lunedì 10 Novembre 2025
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Ma il decaffeinato fa insorgere il cancro? La risposta è no, per i ricercatori

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l'aforisma il decaffeinato
Il caffè decaffeinato fa bene alla salute?

MILANO – Decaffeinato, molto amato quanto temuto, è di nuovo al centro di una polemica social per la quale sarebbe da evitare in quanto cancerogeno: in difesa di questa bevanda, sono entrati in merito diversi esperti che hanno spiegato scientificamente i motivi per cui non c’è niente da temere. Riportiamo la notizia da LaGazzetta.it, firmata da Riccardo Cristilli.

Decaffeinato: stop alle leggende metropolitane

Il decaffeinato fa venire il cancro? Naturalmente non è così, come rassicurano gli esperti, non esiste un legame diretto tra l’insorgenza della malattia e il decaffeinato. Tutto nasce dalla richiesta di un Fondo per la difesa dell’ambiente presentata alla FDA (Food and Drug Administration) degli Stati Uniti, l’agenzia che si occupa di alimentazione, droga e medicine, per togliere dai processi alimentari quattro sostanze chimiche.

Tra queste c’è il metilene cloruro che è usato per rendere il caffè decaffeinato. Questa sostanza è effettivamente cancerogena se usata in grandi quantità ma non è questo il caso del processo per realizzare un decaffeinato.

Il parere degli esperti

Rassicurano che il decaffeinato non ha alcun effetto cancerogeno. Infatti durante il processo produttivo il metilene o l’acetato di etile (usato come alternativa al primo) si legano alla molecola di caffeina dei chicchi di caffè per eliminarla attraverso l’acqua. Essendo volatili questi solventi evaporano durante la fase di tostatura dei chicchi e quando viene preparato il caffè decaffeinato non ce n’è più traccia.

La dottoressa Tonya Kuhl, ingegnera chimica dell’UC Davis Coffee Center, spiega come oltre i 200 gradi centigradi ogni residuo di metilene cloruro evapora e non ne resta più traccia. Le regole della FDA già prevedono che questa sostanza può essere presente nel caffè solo per lo 0.001%.

Qui l’articolo completo.

Impatto ambientale dell’elettronica: previsti 82 mln di tonnellate di rifiuti entro il 2030

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sostenibilità industria elettronica impatto
La sostenibilità nell'industria elettronica (immagine concessa)

MILANO – Nel 2022, il mondo ha prodotto un record di 62 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, segnando un aumento dell’82% rispetto al 2010. Le proiezioni indicano che questa cifra raggiungerà 82 milioni di tonnellate entro il 2030, mettendo in evidenza l’urgenza di migliorare i tassi di riciclaggio.

TÜV SÜD sottolinea l’importanza di adottare soluzioni di riciclaggio sostenibile e di misurare accuratamente l’impronta di carbonio e idrica per ridurre l’impatto ambientale e garantire un futuro più verde.

L’industria elettronica, che ha trasformato il nostro modo di vivere, lavorare e comunicare, ha portato a un aumento esponenziale della domanda di dispositivi elettronici. Tuttavia, questa crescita comporta significative sfide ambientali.

La produzione di smartphone, laptop, televisori e altri dispositivi richiede terre rare e metalli pesanti, la cui estrazione e lavorazione generano rifiuti tossici e inquinamento dell’acqua e dell’aria.

“Con la crescente richiesta di dispositivi elettronici, la domanda di terre rare è prevista crescere del 50% dal 2022 al 2030, arrivando a 340.000 tonnellate metriche,” afferma Matteo Simonetto, sustainability services manager per l’Area Western Europe di TÜV SÜD Group, citando alcuni studi del 2023. “La produzione di questi dispositivi, ad alta intensità energetica, è spesso basata su fonti non rinnovabili, contribuendo alle emissioni di gas serra. Inoltre, i data center hanno visto un incremento del fabbisogno energetico del 20-40% negli ultimi anni.”

Il quarto Global E-waste Monitor (GEM) 2024 delle Nazioni Unite rivela che nel 2022 sono stati prodotti 62 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, con previsioni che indicano un aumento a 82 milioni di tonnellate entro il 2030. Tuttavia, solo il 22,3% di questi rifiuti è stato riciclato correttamente, mentre la maggior parte è finita in discarica o è stata incenerita, aumentando i rischi di inquinamento ambientale.

I tassi di riciclaggio variano notevolmente a seconda delle aree geografiche. In Europa, il tasso di raccolta e riciclaggio è del 42,8%, mentre in Africa è inferiore all’1%. In Asia, dove sono generati circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici all’anno, pochi paesi hanno leggi o obiettivi chiari per la gestione di questi rifiuti.

La produzione pro capite di rifiuti elettronici è di 17,6 kg in Europa, seguita da Oceania (16,1 kg) e Americhe (14,1 kg). Tuttavia, i paesi a reddito basso e medio-basso gestiscono 18 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici principalmente attraverso il settore informale, con costi sanitari e ambientali estremamente elevati.

Per affrontare queste sfide, è fondamentale misurare e gestire le impronte ambientali attraverso due strumenti cruciali: l’impronta di carbonio e l’impronta idrica. L’impronta di carbonio, quantificata secondo la norma ISO 14067, misura le emissioni di gas serra lungo tutto il ciclo di vita dei prodotti elettronici.

L’impronta idrica, regolata dallo standard ISO 14046, valuta l’impatto ambientale sull’acqua, come scarsità e inquinamento.

“Misurare e ridurre le impronte di carbonio e idrica aiuta le aziende a identificare le aree del loro ciclo di vita con il maggior impatto ambientale, permettendo miglioramenti mirati,” afferma Simonetto. “Le strategie che possono essere adottate a tal fine includono l’uso di materiali riciclabili e riciclati, l’adozione di energie rinnovabili e la gestione sostenibile dell’acqua.”

Infatti, il ricorso a materiali riciclabili consente di ridurre la dipendenza da risorse non rinnovabili, mentre l’incremento dell’efficienza energetica limita le emissioni di CO2.

L’implementazione di tecnologie per il trattamento e il riutilizzo dell’acqua è essenziale per diminuire l’impronta idrica. Inoltre, estendere la vita utile dei dispositivi attraverso progettazione duratura e riparabile può ridurre la frequenza di sostituzione e l’impatto ambientale complessivo.

“Attraverso l’adozione di queste strategie, le aziende non solo rispondono alle crescenti richieste di sostenibilità dei consumatori, ma si posizionano anche come leader nella transizione verso una produzione sostenibile,” conclude Simonetto. “Invitiamo le aziende a collaborare con noi per identificare e implementare soluzioni efficaci per ridurre l’impatto ambientale e soddisfare le aspettative di sostenibilità.”

L’adozione di un framework per l’analisi dell’impronta di carbonio e idrica è cruciale per prendere decisioni strategiche e sostenibili, identificando i percorsi più efficaci per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e soddisfare le aspettative di un pubblico globale sempre più attento all’ambiente.

In risposta alle sfide della sostenibilità, il settore elettronico deve abbracciare un approccio innovativo che unisca consapevolezza tecnologica e responsabilità ambientale. Le strategie suggerite non solo mettono in luce l’urgenza di un cambiamento, ma offrono anche opportunità concrete per migliorare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale.

Adottare pratiche sostenibili è una scelta che riflette un impegno etico verso il pianeta e una strategia lungimirante per la sostenibilità. TÜV SÜD è pronta a supportare le aziende in questo percorso, guidandole verso un futuro più verde e responsabile.

La scheda sintetica di TÜV SÜD

Fondato nel 1866 come associazione per l’ispezione delle caldaie a vapore, il Gruppo TÜV SÜD si è evoluto in un’impresa globale. Più di 26.000 dipendenti lavorano in oltre 1.000 sedi in circa 50 paesi per migliorare continuamente la tecnologia, i sistemi e le competenze.

Contribuiscono in modo significativo a rendere sicure e affidabili innovazioni tecniche come l’Industria 4.0, la guida autonoma e le energie rinnovabili. Per maggiori informazioni basta cliccare qui.

TÜV Italia fa parte del gruppo TÜV SÜD ed è presente in Italia dal 1987. TÜV Italia ha una struttura di oltre 700 dipendenti e 400 collaboratori, con diversi uffici operativi sul territorio nazionale, a cui si affiancano i Laboratori TÜV Italia e Bytest a Volpiano (TO) e i Laboratori pH a Barberino Tavarnelle (FI), acquisite rispettivamente nel gennaio 2012 e nel gennaio 2013. TÜV Italia organizza periodicamente webinar e seminari gratuiti, dove vengono affrontati I temi tecnici più attuali, altre ai numerosi corsi formativi professionali, dedicati ad approfondire e sviluppare competenze in tutti i settori in cui l’ente opera.

Proffee: ecco i lati positivi del caffè con proteine in polvere

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Una tazzina di caffè espresso (immagine: Pixabay)

Ormai da qualche anno il proffee, il caffè con aggiunta di proteine, si è affermato in una tendenza virale che non accenna a passare di moda (ne abbiamo parlato qui). Secondo diversi pareri, il proffee aiuterebbe a migliorare la performance fisica negli sport e anche a perdere peso. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Michele Cappello per la Gazzetta dello Sport

L’avvento del proffee

MILANO – Negli Stati Uniti qualcuno lo chiama “proffee”: si tratta del caffè con aggiunta di proteine in polvere. Una soluzione adottata sui social e diventata virale: secondo alcuni, sarebbe utile per migliorare le performance durante l’attività fisica e aiuterebbe anche a perdere peso senza cambiare il sapore del caffè. Ma funziona davvero? E soprattutto, è salutare? Ecco cosa c’è da sapere prima di provare il caffè con proteine in polvere.

Primo beneficio, il più scontato: aggiungere proteine in polvere al caffè aiuta a raggiungere il fabbisogno giornaliero di proteine, utili per il benessere di muscoli, ossa e pelle. Se fate attività fisica intensa, inoltre, i vostri muscoli avranno bisogno di maggiori quantità di proteine per potersi rigenerare dopo lo sforzo subito: chi fa palestra frequentemente con pesi imponenti potrebbe trovare utile aggiungere un po’ di proteine in polvere al caffè.

La caffeina, inoltre, è uno stimolante naturale e per alcuni aiuta durante gli allenamenti, fattore che rende i due prodotti fatti l’uno per l’altro. Non ci sono particolari ricerche che confermano i benefici dal punto di vista della perdita di peso, ma quel che è certo è che assumere più proteine aiuta a ridurre la fame e a sentirsi pieni più a lungo, aiutando a ridurre l’apporto calorico.

Le proteine richiedono inoltre più calorie per essere scomposte all’interno del nostro corpo: il nostro metabolismo ne gioverà.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Chewing gum: l’89,4% lo consuma e il gusto preferito è la menta

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chewing gum
Il Chewing gum day (immagine concessa)

MILANO Cicca, cingomma, cicles: in qualunque modo venga chiamato, il 30 settembre è la sua festa, il Chewing Gum Day. Una giornata speciale di celebrazione della gomma da masticare, che affonda le sue radici nelle tradizioni americane e che, dallo scorso anno, si festeggia anche in Italia grazie a Perfetti Van Melle.

L’azienda, che per prima ha lanciato la produzione del chewing gum in Italia negli anni Cinquanta, mira a rendere il Chewing Gum Day una tradizione annuale, un’occasione in cui condividere informazioni corrette sul prodotto e i suoi benefici all’interno di uno stile di vita sano e contemporaneo, e celebrarlo a 360° raccontando tutte le curiosità sulla sua storia, l’evoluzione e la grande ricerca ed innovazione che lo contraddistinguono.

Oggi in Italia oltre 9 milioni di famiglie acquistano chewing gum: è un prodotto così diffuso e che fa parte della cultura e della storia che in Italia ha addirittura una varietà di nomi differenti a seconda di ciascuna regione o città… e proprio nelle piazze di dieci città italiane – Milano, Pavia, Firenze, Napoli, Torino, Bologna, Genova, Bari, Palermo e Roma, domenica 29 settembre arriverà in anteprima il Chewing Gum Day grazie ad una speciale attività di samplingche coinvolgerà il pubblico in prima persona nei festeggiamenti.

Ma le celebrazioni non finiscono qui: Perfetti Van Melle, in collaborazione con AstraRicerche, a giugno 2024 ha lanciato un’indagine per approfondire i nuovi usi e costumi del chewing gum in Italia, con risultati sorprendenti…

Identikit del masticatore

Il chewing gum è una consuetudine per la grande maggioranza degli italiani, con l’89,4% degli intervistati che dichiara di consumarlo: il 23,1% conferma di masticarlo tutti i giorni o quasi, e anche più volte al giorno.

In media se ne mastica almeno uno al giorno, e per oltre un quarto d’ora (16,53 minuti): superano la soglia di una gomma da masticare al giorno gli uomini tra i 45 e i 54 anni e le donne tra i 34 e i 44 anni.

Il vero masticatore, inoltre, sa che il chewing gum si condivide: il 54,8% dichiara di offrirne uno agli altri, prima di prenderlo per sé.

Il confetto classico rimane il formato preferito, con il 34,7% delle preferenze. Segue il bubble gum, che raccoglie il 20,6% dei consensi, mentre i confetti ripieni sono scelti dal 15,3%. Chiudono la classifica le lastrine con l’11,2%, che sorprendentemente piacciono soprattutto agli uomini tra i 15 e i 24 anni (20%).

La menta è per certo il gusto più amato (44,8%), seguita dalla menta extra forte (42,6%) e dai gusti fruttati (31,6%). Questi ultimi sono i preferiti dai più giovani, mentre i meno giovani optano per la liquirizia.

Per quanto riguarda le caratteristiche più desiderate per il prodotto, il 48,4% è affascinato dal chewing gum come prodotto funzionale, da masticare come integratore (di vitamine, sali minerali, probiotici), ma anche per assumere farmaci. Si pone poi attenzione agli ingredienti e al packaging (45,3%) che deve essere sostenibile, ma anche alla compatibilità con un’alimentazione sana, senza zucchero e con pochi additivi. (43,7%).

Masticare per buoni motivi

Ci sono situazioni che suggeriscono il consumo di chewing gum, in particolare dopo i pasti, quando non è possibile lavarsi i denti (54,8%). Alla maggioranza degli intervistati (58,7%), è capitato poi di trovarsi davanti ad una persona con problemi di alito, e di rimpiangere che non avesse consumato prima un chewing gum…

Ma il chewing gum ha effetti positivi anche oltre il cavo orale: per molti è un momento di piacere (45,3%) e di relax (45,2%), ma anche un modo per caricarsi e darsi energia (17,4%).

Il 21,3% degli intervistati dichiara di masticare chewing gum quando è in attesa (in fila, in stazione, in aeroporto…), o per rilassarsi prima di una prova o di un incontro importante (19,1%).

Un prodotto memorabile

Il chewing gum è spesso protagonista di molti ricordi del passato: per il 28,3% è il tempo trascorso con gli amici, un lungo viaggio in treno, in pullman, in aereo (24,5%) o in automobile (21,7%), le vacanze (20,2%). Ma non solo: ci ricorda anche l’attesa trepidante per una notizia importante, l’esito di un esame, di un progetto, di un lavoro (18,1%), le notti sui libri e le levatacce per lavorare (10,1%)… e per un romantico 9,8%, il chewing gum è il ricordo del primo bacio.

È un prodotto che nella nostra memoria è collegato anche al mondo del cinema, grazie al suo ruolo in molti film diventati iconici. Il 52,4% degli intervistati lo riconduce a Grease, dove il chewing gum è parte integrante del look dei personaggi, seguito da Pretty Woman (40,7%). A parimerito con il 39,9% troviamo Top Gun, con la masticata provocatoria di Ice Man, e La Fabbrica di Cioccolato, con il chewing gum che sostituisce un pasto completo. Chiude la classifica l’indimenticabile Jessica di Viaggi di Nozze di Carlo Verdone (39,3%).

Un alleato fina dalla preistoria in continua evoluzione

Il chewing gum esisteva già nell’epoca preistorica, quando si, masticavano corteccia o resine probabilmente per combattere infiammazioni alle gengive. Il chewing gum come lo conosciamo fu creato nel 1870 da Thomas Adams, un abile inventore di New York, e fu un venditore di popcorn di Cleveland, William G. White, a mettere a punto la formula ideale alla fine del 1880. La moda si diffuse in Europa durante le guerre mondiali, portata dai soldati americani: nelle loro scorte, il chewing gum era sempre presente per l’effetto distensivo della sua masticazione in situazioni di grande tensione.

Dall’Ottocento ad oggi, il chewing gum ha subito una grande metamorfosi nel formato, negli ingredienti e soprattutto nel suo utilizzo: dalle lastrine di gomma degli anni ’50, masticate dai giovani un po’ ribelli e impertinenti, il chewing gum si è evoluto ponendo attenzione anche ad altre esigenze. Negli anni ‘80 sono nati i primi chewing gum senza zucchero, fino ad arrivare a formulazioni con ingredienti sempre più funzionali. Oggi il chewing gum è un successo globale e soprattutto duraturo, poiché rappresenta il connubio perfetto tra piacere e benessere, gratificando il palato con gusto e freschezza e donando al contempo altri importanti benefici.

Un concentrato di benefici

In concomitanza con lo sviluppo tecnologico, il chewing gum è stato oggetto di molteplici studi scientifici* in tutto il mondo, che hanno confermato molti benefici legati alla sua masticazione. In particolare, il chewing gum senza zucchero è stato largamente studiato per il suo supporto all’igiene orale fuori casa, poiché aiuta a prevenire il rischio carie grazie allo xilitolo, dolcificante naturale di origine vegetale sostitutivo dello zucchero.

È stato inoltre riscontrato il contributo positivo del chewing gum allo xilitolo anche in gravidanza: l’uso regolare di questo ingrediente da parte delle madri ha ridotto l’acquisizione di batteri cariogeni anche nei loro figli. Altri studi hanno confermato l’aiuto nel mantenere un alito fresco e il bianco naturale dei denti, grazie alla presenza di specifici principi attivi o ingredienti funzionali. Ma non solo: allena anche i muscoli masticatori, contribuendo a incrementare la forza muscolare in anziani e bambini.

Il chewing gum ha inoltre un impatto positivo anche al di fuori del cavo orale: molti studi scientifici internazionali confermano che masticare chewing gum può essere utile anche per la nostra mente. Aiuta a mantenere alte le performance cognitive, agevolando la produttività durante una giornata di lavoro, contribuendo a una maggiore vigilanza e ad uno stato d’animo più positivo, limitando stati di ansia o stress. Nel contesto di un’attività sportiva leggera, aiutare a bruciare maggiore energia, e può contribuire a ridurre la sensazione di nausea da movimento spesso provocata dall’utilizzo del visore per la realtà virtuale.

La scheda sintetica di Chewing Gum Reloaded

Chewing Gum Reloaded è un progetto educational di categoria, lanciato nel 2022 da Perfetti Van Melle.

Supportato da studi scientifici, Chewing Gum Reloaded ha l’obiettivo di condividere informazioni corrette sul prodotto ed i suoi benefici, per riscoprirne l’importanza all’interno di uno stile di vita sano e contemporaneo.

*Note

  • Scheinin A, Mäkinen KK, Ylitalo K. Turku sugar studies V: Final report on the effect of sucrose, fructose and xylitol diets on the caries incidence in man. Acta Odontologica Scandinavica 1976;34(4):179-216.
  • Campus G, Cagetti MG, Sacco G, et al. Six months of daily high-dose xylitol in high-risk schoolchildren: a randomized clinical trial on plaque pH and salivary mutans streptococci. Caries Res 2009;43(6):455-61.
  • Campus G, Cagetti M, Sale S, et al. Six months of high-dose xylitol in high-risk caries subjects—a 2-year randomised, clinical trial. Clinical Oral Investigations (2013) 17:785-791
  • Cocco F, Carta G, Cagetti MG, et al. The caries preventive effect of 1-year use of low-dose xylitol chewing gum. A randomized placebo-controlled clinical trial in high-caries-risk adults. Clinical Oral Investigations 2017:1-8.
  • Porciani PF, Corsentino G, Franciosi G, et al. Cleaning effect of mastication of a tablet chewing gum with calcium carbonate microgranules following the consumption of a chocolate snack. Minerva Stomatol 2015;64(2 S1):199-200
  • Miquel S, Haddou MB, Day JEL. A systematic review and meta-analysis of the effects of mastication on sustained attention in healthy adults. Physiol Behav 2019;202:101-115.
  • Allen, Smith AP. A Review of the Evidence that Chewing Gum Affects Stress, Alertness and Cognition. Journal of Behavioral and Neuroscience Research 2011;9(1):7-23.
  • Hirano Y, Obata T, Takahashi H, et al. Effects of chewing on cognitive processing speed. Brain and Cognition 2013; 81 (3): 376-381
  • Pereira Gomes Morais E, Riera R, Porfírio GJ, et al. Chewing gum for enhancing early recovery of bowel function after caesarean section. Cochrane Database Syst Rev 2016;10(10):Cd011562.
  • Bang YJ, Lee JH, Kim CS, Lee YY, Min JJ. Anxiolytic effects of chewing gum during preoperative fasting and patient-centered outcome in female patients undergoing elective gynecologic surgery: randomized controlled study. Sci Rep 2022;12(1):4165
  • Hamada Y, Nagayama C, Fujihira K, et al. Gum chewing while walking increases walking distance and energy expenditure: A randomized, single-blind, controlled, cross-over study. J Exerc Sci Fit 2021;19(3):189-94.
  • Hyo-Jung Jung, Na Kyung Hwangbo, Younjung Park, Hyung-Joon Ahn Effects of gum chewing training on occlusal force, masseter muscle thickness and mandibular shape: A randomised controlled clinical trial J Oral Rehabil 2024
  • Kenta Kashiwazaki, Yuriko Komagamine, Yoko Uehara, Mao Yamamoto, Hiroto Nakai, Ngoc Huyen Trang Bui, Hengyi Liu, Sahaprom Namano, Watcharapong Tonprasong, Manabu Kanazawa, Shunsuke Minakuchi Effect of gum-chewing exercise on maintaining and improving oral function in older adults: A pilot randomized controlled trial J Dent Sci 2024 (19) 1021-1027
  • Keshav Rajesh, Sandhya Sundar, corresponding author Vaishnavi Rajaraman, Ramya Ramadoss, and Suresh Venugopalan Assessment of Oral Masticatory Muscle Activity With Different Chewing Gums: A Cross-Sectional Study Based on Electromyogram Analysis 2024; 16(3): e56849
  • Akira Ohira, Yoshiaki Ono, Naoto Yano, Yuzo Takagi The effect of chewing exercise in preschool children on maximum bite force and masticatory performance Int J Paediatr Dent 2012; 22(2):146-53.
  • His-Kuei Lin, Chia-Eng Fang, Mao-Suan Huang, Hsin-Chung Cheng, Tsai-Wei Huang, Hui-Ting Chang & Kai-Wai Tam Effect of maternal use of chewing gums containing xylitol on transmission of mutans streptococci in children: a meta-analysis of randomized controlled trials International Journal of Paediatric Dentistry, 2016; 26 (1), 35-44.
  • Andrew P. Allen, and Andrew P. Smith Chewing Gum: Cognitive Performance, Mood, Well-Being, and Associated Physiology Biomed Res Int. 2015
  • Andrew P Allen, Tim J C Jacob, Andrew P Smith Effects and after-effects of chewing gum on vigilance, heart rate, EEG and mood Physiol Behav, 2014; 133:244-51
  • Andrew Smith Effects of chewing gum on cognitive function, mood and physiology in stressed and non-stressed volunteers Nutr Neurosci, 2010; 13 (7): 7-16
  • Sta Maria, M T, Hasegawa, Y, Khaing, A M M et al The relationships between mastication and cognitive function: A systematic review and meta-analysis Jpn Dent Sci Rev 2023
  • Kaufeld M, De Coninck K, Schmid, J. Chewing gum reduces visually induced motion sickness Exp Brain Res. 2022; 240:651–663
  • EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA); Scientific Opinion on the substantiation of a health claim related to sugar-free chewing gum and neutralisation of plaque acids which reduces the risk of dental caries pursuant to Article 14 of Regulation (EC) No 1924/2006. EFSA Journal 2010;8(10):1776. [14 pp.]. doi:10.2903/j.efsa.2010.1776. Available online: www.efsa.europa.eu/efsajournal.htm
  • Fejerskov, O.K., E., Dental caries, The disease and its Clinical Management. Text Book, Blackwell Munksgaard, 2003: p. pag. 7-70.

SCA Italy, il racconto di 12 addetti ai lavori in Brasile con Francesca Bieker: “Un viaggio che ti segna”

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viaggio brasile sca francesca bieker
Il gruppo in visita alla fazenda Baixadao

MILANO – Li avevamo lasciati in procinto di partire, questa comitiva di professionisti coinvolti da Sca Italy in un viaggio di conoscenza delle origini del chicco capitanati dall’Education Coordinator Francesca Bieker. Ora, tornati da questa esperienza totale, condividono con i lettori le loro sensazioni raccolte dalla loro guida d’eccezione. La stessa che non solo ha capitanato questo gruppo di esploratori caffeicoli, ma che si è messa in gioco per prima nel racconto.

Hanno affrontato questa sfida, 12 addetti ai lavori: Sabrina Pastano – export sales specialist – Ast – Segafredo, Lorenzo e Francesco Giovannacci, titolari e Roasters della Giovannacci Caffè, Stefano Cevenini consulente e formatore di caffetteria, Natalia Mazzilli. Ditta Artigianale F&B e Giudice nazionale SCA, Hofer Valentin, Sommelier del caffè. AST della SCA. Titolare Caroma Caffè, Lea Hofer Coffee roaster, Junior Chief, torrefazione Caroma Angelo Segoni – campione italiano baristi 2016 – consulente e formatore baristi – YouTuber, Roland Mair – Purchasing & Controlling Caroma Srl, Christian Tirro – learning & development manager Segafredo Academy – Titolare Accademia Italiana Baristi, Luca Ventriglia Consulente e formatore e Mathieu Ducros – Owner Volt Café Brulerie.

Diario di un Viaggio nel Cuore del Caffè
di Francesca Bieker – Education Coordinator, SCA Italy

“Quando le valigie si chiudono ma il cuore resta pieno, è lì che capisci: non è stato solo un viaggio.” (Sabrina Pastano, export sales specialist – Ast – Segafredo).

È stato qualcosa che ha lasciato un segno, uno di quelli profondi, che faticano ad andarsene. Di quelli che, mentre torni a casa, ti fanno già sentire nostalgia.

Professionisti, trainer, torrefattori, baristi, ma soprattutto, persone pronte ad ascoltare, a sporcarsi le mani, ad accogliere. Il Brasile ci ha accolti con la sua terra rossa, le sue giornate intense e il sorriso gentile di chi il caffè lo coltiva ogni giorno, da generazioni.

Camminare tra le file ordinate di una fazenda, sotto il sole tiepido di Carmo de Minas, ti cambia la prospettiva. Lì, tra le piante curate a mano e le parole appassionate dei produttori, il concetto di “origine” smette di essere un termine tecnico e diventa vita vera. Abbiamo seguito ogni fase: la raccolta manuale, la selezionatura, i metodi di lavorazione, fino ai tavoli di cupping dove ogni caffè svela il proprio carattere.

Ma la parte più bella non era scritta nel programma, il meglio accadeva quando ci siamo seduti a tavola con i produttori, ascoltando le loro storie, quando, durante una camminata tra i filari qualcuno mi ha detto: “Ora capisco davvero cosa c’è dietro una tazzina”.

E non era una frase fatta. Era comprensione vera, nata da lì, dalla terra, dalla bellezza autentica di una filiera viva.

Abbiamo compreso cosa significa terroir. Abbiamo discusso di scelte agronomiche, di difesa sostenibile, di lavorazioni e delle sfide climatiche e sociali che si stanno presentando. Abbiamo scoperto che dietro ogni chicco c’è un equilibrio delicatissimo tra scienza e istinto, tecnica e passione.

Il Brasile ci ha insegnato che non c’è qualità senza relazione. Il vero valore di questo viaggio è la consapevolezza che ci portiamo a casa: più rispetto per ogni chicco, più ascolto, più verità nella nostra narrazione del caffè.

Non torniamo solo con nuove conoscenze. Torniamo con un senso di responsabilità più profondo.

Responsabilità nel formare, nel comunicare, nel servire ogni caffè con onestà e competenza.

Perché adesso lo sappiamo: ogni tazza rappresenta molto di più.

È terra, è storia, è relazione.

E questo viaggio, per noi, ha fatto la differenza.”

Alla fazenda Do Contado assieme a Victor, Maria e Pedro e la loro famiglia

La parola a chi si è mosso tra le piantagioni

Cominciando con i titolari e Roasters della Giovannacci Caffè, Lorenzo e Francesco Giovannacci: “Abbiamo preso parte con entusiasmo al viaggio in piantagione organizzato da SCA Italy e Francesca Bieker, che ci ha condotti nel cuore del Brasile alla scoperta delle origini del caffè.

Visitare le piantagioni e osservare da vicino le pratiche agronomiche, i metodi di raccolta e i processi di lavorazione ci ha permesso di approfondire ulteriormente le nostre competenze, rafforzando quella visione consapevole e responsabile che da sempre guida il nostro lavoro.

Ma non solo: l’incontro diretto con nuovi produttori, veri custodi della terra e della materia prima, ha rappresentato un’opportunità preziosa per avviare relazioni umane e professionali fondate sulla trasparenza, sul rispetto e su un obiettivo comune: offrire un caffè di qualità eccellente, sostenibile e tracciabile.

Essere presenti là dove tutto ha inizio è per noi un passo fondamentale per continuare a crescere come torrefattori, con uno sguardo sempre più attento all’intera filiera.”

Sabrina Pastano export sales specialist – Ast – Segafredo

“Quando le valigie si chiudono ma il cuore resta pieno, è lì che capisci. Che non si è trattato solo di un viaggio, ma di un’esperienza che lascia un segno profondo.

Camminare tra le piantagioni, ascoltare le storie di chi coltiva con dedizione, vedere da vicino ogni fase della lavorazione – dalla raccolta manuale alla fermentazione sperimentale, dal cupping alla selezione finale per l’export – ci ha permesso di comprendere in modo concreto cosa significa qualità nel caffè.

Abbiamo toccato con mano il valore del terroir, il peso delle scelte agronomiche, l’importanza delle lavorazioni post-raccolta e il rigore dell’assaggio professionale. Ogni tazza racconta un universo fatto di tecnica, passione e sacrificio.

E quando Maria ci regala le foto stampate, ci ricorda che – oltre le schede sensoriali e i punteggi – ciò che davvero resta sono le relazioni vere, gli sguardi sinceri, la bellezza autentica di chi vive il caffè con il cuore, ogni singolo giorno.

Per chi lavora nel caffè come noi, questo viaggio cambia tutto. Ti cambia lo sguardo, la consapevolezza, e soprattutto il rispetto per ogni chicco che arriva in tazza.”

Stefano Cevenini consulente e formatore di caffetteria

“Questo coffee trip in Brasile è stata un’esperienza unica che mi ha permesso di ampliare sempre di più le mie conoscenze su tutti i diversi tipi di lavorazione del caffè , inoltre abbiamo potuto assaggiare caffè davvero interessanti. Un grazie speciale per l’organizzazione a Francesca Bieker, che ha curato ogni minimo dettaglio del viaggio che si è rilevato indimenticabile. Un’ultima grazie a Maria e Victor e tutta la loro famiglia per l’ospitalità in questa settimana ci ha fatto sentire a casa!”

Natalia Mazzilli. Ditta Artigianale F&B e Giudice nazionale SCA

Ci sono drupe di caffè chiamate “The Floaters” poichè non sono perfette. Non hanno il giusto peso specifico e dunque con l’acqua galleggiano. Ma pare non sia detto che da queste ciliegie esca un caffè cattivo, anzi a volte puo’ essere stupefacente.

Amo l’imperfezione che sorprende, e come quelle drupe anche io mi sento una Floater… e forse con me anche altri.

Come ogni drupa merita di essere trasformata in caffè che qualcuno sicuramente apprezzerà, forse un animo semplice, chissà, così ognuno di noi merita di essere apprezzato per la propria vita, qualunque peso specifico essa abbia.

Grazie Brasile.”

Angelo Segoni – campione italiano baristi 2016 – consulente e formatore baristi – YouTuber

“In questo viaggio ho capito che il caffè non è solo una pianta, né un chicco. È un racconto che parte dalla terra e finisce nella nostra testa, ancora prima che nella tazza.

Ho visto mani segnate dal sole, visi fieri e sorrisi che raccontano sacrifici silenziosi. E lì ho realizzato una cosa semplice, ma potentissima: il caffè è relazione prima di essere prodotto. È il legame invisibile tra chi lo coltiva e chi lo beve, tra chi rischia ogni stagione e chi cerca la dolcezza perfetta in una tazzina.

Portare a casa questa esperienza significa sentirsi responsabili. Non solo di servire un buon caffè, ma di raccontare la verità che c’è dietro ogni sorso. Una verità fatta di errori, sperimentazioni, paure e sogni.

Tornare dal Brasile non vuol dire solo conoscere meglio un terroir, ma guardare ogni estrazione con occhi diversi. Mi porto dietro la voglia di difendere questo lavoro, di rispettare ogni chicco e di trasmettere un messaggio: dietro ogni caffè c’è sempre una persona, un campo, un tramonto che non vedremo mai, ma che dobbiamo onorare ogni giorno.

E alla fine, questo viaggio non mi ha insegnato come fare un caffè migliore. Mi ha insegnato perché farlo.”

Gianluigi Goi spiega l’etimologia della parola caffè e i rimandi all’aggettivo bracalone

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Una tazza di caffè americano (immagine: Pixabay)

Gianluigi Goi è un nostro lettore nonché giornalista di fama riconosciuta; è affezionato a queste pagine alle quali, con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista, ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre intriganti. In questa occasione, Goi spiega l’etimologia della parola caffè con alcuni rimandi particolari, tra cui l’aggettivo bracalone.

Il caffè bracalone

di Gianluigi Goi

MILANO – In questi ultimi giorni di regno dell’anticlone Pluto che vomitava fiammate roventi ovunque, grazie all’ausilio del raffreddamento tecnologico indotto da condizionatori sempre vicini all’implosione da sovraccarico, chi scrive, nella veste non solita quanto appagante, di “flaneur caffeicolo” (e chiedo scusa ai flaneur veri, quelli intellettualmente strutturati), nel mare magnum della rete ha avuto l’opportunità di accedere all’isoletta un poco sperduta, di certo poco frequentata, dell’etimologia – lo studio dell’origine e della storia delle parole- in questo caso “caffè”.

Un approdo sicuro, moderno e molto efficace, il nostro, per competenza e linguaggio accattivante, qual è il sito “unaparolaalgiorno.it: Servita ogni mattina insieme al caffè, un’avventura nelle meraviglie dell’Italiano”.

Di questi tempi in cui si fa un gran parlare della necessità di ‘raccontare’ il caffè, un pizzico di cultura umanistica ci sembra utile non fosse altro per confrontare opinioni diverse e/o consuetudini radicate.

E’ inciso nel muro della conoscenza l’incipit della voce “caffè” che riportiamo: “definito spesso <vino d’Arabia> il caffè costituisce un legame fisico, quotidiano, alimentare tra oriente e occidente” . L’etimologia prevalente propende per l’arrivo nell’italiano attraverso il termine turco kahve”.

In ogni caso la storia della parola caffè “è affascinante e nebulosa, giacchè i lessicografi (i compilatori dei dizionari-ndr) sono divisi tra diverse interpretazioni: da una parte c’è la parola qahiva, ovvero <mancanza di appetito> – il caffè è una sostanza detta anoressizzante – da un’altra c’è quwwa, cioè <forza>, <potenza> per gli effetti rinvigorenti della bevanda; da un’altra ancora c’è la radice che vuole qahwa derivare dalla regione di Kaffa, dove sembra che il caffè sia nato spontaneamente … ma molti sono i detrattori di quest’ultima ipotesi”.

“E’ invece sicuro – evidenzia Maria Costanza Boldrini, specialista in lingue semitiche, autrice di questa scheda pubblicata il 20 dicembre 2019 – che il porto yemenita di Moka fu un centro di smercio molto importante, dal quale il caffè partì per conquistare il mondo. Ecco perché – annotava – la caffettiera Bialetti si chiama Moka!”. “Macchiato freddo, shakerato, americano, lungo, al vetro, d’orzo, espresso, ristretto, mocaccino, schiumato, corretto, Irish coffee, caffè dello studente … il caffè è un’occasione sociale, un disimpegno, una malta dolceamara e profumatissima che cementa i mattoncini dei nostri rapporti interpersonali, spesso per ritrovarsi, talvolta per conoscersi, quotidianamente per risvegliarsi”. Vien da dire, con la grande Mina: “chiamale se vuoi emozioni”.

Come di consueto dalla voce principale, nella fattispecie “caffè”, promanano alcuni rimandi, non molti per il vero, uno dei quali ci sembra assolutamente inconsueto e desueto ma che incuriosisce.

Trattasi dell’aggettivo e/o sostantivo “bracalone”. Etimologicamente derivato da braca che ‘continua’ il braca latino, il sostantivo bracalone – parola antichissima essendo emersa nel Cinquecento – identifica chi porta i pantaloni cascanti e di conseguenza è sciatto, trasandato e non propriamente educato.

“Ci sono molti motivi per portare i pantaloni bracaloni: dopo la corsa matta che ho fatto per tentare di recuperare il ritardo; mi presento bracalone alla riunione importante; alla controra troviamo l’amico che sorseggia il caffè, torpido e bracalone; e la bracalona che è la nuova amica della figlia si dimostra estremamente simpatica …”.

In poche e semplici parole, l’accezione spregiativa o scherzosa che sia, consente di identificare situazioni e persone variamente trasandati fino ai limiti della impresentabilità e/o oggetti e prodotti i più vari di scarsa o nulla qualità.

Tanto per fare un piccolo esempio personale, ora so come definire il caffè, estratto da una maxi Moka dal nome blasonato, che ho di recente dovuto ingollare obtorto collo in quanto salato come fosse stato immerso in una salina storica di Margherita di Savoia: non ho potuto rifiutarlo ma era assolutamente “Bracalone!”.

Non so se si tratta di un piccolo scoop, di certo la nota pubblicata il 18 marzo di quest’anno chiosa che “il profilo e la parola stessa hanno un tratto buffo: l’uso diventa piacevolissimo”.

Un cenno, infine, ad altre tre segnalazioni: tazza/tazzina del caffè che l’etimologia fa derivare dal francese tasse, lo spagnolo taza e dall’arabo tà sa, col significato di scodella, ciotola e, non ultimo, tazza.

Più intrigante ed ammiccante il termine “Caffè-Concerto”, locali di grande successo a partire dall’800, “in cui gli avventori, oltre a bere e a mangiare, potevano assistere a spettacoli di varietà, dal teatro al balletto, all’illusionismo, ai concerti”.

Figure di punta di questi locali erano le “sciantose”, le cantanti, che si esibivano con pezzi tratti da opere e operette. Erano figure carismatiche, dotate di una grande carica seduttiva, e usavano presentarsi (pubblicazione 10 novembre 2013) in maniera estremamente appariscente secondo un gusto non elegantissimo e anzi un po’ volgare”.

In conclusione, in omaggio alla stagione estiva, un tocco di refrigerio con il termine inglese shaker, letteralmente “sbattitore”, piccolo recipiente per miscelare componenti diversi entrato in uso fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento che spesso incrocia il caffè. Un sostantivo di grande successo che ha fin da subito messo nell’angolo delle parole dimenticate l’italianissimo “sbattighiaccio”.

“E dal momento che il ghiaccio (leggiamo nella nota del 26 aprile 2019) è parte fondamentale di tutto il processo di preparazione del cocktail, non ultimo a livello uditivo, può anche darsi che non ci sia bisogno di combinare chissà quante parti, ma semplicemente possiamo agitare energicamente caffè e cubetti e goderci la nota bevanda preferita anche nelle torride giornate d’estate con un ottimo caffè shakerato”.

A condizione che non sia bracalone…

                                                                                                              Gianluigi Goi

Export brasiliano ancora in calo a giugno, ma i volumi degli ultimi 12 mesi superano i 45,5 milioni di sacchi

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export brasiliano Brasile Cecafé
Il logo di Cecafé

MILANO – Nuova forte battuta d’arresto per l’export brasiliano, che segna a giugno, ultimo mese dell’annata brasiliana di raccolto 2024/25, una flessione del 27,9% rispetto a un anno fa, secondo i dati mensili diffusi da Cecafé. Ciò non ha impedito al Brasile di chiudere i 12 mesi del 2024/25 con un volume delle esportazioni tra i più elevati della sua storia e con entrate valutarie da record.

Il mese scorso, il Brasile ha esportato 2.606.422 sacchi di caffè in tutte le forme: oltre un milione di sacchi in meno rispetto a giugno 2024.

In caduta libera gli imbarchi di caffè verde, che subiscono un calo del 30,7%, a 2.301.143 sacchi: forti cali sia per gli arabica (-26,9%) che per i robusta (-42,2%).

(fonte: Cecafé)

In lieve ripresa (+4,2%), in compenso, le vendite all’estero di caffè trasformato.

(fonte: Cecafé)

Le esportazioni in tutte le forme dall’inizio dell’anno solare sono in flessione di oltre un quinto (-20,5%) risultando pari a 19.411.359 sacchi.

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I giornalisti sono i più grandi caffeinomani tra i lavoratori con 3,62 tazze consumate al giorno: il sondaggio di Pressat

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bar giornali governo malalbergo
I giornali al bar (immagine: Pixabay)

MILANO – I giornalisti e i lavoratori nel settore dei media sono in cima alla lista dei più grandi consumatori di caffè con una media impressionante di 3,62 tazze al giorno: a rivelarlo è il nuovo sondaggio di Pressat su 20.000 individui provenienti da diverse professioni.

I risultati del sondaggio

A seguire ci sono i professionisti del settore sanitario, tra cui medici e infermieri, che hanno riportato un consumo medio di 3,60 tazze al giorno, a dimostrazione della natura impegnativa dei turni e le lunghe ore che devono affrontare.

Troviamo poi gli agenti di polizia, con una media di 2,52 tazze al giorno, seguiti dai conducenti (2,50) e dai dirigenti aziendali (2,40).

Anche il personale di supporto IT ha registrato un consumo elevato, con una media di 2,39 tazze al giorno. Dall’altro lato della scala, elettricisti, marketer e professionisti della pubblicità hanno riportato tassi di consumo significativamente più bassi, con una media di circa 1,3 tazze al giorno o meno.

Anche gli idraulici e i lavoratori di teleselling hanno riportato un’assunzione modesta di caffeina, rispettivamente di circa 1,28 e 1,23 tazze.

In tutte le professioni, il 20,32% dei rispondenti ha dichiarato di avvertire un effetto significativo quando saltano la consueta assunzione di caffè.

“Questo è il secondo sondaggio che conduciamo per analizzare e identificare le professioni che consumano più caffè. I giornalisti erano già al primo posto precedentemente, con i lavoratori del settore sanitario che sono passati dal quinto al secondo posto. I risultati non sono stati sorprendenti, soprattutto considerando l’emergenza del coronavirus e i tagli al budget del NHS. Ci aspettavamo che coloro che lavorano in prima linea, come medici, infermieri e personale sanitario, sarebbero stati in cima alla lista, ma i giornalisti sono ancora i re e le regine dei bevitori di caffè” ha dichiarato Max Forrest di Pressat.

Sebbene i giornalisti e il personale dei media siano quelli che bevono più caffè al giorno, i professionisti dell’area marketing spendono di più, con una spesa settimanale media di €13,27. Seguiti da vicino dai professionisti della pubblicità (€12,98), elettricisti (€12,96), agenti di polizia (€12,88), idraulici e lavoratori del settore (€12,82), dirigenti aziendali (€12,72) e giornalisti/personale dei media (€12,66).

Le professioni più inclini a preferire il latte vegetale, come il latte d’avena, nel loro caffè includono agenti di polizia (21,99%), dirigenti aziendali (21,98%) e idraulici o lavoratori del settore (20,93%). Anche gli insegnanti (20,25%) e il personale del commercio al dettaglio (20,24%) hanno mostrato una forte inclinazione verso le opzioni non lattiero-casearie.

Questo cambiamento suggerisce che le alternative vegetali non sono più confinate a settori tradizionalmente attenti alla salute o creativi, ma stanno guadagnando terreno in una vasta gamma di professioni, riflettendo forse tendenze alimentari più ampie e una crescente consapevolezza riguardo considerazioni ambientali e sanitarie.

Ogni persona è influenzata dalla caffeina in modi diversi. Molti sono altamente sensibili agli effetti stimolanti e cognitivi e devono regolare l’assunzione di conseguenza.

La Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti considera sicuri 400 milligrammi di caffeina al giorno per la maggior parte delle persone: ciò equivale a circa quattro o cinque tazze di caffè.

La European Food Safety Authority ha raggiunto conclusioni simili, con l’eccezione di un limite raccomandato più basso per le donne in gravidanza.

Metodologia del sondaggio

Il sondaggio è stato condotto online dal principale servizio di distribuzione di comunicati stampa del Regno Unito Pressat tra 20.000 lavoratori (dipendenti a tempo pieno, liberi professionisti, proprietari di imprese e autonomi, di età pari o superiore a 18 anni) tra gennaio e marzo 2025.

Specialty coffee in via d’estinzione oppure no? Due indagini a confronto

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mercati del caffè arabica futures
crediti per la foto: PR Consulting Global

MILANO – Lo specialty coffee è un trend ancora in crescita, oppure sta perdendo terreno ulteriormente rispetto a nuove tendenze come le ricette a base latte con novità tipo il Matcha? Due report messi a confronto raccontano due realtà in contrapposizione: il primo arriva dall’autorevole National Coffee Association (NCA, l’associazione dei torrefattori Usa), che ha indagato le abitudini di consumo degli adulti negli Stati Uniti negli ultimi 14 anni.

L’altro invece è uno spunto di riflessione ripreso da Coffee Intelligence che già nel titolo mette sotto i riflettori la fase critica che gli specialty stanno affrontando nel 2025.

Specialty coffee, a che punto siamo delle famose waves?

Partiamo proprio dai dati emersi dal report NCA: la crescita dello specialty indica più genericamente la popolarità della bevande negli Stati Uniti. A confermarlo è il rapporto National Coffee Data Trends (NCDT) uscito nella primavera 2025, che ha mostrato che il 66% degli americani ha bevuto un caffè nell’ultimo giorno precedente l’intervista del sondaggio.

Tuttavia, così come fa giustamente notare Coffee Intelligence, questo è stato un anno molto duro per lo specialty, dovuto ai prezzi da record in Borsa: i futures dell’arabica sono saliti a circa 4,41 dollari per libbra all’inizio del 2025 e questo, assieme alle ondate di forte siccità, alle precipitazioni irregolari che hanno colpito sia il Brasile che il Vietnam, hanno determinato una contrazione dell’offerta.

Da una parte quindi lo specialty deve fare i conti – letteralmente – con un nuovo contesto economico, un mercato che dà sempre meno margini, dei consumatori che cambiano gusti e ricercano altre soluzioni (il Matcha è uno su tutti) e infine anche lo switch verso l’home barista: molti stanno preferendo stare a casa propria anche per via dello smartworking e della forte inflazione che pilota le persone al consumo domestico – che spesso però significa altri prodotti, come il caffè solubile -.

Dall’altra parte non si possono ignorare le informazioni riportate da NCA: il 64% dei giovani tra i 25 e i 39 anni ha bevuto specialty nell’ultima settimana, ovvero più di qualsiasi altro gruppo anagrafico.

I risultati hanno anche evidenziato che il metodo di preparazione nell’ultima settimana è il drip coffee.

Secondo il rapporto, il tipo di tostatura preferito dagli adulti americani è medio, con il 62% che l’hanno apprezzato ed un aumento del 35% rispetto al 2020.

Il rapporto ha anche rilevato hanno maggiori probabilità di andare a bere lo specialty fuori casa (35%) rispetto a chi beve quello più standard (20%).

Non è ben chiaro quindi se lo specialty stia scomparendo come tendenza a livello globale, o se viceversa si tratta solo di una fase critica e quindi un’opportunità in ogni caso di crescita per quello che è nato come una nicchia.

E’ senz’altro vero però che sta affrontando un periodo di transizione, dovuta sia alle condizioni del mercato stesso, sia da altri cambiamenti (pensiamo anche soltanto alla fine dei due decenni di gestione del programma Q Grader da parte del Coffee Quality Institute (CQI), all’introduzione del Coffee Value Assessment che ha messo in discussione il sistema di valutazione basato sul punteggio).

Le prospettive probabilmente non sono chiarissime, ma di sicuro lo specialty e volendo anche il caffè commerciale, non possono restare uguali a se stessi se vogliono continuare a restare prodotti competitivi sul mercato.

In realtà una panoramica di questo genere, con lo specialty al centro della discussione, lo ha fornito Prunella Meschini, che dal suo punto di vista di micro roaster a stretto contatto con le origini, ha sottolineato gli effetti collaterali dell’aumento dei prezzi in Borsa sugli specialty – che sono paradossalmente destinati a calare di qualità -.

Sempre sul tema, con occhio particolare sull’interesse delle nuove generazioni e di conseguenza dei torrefattori anche italiani, verso superfood e ingredienti come il matcha, ne aveva ben parlato anche Marco Pizzinato.

Gianni Cocco, Caffetteria Gourmet: tutto quello che un barista vorrebbe sapere e non ha mai chiesto

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La copertina di Caffetteria Gourmet, firmata da Gianni Cocco
La copertina di Caffetteria Gourmet, firmata da Gianni Cocco

MILANO – La promessa sta già nel titolo “Caffetteria Gourmet” – edito da italiangourmet – e se poi l’autore non è altro che l’esperto del chicco Gianni Cocco, il risultato pare essere assicurato: in un libro, immagini che fanno venire l’acquolina in bocca si affiancano alle parole che, come recita il sottotitolo, vanno dalla tazzina alla ricetta finale.

Caffetteria Gourmet, tecniche e strumentazioni tutti insieme con un pizzico di creatività

Lo chiarisce subito Gianni Cocco, nella prefazione: Caffetteria Gourmet è dedicato a tutti gli addetti ai lavori, dall’imprenditore al barista, al responsabile di punti vendita.

Il know-how sviluppato in tanti anni sul campo, da dietro al bancone a dietro lo schermo televisivo, condiviso con chi vuole aprirsi al mondo della caffetteria gourmet. Ovviamente ricordando una cosa fondamentale: “La tecnica non è nulla se manca la fantasia e non c’è il controllo della parte creativa”.

Ispirazione, inventiva e preparazione: tutto questo si trova nelle 269 pagine di Caffetteria Gourmet.

Si parte da sua Maestà l’Espresso – con nozioni su cosa siano i possibili metodi di lavorazione del chicco, dal lavato alla fermentazione – che va preparato come si deve: come usare la macchina espresso, regolare la granulometria, la temperatura e tutte le variabili che influiscono sul risultato finale in tazza, senza tralasciare l’acqua e la pulizia delle attrezzature.

Un approfondimento è dedicato ai drink al caffè, scenografici e gustosi, ricchi di dettagli, dosi e ingredienti per delle soluzioni che si prestano a diversi momenti della giornata e sono sia calde che fredde (così si possono coprire tutte le stagioni).

Ci sono delle idee che già si conoscono ma che vengono sapientemente spiegate da Gianni Cocco, come il classico Espresso Martini e poi delle ricette che non ti aspetteresti abbinate all’espresso, come la Pina Colada.

Ma siccome la caffetteria gourmet non può essere solo fatta di espresso, ecco il capitolo sui filtrati

Compaiono concetti come single origin, giusta ratio tra caffè e acqua, tempi di infusione, turbolenza: dopo un excursus introduttivo su quali sono le estrazioni alternative si entra nel vivo della pratica con le ricette calibrate su diversi metodi.

Tra V60 e Clever, compare anche la tradizionale italianissima moka, pronta per gettarsi nel mondo della mixology – Gianni Cocco la usa per il cocktail con il tuorlo – : qui trionfano le tante varianti del cold brew – alcuni persino cammuffati da birra serviti con una spessa schiuma in un calice apposito – e anche proposte vegane per il cappuccino.

Nella caffetteria gourmet non possono mancare cacao e tè

Perché un’offerta che sia completa non può prescindere da queste altre due materie prime, che si prestano alla creatività di Gianni Cocco, che le trasforma in tazze a dir poco golose e ovviamente che attraggono la vista.

Dopo una vasta spiegazione sulla storia e la cultura dietro a cacao e tè, scendendo nel dettaglio delle loro origini, lavorazioni e tipologie, arriva la carrellata di immagini e preparazioni alcoliche e non.

Per concludere in bellezza, Gianni Cocco si esibisce nella sua conoscenza dell’uso delle spezie e soprattutto delle bevande vegetali, un altro trend che una caffetteria gourmet deve saper padroneggiare al meglio per venire incontro alle esigenze di una fascia di consumatori in crescita.

Ultima parte del libro: focus sul sifone

Strumento che non deve mancare nel kit del barista professionista, in quanto è ciò che rende possibile la realizzazione di tutte le ricette con una texture innovativa. E’ tutto un gioco di consistenze, che però bisogna saper governare per ottenere spume sia calde che fredde.

Arrivati alla chiusura del libro, la voglia di trovare un locale che rispecchi tutte queste aspettative è altissima: una lettura più che consigliata a tutti gli operatori che vogliono fare un salto in avanti per la propria offerta.

Caffetteria Gourmet, edito da italiangourmet, è acquistabile qui, al costo di 48 euro e 30.