venerdì 21 Novembre 2025
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Nescafé e la Yogurteria alla Art Caffè di Napoli, 08/11

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Logo Nescafé
Il logo Nescafé

NAPOLI – Il brand La Yogurteria continua a sorprendere e lo fa, questa volta, con una straordinaria partnership che unisce l’eccellenza del marchio italiano alla forza di un leader internazionale come Nescafé. Nasce così La Yogurteria Art Caffè, un luogo esclusivo dove i clienti potranno vivere un’esperienza unica. L’appuntamento per l’inagurazione è l’8 novembre dalle ore 17:00 in via Alessio Mazzocchi 42: musica, animazione e assaggi per tutti.

Nescafé e la Yogurteria Art Caffè

Qui potranno gustare non solo caffè speciali e yogurt gelato, ma anche un’esclusiva Limited Edition di Frozen Yogurt Nescafé. L’aroma inconfondibile e avvolgente di Nescafé incontra il pezzo forte de La Yogurteria, il Frozen Yogurt: l’unione che incanterà i napoletani.

La linea di caffè in grani Nescafé Espresso Bar offrirà una miscela dal gusto autentico e inconfondibile, approvvigionata al 100% da fonti responsabili.

Prevederà, inoltre, una formazione di caffetteria base presso la Nestlé Coffee Academy, dove lo staff potrà approfondire diverse tecniche di estrazione, dall’espresso al filtro, ricettazione e la tecnica della latte art, grazie alla quale ogni cappuccino e caffè macchiato si trasformerà in un’opera d’arte, regalando momenti di pausa indimenticabili.

“Questa collaborazione con Nescafé rappresenta un passo importante per noi, poiché condividiamo la stessa visione di qualità e innovazione. Siamo entusiasti di poter offrire ai nostri clienti un’esperienza sempre più ricca e variegata”, dichiara Alberto Langella, ceo & founder de La Yogurteria.

“Siamo entusiasti di collaborare con la Yogurteria con la nostra gamma di caffè in grani di altissima qualità a marchio Nescafé, per offrire un menù ricco di bevande, dal tradizionale espresso a creazioni originali, calde e fredde che, combinate alla freschezza dello yogurt, daranno vita a esperienze di gusto davvero uniche”, afferma Paolo Pisano, marketing manager Nescafé & Starbucks Out of Home.

Ecco la scultura dello chef Massimo Bottura in cioccolato fondente al 90%

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massimo bottura
Massimo Bottura

Il maestro cioccolatiere Mirco Della Vecchia ha presentato la scultura a grandezza naturale dello chef Massimo Bottura realizzata in cioccolato messicano fondente al 90%. Un lavoro imponente, complesso e che ha richiesto tanto studio e preparazione, nonostante l’utilizzo dell’AI che ha per una volta accantonato il romanticismo dello scalpello, lasciando il posto all’innovazione. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Modena Today.

La scultura in cioccolato fondente dello chef Massimo Bottura

MILANO – Lo chef Massimo Bottura in pregiato cioccolato messicano fondente al 90% utilizzati per realizzare una scultura a grandezza naturale, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. È la straordinaria opera nata dalle mani del Maestro cioccolatiere Mirco Della Vecchia, che è stata presentata in occasione di Sciocolà venerdì 1° novembre alle ore 11.00 a Modena in Piazza Matteotti.

La scultura è in tutto e per tutto una riproduzione fedele del modenese chef tristellato, a cui Stefano Pelliciardi di SGP Eventi e patron della manifestazione, ha voluto dedicare l’ambizioso progetto di quest’anno, affidando l’opera a Mirco Della Vecchia.

“È stato un grande piacere poter tributare a un grande collega come Bottura una scultura – ha detto Della Vecchia come riportato da Modena Today – un modenese noto in tutto il mondo, che si spende in tante attività umanitarie come me, e che mette la sua maestria a beneficio del sociale”.

Un lavoro imponente, complesso e che ha richiesto tanto studio e preparazione, nonostante l’utilizzo dell’AI che ha per una volta accantonato il romanticismo dello scalpello, lasciando il posto all’innovazione.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Svelati i vincitori di GugArt3, il bando per giovani artisti di Guido Gobino

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guido gobino
Il cofanetto celebrativo del 60° anniversario (immagine concessa)

TORINO – In occasione del 60° anniversario, Guido Gobino ha celebrato il talento e la creatività delle nuove generazioni con GugArt³, bando culturale dedicato ad artisti emergenti. Durante l’evento di premiazione, tenutosi ieri negli spazi di Via Modena 62, sono stati annunciati i vincitori per le categorie Musica, Scrittura e Arti Visive.

I vincitori del band per giovani artisti di Guido Gobino

Alla presenza di Guido e Pietro Gobino e dei giurati Damir Ivic (Musica), Nicola Lagioia (Scrittura, in collegamento) e Marinella Senatore (Arti Visive) è stata inaugurata inoltre la mostra dedicata ai lavori dei finalisti della categoria Arti Visive, ispirati alle storie, ai suoni e ai profumi dell’Azienda torinese.

• Marta Ciolkowska ha realizzato “Whispering The Future”, un’installazione sen-soriale che invita a riflettere sulla sostenibilità e sulle condizioni lavorative nel mondo del cacao.

• Lorenzo Gnata, con “Sogno di polvere, fango, inchiostro”, presenta un nastro di tulle sospeso con parole in 3D; un’opera che interpreta la storia della fami-glia Gobino e la tradizione cioccolatiera.

• Chiara Nicoletti, attraverso “Mano a mano”, esplora il valore della manualità con un’opera collettiva, realizzata insieme ai dipendenti della cioccolateria.

Tutti i progetti esprimono un dialogo profondo tra sostenibilità, tradizione e innovazione e hanno condiviso la vittoria per la categoria Arti Visive.

Le opere resteranno esposte in Via Modena fino al 2 novembre, dalle 16:30 alle 19:30, con ingresso libero.

Per la categoria Musica, il trio composto da Edmondo Annoni (tromba, sound design), Camilla Battaglia (voce processata) e Francesca Remigi (batteria, elettronica) ha sta-bilito anticipatamente di competere in gruppo, realizzando la performance dal titolo “Viaggio di una fava di cacao”. Composto da tre movimenti sonori ispirati alla filiera del cioccolato, il brano offre un’esperienza immersiva tra jazz, ambient e field record-ing, evocando profumi e atmosfere della cioccolateria.

Infine, per la categoria Scrittura la vincitrice è l’irpina Michela Iannella, con il racconto “Per finta” che evoca la magia dei ricordi d’infanzia nella cioccolateria del nonno di Pietro, Beppe.

Durante l’evento, l’Azienda ha presentato un cofanetto celebrativo del 60° anniversa-rio, in edizione limitata, disponibile da oggi nelle Botteghe di Torino e Milano e prossi-mamente sullo shop online. Ricette iconiche, innovative e inedite, che raccontano l’evoluzione delle tre generazioni della famiglia Gobino e il loro impegno nella produ-zione di cioccolato d’eccellenza.

La scheda sintetica di GugArt³

Guido Gobino, che quest’anno festeggia 60 anni di storia, ha voluto rendere omaggio a Torino e al territorio con il lancio di GugArt³, un progetto dedicato ad artisti e creativi under 35 per promuovere l’arte e la cultura per le nuove generazioni. I 9 finalisti hanno avuto l’opportunità di immergersi nell’atmosfera del Laboratorio di produzione, ascol-tando e incontrando i collaboratori di oggi e di ieri, assaggiando le materie prime e i prodotti finiti e riempiendosi dei profumi di cacao e nocciole tostate. Dopo questa esperienza hanno realizzato le loro opere ispirandosi ai suoni, profumi e storie della Cioccolateria e i risultati sono stati valutati da una giuria d’eccezione. GugArt³ con-ferma l’impegno dell’Azienda per l’arte e la cultura come valore aggiunto alla tradizione cioccolatiera italiana.

Tutte le informazioni e gli aggiornamenti sono pubblicati qui.

La scheda sintetica della Cioccolateria artigiana Guido Gobino

La Cioccolateria Artigiana Guido Gobino si caratterizza dalla costante aspirazione e tendenza alla realizzazione di un cioccolato di eccellenza, prodotto nel rispetto della tradizione torinese con uno sguardo rivolto al futuro. La pregiata qualità del suo cioccolato nasce dal connubio di creatività, gusto e passione.

La sua è una storia lunga sessant’anni e contraddistinta da un’attenta selezione delle materie prime, da una lavorazione all’avanguardia, da una sperimentazione ininterrotta con il fine di raggiungere una qualità assoluta. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti ed è distribuito in 52 Paesi, dal Giappone agli Emirati Arabi Uniti, dagli USA alla Francia, dalla Cina all’Australia. Dal 2021 Guido Gobino è affiancato dal figlio Pietro che ha portato un nuovo spirito innovativo e, oltre a rimarcare la sensibilità verso le tematiche ambientali, ha contribuito alla pubblicazione del primo Bilancio di Sostenibilità, quale strumento per testimoniare l’impegno dell’azienda nella divulgazione di una strategia d’impresa responsabile. Nell’autunno del 2020, in occasione del 25° anniversario del Tourinot, viene presentato “5 grammi di felicità”, il libro scritto da Giuseppe Culicchia ed edito da Slow Food Editore che racconta la storia del celebre Tourinot, il Giandujotto di Torino.

Nel gennaio 2019 l’azienda sigla un accordo di licenza pluriennale con Armani/Dolci per la produzione e la distribuzione in tutto il mondo della linea Armani/Dolci by Guido Gobino.

Pronto il calendario dell’Avvento con le caramelle Ricola

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Il calendario dell'Avvento (immagine concessa)

LAUFEN (Svizzera) – Se si pensa a Ricola, è immediato e spontaneo collegare i suoi prodotti al paesaggio alpino: l’azienda svizzera infatti, dal 1940, realizza caramelle benefiche a base di una speciale miscela naturale composta proprio da 13 erbe alpine, coltivate in territori svizzeri scelti, in alta montagna, dove l’aria è più pura, seguendo i metodi dell’agricoltura naturale.

L’arrivo della stagione invernale ci orienta al periodo più speciale dell’anno, preceduto da antiche usanze e tradizioni: il Natale, momento di Festa e raccoglimento con famiglia e amici.

Per aspettare l’arrivo del giorno più straordinario dell’anno, Ricola propone una simpatica alternativa al tradizionale calendario dell’Avvento, che renderà l’attesa del Natale ancora più speciale.

Un calendario dell’Avvento in grande stile: una grande confezione regalo 38×38 cm., al cui interno si trovano 24 preziosi astucci con grafica speciale in formato mini da 15 grammi, con 6 caramelle sfuse ciascuno. I 24 astucci, uno per ogni casellina del calendario, hanno 22 gusti diversi, con e senza zucchero, e tutti sono senza glutine.

Il calendario contiene quindi 360 gr. di caramelle di gusti differenti, 10 dei quali non disponibili nel mercato italiano. Un’idea originale da regalarsi e da regalare prima di Natale per aspettare questa speciale Festività, accompagnati dal gusto unico e dal potere rivitalizzante delle caramelle Ricola!

In vendita in esclusiva online per tutto novembre sul sito dell’azienda nella sezione acquista online www.ricola.com

Prezzo di vendita: € 24,90.

Barman dell’AIBES: per la prima volta in 75 anni arriva anche per loro la gara sull’espresso, con Andrea Lattuada e Caffè Moak

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Il concorso dedicato all'espresso di AIBES (foto concessa)
Il concorso dedicato all'espresso di AIBES (foto concessa)

MILANO – Andrea Lattuada racconta come si è arrivati per la prima volta in 75 anni all’inserimento della competizione sull’espresso all’interno del circuito AIBES e lo fa sostenuto da Marcello Vitellone, commerciale Caffè Moak, azienda sponsor dell’evento a Loano.

Lattuada, la prima domanda nasce spontanea: come mai tutto questo tempo e perché proprio ora si apre questa novità in AIBES?

“La storia alle spalle di AIBES non ha bisogno di tante presentazioni, per la sua professionalità di alto livello fondata con l’IBA, ha fatto cultura in tutto il mondo con la formulazione di cocktail codificati sul piano nazionale. Cinque anni fa inizia il progetto di evoluzione dell’Associazione attraverso il caffè ed è stato allora che è arrivata la richiesta da parte del presidente nazionale e consigliere organizzatore della finale nazionale, per poter dare un’opportunità in più.

Ecco che arriva l’evento che fa ragionare professionalmente sull’espresso.

“Nasce il format di una gara che fosse sia semplice sia che potesse alzare l’asticella delle competenze: la coffee experience è il progetto zero nato a Loano.”

Marcello Vitellone si inserisce nel racconto: “Per compiere questo salto AIBES ha contattato le figure di maggior spicco nel mondo del caffè, oggi, e ha trovato l’appoggio di SCA Italy, con cui ha dato il via per una collaborazione con il supporto di Andrea Lattuada come coordinatore della gara e fornendo dei parametri simili a quelli dei campionati di SCA.

Hanno ripreso la prima parte di quello che è lo svolgimento del World of Coffee: la preparazione di 4 espressi giudicati con la stessa logica, ma con la stessa miscela fornita ai competitor.

Caffè Moak si avvicina a questo percorso perché siamo un’azienda attenta da sempre alla qualità, alla formazione e abbiamo partecipato con la nostra miscela top di gamma Ambrosia, solo composta da Arabiche (Brasile, Honduras, Ethiopia, Costa Rica, Colombia, Perù).

Questo perché è nostra volontà ritrovare anche nell’estrazione una buona sensazione al palato e non soltanto una crema visivamente spessa. In questa avventura il team è stato composto da altre aziende che hanno contribuito alla realizzazione di questa prima gara: il grinder Fiorenzato, BWT Water & More, pulyCaff, Metallurgica Motta, CBC Royal per le macchine espresso, partecipato per l’evento.”

Tempi di organizzazioni di questa prima edizione?

“Da quando si è aperto il discorso, sono passati circa sei mesi e abbiamo registrato 15 concorrenti nella gara a squadra, corrispondenti a 15 regioni da tutta Italia. Chi vinceva le tappe regionali mandava la squadra e sceglieva il candidato all’interno del team per la preparazione dell’espresso.

Tutti i concorrenti sono stati calibrati già da remoto con una video call formativa per spiegare le regole e poi hanno potuto seguire una calibrator in loco a Loano, il giorno prima della competizione.

È stato un primo ma importante passo per inserire l’elemento espresso all’interno di questo mondo più legato alla mixology e ai cocktail. Questo vuole essere uno step iniziale per introdurre nelle prossime edizioni anche un focus sul coffee in good spirits. La giuria è stata composta da Marco Poidomani, Andrea Lattuada, Marino Moroso e Sergio Barbarisi a livello sensoriale, a livello tecnico da Marcello Vitellone.

La vincintrice Barbara Zendardi (foto concessa)

Sono stati dati sette minuti di tempo e ha vinto la sezione Lombardia, seconda si è posizionata la Valle d’Aosta e nella terza, il Friuli Venezia Giulia.”

Lattuada, Vitellone, test superato quindi??

Entrambi gli interlocutori sono d’accordo: “A pieni voti. Chi ha gareggiato si è mostrato molto interessato e ha scoperto un nuovo mondo: questa è un’opportunità per loro perché rappresenta nuovi stimoli e per AIBES certamente è l’occasione di collaborare con chi tratta il caffè ad un certo livello.

Ogni anno prevediamo un’ulteriore crescita di questo spazio dedicato all’espresso nel percorso AIBES. Da qui in avanti è prevista tanta formazione in giro per l’Italia e ci sarà un seguito. SI svolgeranno di nuovo il prossimo anno le selezioni regione per regione, per poi sfociare nella finale con l’obiettivo di portare la competizione sempre più su un piano performante e tecnico.”

Mauro Cipolla: “Solo in Italia si accetta un prezzo così basso per la tazzina con l’inevitabile risultato della scarsa qualità”

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Mauro Cipolla gusto
Mauro Cipolla (immagine concessa)

Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, si espone sulla situazione dell’ espresso e della sua percezione in Italia soffermandosi sulla sempre più presente carta dei caffè al ristorante e le proposte di miscele bio sostenibili. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.

Il caffè in Italia

di Mauro Cipolla

MILANO – “La scarsità degli ottimi caffè, le guerre, i costi di logistica sono scenari che sono sempre esistiti sin dagli anni ’80. Oggi queste situazioni sono peggiorate a amplificate anche a causa dei notevoli cambiamenti climatici che avvengono in modo non prevedibile,  e a causa della deforestazione, la quale dal 2025 in poi avrà giustamente la sua protezione con le leggi in Europa che andranno tuttavia ancor più ad aumentare il costo del caffè crudo che appartiene ai grandi volumi di affari e quindi al costo di tutte le miscele come riflesso.

Negli Stati Uniti, e in altri Paesi occidentali, il caffè espresso si vende da decenni a prezzi molti più alti quando a confronto con i prezzi del caffè espresso in Italia.

Solo in Italia si è accettato un prezzo così basso sul caffè espresso per decenni e quindi  anche la bassissima qualità che ne deriva.

Quell’Italia con tutta la sua storia e inutile snobismo sul caffè  che è sempre stata strana e propensa al prezzo più basso del caffè espresso. Una Italia che ha ad oggi accettato di pagare il prezzo più alto del caffè espresso al bar solo se vi è una nota di elevazione di immagine, o di tendenze modaiole, senza badare alla vera qualità in tazza e al proprio piacere. Quell’Italia che continua ad essere diffidente sui prezzi più alti di 1.50 euro sul caffè espresso al bar o in caffetteria e che, anche se oggi passasse a euro 2,00 per ogni espresso, comunque sarebbe indietro come approccio mentale, culturale e economico ai fini gestionali per un’attività.

Il caffè crudo commerciale di ottima qualità, quelli che da sempre chiamo come caffè speciali, anche negli anni ’80 costava 0,90  centesimi di dollaro o molto di più al produttore in fattoria , per ogni 454 gr. quando invece a confronto i caffè commerciali terribili, i commodities, che all’epoca costavano molto meno della metà delle miscele commerciali speciali.

In merito al divulgare che il problema del caffè (in merito al prezzo) sarebbe collegato solo al prezzo di base dei commodity sul mercato di base negli scambi internazionali in borsa, non è assolutamente così.

Di fatto il valore del caffè specifico non è basato solo sugli scambi in borsa al momento della chiusura: questo è fuorviante come notizia e davvero banale.

La realtà è invece che i mercati di riferimento hanno da sempre avuto quelli che si chiamano differenziali sia al rialzo e come al ribasso sulla base delle chiusure dei mercati.

Questi differenziali al rialzo, nel caso dei caffè commerciali speciali, ( tra l’altro questi caffè sono spesso migliori o equivalenti agli specialty nelle lavorazioni in fattoria), sono da sempre più cari dei commodity, e sono stati pagati molto di più che i caffè commerciali commodities, proprio per l’esistenza dei differenziali, il quale valore è sempre dato dal produttore del crudo in merito ad ogni campione specifico.

Inoltre dobbiamo prendere atto una volta per tutte che i caffè specialty, ad oggi, anche a livello di sostenibilità sia della qualità e del lavoro delle persone nella filiera nei luoghi di produzione,  non hanno di fatto aiutato quando vediamo i  numeri del business del caffè nel mondo, la filiera ma hanno invece reso più ricchi i torrefattori, in particolar modo quelli che utilizzano la terminologia specialty per vendere i caffè nei grandi canali industriali e nella GDO.

La proposta ecosostenibile, o bio, o alternativa al commerciale di bassa qualità è una soluzione valida?

Queste proposte commerciali oggi, per diverse ragioni ma in sostanza quasi esattamente come lo specialty (che oggi è in mano anche sia alla GDO e come alle grandi industrie e agli Spa, sia come come terminologia di proposta e sia come proposta di fatto ), spesso non riesce a comunicare il valore aggiunto alla clientela perché il gusto e l’approccio di marketing della propensità al puntare così tanto sul “racconto delle procedure e sulla tracciabilità” ( come se altri caffè non specialty non avessero da sempre la tracciabilità nelle schede tecniche) , sull’educazione del cliente finale in modo troppo complessa, forzata e aulica, non è coerente con il response del dopo degustazione da parte della clientela italiana.

Di fatto, questi caffè specialty in estrazione espresso, il loro gusto in tazza come caffè espresso, i risultanti aromi e struttura, sono quasi sempre fuori target come gusto, quando a confronto con usi e costumi con la cultura antropologica dell’espresso italiano, (ovviamente quello buono e non quello imbevibile, il quale ha rovinato la nostra reputazione italiana nel caffè espresso).

Queste offerte commerciali alternative, esattamente come gli specialty, ovviamente funzionano meglio, all’inizio delle proposta come novità, curiosità, cambio culturale radicalizzato, dove si espone una comunicazione esclusiva e di appartenenza, come a dire che  i caffè ottimi non specialty non esistessero, e come se ogni torrefattore di qualità eccelsa che non utilizza esclusivamente la terminologia specialty è considerato come uno che lavora male: ed ecco che questa filosofia e approccio funziona come novità, questo soprattutto nelle grandi città internazionali come Firenze, in alcuni vicinati di Roma e Milano,  ove troviamo un turismo internazionale o giovani universitari rivoluzionari o cultori.

Se guardiamo invece i Bio o i caffè che appartengono al voler salvare l’habitat, si nota di fatto che anche questi sono a volte stati riscontrati come caffè dannosi dalle prove in laboratorio, contenenti per esempio in alcuni l’acrillamide ad alti livelli: questo dovuto alle erosioni del suolo e alla vicinanza di altre raccolte vicino agli stessi che andavano a contaminare il loro raccolto.

È importante capire che lo specialty in espresso, per il mercato italiano, rimane molto difficile da far capire ovunque ma soprattutto nelle province.

Non possiamo puntare solo sulle grandi città internazionali e sul GDO e neanche solo sulle nuove generazioni che chiedono cambiamenti nelle ideologie.

Per arrivare davvero a qualità eccelse democratiche e aperte, disponibili a tutti, serve condivisione, non chiusura. Non servono certamente divisioni e ostacoli impenetrabili per ideologia, neanche quelle nobili nell’approccio dell’offerta basata sul gender, oggi a mio parere un concetto davvero antiquato poiché esiste l’umanità e non i diversi gender.

Se non stiamo attenti andremo a cannibalizzare ancor più di quanto già accaduto  i mercati: da una parte lasciando che le grandi industrie Spa e la GDO si appropriano del  lavoro degli artigiani e dall’altra che anche tra di noi ci dividiamo con situazioni che non sono assolutamente veritiere e comunque non connesse alla felicità del consumo reale di ogni diversa cultura nel gusto.

La medesima affermazione di diversità del gusto e di  richiesta culturale, sempre se consapevole però, può essere certamente suggerita, anche con riferimento alla differenza tra Londra Sud e Londra Nord, proprio ai fini dei diversi piaceri nel caffè espresso.

La carta dei caffè nella ristorazione è solo marketing?

Il problema nella ristorazione con così tante scelte non è legato alla cialda, come si pensa erroneamente, ma è invece legato al grano e anche alle troppe offerte di filter coffee, moka, o i grani,  che dovrebbero invece essere fresche di tostatura.

Quindi il problema è in primis uno di freschezza (visto il poco volume dei caffè venduti nella ristorazione e di turn over. Questo problema esiste di fatto sia con il caffè espresso in cialda e come con i grani e con i filter). Inoltre i filter nella ristorazione richiedono troppo tempo per le preparazioni.

Se poi mettiamo in conto che, nella ristorazione, ti puoi ritrovare facilmente con 4 persone che rimangono a fine cena a sorseggiare uno o due filters e con lo staff di sala che è costretto a rimanere ad attendere… si ha un aumento dei  costi del personale notevole. A quanto dovrebbero vendere i filters nella ristorazione per coprire questi costi?

La moka nella ristorazione è ancora peggio dei filters, poiché a parte i tempi delle preparazioni, vi è anche un problema di saperla fare bene, di essere certi che non si utilizzano macchine in allumino per la salute e anche di servizio e sicurezza; e comunque nè la moka nè i filter sono caffè espresso e il cliente della ristorazione in Italia richiede l’espresso.

La moka e i filter sono più appropriati per il consumo famigliare o nelle attività per momenti di relax.

Se la carta dei caffè è un concetto terribile in merito alle troppe referenze e alla freschezza del caffè dalla data di tostatura, questo concetto presumibilmente errato non è causato dal monoporzionato ma è  fuorviante e falloso per un qualsiasi tipo di estrazione viste le troppe referenze.

Di fatto è proprio il contrario e cioè che il monoporzionato, in particolar modo la cialda è l’unico approccio possibile in un concetto di avere diverse referenze per il caffè espresso nella ristorazione, poichè, se proposta in due o tre varianti, la cialda  può aiutare a rendere il menu dei caffè espresso proponibili con maggiore facilità e con ottimo risultato in tazza.

Ovviamente la cialda è solo un “involucro e non una categoria”, quindi la cialda deve essere analizzata, non su preconcetti pilotati per interesse di vendere il filtro o la moka o i grani ben sapendo che con quest’ultimi nella ristorazione è difficile avere la migliore qualità in tazza in modo costante, ma al contrario, si deve valutare l’esperienza in tazza, cialda per cialda, campione per campione, poichè le cialde sono tutte diverse in funzione a come sono state prodotte nella scelta delle  materie prime e negli sviluppi in torrefazione.

Ci sono grani, filters e moka che sono buoni e anche davvero terribili. Quindi non capisco perchè discriminare se non per collusioni di parte.

Se non fai specialty lavori male?

Se la cialda, per esempio, utilizza materia prima nobile, 100% Arabica, di fresca raccolta, colta a mano sulla appropriata maturazione, esente da difetti in selezione e se è tostata appropriatamente, se è fresca nel crudo e nella tostatura, e se viene consegnata in piccoli lotti prodotti su misura il problema non si avverte, ma al contrario, si arriva ad una tessitura davvero incredibile e con una struttura esente da bolle e bollicine, ( vellutata ) che non si apre in tazza  per 6 minuti, il tutto senza Tobusta.

Nella ristorazione dove vi è poco volume, dove molti non hanno La Marzocco GS3 o macinini On Demand (con o senza bilance incorporate), è sempre meglio un’ottima cialda poichè lo staff della ristorazione, spesso non è preparata a fare lavorare bene queste tipologie di macchinari per grani e a mettererle a punto diverse volte al giorno.

Spesso anche con la cialda ( e non invece al contrario la capsula ) si riesce a battere un caffè Specialty o un ottimo caffè commerciale Specialty, estratto in espresso da macchine a grani nella ristorazione, perchè la cialda se davvero ottima , elimina tutti i problemi legati al non aver il volume di caffè espressi estratti nella ristorazione e al non avere macchinari di ottima fattura o precisione e/o, uno staff adeguato.

Pensate che spesso trovo macchine a grani importanti con macinini On Demand importanti nella ristorazione, ai quali il torrefattore ha messo una vite per fissare la ghiera della macinatura in un punto specifico, rendendola non regolabile, visto che forma lo staff del ristorante con la convinzione che la macinatura può essere controllata ogni due o tre settimane o affinchè passerà a consegnare il caffè la prossima volta.

Le cialde se ben prodotte dovrebbero dare un risultato in tazza come, o meglio, di uno specialty o un ottimo caffè commerciale speciale selezionato.

Questo dettaglio del barista non ben formato, (seppur è più semplice formare con la cialda quando a confronto con il grano), credetemi esiste anche con le cialde, poichè anche con le cialde ci vuole formazione. Si: il barista può fare la differenza in bene o in male anche con le cialde.

Pane e vino: la loro storia è comparabile all’espresso?

La storia di questi due alimenti, ove si stressa l’importanza del concetto di nutrizione, è vera sia nel vino e come nel pane e come nel caffè. Io da sempre parlo di caffè espresso in termini di nutrizione, alimentazione e salute ma nel caffè, se si vuole godere di queste affermazioni, si deve porre l’attenzione al fatto che le procedure a valle per arrivare al godimento nel caffè espresso sono molto diverse quando messe a confronto con il mondo del vino e del pane.

Il pane e il vino sono prodotti finiti e non semilavorati e sono quindi più facilmente utilizzabili nel migliore stato finito.

Il caffè espresso invece è altamente modificato in male o in bene, in funzione a mille variabili anche da tazzina a tazzina, immaginiamoci da attività a attività, se solo prendessimo un esempio dall’acqua utilizzata, dalle differenze dei macchinari, del caffè utilizzato e dei diversi baristi e non dimentichiamoci dell’altitudine e della pressione barometrica oltre all’umidità.

Inoltre il caffè espresso è molto identificato nel gusto con una cultura locale antropologica e nella memoria olfattiva esperienziale, (quando a confronto con il pane e il vino) i quali si prestano molto più facilmente alla scoperta del nuovo e del diverso.

Se parliamo poi solo degli specialty, come materia prima, come stile di tostatura e come aroma, struttura e gusto, questi, mi preme ricordare, che sono stati creati ad origine per i soft coffees e non per l’estrazione con il caffè espresso.

Se inoltre parliamo di fermentazioni controllate aerobiche o anaerobiche ( anaerobiche ancora peggio, poiché la fermentazione è molto più lenta, si tirano fuori più alcol, zuccheri  e acidi), allora ancor più, questo tipo di prodotto, oltre alla novità del racconto, di fatto in tazza possono andare più che bene con i soft coffee per alcuni palati,  ma con gli espresso questi stili di caffè anglosassoni, vengono esasperati non piacciono a molti in Italia.

Quando nel sistema di estrazione specialty , inerente agli espresso, si utilizzano i sistemi ibridi pensati e insegnati dalla Sca, (che i sistemi di estrazione del caffè espresso hanno totalmente modificato i parametri fisici della macinatura, del volume del macinato nel filtro, della pressatura e delle tempistiche di estrazione ), il problema è ancora maggiore poichè il nostro dna seppur volendoci migliorare e divenire più consapevoli e aperti, respinge il consumo frequente di questi gusti e aromi esotici che non appartengono al nostro piacere quotidiano della cultura antropologica del caffè.

La situazione in Italia sul gusto risultante può parlare di diverso, perché da una parte il Bel Paese ha davvero tanti caffè penosi da decenni e decenni, e dall’altra è rimasta nostalgia di caffè imbevibili per mille ragioni e dall’altra ancora l’italiano ama le tendenze o le mode, ma….le innovazioni e le novità devono portare piacere.

L’innovazione da sola,  questo è certo, alla lunga non è preferita, né in gusto né in retrogusto, nè in prezzo a giustificare un utilizzo di frequenza giornaliera e in diversi momenti della giornata a cambiare una cultura del gusto; anche perché l’espresso così estratto spesso non è riconoscibile né come tale né come moka, né come filter, è un espresso ibrido, un caffè Hot Rod, che piace agli anglosassoni con poca cultura sul caffè espresso.

Le piccole macchinine con macinini integrati che macinano dal fresco sono meglio delle cialde?

Per cominciare, queste macchine non offrono macinini e pompe importanti sia come tipologia di materiali e costruzione e come controlli.

Su questi macinini, inseriti (o meglio integrati all’interno delle carrozzerie delle macchie del caffè),  oltre al problema della temperatura al quali i grani sono esposti mentre nelle campane, non si riesce a controllare la macinatura in modo millesimale e neanche la dose del caffè macinato nel portafiltro.

Le lame di taglio di queste tipologie di macinini,  per tipo di metalli, durezza e angoli di taglio, non donano una macinatura costante e fine abbastanza per il caffè espresso.

I pressini idraulici o idromeccanici e /o elettrici inseriti in queste piccole macchine, non pressano con i kg al cm2 necessari per l’estrazione corretta del caffè espresso.

Le pompe hanno spesso sistemi pulsanti, On e Off, o altri sistemi, i quali in qualche modo gonfiano i caffè per dargli più corpo inteso come quello che l’occhio vede snaturandoli sia in gusto e come in struttura e tessitura.

In queste tipologie di macchine inoltre, (rimuovendo loro in automatico la posa del caffè estratto), non si può andare fine come si dovrebbe in macinatura perché, se lo si facesse, le macchine e i loro sistemi di evacuazione della posa, sarebbero sempre da pulire per sbloccare il caffè macinato estratto, poichè appunto otturate.

La data di torrefazione è indispensabile?

No. Quanti caffè sono presenti con date di torrefazione ( vedi gli Specialty nella GDO ) e poi li andiamo ad aprire e sono ossidati o sono vecchi per decomposizione organica?

Ciò che conta è che il caffè sia tostato solo su ordinazione e se ciò fosse davvero eseguito, seguirebbe come logica che la data di torrefazione deve essere quella  appena dopo la data di ordinazione.

Inoltre si deve dare uno shelf life molto ristretto in numeri di giorni e si deve vendere poco caffè alla volta per ogni cliente.

Quindi se ci tieni davvero alla qualità non tieni conto solo della comunicazione fuorviante della data di tostatura ma, al contrario, non vendi alla GDO e non hai caffè tostato in inventario, e fai attendere la clientela per ricevere il loro caffè ordinato fresco solo per loro .

Le valvole unidirezionali funzionano davvero per mantenere la freschezza?

Le valvole unidirezionali (che da una parte consentono di introdurre il caffè tostato nelle buste immediatamente dopo la tostatura, e da una parte rilasciano il CO2 dall’interno della busta facendo uscire l’aria dall’interno del sacchetto e non facendo entrare l’aria nel sacchetto dall’esterno), sono teoricamente corrette ma nella realtà sono estremamente  fuorvianti.

Intanto portano il consumatore a pensare che con le valvole sulla busta il caffè rimane fresco a lungo, cosa non vera.

Di fatto a parte il problema dell’ossidazione esiste anche il problema fisico chimico della decomposizione organica del tessuto vegetale del caffè tostato, il quale non è fermato dal non avere l’ossidazione.

Inoltre mentre queste valvole unidirezionali fanno uscire il CO2 , portano al di fuori della busta oltre al CO2 anche il 50% del valore del CO2 espulso in aromi volatili.

Negli anni ’80 facemmo una prova comparativa con queste valvole andando a confezionare il caffè appena dopo la tostatura in una sacchetto senza valvola applicando con degli aghi un sistema con la foratura dei sacchetti con dei piccoli fori mirati e equilibrati in funzione al tipo di tostatura e al volume del caffè nella confezione per agire come valvole naturali.

Questo tipo di pack, se lo gestivamo bene nella tempistica del prodotto inteso come fresco, funzionava molto meglio delle valvole unidirezionali anche in merito all’estrazione del caffè espresso.

Ovviamente rimaneva di fondamentale importanza tostare all’ordinazione e non vendere alla GDO o avere caffè tostato in magazzino.

Le confezioni in lattina rigide con valvole unidirezionali di maggiore struttura quando a confronto con una qualsiasi busta, funzionavano molto meglio delle buste flessibili con valvole, in merito al mantenimento degli aromi.

Questa miglioria si aveva soprattutto se si utilizzava un sistema per evacuare l’aria e sostituirla con azoto ad alte pressioni, per l’appunto con un involucro molto rigido e strutturato il quale aiutava a respingere il CO2 all’interno del grano.

Così facendo più aromi erano mantenuti, meno si riscontrava trasudazione, e i pori del grano venivano aperti di meno quando in confronto con il sacchetto pouch con valvola.

I miglioramenti dei contenitori rigidi con valvole funzionavano e funzionano molto meglio dei sacchetti flessibili con le valvole ma solo se si considerava il profumo all’apertura del barattolo o confezione poichè la verità era e rimane che pochi minuti dopo l’apertura della confezione , i meravigliosi aromi scaturiti all’apertura svanivano totalmente appiattendo il caffè.

Nulla sostituisce la freschezza e nulla più aiutare la freschezza che si esprime in quell’esperienza meravigliosa durante la logistica e nei grandi volumi.

Il caffè espresso fresco appena dopo la tostatura è il massimo dell’esperienza?

Non proprio. Se parliamo di estrazione in espresso, il caffè deve riposare per qualche giorno ( 1-2 )  prima di essere confezionato: questo per rendere l’estrazione del caffè espresso più controllabile e qualitativa negli aromi, nel gusto e nella struttura.

Il numero di giorni di attesa varia dalla materia prima utilizata, dalla curva di tostatura e dalla curva di raffreddamento.

Sarebbe auspicabile quindi di accogliere l’ordine,  produrre il caffè tostato fresco, confezionare appena dopo aver tostato e utilizzare i giorni di logistica o di inventario disponibile dal cliente finale per fare “curare il caffè e perdere una buona parte del CO2 creato durante la composizione organica durante la tostatura”.

In caso si utilizzasse un gas inerte ( ai fini di mantenere quasi completamente inalterato il caffè fresco per qualche giorno ) durante il confezionamento, si necessiterà di attendere 24 ore prima di estrarre il caffè espresso.

Il costo degli strumenti e macchinari è il minimo che un professionista dovrebbe pensare di investire per se

Non dimentichiamoci il costo della manutenzione e pulizia appropriata, della qualità dell’acqua e dei sistemi di filtraggio, dei ricambi costosi, della revisione annuale, della formazione. Fosse solo il costo degli strumenti il problema!

Se il torrefattore ti da la macchina a grani in comodato d’uso non avrai la macchina migliore e non avrai la migliore manutenzione della macchina.

In sintesi pagherai un tot al kg per il costo di finanziamento sulla macchina del caffè e sugli accessori e non sarai libero di cambiare il caffè quando vorrai.

Oggi purtroppo anche i grandi industriali, le Spa, danno in comodato d’uso macchine di pregio come per esempio la La Marzocco andando ad aggiungere poi una comunicazione del tipo; “caffè solo per la ristorazione…oppure caffè solo per la pasticceria…”, e poi assaggi il caffè e sa esattamente come un caffè industriale può essere ….con tutta la macchina e il macinino di pregio.

Concludo comunicando che i macinini On Demand sono una grande opportunità ma anche un grande problema se non si presta attenzione. Di fatto questi macinini hanno una relazione inversa tra macinatura e dosaggio del caffè macinato nel portafiltro e spesso i baristi modificano la macinatura e non modificano invece la dose macinata.

I nuovi macinini On Demand con bilance integrate per il peso aiutano non poco, ma anche lì ci vuole attenzione: questo perchè basta che si tocca la bilancia mentre si lavora sfiorandola con il portafiltro ed ecco che si compromette la dosatura e di seguito l’estrazione del caffè espresso”.

Ecco perché il modello Starbucks segna il passo anche nel mercato cinese

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Il logo di Starbucks

MILANO – Il confronto fra le trimestrali di Starbucks e Luckin Coffee è sotto certi versi impietoso. La più grande catena di caffetterie del mondo ha concluso i 3 mesi al 30 settembre con ricavi in calo del 3%, a 9,1 miliardi, e con una flessione delle vendite a parità di perimetro del 7%. Luckin ha visto lievitare i suoi ricavi del 41%, a 1,4 miliardi di dollari, con un incremento del 32% dell’utile netto, pari a 182 milioni di dollari.

Tornando a Starbucks, l’ultima trimestrale è stata la terza consecutiva in territorio negativo: vista la mala parata, il colosso di Seattle aveva provveduto già la scorsa estate a giubilare, a un solo anno dall’entrata in carica, il ceo Laxman Narasimhan sostituendolo con Brian Niccol, già amministratore delegato di Taco Bell e Chipotle.

A frenare il motore della crescita è stato innanzitutto il mercato nord americano, sul quale Starbucks realizza il 70% del suo business.

Qui, lo scontrino medio è aumentato del 4%, ma il traffico nei negozi ha segnato il passo a parità di perimetro, con una flessione del 10%, che ha determinato un calo delle vendite del 6%. In Cina – secondo mercato di Starbucks, dopo il nord America – i ricavi sono cresciuti del 6%, a 780 milioni.

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Ricerca Ipsos sul cibo e le generazioni: vince una tradizione fluida

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Francesca Spadaro, psicologa e neuroscienziata (immagine concessa)

MILANO – Fra piatti della tradizione, voglia di innovazione e nuove abitudini, come viviamo la cucina oggi? Knorr, giunta alla sesta edizione del progetto BuonCibo, ha messo a confronto quattro generazioni con una ricerca[1] di Ipsos, che ha dimostrato quanto teniamo a preservare la nostra eredità gastronomica ma che le ricette cambiano e le tradizioni si evolvono seguendo le generazioni[2].

 Oggi, secondo la ricerca, il 68% degli intervistati realizza i piatti tradizionali con ricette semplici, approvati pienamente dal 60% della GenZ. Mentre, sempre in tema di tradizione, il 55% della totalità del campione non vuole mettere in discussione le ricette ereditate dalla nonna e il 40% cucina secondo le proprie ricette Per Francesca Spadaro, psicologa e neuroscienziata: “Dai più agée ai più giovani, tutti amano seguire la tradizione, ma inevitabilmente ognuno mette del suo in ogni piatto, gesti diversi, conoscenze attuali, nuovi strumenti. Tutto questo permette di mantenere vivo il passato nel presente e nella memoria dei singoli e lo rende meno anacronistico, più contemporaneo, atto a continue rigenerazioni. Per questo eterno”.

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Mariangela Capolupo, head of marketing nutrition, Unilever Italia (immagine concessa)

Il tempo speso in cucina, è chiave: per la preparazione dei piatti il 53% della GenZ ci passa dai 15 ai 30 minuti, mentre il 42%, soprattutto dai Millenials ‘in avanti’, si impegna dai 30 minuti a 1 ora. Dalla generazione che ‘ama interpretare’, a quella del “rendiamo tutto più semplice e più sano”, solo un punto d’incontro: i piatti della tradizione, individuati da tutte le generazioni come il buon cibo. Sono identitari, raccontano di noi e dell’evoluzione di un nuovo stile di vita che, semplificando l’elaborato, dando più verve alla tradizione, esprimendo la nostra creatività (e anche un po’ il nostro ego), parlano dei nostri valori.

Temi rilevanti per il progetto BuonCibo Knorr, come spiega Mariangela Capolupo, head of marketing nutrition, Unilever Italia: “La nostra non è una sfida nuova ma una missione di sempre: far convivere la ricchezza della tradizione con le esigenze in evoluzione delle persone. È una visione che ci guida da anni, ma oggi più che mai, abbiamo sempre meno tempo per cucinare e, allo stesso tempo, cresce il desiderio di semplificare, scegliendo però soluzioni sostenibili per il pianeta. Grazie anche al programma BuonCibo portiamo avanti l’ambizione di rispondere a queste necessità in maniera sempre attuale perché crediamo in un futuro dove le persone possano godere dei piaceri della cucina tradizionale, con un occhio attento alla sostenibilità e all’innovazione”.

Ma il cibo vuole dire anche memoria. I Baby Boomers (41%) e GenerazioneX (38%) ritrovano l’autenticità nei piatti tradizionali che rappresentano un tuffo nel passato e nei sapori di un tempo, rievocando – per il 32% dei Baby Boomers e per il 36% della GenerazioneX – ricordi piacevoli dell’infanzia. La voglia di stare in famiglia è invece evocata dalle lasagne (57%), dai dolci fatti in casa (49%) e dalla pasta al forno 48%.

Il desiderio di riformulare alcune preparazioni è ciò che separa davvero le generazioni, dimostrato dall’impulso alla sperimentazione della GenZ che vorrebbe esprimersi per il 24% soprattutto nel minestrone e il desiderio per il 32% dei Baby Boomers di non modificare le ricette tradizionali. Il risotto, punto fermo delle domeniche familiari, è ritenuto per il 28% degli italiani il piatto mutabile per eccellenza, nella top 5 dei piatti da rivisitare perché si presta maggiormente a reinterpretazioni moderne.

 Commenta Francesca Spadaro: “I Millennials e la GenZ hanno qualche inevitabile punto di contatto, come la dinamicità di chi è nato o cresciuto in un mondo ibrido e condividono la distanza dai ‘grandi’, ma in realtà presentano grandi unicità. I Millennials hanno conosciuto culture diverse, assaggiato gusti e sapori. In cucina sono cresciuti nell’era della ascesa del fenomeno food e delle più profonde riflessioni su ciò che è sano e giusto. Oggi le loro scelte (e le loro ricette) sono guidate dai princìpi di salubrità, qualità e trasparenza. Le ragazze e i ragazzi della Gen Z sono aperti alla contaminazione e allo scambio”.

 Inevitabilmente ogni generazione apporta cambiamenti e varianti dando nuovo significato alla tradizione che non appare più statica ma fluida. Ed è così che i piatti, anche – o forse soprattutto – quelli più legati alle nostre abitudini, cambiano da una generazione all’altra.

[1] La ricerca di Knorr, condotta da Ipsos, ha coinvolto 650 persone rappresentative della popolazione italiana.

[2] GenZ: 18-27 anni; Millenials: 28-43 anni; GenerazioneX: 44-59 anni; Baby Boomers: 60-65 anni.

Vending: inflazione e smart working rallentano la crescita, fatturato al meno 1,7 per cento

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Il presidente Massimo Trapletti (immagine concessa)

MILANO – Dopo due anni consecutivi positivi il settore della distribuzione automatica – per cui il nostro Paese è leader a livello internazionale – da gennaio a settembre del 2024 registra la prima frenata sia di fatturato (-1,77%,) sia di consumazioni (-3,41%): in termini assoluti, il ricavato si attesta a 1,19 mld di euro mentre le vendite a 2,9 mld.

È quanto emerge dalle anticipazioni sullo Studio sul settore della distribuzione automatica realizzato da Ipsos per CONFIDA, Associazione italiana distribuzione automatica, l’unica associazione di categoria che rappresenta a livello nazionale il comparto.

Il calo dei consumi: inflazione e smart working

Secondo recenti studi emerge che, contrariamente al percepito, il lavoro da remoto in Italia nel 2024 non ha subito una battuta d’arresto ma è anzi stabile con oltre 3,55 milioni di lavoratori che lo praticano, e con stime di crescita per il 2025[1].

Questo influisce negativamente sul comparto dato che le vending machine si trovano principalmente nelle pubbliche amministrazioni, negli uffici, oltre che nelle scuole e negli ospedali.

Inoltre, nonostante la distribuzione automatica sia tra i settori che ha aumentato di meno i prezzi al consumo, i gestori si sono ritrovati ad affrontare da un lato la crescita dei prezzi delle materie prime (specialmente del caffè che rappresenta il 57% delle consumazioni del settore), e dall’altro il ridursi delle consumazioni a causa della contrazione del potere d’acquisto degli italiani per via dell’inflazione.

Specchio di questa situazione l’andamento dei consumi nei primi nove mesi del 2024: il caffè, da sempre re delle consumazioni alle vending machine, perde il -2,92% rispetto al medesimo periodo del 2023.

Male anche le bevande fredde (acqua minerale naturale e altre bevande fredde) che registrano un calo del 3,65%, gli snack (-2,81%) e i gelati (-34,35%). I prodotti a registrare un andamento positivo sono gli energy drink (+0,89%), le bevande a base di frutta con bassa (+8,95%) o alta (+3,12%) concentrazione di frutta, gli snack dolci (+4,77%) e salati (+0,52%), e il confectionery (+5,21%).

Transizione 5.0: CONFIDA chiede una semplificazione al Ministero

La riduzione dei consumi, insieme all’aumento dei costi delle materie prime e dei prodotti e alla diminuzione degli incentivi dell’Industria 4.0, ha ridotto anche la vendita delle vending machine (-20,9% nei primi 6 mesi del 2024) che sono fabbricate in Italia ed esportate in tutto il mondo.

Pertanto, l’accesso ai nuovi incentivi del piano Transizione 5.0 rappresenterebbe un’importante occasione per il settore del vending. Purtroppo, però, quest’ultimo contiene delle difficoltà burocratiche e interpretative che ad oggi rende impossibile per le aziende del settore accedere agli incentivi.

Tutto questo nonostante il fatto che da anni, la distribuzione automatica sta vivendo una vera e propria rivoluzione digitale: il  30% delle oltre 830mila vending machine d’Italia è dotato di app di pagamento; molte delle macchine di nuova generazione sono dotate di schermi touch (+ 20% solo nell’ultimo anno), sono interconnesse con l’azienda di gestione e in grado di ridurre i consumi energetici sia attraverso l’utilizzo di gas più sostenibili sia con una migliore coibentazione della macchina.

“Le imprese di gestione del vending sono state inserite a pieno titolo tra i beneficiari del Piano di Transizione 4.0 – commenta Massimo Trapletti, Presidente di CONFIDA – Oggi però, pur avendo tutte le caratteristiche per rientrare anche nella Transizione 5.0, comprese quelle di risparmio energetico, non vi possono accedere a causa di alcune disposizioni fortemente restrittive e di difficoltà interpretative. Chiediamo pertanto al Ministero delle Imprese una semplificazione per salvaguardare una produzione importante del nostro Paese che è un simbolo di eccellenza anche all’estero, qual è quella delle vending machine e per rilanciare l’innovazione in un canale distributivo alimentare che conta più di 3.000 imprese e oltre 33mila occupati in tutta Italia”.

“La distribuzione automatica non è più soltanto una questione di “pausa caffè”. Il vending oggi è competenza, innovazione e sostenibilità e sta sempre più andando verso “un vending 5.0”, competitivo, moderno e responsabile. – dichiara Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio – Certo l’accesso all’innovazione non è sempre privo di ostacoli. Penso al Piano Transizione 5.0, che è uno strumento di grande potenzialità. Talvolta, però, le imprese della distribuzione automatica, a causa delle loro specificità e delle complessità burocratiche del piano, incontrano delle difficoltà nell’accedere ai benefici. È fondamentale, quindi, lavorare insieme per superare queste barriere e creare un sistema di supporto che faciliti l’accesso ai finanziamenti e alle agevolazioni.”

Mancanza di competenze: CONFIDA lancia con Randstad un progetto di recruiting e formazione

In un contesto di mercato già complesso, si aggiunge anche la cronica mancanza di personale specializzato nel settore e in particolare di due figure professionali che rappresentano circa il 70% delle risorse umane impiegate in un’impresa di gestione del vending: gli addetti al rifornimento e i tecnici manutentori dei distributori automatici. Da un recente studio condotto da CONFIDA in collaborazione con l’agenzia per il lavoro Randstad è emerso che la maggior parte di queste figure (56%) si ricercano al Nord e che le prime cinque regioni con maggior necessità di collaboratori sono a Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Piemonte e il Lazio.

Per cercare di risolvere questa problematica, CONFIDA insieme a Randstad ha dato vita ad una campagna di recruiting in tutta Italia, seguita poi dall’organizzazione di corsi di formazione gratuiti finanziati dal Fondo Formatemp. In uno scenario caratterizzato da un tasso di disoccupazione basso (6,8%) e un numero di occupati in crescita, il progetto contempla anche alcuni aspetti sociali molto rilevanti, quali iniziative di mobilità territoriale (favorire il trasferimento dei lavoratori dalle zone in cui c’è più offerta di lavoro a quelle in cui c’è più domanda), di recruiting e formazione di personale proveniente da Paesi extra europei oltre a opportunità per ex detenuti.

La scheda sintetica di CONFIDA

Costituita il 13 luglio del 1979, CONFIDA è, a livello nazionale, l’unica associazione di categoria che rappresenta i diversi comparti merceologici dell’intera filiera della Distribuzione Automatica di alimenti e bevande. Aderisce a Confcommercio – Imprese per l’Italia e, nell’ambito UE, è partner di EVA (European Vending & Coffee Service Association).

[1] Osservatorio Smart Working 2024 della School of Management del Politecnico di Milano

Nescafé: “Un italiano su due gusta il cappuccino come premio per aver detto di no a qualcuno o a qualcosa”

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nescafé
L'indagine Nescafé (dati concessi)

MILANO – Il World Cappuccino Day, che si celebra l’8 novembre, è la giornata in cui festeggiare con tutti i cappuccino lover una bevanda unica, la coccola calda che dal primo all’ultimo sorso avvolge il palato con schiuma, latte e note di delizioso caffè. Nescafé per l’occasione presenta la nuova campagna “Say YES to CappucciNO” che promuove il concetto di pausa per cui vale la pena dire “no” a qualcuno o qualcosa, concedendosi lo spazio personale per rivalutare le proprie priorità.

Nescafé per il World Cappuccino Day

In parallelo ha commissionato a AstraRicerche, Istituto di ricerche sociali e di marketing, un’indagine sulla capacità degli italiani di dire sì o no sia nelle grandi che nelle piccole decisioni.

I numeri di questa survey parlano chiaro: 1 italiano su 2 (50,1%) gusta il cappuccino non solo come routine quotidiana ma come “premio” e “momento di relax” dopo aver detto no a qualcuno o qualcosa.

Ma non solo, l’indagine ha evidenziato anche come dire serenamente “sì” oppure “no”, in una decisione anche se di semplice vita quotidiana, non sempre è facile, e per capire cosa fare e come vivere al meglio la situazione l’80,3% degli italiani tende a ragionare molto invece di seguire l’istinto (25,8%).

Per 8 italiani su 10 dire “sì” anche se si vorrebbe dire “no” è una circostanza comune (e per il 27,5% è molto frequente), principalmente per mantenere buone relazioni (58,7%) o evitare scontri in dinamiche di gruppo (47,2%). Contrariamente al sentito comune risulta più difficile dire “no” alle persone care (60,7%), che ai superiori, ai capi, agli insegnanti (31,7%).

Per il 22,8% degli italiani i “sì” detti al posto dei “no” che avrebbero voluto dire, suscitano emozioni positive come soddisfazione e orgoglio. Questo perché pensano che un “sì” indesiderato sia segno di intelligenza relazionale (50,4%), o almeno di apertura mentale nell’accettare di fare qualcosa che a prima impressione sembra negativa (46,6%) o non interessante.

“Dire NO quando si vuole dire SÌ per molti italiani è un modo per rafforzare o costruire relazioni positive, ma anche una via per aprirsi al provare qualcosa di nuovo che – a prima impressione – potrebbe sembrare poco interessante per sé; un atteggiamento che ‘accoglie’ le altre persone e che ‘accoglie’ anche quella parte di noi che vuole fare nuove esperienze” – ha commentato Cosimo Finzi, Direttore di AstraRicerche.

Inoltre, 3 italiani su 4 (72.1%) affermano di avere bisogno di un momento di pausa come occasione imprescindibile per rigenerarsi. La pausa è spesso vissuta come momento di gioia solitaria anche se gli altri stanno facendo qualcosa di interessante (JOMO) per l’82,7% degli intervistati. Si tratta di una forma di disconnessione dalle relazioni intesa come distacco dal mondo digitale e di social networking (73,5%) o dalle uscite con amici, familiari, conoscenti (69,5%).

Ma non c’è solo JOMO: in misura minore (49,1%) c’è anche FOMO, il timore di perdersi qualcosa che altri fanno: i più giovani (15-29anni) sono nettamente sopra la media (64%) rispetto ai 30-39enni (55%) ma soprattutto rispetto ai 50-65enni (solo 40%).

“Nel mondo contemporaneo iperconnesso e iperdenso di stimoli emerge fortemente il bisogno di avere momenti tutti per sé, che sul piano emozionale si traducono in un senso di gioia – afferma Patrizia Martello, esperta di culture di consumo e docente di Ricerca Sociale in IUAV a Venezia e NABA a Milano. La JOMO, che significa proprio la gioia di non esserci, sta diventando più forte della paura di disconnessione dagli altri e perdita delle cose interessanti che stanno facendo, (FOMO) che invece ha caratterizzato tutta la prima ondata vertiginosa della nascita e sviluppo dei social. Questo trend che sposta i pesi da FOMO a JOMO vale più con i maturi che con i giovani perché non è facile trovare un equilibrio di benessere personale tra esserci abbastanza senza esserci troppo, tra il flusso costante della vita social e il qui e ora: non è solo una questione di età, ma anche un tema generazionale.”

Il ruolo della pausa è fondamentale per ‘staccare’ dai continui contatti (82,6% almeno a volte, 40,6% spesso o molto spesso) ed è rimedio perfetto per ricaricare le batterie (87,1%); la prima scelta è gustare la propria bevanda preferita (43,1%) come il cappuccino, la seconda camminare (soprattutto per i meno giovani) e la terza fare piccole azioni rilassanti (soprattutto per le donne).

“Abbiamo voluto esplorare la complessità delle decisioni quotidiane degli italiani, tra il desiderio di dire “no” e la tendenza generale a dire “sì” per mantenere relazioni armoniose – afferma Diletta Golfieri marketing manager di Nescafé – Da questo quadro, il cappuccino emerge come un attimo di pausa e conforto. Il rifugio ideale per chi, anche solo per un istante, desidera mettere al centro sé stesso, ricaricandosi con un momento di relax e piacere ed è proprio questo aspetto che abbiamo voluto mettere al centro della nostra comunicazione”.

A supporto del bisogno di dire “NO” voluti e desiderati, Nescafé lancia la sua nuova campagna “Say YES to CappucciNo”, che con uno spot televisivo racconta attraverso diversi soggetti, il concetto di pausa per cui vale la pena dire “no” a qualcuno, prendendosi lo spazio personale di rivalutare le proprie priorità e prendere la decisione attiva di dire “sì” a ciò che conta. Contemporaneamente, sugli scaffali si rinnovano i barattoli della gamma Nescafé Cappuccino con il nuovo packaging riciclabile, che racconta l’impegno del brand in fatto di sostenibilità: caffè 100% proveniente da fonti responsabili e supporto ai coltivatori nel migliorare le loro terre e le loro condizioni di vita.

La scheda sintetica del Gruppo Nestlé

Il Gruppo Nestlé, presente in 187 Paesi con più di 2000 marche tra globali e locali, è l’azienda alimentare leader nel mondo, attiva dal 1866 per la produzione e distribuzione di prodotti per la Nutrizione, la Salute e il Benessere delle persone. Good food, Good life è la nostra firma e il nostro mondo.

Presente da più di 110 anni in Italia, rinnova ogni giorno il suo impegno con azioni concrete per esprimere con i propri prodotti e le marche tutto il buono dell’alimentazione.

L’azienda opera in Italia in 9 categorie merceologiche con un portafoglio di oltre 90 marche, tra queste: Meritene, Pure Encapsulations, Vital Proteins, Optifibre, Modulen, Solgar, S.Pellegrino, Acqua Panna, Levissima, Bibite e aperitivi Sanpellegrino, Purina Pro Plan, Purina One, Gourmet, Friskies, Felix, Nidina, Nestlé Mio, Nespresso, Nescafé, Nescafé Dolce Gusto, Starbucks, Orzoro, Nesquik, Garden Gourmet, Buitoni, Maggi, Perugina, Baci Perugina, KitKat, Galak, Smarties, Cereali Fitness.