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Così la speculazione è diventata dominante nei mercati del caffè

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MILANO – C’è un filo invisibile, che unisce eventi e fenomeni apparentemente disgiunti: la guerra in Ucraina, la Brexit, la primavera araba, i bimbi in gabbia al confine tra Usa e Messico: l’andamento imprevedibile ed erratico dei prezzi delle materie prime di base causato dalla speculazione. Questa la tesi alla base del saggio Price Wars, di cui è autore il sociologo e documentarista inglese Rupert Russell, che ha studiato il fenomeno viaggiando per anni in tutto il mondo.

Una tesi che ha una premessa: nel 2000, l’Amministrazione Clinton – con il Commodity Futures Modernization Act – sancì la deregulation dei mercati delle materie prime.

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Ciò favorì l’ingresso del grande capitale speculativo nei mercati delle commodity – materie prime energetiche, metalli, ma anche soft commodity, compreso il caffè – trasformandoli “in una specie di casinò”, dove le impennate e i crolli dei prezzi seguono logiche spesso avulse dall’effettiva realtà della domanda e dell’offerta.

Con conseguenze che impattano invece potentemente sulla vita reale di miliardi di persone.

Il paradigma è quello classico dell’effetto farfalla: piccole variazioni nelle condizioni iniziali possono produrre enormi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.

Un esempio? Le rivolte per il pane considerate all’origine della primavera araba, che furono causate dai forti rincari dei prodotti alimentari, a cominciare dal grano.

In realtà – sostiene Russell in un’intervista al Guardian – le crisi alimentari del 2008 e del 2010, che causarono motti di piazza in una cinquantina di paesi, avvennero in anni in cui la produzione alimentare raggiunse livelli senza precedenti.

All’origine dell’impennata dei prezzi vi fu soprattutto la speculazione

Fondata su elementi reali, in particolare i devastanti incendi dell’estate 2010 in Russia, che spinsero Mosca a bloccare l’export di grano mandando alle stelle le quotazioni.

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