI a SCA: più utile per tutta la filiera
di Alessandro Galtieri
MILANO – “La sorprendente notizia della transizione della gestione del programma Q Grader dal Coffee Quality Institute (CQI) con il cupping protocol, alla Specialty Coffee Association (SCA) con il Coffee Value Assessment (CVA) ha generato, com’era prevedibile, numerose reazioni nel mondo dello specialty coffee.
Capisco perfettamente le perplessità di chi teme un cambiamento così radicale e il malumore di chi teme di venie danneggiato, avendo investito tempo e risorse per conseguire una certificazione Q Grader basata sul cupping protocol e che ora dovrà essere necessariamente adeguata alla diversa metodologia CVA.
L’idea di essere costretti a dover migrare verso il nuovo sistema può essere frustrante, soprattutto per chi ha consolidato esperienza e riconoscimento con quel metodo. Tuttavia, occorre guardare al quadro generale.
Per chi non lo sapesse, il Cupping Protocol fu adottato nel 2004 proprio dalla Specialty Coffee Association (SCAA) per fornire uno strumento standardizzato nella valutazione della qualità dei lotti di caffè nei paesi produttori. Permise agli agricoltori orientati alla qualità di differenziarsi, comunicando in modo più preciso il valore dei loro prodotti ai compratori internazionali.
In quel periodo rappresentò una rivoluzione e rinforzò fra l’altro iniziative come la Cup of Excellence e le aste dell’Alliance for Coffee Excellence, creando opportunità di mercato prima impensabili.
Su questo sistema si fondarono appunto programmi come il Q Grading e il Q Processing del CQI, che contribuirono a loro volta alla diffusione globale di una cultura della qualità nel caffè.
Non si può sminuire l’importanza storica del cupping protocol: è stata l’arma con cui i produttori combatterono consuetudini di mercato che avevano a lungo soffocato lo sviluppo della qualità.
Ma vero è che il cupping protocol nacque oltre vent’anni fa, in un contesto in cui il movimento specialty coffee era agli albori e serviva uno strumento chiaro di comunicazione del valore del caffè verde, principalmente tra agricoltori e trader, in mercati dominati dalle classificazioni delle borse valori, che concepiscono il caffè come commodity.
Oggi il mondo dello specialty è radicalmente cambiato: la cultura del caffè di alta qualità si è diffusa, capitalizzata e democratizzata. Non riguarda più solo trader e produttori, ma coinvolge torrefattori, baristi, formatori, consulenti e coffee lovers. In questo nuovo ecosistema, il cupping protocol ha rivelato i suoi limiti e SCA ha messo a punto il CVA.
Quali sono questi limiti? Ad esempio il cupping protocol si basa su una valutazione numerica su scala fino a 100 che, da sola, non racconta nulla delle caratteristiche organolettiche o del valore intrinseco del caffè. Solo un’indicazione, un voto — che per di più si reggeva sulla fiducia nella correttezza della valutazione effettuata.
Per un torrefattore, un trader o un consumatore oggi è molto più utile avere informazioni dettagliate: il tipo di lavorazione, il terroir, i descrittori aromatici dominanti, le pratiche ambientali ed etiche applicate durante la produzione.
È da queste informazioni che nasce il vero valore commerciale, culturale ed emozionale di un caffè.
Anche nella sua funzione originale, ormai da tempo, il cupping protocol mostrava limiti: non sono rari i casi di caffè che sarebbero stati scartati, ad esempio, per difetti fisici ancor prima dell’assaggio ma che si sono visti vincitori nelle competizioni mondiali valutate su sensorialità pura, una contraddizione che ha messo in luce quanto il sistema fosse troppo ancorato a parametri non più sufficienti a definire il carattere del caffè in tazza.
Un ulteriore mutamento: il mercato odierno non è più dominato solo da USA ed Europa come quando venne messo a punto il Cupping Protocol, ma vede anche l’Asia protagonista. E inoltre con il tempo i gusti cambiano e ancora di più, ciò che è considerato “preferito” in un mercato può non esserlo in un altro.
Alessandro Galtieri (immagine concessa)
Non possiamo più imporre un unico modello di “caffè di qualità” o di valore.
Serve una visione più ampia di “esperienza” del caffè, dove gli attributi non sono rigidamente classificati come pregi o difetti, ma registrati come impressioni sensoriali, con la libertà di valutarli secondo il mercato di destinazione”.
Galtieri afferma: “Il Coffee Value Assessment (CVA) nasce per offrire una valutazione più completa, comprensibile e utile per tutta la filiera”.
Galtieri aggiunge: “Non solo misura in modo più sfaccettato la qualità sensoriale, ma nelle sue schede di valutazione integra aspetti intriseci e fisici, con altri culturali ed estrinseci, favorendo una visione più ricca del caffè e rispettosa delle diversità emergenti nello specialty.
È comprensibile che ogni grande cambiamento generi resistenze. Tuttavia, molte critiche non riguardano il merito, bensì il metodo: una svolta per certi versi epocale che arriva come un fulmine a ciel sereno, senza una comunicazione congiunta chiara, un percorso di un coinvolgimento reale della community; tutti atteggiamenti che vengono percepiti come un difetto di inclusione verso chi sostiene queste associazioni ne divulga le pratiche e che ha costruito una carriera su sistemi consolidati da esse proposti, investendo e scegliendo un percorso formativo.
La rigidità espressa da alcuni AST, Q Grader, produttori e formatori è da comprendere: è la reazione di chi legge una notizia che li riguarda e potrebbe significare anni di lavoro messi a rischio da decisioni calate dall’alto senza una spiegazione adeguata o un percorso di avvicinamento.
Se il mondo dello specialty vuole crescere in modo realmente inclusivo, coinvolgendo tutta la filiera per il bene del mondo del caffè, in un momento davvero difficile per tutti, nessuno escluso, SCA e le altre istituzioni dovranno ascoltare attentamente queste voci, non ignorarle e lavorare intensamente perchè il processo di integrazione tra i sistemi possa essere quanto più indolore e semplice da abbracciare.
Servono sicuramente strumenti facilitazioni e confronto costruttivo per arrivare al risultato di avere un mondo del caffè che parla la stessa lingua e che può sostenere qualità e benessere della filiera senza separazioni, ma diventando una unica voce autorevole a sostegno del settore”.
MILANO – Luckin Coffee arriverà mai in Italia? Per quanto questa eventualità appaia, al momento, alquanto improbabile, non possiamo escluderla. In fondo, la mega catena cinese è stata capace, sino a oggi, di sorprendere tutti, nel bene come nel male. Prima in positivo, imponendosi all’attenzione dei mercati finanziari, da rampante startup unicorno capace di raggiungere, in pochi anni, la quotazione al Nasdaq.
Poi in negativo, bruciando 5 miliardi di dollari di capitalizzazione a seguito di uno scandalo contabile, scoppiato proprio nel periodo peggiore del Covid, che ha avuto come conseguenza l’onta (e la rovina finanziaria) del delistamento.
Poi, di nuovo, in positivo, quando la corsa sembrava ormai arrivata al capolinea. La catena cinese è stata infatti capace di risorgere dalle sue ceneri, grazie a un nuovo management, che ha tolto la polvere da sotto i tappeti, con una drastica opera di risanamento.
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