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L’enigma del gelato infine svelato dalla moderna fisica dell’alimentazione

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MILANO – Nel 1991 il francese Pierre-Gilles de Gennes vinse il premio Nobel per la fisica: grazie ai suoi studi, ne sappiamo di più su moltissimi materiali, sugli schermi Lcd e… sul gelato.

Perché prima delle ricerche di de Gennes e della sua definizione di “materia soffice”, uno degli alimenti più famosi del mondo rimaneva, per la scienza, un piccolo enigma.

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Né solido né liquido, freddo ma non ghiacciato, difficile da ottenere e complicato da conservare: ma allora che cos’è, in real­tà, il gelato?

Stato speciale

Il gelato artigianale sembra un prodotto semplice: latte e/o panna, zucchero, più il “gusto” (frutta, cioccolato…). E le uova se è “di crema”. Il tutto, mescolato e raffreddato.

«Eppure il gelato è una miscela complessa, che si trova in uno stato della materia studiato solo di recente, quello “soffice”» spiega Davide Cassi, docente di fisica dell’alimentazione all’Università di Parma e autore del libro Il gelato estemporaneo e altre invenzioni gastronomiche (Sperling & Kupfer)

«In pratica, è la coesistenza di 3 miscugli: una sospensione, un’emulsione e una schiuma» dice Cassi. La prima è formata da un liquido (la parte acquosa del latte, la frutta, lo sciroppo…) che ha all’interno particelle solide: i cristalli di ghiaccio.

«L’emulsione è data invece dalla presenza dei grassi, liquidi o semiliquidi, presenti nel latte o nell’uovo. E la schiuma deriva dall’inglobamento di bollicine d’aria alla massa semiliquida» spiega Cassi.

Girato e rigirato

Sono queste bollicine le responsabili della sensazione di velluto sulla lingua tipica di alcuni gelati artigianali e molto marcata in quelli industriali tipo soft: «Nel caso dell’artigianale, l’aria è introdotta mescolando vigorosamente gli ingredienti durante il raffreddamento: è il lavoro che una volta si faceva a mano e che oggi fanno le macchine gelatiere, grazie alle speciali pale che fanno salire e ricadere l’impasto durante la rotazione» spiega Luciano Ferrari, maestro gelataio della Gelato University nata nell’azienda Carpigiani di Anzola Emilia (Bo).

«Il gelato industriale, invece, è prodotto insufflando aria compressa dentro il mix di ingredienti: in questo modo si passa dalla percentuale d’aria intorno al 30% del volume nell’artigianale al 150% dei coni soft» spiega Cassi

Piccolo è meglio

L’aria rimane intrappolata più a lungo nel gelato se oltre alle proteine di latte e uova (che formano una specie di rete) ci sono più grassi (totalmente assenti, invece, nei sorbetti) e qualche emulsionante: «Quest’ultimo ricopre le molecole dei due liquidi insolubili agganciandole le une alle altre: così si crea una struttura che si gonfia d’aria senza collassare» spiega Cassi.

La presenza di molta aria fa anche dimi­nuire la sensazione di freddo sulla lingua. E questo, per il gusto, può essere un vantaggio. Raffreddandosi, nella miscela-gelato si formano cristalli di ghiaccio: più questi cristalli sono piccoli e ben diffusi, meno riusciranno ad anestetizzare le papille gustative della lingua, permettendo di sentire il sapore con la giusta intensità.

Non solo: cristalli piccoli danno alla pasta una consistenza cremosa e non sabbiosa. Ottenerli, quindi, è l’obiettivo dei gelatieri, che sfruttano due tecniche: mescolamento e velocità di raffreddamento.

«L’acqua in movimento di una cascata impiega molto più tempo a formare un blocco di ghiaccio unico rispetto a quella ferma di uno stagno, a parità di temperatura» spiega Dario Bressanini, chimico ricercatore all’Università dell’Insubria a Como. Ecco perché bisogna mescolare con vigore il gelato.

«E il raffreddamento rapido blocca i cristalli prima che abbiano il tempo di crescere». Così, un macchinario che mescola e raffredda tutta la miscela in modo uniforme (intorno ai –15 °C, ma dipende molto dal tipo di gelato) crea il gelato dal gusto (quasi) perfetto.

Superfreddo

Di recente si è scoperto che l’azoto liquido funziona molto bene proprio a questo scopo. A patto di saperlo usare. «Se agli ingredienti del gelato aggiungiamo azoto liquido, che si trova a circa –195 °C, otteniamo due effetti: il raffreddamento ultrarapido e la sua diffusione omogenea in tutta la massa.

Un recipiente refrigerato all’esterno, invece, trasferisce il freddo solo per il contatto delle pareti, costringendo così il gelatiere a rimestare a lungo per mettere in contatto tutto il gelato con la fonte del freddo» spiega Cassi.

Basta quindi preparare gli ingredienti, mescolare e aggiungere la giusta quantità di azoto. Non serve neppure la corrente elettrica necessaria ai frigoriferi.

La prima gelateria italiana a produrre gelato con l’azoto liquido è stata la Sanelli di Salsomaggiore Terme (Parma), oggi seguita da poche altre realtà pionieristiche.

Perché c’è un problema. Non di salute (l’azoto non è tossico ed evapora senza residui), quanto di sicurezza.

Le norme italiane sono molto rigide: la temperatura ultra bassa lo rende un prodotto da maneggiare con cura, perché, se toccato in forma liquida, può provocare ustioni sulla pelle.

Si trasporta in contenitori speciali, molto costosi. E se viaggia in auto, per legge, deve essere accompagnato da uno speciale estintore. Anche se l’azoto stesso è un ottimo gas estinguente…

Mattonella, Addio

Azoto a parte, il gelato artigianale classico agli italiani piace molto. In Italia esistono quasi 38 mila gelaterie artigianali, in media 6 ogni 10 mila abitanti.

E ogni italiano spende circa 7 euro al mese in gelati: più o meno 3 gelati al mese. Un prodotto che gli italiani consumano sul posto (tra coni e coppette) o portano a casa in vaschetta: ottimo al momento, nel freezer spesso si trasforma in una dura mattonella.

Che oltretutto, quando scongela, ha un aspetto decisamente poco gradevole.

«Bisogna conservarlo alla stessa temperatura della produzione, un po’ più alta di quella dei nostri freezer (intorno ai –19 °C).

Se non si può alzare il termostato, meglio mettere la vaschetta in un altro contenitore termico e poi nel freezer» è il consiglio di Ferrari

Fai da te

E se volessimo farlo in casa? Con un po’ di conoscenza scientifica (e tanto allenamento) si può provare anche senza attrezzature speciali.

Basta usare due recipienti: nel primo, più grande, in plastica, terracotta o legno (conducono meno il calore), mettete ghiaccio e sale da cucina.

«Il sale abbassa la temperatura di congelamento al di sotto dello zero, conservando il freddo più a lungo» dice Bressanini.

Non a caso è il trucco che usavano i primi carretti dei gelati di inizio secolo.

Il secondo recipiente, metallico, va messo dentro a quello col ghiaccio: al suo interno si versano pian piano latte, zucchero e la frutta frullata preferita.

Mescolando con un cucchiaio di legno (per 30 minuti!), la crema diverrà una pasta.

«Si può aggiungere una piccola percentuale di glucosio» dice Bressanini. Stabilizza l’acqua, rallentandone il rilascio da parte dei cristalli di ghiaccio. E rendendo il gelato di casa più cremoso.

Carlo Dagradi

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