TRIESTE – Con Mokito e Bomocaf di Milano, altri due importanti player si aggiungono ai partner del Trieste Coffee Experts. Andrea Bazzara: “Mokito e Bomocaf rappresentano importanti realtà che accogliamo con grande piacere nella community del Trieste Coffee Experts. Una rappresentanza particolarmente strategica per il mondo delle torrefazioni italiane, che – come ricordiamo – sarà protagonista del primo Think Tank Torrefattori”.
La storia tutta milanese di Mokito comincia nel 1931, quando Daniele De Bei fonda la ICAM, l’Importazione Caffè Arabo Mokito. Una realtà radicata da sempre nel capoluogo lombardo, punto di riferimento per tutto il Nord Italia e oggi presente in più di 30 paesi comunitari ed extra UE.
La svolta arriva con il secondo dopoguerra, quando la macchina espresso fa la sua comparsa dietro ai banconi. Da allora fino ad oggi l’obiettivo di Mokito è stato quello di fornire pregiate miscele di caffè per l’estrazione in espresso.
Il direttore generale della torrefazione milanese, Michele Monzini ha voluto esprimere il proprio parere sulla partnership:
“Il Trieste Coffee Experts rappresenta un’importante occasione di confronto, nonché uno spazio in cui sarà possibile fare rete con grandi e piccoli player provenienti da tutti i segmenti della filiera. Bazzara in vista di questa ottava edizione ha deciso di ampliare il dibattito includendo l’importante gruppo dei torrefattori, i quali avranno la possibilità di confrontarsi in uno spazio dedicato, Il Think Tank Torrefattori”
“Come Mokito abbiamo quindi deciso di supportare l’impegno e la passione dei Bazzara nella realizzazione del Trieste Coffee Experts, ritenendo il summit un punto di riferimento sempre più strategico nel settore caffè italiano.”
Bomocaf Spa nasce nel 1996 sull’esperienza di 3 importanti torrefazioni del nord Italia i cui anni di storia sommati tra loro superavano già allora i 250. Oggi Bomocaf si presenta al mercato come punto di riferimento delle lavorazioni del caffè conto terzi; è in grado di offrire i propri servizi ai piccoli come ai grandi torrefattori che abbiano necessità di effettuare lavorazioni speciali o produzioni a marchio privato non gestibili internamente in maniera efficiente.
Sempre Michele Monzini, questa volta parlando delle motivazioni che hanno spinto Bomocaf a sostenere l’ottava edizione del Trieste Coffee Experts:
“Penso che l’apertura dell’ottava edizione del Trieste Coffee Experts ai torrefattori, sia stata una scelta importante per rendere più ampio e più approfondito il dibattito tra gli operatori della filiera che ricordiamo essere una filiera complessa e ampia con operatori differenti che specialmente grazie a questi momenti di confronto possono trovare delle sinergie e punti di contatto utili a valorizzare le proprie realtà.
In un momento così delicato per il settore, il tema dei Megatrends e l’inclusione di nuove categorie all’interno della manifestazione rappresentano dei passi importanti per compattare il comparto caffeicolo nazionale e per formulare assieme una visione collettiva che ci permetta di trasformare momenti di difficoltà in opportunità.”
Oscar Farinetti, scrittore e imprenditore di successo fondatore di Eataly, ha incontrato con Mario Rubino, presidente di Kimbo, hanno analizzato il comparto del caffè che rappresenta uno dei simboli di Napoli ma anche dell’Italia nel mondo. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo pubblicato sul portale dell’ansa.
Mario Rubino e Oscar Farinetti sul caffè
NAPOLI – “Il barista fa il cuoco del caffè”. Con un’espressione immaginifica Oscar Farinetti, scrittore e imprenditore di successo, spiega a suo modo come quello della ‘tazzina’ non sia solo un rituale di convivialità e cultura, ma anche l’espressione di un mondo complesso, fatto di diverse tappe e procedure di lavorazione spesso non semplici.
E dice anche che occorre cambiare la narrazione sul caffè al quale “va dato il giusto valore per mantenere alta la qualità: non è possibile che una tazzina costi un euro, un euro e 20, una bibita costa molto di più mentre ora i costi del caffè crudo sono aumentati e di molto”.
L’occasione gli è data da un invito rivoltogli da Mario Rubino, presidente della Kimbo spa.
E così nello stabilimento dell’azienda di torrefazione a Melito, alle porte di Napoli, è nato un confronto di idee e proposte fra due imprenditori visionari che hanno analizzato un comparto che rappresenta uno dei simboli di Napoli ma anche dell’Italia nel mondo, l’ ‘espresso’, un’eccellenza made in Italy.
Al centro dello scambio di idee, fra utopie e duro richiamo alla realtà, nel Training Center dell’azienda e durante la visita allo stabilimento (con il direttore Francesco Cavallo e la quality manager Maria Cristina Tricarico), la necessità di cambiare pagina per raccontare il caffè. Che vuole dire? “Vuol dire lavorare per far percepire al cliente il valore del prodotto, legarlo a ‘storie'” ha detto il fondatore di Eataly.
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Di qui la necessità, secondo Mario Rubino, di fare ogni sforzo per limitare i costi limitando anche i profitti: “A noi interessa soprattutto il valore sociale della nostra attività”.
Un aspetto al quale Rubino, medico urologo per anni impegnato nel Pronto Soccorso del Cardarelli prima di dedicarsi all’azienda di famiglia, tiene molto: “Abbiamo sperimentato diversi progetti come ‘Fatto a Scampia’ e ‘Chicco di Speranza’; penso che occorra aprirsi sempre di più al territorio e noi lo stiano facendo anche in collaborazione con l’Istituto penitenziario di Secondigliano, a due passi da noi”.
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La copertina di Na tazzulella 'cafè di Pietro Spirito (foto dal sito Giannini editore)
MILANO – C’è chi lo ama e chi lo critica, ma è certo che nel mondo il caffè napoletano è un simbolo di un modo di gustarsi l’espresso. Si parla di una storia che si perde quasi nel tempo e che in tanti hanno cercato di rappresentare in diverse forme, dalla musica alle sculture, sino alla letteratura. Pietro Spirito nel suo “Na tazzulella ‘e cafè miti e riti dell’elisir napoletano“, edito da Giannini Editore e disponibile qui a 6 euro, ha voluto esprimere questa tradizione inseguendola nelle sue tappe fino ad arrivare proprio nel capoluogo partenopeo.
Tazzulella, attraverso i porti e i commerci, la bevanda del diavolo si fa strada nei cuori degli italiani
A partire da quando il Papa stesso, Clemente VIII, decretò che fosse lecito per i cristiani consumarlo – prima era soltanto un’abitudine dei musulmani e quindi non vista di buon occhio tra i cattolici -.
Anche il caffè è stato promosso del tutto nello Stivale attraverso un matrimonio a scopi politici e strategici: quello tra il re del Regno di Napoli, Ferdinando di Borbone e Maria carolina d’Austria, grande amante del caffè. Un’unione felice, soprattutto per chi ha potuto finalmente godersi questo rito in pace.
Ecco che la tazzulella arriva a Napoli.
Questa è soltanto una delle storie raccontate dall’autore, che raccoglie aneddoti e leggende attorno alle origini della tazzulella seguendo alcuni personaggi in particolare, come il musicologo Pietro Della Valle.
A partire dal 1800 il caffè napoletano prospera e pianta solide radici nella cultura italiana e napoletana.
Ovviamente non si può parlare di tazzulella senza comprenderne il modo per estrarla correttamente, la scelta della materia prima – non basta l’Arabica, ci vuole un po’ di Robusta per ottenere la cremina iconica – l’uso di un’acqua specifica – si parla di quella proveniente dalle sorgenti cristalline del Serino – il servizio in una tazzina in ceramica, bombata che mantiene bella calda la bevanda e rigorosamente al banco accompagnata da un bicchiere d’acqua.
In questo rito, il barista gioca un ruolo altrettanto fondamentale: nel libro si parla di talento e maestria nel saper usare l’altro caposaldo del caffè napoletano, ovvero la macchina a leva. Ovviamente, parte del fascino della tazzulella è la sua condivisione e qui si inserisce l’altra tradizione sociale, del caffè sospeso.
E un altro volto della tazzulella si lega all’uso domestico della cuccuma, progettata dall’inventore francese Jean-Louis Morize nel 1819. Una moka che funziona però per percolazione e forza di gravità.
Quello che emerge dal testo è in effetti, un amore infinito, quasi viscerale, scritto nel dna e trasmesso di generazione in generazione del popolo partenopeo: “Non c’è napoletano che non sia terrorizzato – quando deve intraprendere un lungo viaggio – dalla idea di affrontare una traversata nel deserto senza poter gustare un autentico caffè napoletano.”
Un prodotto finale che non è possibile ottenere se non con l’incontro di diversi elementi, a partire dalla magia delle 5M – miscela, macinatura, macchina espresso, manutenzione e mano del barista – e 3C – la tazzulella deve essere calda, comoda e carica -. Ecco che nell’incrocio tra queste due formule, nasce il mito della tazzulella.
Una cerimonia, un sentimento, che può essere esplorato con la lettura del libro di Pietro Spirito, magari proprio mentre si sorseggia un espresso a Napoli, perché no.
KILCHBERG – Lindt & Sprüngli, azienda svizzera leader nella produzione di cioccolato premium, ha registrato una solida crescita organica delle vendite dell’11,2%, raggiungendo i 2,35 miliardi di franchi svizzeri (circa 2,21 miliardi di euro). L’utile operativo si è attestato a 259,2 milioni di franchi (circa 240,1 miliardi di euro), con un margine EBIT dell’11,0%.
I ricavi di Lindt & Sprüngli
Dopo un primo semestre molto positivo, che ha confermato la resilienza del marchio e la fedeltà dei consumatori, Lindt & Sprüngli rivede al rialzo le proprie previsioni di crescita organica per l’anno fiscale 2025, ora attesa tra il 9% e l’11% (rispetto alla precedente stima del 7–9%).
Adalbert Lechner, ceo del Gruppo Lindt & Sprüngli: “Sono orgoglioso di ciò che i nostri team hanno realizzato nella prima metà dell’anno. Abbiamo dimostrato grande resilienza in un contesto di mercato complesso”.
Lechner aggiunge: “Innovazioni come il nostro Lindt Dubai Style Chocolate non sono solo nuovi prodotti: rappresentano il modo in cui ci connettiamo con i consumatori e rafforziamo il nostro posizionamento premium.”
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La multinazionaleFerrero ha pubblicato il sedicesimo rapporto di sostenibilità. Il Gruppo con sede a Alba ha raggiunto il 97% di tracciabilità sia per il cacao che per l’olio di palma e il 94% per le nocciole. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale dell’Ansa.
L’impegno di Ferrero per la sostenibilità
ALBA (Cuneo) – Ferrero migliora la tracciabilità delle catene di approvvigionamento. Oltre il 90% degli ingredienti principali vengono mappati sino all’origine e, grazie alla partnership con Sourcemap e Starling, il Gruppo ha raggiunto il 97% di tracciabilità sia per il cacao che per l’olio di palma e il 94% per le nocciole.
È quanto emerge dal 16/esimo Rapporto di Sostenibilità. “Il nostro impegno di fronte alle sfide globali, in particolare al cambiamento climatico, rimane chiaro: approvvigionarsi responsabilmente, innovare con coraggio e salvaguardare l’ambiente per le generazioni future”, afferma Giovanni Ferrero, executive chairman del Gruppo Ferrero, al portale dell’Ansa.
Rilevante la riduzione delle emissioni, che avvicina l’azienda all’obiettivo di dimezzare le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2030, il 90% dell’elettricità per la produzione e lo stoccaggio – si legge ancora nel Rapporto – proviene da fonti rinnovabili.
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MILANO – Rendere la sosta un momento di vero ristoro e benessere per ogni viaggiatore è da sempre la missione di Autogrill. Da oggi, questa missione si estende con un’attenzione senza precedenti agli amici a quattro zampe, grazie all’inaugurazione del rinnovato Fido Park, un concept evoluto e innovativo destinato a ridefinire l’esperienza di viaggio.
Il lancio del nuovo Fido Park rafforza l’impegno decennale di Autogrill nei confronti del benessere degli animali in viaggio.
Credendo fortemente nel valore del supporto agli animali e ai loro proprietari, il marchio Autogrill ha sviluppato un progetto unico nel suo genere, frutto di una collaborazione strategica con partner d’eccellenza: Trixie, leader europeo per gli accessori per animali, PetPro, punto di riferimento per tutto il mondo del pet, e l’ENPA, Ente Nazionale Protezione Animali, la più antica e importante associazione protezionistica d’Italia.
Il nuovo Fido Park è un vero e proprio ecosistema potenziato, progettato con una doppia funzionalità: una pratica, dedicata ai bisogni primari dei nostri amici a quattro zampe (ristoro, relax, attività fisica), e una emozionale, pensata per rafforzare l’interazione e il legame con il proprietario, attraverso il gioco e la scoperta.
“Con il rinnovato Fido Park vogliamo andare oltre il concetto di ‘pet friendly’ e diventare un vero e proprio punto di riferimento e alleato essenziale dei viaggiatori con animali,” dichiara Luca D’Alba, general manager Italy F&B di Avolta. “Abbiamo ascoltato le esigenze dei nostri clienti e capito che la sosta può essere un momento di stress per i cani. Per questo abbiamo creato un’oasi pensata per loro, che unisce sicurezza, divertimento e innovazione. La collaborazione con partner autorevoli come Trixie, PetPro ed ENPA garantisce che ogni elemento del Fido Park sia sviluppato secondo i più alti standard di benessere animale.”
Il concept, ora potenziato, è stato ideato per offrire un’esperienza attiva e completamente coinvolgente. Attraverso una segnaletica chiara e un design intuitivo, il Fido Park guiderà il proprietario e il suo cane in un percorso interattivo e stimolante. Inquadrando i diversi QR Code in loco, il proprietario potrà accedere a contenuti esclusivi, come consigli e suggerimenti di esperti per gestire al meglio il viaggio con il proprio cane.
“Accogliamo con grande entusiasmo l’iniziativa di Autogrill,” afferma Giusy D’Angelo, vice presidente nazionale ENPA. “Il Fido Park rappresenta un passo concreto e di grande civiltà per migliorare le condizioni di viaggio degli animali da compagnia e per contrastare il fenomeno dell’abbandono. Un’area di sosta ben progettata, sicura e stimolante è fondamentale per il benessere psicofisico del cane e offre un servizio prezioso alle famiglie che viaggiano con i loro amici a quattro zampe.”
La prima area Fido Park con il nuovo concept è stata inaugurata ufficialmente oggi presso il punto vendita di Villoresi Est (tratta A8 Milano-Laghi) con una breve presentazione istituzionale, seguita dal consueto taglio del nastro.
Durante la giornata il team di educatori cinofili di PetPRO è a disposizione dei viaggiatori per offrire consigli utili sulla gestione e il benessere degli animali domestici durante i viaggi.
Inoltre, Trixie è presente per fornire tutte le informazioni sulle attrezzature da viaggio per cani, offrendo un omaggio esclusivo a tutti i proprietari che si presentano con il loro Fido nell’area.
In Tanzania è previsto un progetto per aiutare e sostenere i produttori di caffè. La collaborazione di diverse realtà, tra cui il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) delle Nazioni Unite, il ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Giappone (Maff), è stata annunciata in occasione dell’evento Sustainable Coffee Production Project tenutosi all’Università delle Nazioni Unite di Tokyo. Di seguito, un estratto dell’articolo di Valentina Milani per Africa e Affari.
Il progetto per la sostenibilità in Tanzania
DODOMA – Al via in Tanzania un progetto pilota per aiutare i piccoli produttori di caffè del Paese ad aumentare la produzione in modo sostenibile. A sostenere il piano sono diverse realtà: il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) delle Nazioni Unite, il ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Giappone (Maff) e due delle principali aziende giapponesi, il produttore di caffè Ucc Ueshima Coffee Co.,Ltd. (Ucc) e la società commerciale Marubeni Corporation (Marubeni).
La collaborazione è stata annunciata in occasione dell’evento Sustainable Coffee Production Project tenutosi all’Università delle Nazioni Unite di Tokyo.
Il progetto pilota è il primo ad essere lanciato nell’ambito dell’iniziativa Enhanced Linkages between Private sector and Small-scale producers (Elps), condotta dal Giappone sotto la sua presidenza del G7 nel 2023.
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Yong Jeon assapora prima con il naso l'aroma del caffè (foto concessa)
MILANO – Yong Jeon, che tutti hanno visto lavorare nei panni del Coffee Pro Dalla Corte, ora torna su queste pagine con il suo programma portato avanti su YouTube: il nome già promette bene, “Italian Espresso Bar 100 Challenge”, con la missione appunto di visitare 100 bar-caffetterie e realizzare un video finale che li potesse racchiudere tutti.
Come spiega lui stesso: “Questa è un’iniziativa che non si rivolge soltanto agli spettatori coreani appassionati di caffè, che rappresentano Il 79% degli spettatori del mio canale, ma anche ai molti che ci seguono da diversi Paesi, tra cui anche Italia e Stati Uniti.
Jeon racconta: “E’ un po’ complesso persino per me ormai contare quante caffetterie precisamente ho visitato negli ultimi 11 anni della mia vita in Italia. Ma di certo posso chiedermi se ci sia qualcuno che ne abbia visitate più di me.”
Jeon, con quali obiettivi e come ha selezionato sin qui e in base a quali criteri queste 100 attività in Italia?
Jeon in una delle sue spedizioni (foto concessa)
“Innanzitutto volevo far conoscere la cultura del caffè italiano. Per essere più specifici, bisognerebbe tornare indietro nel tempo quando ho iniziato il mio primo viaggio dedicato al caffè nel 2013, percorrendo 10.000 chilometri in motorino in giro per l’Italia e visitando più di 10 posti al giorno.
Purtroppo, dopo esser rimasto gravemente ferito in seguito ad un incidente d’auto, ho dovuto fermarmi, ma è stata un’esperienza che mi ha portato poi a fare la scelta di trasferirmi definitivamente in Italia. Si potrebbe dire che rappresento la prima generazione che si è avvicinata all’espresso in Corea e che la maggioranza delle persone ha iniziato dopo di me ad apprezzare questo rito.
Ho insegnato a molti baristi e ho allenato diversi campioni, che però avevano più a cuore entrare a far parte dei circuiti creati dalle Associazioni e gareggiare nelle competizioni organizzate dagli anglosassoni.
Questo forse è stato il punto di svolta: il mio rispetto e amore per l’Italia si sono trasformati in rabbia. Rabbia per una bevanda, una tradizione, che gli italiani stessi non riuscivano a proteggere, a valorizzare. Con questo in mente, ho creato questo programma, che sarebbe bene far proseguire in una seconda stagione”.
Che cosa ha notato, quali sono le preparazioni più curiose che ha assaggiato?
“In realtà questa mia avventura non vuole trasformarsi in una classifica né tanto meno in una competizione tra i caffè. Al contrario, l’obiettivo originale era quello di condividere le abitudini quotidiane legate alla cultura di un autentico espresso.
Chi guarderà la puntata, noterà subito ad esempio, che la prima caffetteria è gestita da dei titolari cinesi. E proprio su questo, si gioca tutto il mio progetto: il successo di un bar in Italia, resta un po’ un magico segreto. Naturalmente poi ho incluso anche ottime caffetterie che visito spesso e quelle che si trovano lungo l’autostrada, all’interno di supermercati, gelaterie e panetterie.
Ho deciso di selezionare solo quelle caffetterie degne di nota, in tutta Italia. Molte di queste sono caffetterie specializzate, ma altre sono dei veri e propri classici, dei locali storici come il Florian di Venezia e il Gilli Caffè di Firenze.”
Jeon ha acquistato un’auto nuova a settembre 2024 e a marzo 2025, aveva già percorso più di 25.000 chilometri.
“Ho viaggiato molto – conferma Jeon – Purtroppo, avevo programmato di arrivare anche in Sicilia, ma non ci sono riuscito per il momento. Mi dispiace di non aver potuto fin qui presentare i tre posti che mi sono prefissato e che si trovano in Sardegna e Calabria. Ricordo ancora la mia ultima sera, in una caffetteria specializzata a Livigno, per arrivarci ho guidato per quattro ore. In alcuni posti ho viaggiato persino per otto ore al giorno.”
Come struttura le sue incursioni?
Jeon esplora uno specialty coffee shop italiano (foto concessa)
“Solitamente visito sempre i posti con calma, senza fornire alcuna informazione in anticipo, si può dire che mi presento come un cliente qualsiasi. Inizio con la valutazione del loro servizio, della comunicazione e infine della qualità dei loro prodotti. Naturalmente ascolto la storia e assorbo la passione di questi titolari e baristi e a quel punto, se ritengo che valga la pena, chiedo loro di collaborare alle riprese. Certo, in tutte le mie analisi, la qualità del caffè è un fattore molto importante.
Attenzione però, perchè non è tutto.
Facendo un rapido riepilogo conclusivo però, non è facile scegliere quello che mi ha colpito di più, perché quasi tutti mi hanno interessato. Tuttavia, se dovessi proprio fare un nome, direi Pigafetta a Vicenza. Lì si possono bere 50 tipi di espresso e ci sono decine di bevande originali che hanno sviluppato autonomamente in 50 anni di esperienza sul campo. Quel giorno ho assaggiato il Maronglasse, la bevanda simbolo della zona, insieme all’espresso preparato con una monorigine dell’Etiopia, e il sapore era eccellente.”
Jeon, ha notato differenze sostanziale di miscele/prezzi?
“La differenza di prezzo tra un blend e un monorigine varia da caffetteria a caffetteria. Nel caso di locali che devono affrontare una clientela fortemente tradizionalista, spesso si è obbligati ad applicare un aumento di pochi centesimi. In quelle caffetterie in cui invece l’affluenza di clienti più consapevoli, curiosi, interessati e magari anche frequentati da molti turisti la differenza può raggiungere diversi euro.
In realtà, il caffè cambia parecchio anche a seconda della regione in cui si consuma. Ad esempio, la percentuale di Robusta aumenta scendendo verso la regione meridionale. Qui si preferisce una tazzina con una corposità maggiore e un’aromaticità più spiccata. A volte, si vendono miscele a basso prezzo caratterizzate da un’importante amarezza. Anche in questo caso molto viene influenzato dalla zona geografica di riferimento, e quindi anche dalle tradizioni legate al territorio.
In certe zone ci si affida molto alle torrefazioni locali, mentre in altre ci si rifornisce anche da città più distanti, come Torino, Trieste, Milano, Roma, Bologna e Firenze.
Quello che sto cercando di dire è che, in generale, il livello degli specialty coffee shops in Italia si sta sempre più alzando.
C’è una nota dolente in questo racconto, un aspetto che mi ha davvero deluso: fino a circa cinque anni fa, i miei amati baristi e torrefattori italiani si erano lasciati sedurre fortemente dallo stile di tostatura molto chiaro diffuso in Europa e in Australia, il che si traduceva poi in tazzine tipiche di un verde poco cotto, un po’ vegetale.
In quel periodo, indipendentemente dalla caffetteria, i sapori risultavano al palato tutti molto simili tra di loro, mancava un’identità forte che si distinguesse anche nello stile del locale, una serie di copie degli originali nord europei. Sulle confezioni certo si potevano leggere origini diverse, ma in realtà la maggior parte veniva appiattita da una tostatura sottosviluppata.
Inoltre, la quantità di origini presenti oggi in molte caffetterie specializzate, un po’ mi impressiona. Adesso, però, la situazione è notevolmente cambiata e penso che la qualità dello specialty coffee italiano sia molto migliorata, dato che quello gli atteggiamenti che ho raccontato prima sono via via scomparsi dopo il Coronavirus.
Parallelamente ho notato che anche la forbice sulla qualità del caffè industriale si sta allargando tra chi vende prodotti finiti di scarsissima qualità e chi invece non scende a compromessi. Un fenomeno che probabilmente è dovuto all’aumento del costo del caffè, che da una parte ha portato chi già vendeva chicchi di basso livello, ad abbassare ulteriormente il livello e rientrare così dei costi. “
Jeon: “Vorrei anche vedere migliorare la qualità della materia prima usata per preparare il caffè italiano di base, assieme alla formazione dei baristi, che è essenziale, ma ancora carente.”
Spero di assistere a breve ad un nuovo cambiamento che riscopra l’orgoglio per l’espresso, la bevanda per eccellenza degli italiani. Questo mio progetto è un omaggio, dal punto di vista di un coreano che ama profondamente l’Italia. Con questa esperienza ho potuto abbattere i miei stessi preconcetti sul caffè e aprire prospettive diverse su questo argomento. Da solo, ho potuto imparare molto di più.”
Jeon, non resta che aspettare la prossima stagione quindi?
“Sì. Il prossimo progetto vorrebbe coinvolgere circa 30 torrefazioni in Italia, mentre quello successivo sarà dedicato alle piantagioni del caffè. Naturalmente, spazierò dalle piccole-micro torrefazioni a quelle di produzione industriale. Una cosa è certa: ovunque ci sia passione e una storia di qualità, io sarò presente e pronto a raccontarla nei miei video.”
MILANO – Ogni impresa ha una radice concreta. Per DVG De Vecchi, azienda italiana specializzata nella produzione di soluzioni e componenti per il caffè professionale, tutto ha avuto inizio da un oggetto semplice ma fondamentale: un tornio meccanico. È il primo strumento utilizzato per dare forma a un’idea, il punto di partenza di un percorso industriale costruito con rigore, passione e visione.
Quel tornio, oggi custodito come simbolo identitario, rappresenta molto più di un ricordo: è il cuore tecnico di un’intuizione imprenditoriale nata più di sessant’anni fa, in un’officina dove precisione e artigianalità si univano alla voglia di creare qualcosa di duraturo.
Una storia fatta di scelte consapevoli
La crescita di DVG si è sviluppata nel tempo attraverso investimenti mirati, una forte cultura del lavoro e relazioni costruite con serietà. L’azienda ha mantenuto una continuità valoriale, mettendo sempre al centro la qualità del prodotto, il rispetto per le persone e l’attenzione all’innovazione.
Abbiamo chiesto a Giovanna De Vecchi, amministratrice dell’azienda, di raccontare il significato simbolico e reale di quel primo tornio.
Quel tornio oggi è ancora conservato. Cosa rappresenta per voi?
Giovanna De Vecchi: È un oggetto che ci ricorda esattamente da dove veniamo. Ogni impresa ha bisogno di un fondamento, di qualcosa che resti solido nel tempo. Per noi, quel tornio è questo: la dimostrazione che anche una piccola cosa, se usata con visione e competenza, può generare valore duraturo”.
Giovanna De Vecchi, amministratrice dell’azienda (immagine concessa)
Come si riflette oggi questo legame con le origini nel vostro modo di lavorare?
Giovanna De Vecchi: “Significa non dare nulla per scontato, non inseguire il nuovo solo per il gusto di farlo. L’innovazione, per noi, nasce dalla consapevolezza tecnica, dal dialogo con i clienti e dalla capacità di trasformare la nostra esperienza in soluzioni concrete. Restiamo fedeli alla nostra identità, ma con lo sguardo rivolto avanti”.
Oggi, una realtà internazionale nel mondo del caffè
Oggi DVG è un punto di riferimento a livello internazionale nella produzione di soluzioni e componenti per macchine da caffè professionali. Dalle valvole alle lance vapore, dai portafiltri agli accessori tecnici, l’azienda offre una gamma completa pensata per rispondere alle esigenze di costruttori e operatori del settore.
Con una rete globale di partner e clienti, DVG continua a operare con un approccio orientato alla qualità, all’affidabilità e alla costruzione di relazioni durature.
Per saperne di più sulla storia e sull’offerta dell’azienda basta cliccare qui.
MILANO – L’universo dei bar cinesi visto – per una volta – nell’ottica dei media del paese del dragone. Un articolo di PostMag – supplemento del quotidiano cinese di lingua inglese South China Morning Post, a firma di Zhaoyin Feng – offre un interessante spaccato della realtà di Venezia, dove “la maggior parte dei locali attorno a Piazza San Marco sono gestiti da cinesi”.
Gli immigrati cinesi in Italia sono circa 310 mila, scrive l’articolo citando statistiche governative. La maggior parte di essi sono originari delle province di Zhejiang e Fujian e sono arrivati in Italia tra gli anni novanta e duemila.
Tradizionalmente, i cinesi, nel nostro paese, trovano lavoro nell’industria.
Passare dietro al bancone di un bar è stato per molti un salto culturale. E, soprattutto, un modo per uscire dall’angusta vita sociale, limitata alla famiglia e all’ambiente dei propri connazionali, che caratterizza spesso la vita degli immigrati cinesi.
Ma il barista cinese è stato una rivoluzione culturale, se non uno shock, anche per gli italiani. Soprattutto a partire dall’inizio del decennio trascorso, quando il fenomeno ha preso piede.
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