giovedì 11 Aprile 2024
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Report, Alberto Trabatti: «Il caffè napoletano e quella lezione dimenticata di Eduardo»

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MILANO – Nel vivace dibattito che si è aperto a seguito del più recente servizio di Report dedicato al caffè riceviamo e pubblichiamo volentieri queste nuove e pacate riflessioni di Alberto Trabatti, titolare della storica Torrefazione Penazzi 1926 Ferrara, che invita a rielaborare in modo diverso gli spunti offerti dalla trasmissione di Rai 3 rispetto alla tradizione napoletana del caffè.

di Alberto Trabatti

Rimango non poco allibito a sentire continuamente – dopo la puntata di Report – strali in difesa dell’espresso napoletano fatto male. Fortunatamente non è tutto così. Ma diventa abbastanza difficile uscire dallo stereotipo se una percentuale elevata di tipologie non offre particolari emozioni – anzi – ma si basa su un gusto “della tradizione”, che in realtà di tradizionale ha ben poco.

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Sono infatti ancora più meravigliato dal fatto che si trascura, forse volutamente, ma spero tanto di no, uno dei miti della napoletanità in assoluto, nonché del Caffè, ovvero Eduardo de Filippo.

Chiunque cerchi su YouTube la scena in cui lui è affacciato al balcone nella pièce teatrale Questi Fantasmi, non potrà non notare che mentre lui parla con ‘O Professore, gli confida che il Caffè lo tosta lui, di persona, “a manto di monaco”.

E che cosa voleva significare con questa definizione inerente il colore della tostatura?

Semplicemente che lo tosta a tonaca di frate, quel colore che per il 90% circa delle origini di Caffè è in grado di farci capire che nel chicco tutti gli aromi che è capace di regalarci sono formati.

Allora, mi domando, perché mai si deve ignorare il verbo di un’icona partenopea, la quale, in fondo, predicava semplicemente la tostatura giusta per il Caffè?

Io credo che si dovrebbe evitare l’utilizzo di robusta. Come altrettanto andrebbe bandito l’uso di varietà scadenti di Arabica, adoperate solo per fini illusori nei confronti dei consumatori.

Ma soprattutto il Caffè non si può carbonizzare

Perché crea comunque fastidio allo stomaco, di qualunque origine si stia parlando, fa uscire in maniera molto più rapida rispetto al dovuto gli aromi eventualmente presenti, rendendoli attaccabili dall’ossigeno ambientale. E favorendo quindi un irrancidimento che non gioca a favore del gusto.

Ognuno può utilizzare il crudo che vuole, sperando sia solo Arabica. Ma non bisogna dimenticarsi di un’etica professionale e commerciale, che è alla base dell’attività stessa.

E quando questo viene fatto le persone notano la differenza, invece che venire ammorbate ed abituate da sapori che nulla c’entrano con il vero gusto del Caffè, qualunque esso sia, variazioni aromatiche incluse.

Ci sono aziende da nord a sud che utilizzano prodotti di bassa qualità. Non è un dito da puntare solo verso il Vesuvio, intendiamoci.

Certamente fa più specie per via della definizione che si dà al Caffè tostato in quelle zone.

Ma di tristezze caffeicole è pieno lo Stivale

Insomma, rendetevi conto che, dove il Caffè è buono, è buono; dove è cattivo, è cattivo.
Punto.

Possiamo aggiungere a qualità scadenti mal tostate, o anche ottimamente scelte e lavorate, anche il menefreghismo di tanti baristi. Perché si sa che tra gli operatori del settore, l’imperizia e l’ignorare delle regole di base di gestione delle attrezzature la fanno da padrone.

Questo era stato messo in luce da Report, in passato, e gliene si deve dare atto con forza

Non si tratta neppure di “gombloddo” nei confronti di alcune aziende o zone a favore degli Specialty Coffees, ancora troppo poco diffusi in Italia per essere massa critica.

Certamente ne stanno aumentando gli utilizzatori tra i professionisti e i consumatori finali. Ma certe volte si va a trascendere dalla parte opposta, relegandoli ad una minoranza di clienti quasi fosse una setta.

Mi torna alla mente la parodia di Albanese del sommelier, tanto per intenderci

Fare cultura del Caffè è un dovere, per esperienza personale ci riesco spesso. Ma il messaggio che trasmetto è chiaro e non è criptato, e non cade dall’alto dell’accademia al volgo misero ed ignorante.

Tornando alle capsule, questa moda, che giova ai produttori, in realtà, sarà un business, ma non un plus ecologico. Anche se le capsule venissero realizzate per la loro totalità in maniera assolutamente compostabile, farebbero sprecare energie e risorse ambientali, oltre che materiali, completamente sostituibili da un cambio di strumenti.

Certamente anche le macchine super automatiche, un giorno, termineranno il loro ciclo utile e dovranno essere smaltite come Raee, i centri di raccolta e riciclo dei rifiuti tecnologici, ma spesso quelle economiche a capsule hanno vita ancora più breve. E di conseguenza aumenta il numero di conferimenti.

Oltre al fatto che la quantità di espressi fatti senza impatto ambientale in precedenza la loro dismissione è considerevole. La mia macchina super automatica personale ha finora estratto in circa tre anni 6.152 espressi, senza problemi (dato di adesso, prima di pranzo).

In ogni caso, ciò che fa anche la differenza nel rispetto dell’ambiente è il nostro comportamento in quanto utilizzatori. Gettare rifiuti dove è illogico farlo, costituisce comunque una bestialità. Utilizzare prodotti di difficile riciclo, e per giunta non seguirne le regole di smaltimento, pure.

Alberto Trabatti

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