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Decreto Sostegni: 1.875 € al bar tipo che nel 2019 ha fatturato 150 mila € e ne ha persi 25

Secondo il sindacato dei pubblici esercizi Fipe-Confcommercio si tratta di “Una fragile stampella”

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ROMA – La Fipe torna in campo e di nuovo contro il governo. Sì perché con il decreto Sostegni emanato venerdì scorso dal governo Draghi il ristorante tipo che nel 2019 fatturava 550 mila euro e che nel 2020, a causa degli oltre 160 giorni di chiusura imposti dalle misure di contenimento della pandemia da Covid, ha perso il 30 per cento del proprio fatturato, 165 mila euro, beneficerà di un contributo una tantum di 5.500 euro.

Poco cambia per un bar tipo. Chi nel 2019 fatturava 150mila euro e ne ha persi 25mila a causa delle restrizioni, avrà diritto a un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media annuale.

Sono queste le simulazioni prodotte dall’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici esercizi, all’indomani dell’approvazione del Dl Sostegni.

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“Il decreto Sostegni era certamente necessario, ma è evidente quanto non possa essere considerato sufficiente. Da settimane si parlava di aiuti perequativi, selettivi, adeguati e tempestivi e questi aggettivi non descrivono le misure proposte – ha dichiarato il presidente della Federazione, Lino Enrico Stoppani -. Innanzitutto, la coperta del sostegno a famiglie e imprese è evidentemente troppo corta per la platea che si propone di aiutare.

Settori come la ristorazione sono stati messi letteralmente in ginocchio dalla gestione dell’emergenza e i limiti imposti sulla perdita di fatturato o sui massimali erogabili hanno effetti perversi sul sostegno alla parte più sana della nostra economia.

Bastano due esempi: ci si lamenta del nanismo delle imprese italiane e poi si mette un limite di 10 milioni di fatturato per accedere ai sostegni.

E ancora: si dichiara che i contributi sono calcolati sulla perdita di fatturato annuo, ma in realtà si indennizza una sola mensilità media. C’è la spiacevole sensazione di voler aggirare il problema.

Il punto è che bisogna uscire immediatamente dall’ottica di breve periodo e mettere in piedi un piano di ripartenza che garantisca il diritto al lavoro e non sottoscriva semplicemente il dovere di stare chiusi.

Serve un progetto che dia una prospettiva di futuro reale alle imprese e non solo un sostegno temporaneo, che appare oggi una fragile stampella.”

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