venerdì 12 Dicembre 2025
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NewPrinces Group perfeziona l’acquisizione di Carrefour Italia: patrimonio netto del Gruppo a 1,1 miliardi previsto per fine 2025

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centrale del latte
Il presidente Angelo Mastrolia (immagine concessa)

REGGIO EMILIA – Facendo seguito al comunicato diffuso in data 24 luglio 2025, che qui si intende integralmente riportato, NewPrinces S.p.A. (NewPrinces, la Società o il Gruppo) annuncia di aver perfezionato l’acquisizione del 100% del capitale sociale di Carrefour Italia S.p.A. (insieme alle società da essa controllate, il “Target” o “Carrefour Italia”) da Carrefour Nederland B.V. e Carrefour S.A. (insieme “Carrefour”) (l’“Operazione”).

L’operazione ha ricevuto l’approvazione della Commissione Europea, che ha deliberato di non sollevare obiezioni in merito alla concentrazione notificata e di dichiararla compatibile con il mercato interno e con l’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE).

La decisione è stata adottata ai sensi dell’Articolo 6(1)(b) del Merger Regulation e dell’Articolo 57 dell’Accordo SEE, confermando l’assenza di criticità concorrenziali tali da richiedere un’ulteriore fase istruttoria.

Come annunciato in precedenza, l’Operazione si inserisce nel più ampio piano strategico di crescita e integrazione verticale di NewPrinces, con l’obiettivo di rafforzare la propria presenza nel mercato italiano e di accelerare la convergenza tra canale industriale e rete distributiva.

Con l’acquisizione di Carrefour Italia, NewPrinces diventa il secondo gruppo italiano agroalimentare per fatturato e il primo operatore food & beverage in termini occupazionali, con 13.000 operatori diretti in Italia e più di 18.000 nel mondo, oltre a ulteriori 11.000 persone coinvolte nelle attività accessorie fornite da aziende esterne.

Effetti economico-finanziari dell’Operazione

Si prevede che l’operazione genererà un impatto significativamente positivo sui risultati consolidati di Gruppo al 31 dicembre 2025. Le previsioni preliminari indicano che l’utile netto consolidato per il Gruppo NewPrinces supererà 700 milioni di euro, includendo gli effetti derivanti dalla business combination.

Sulla base dell’utile netto previsto per la chiusura dell’esercizio, il patrimonio netto di Gruppo è previsto superare euro 1,1 miliardi a fine esercizio 2025.

La posizione finanziaria netta di Gruppo, escluso l’impatto IFRS 16, grazie al successo dell’IPO di Princes Group plc e al closing dell’Operazione odierna, mostrerà un miglioramento superiore a euro 300 milioni rispetto ai dati consolidati al 30 settembre 2025, a conferma della maggiore solidità operativa e patrimoniale della nuova struttura integrata.

Pertanto, il management prevede che, entro la fine dell’esercizio 2025, il Gruppo possa riportare una posizione finanziaria netta positiva (net cash) compresa tra euro 150 milioni ed euro 200 milioni, escludendo gli effetti IFRS 16. Tale valore tiene già conto del pagamento di euro 120 milioni che sarà effettuato entro fine anno per l’acquisizione di Plasmon.

Mentre, tenendo conto dell’impatto IFRS 16, sia del perimetro esistente di NewPrinces che di Carrefour Italia, la posizione finanziaria netta consolidata è attesa collocarsi tra euro -150 milioni ed euro -200 milioni.

In entrambe le circostanze, la PFN mostra un significativo miglioramento, tenendo conto che le acquisizioni di Carrefour Italia e Plasmon contribuiranno nel 2026 ad un incremento dell’EBITDA, così come stimato dal management, di oltre Euro 200 milioni, rafforzando ulteriormente la generazione di cassa e la posizione finanziaria del Gruppo.

Nel periodo precedente al closing, Carrefour ha effettuato una cash injection di circa euro 530 milioni, destinata alla copertura dei debiti infragruppo e altre passività minori nonché una ulteriore cash injection di circa euro 245 milioni, come previsto dal piano di investimenti condiviso in precedenza (inizialmente stimato per euro 237 milioni), per un totale di oltre euro 775 milioni di liquidità investita da parte di Carrefour in Carrefour Italia.

Questa liquidità, aggiunta a quella fornita da NewPrinces come da piano di investimenti, pari a euro 200 milioni, consente a Carrefour Italia di avere una posizione finanziaria netta positiva di oltre euro 400 milioni.

Angelo Mastrolia, Presidente di NewPrinces Group ha dichiarato:

“Il perfezionamento di questa operazione segna per il nostro Gruppo un passaggio di portata strategica. Con l’ingresso di Carrefour Italia, NewPrinces Group raggiunge una dimensione senza precedenti, con ricavi consolidati pari a circa 7 miliardi di Euro e un profilo patrimoniale che, entro fine anno, prevediamo superiore a 1,1 miliardi di Euro, accompagnato da una posizione finanziaria netta positiva compresa tra 150 e 200 milioni di Euro su base ex IFRS 16. Questi risultati rafforzano ulteriormente la solidità del nostro modello industriale e confermano la validità delle operazioni realizzate nel corso dell’anno: dall’IPO di Princes Group, all’acquisizione di Diageo Operations Italy, fino a Carrefour Italia, insieme alle operazioni che completeremo entro il 2025, come l’acquisizione di Plasmon, generando valore significativo e sostenibile per tutto il Gruppo.

L’integrazione di Carrefour Italia rappresenta per noi anche un’opportunità concreta per rafforzare un elemento fondamentale della nostra identità: il rapporto tra industria e retail. La nostra  storia nasce dall’industria alimentare e conosciamo in profondità le esigenze di chi produce.

Per questo ci impegneremo a garantire un approccio equo, trasparente e collaborativo con tutti i fornitori di Carrefour Italia, valorizzando il lavoro delle filiere e assicurando stabilità, correttezza e partnership di lungo periodo.

Siamo inoltre pienamente consapevoli delle aspettative dei consumatori italiani, che chiedono qualità, convenienza e sicurezza. Il nostro obiettivo è rispondere con fatti concreti, rafforzando l’assortimento, migliorando l’esperienza di acquisto e garantendo standard elevati lungo tutta la catena del valore. Le famiglie italiane saranno al centro delle nostre scelte, con l’impegno a offrire prodotti migliori, prezzi corretti e una presenza sul territorio ancora più solida e vicina alle comunità locali.

Questa operazione rappresenta anche l’occasione per integrare una rete distributiva capillare con le nostre competenze industriali, aprendo nuove opportunità in termini di efficienza, sviluppo prodotti, innovazione e posizionamento competitivo. Stiamo costruendo un Gruppo integrato e moderno, allineato ai più alti standard europei, capace di generare crescita robusta tanto nel retail quanto nell’industria. È l’inizio di un nuovo capitolo che rafforzerà ulteriormente il ruolo del nostro Gruppo e consoliderà un modello di sviluppo orientato al futuro”.

Ridenominazione delle società del perimetro Carrefour Italia

A seguito dell’Operazione, le società incluse nel perimetro del Target hanno assunto, con effetto dalla data odierna, le seguenti nuove denominazioni societarie:

  • Carrefour Italia S.p.A. è stata ridenominata Princes Retail S.p.A.;
  • Carrefour Finance S.r.l. è stata ridenominata Princes Finance S.p.A.;
  • Carrefour Property S.r.l. è stata ridenominata Princes Property S.p.A.

La denominazione della società G.S. S.p.A. rimane invariata.

Razionale strategico dell’Operazione

L’acquisizione di Carrefour Italia rappresenta un passo fondamentale nella trasformazione strategica di NewPrinces, storicamente attiva nella produzione industriale nel settore food & beverage, verso un modello integrato che combina produzione, distribuzione e relazione diretta con il consumatore.

Attraverso questa operazione, NewPrinces potrà:

accedere direttamente al consumatore finale, ampliando il proprio presidio lungo la catena del valore;

ottimizzare le sinergie tra produzione e distribuzione, migliorando l’efficienza logistica e riducendo i costi operativi;

valorizzare il portafoglio di brand esistenti del Gruppo all’interno della rete retail;

sviluppare nuove piattaforme omnicanale per la vendita e la delivery di prodotti freschi e confezionati;

rafforzare la propria posizione in mercati chiave a livello europeo, partendo da un’infrastruttura solida e radicata nel territorio italiano.

Questa integrazione permetterà al Gruppo di proporre un’offerta coerente, sostenibile e orientata alla qualità, in linea con i trend emergenti del consumo e le esigenze della distribuzione moderna.

Un’opportunità industriale unica

L’Operazione prevede il mantenimento delle insegne Carrefour per un periodo massimo di tre anni, sino fine 2028, al fine di garantire continuità operativa e una transizione graduale per consumatori, dipendenti e fornitori.

Contestualmente, verrà avviato un processo progressivo di rebranding dei punti vendita con il ripristino della storica insegna “GS”, secondo un piano di implementazione articolato per aree geografiche. Con oltre 1.000 punti vendita distribuiti nelle principali regioni italiane, la rete di Carrefour Italia rappresenta un’infrastruttura commerciale strategica per il rafforzamento del presidio territoriale del Gruppo.

Il piano di sviluppo definito da NewPrinces per Carrefour Italia prevede la modernizzazione dei punti vendita e il rilancio del marchio GS con un nuovo posizionamento, l’accelerazione del piano di aperture attraverso l’espansione sia dei negozi diretti sia di quelli gestiti in partnership tramite operating lease e l’integrazione operativa con la piattaforma logistica NewPrinces — che dispone di oltre 600 mezzi refrigerati — per potenziare la distribuzione nel canale Ho.Re.Ca. e nei servizi di home delivery, inclusa la crescita del marchio Docks cash & carry.

Consulente

NewPrinces è stata assistita da BonelliErede per gli aspetti legali in ambito corporate, M&A, antitrust, proprietà intellettuale e golden power. BNP Paribas ha assistito la Società in qualità di advisor M&A e Transaction Advisor.

Andrea Maggi, il professore del programma Il Collegio: “Nell’ultima settimana del mese pochi vanno al bar, non ci sono più euro in tasca”

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I tavolini di un bar (immagine: Pixabay)

Andrea Maggi, docente, scrittore e professore del docu-reality Il Collegio, parla del fenomeno sempre più crescente dei bar vuoti e la mancanza di potere d’acquisto degli italiani. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su Il Gazzettino.

Andrea Maggi sul bar in Italia

PORDENONE – “Da qualche tempo osservavo il fenomeno, ma pensavo fosse solo una mia fantasia; finché mia moglie l’altra mattina, guardandosi attorno nel bar dov’era andata a bersi un caffè, non ne ha parlato con una giovane barista che le ha confermato la nostra impressione.

Di cosa parlo? Del fatto che di giorno i bar e i locali del centro cittadino durante l’ultima settimana del mese sono più vuoti, quando non addirittura deserti. Abbiamo ufficialmente iniziato a vivere come gli statunitensi dei primi anni Duemila, ossia conduciamo un tenore di vita che non ci possiamo permettere? Sì, ma il problema non è solo questo. Siamo sempre più cicale e sempre meno formiche? È vero, ma questo non basta ancora per spiegare il fenomeno dei bar vuoti nell’ultima settimana del mese. C’è anche il fatto che il lavoro ci costringe a pause brevi e, dunque, non torniamo più a casa, così mangiamo fuori”.

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Caffè al bar sempre più caro in Svizzera tedesca: Café crème a 4,65 franchi, 5 €, cappuccino a 5,37, 5,75€

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Una classica tazzina di espresso (immagine: Pixabay)

In Svizzera tedesca il caffè al bar continua a far salire le sopracciglia: nel 2025 il classico Café crème tocca in media i 4,65 franchi (5,09 euro), 7 centesimi in più dell’anno scorso. Un aumento più soft rispetto alle impennate recenti, ma comunque sufficiente a confermare un trend che non accenna a fermarsi.

Il settore, spiegano da CafetierSuisse, è schiacciato dai costi di personale, energia e gestione, e ritoccare i listini è ormai la norma. Risultato? Dal 2015 bere un caffè costa 45 centesimi in più, e il futuro promette ulteriori rialzi. Intanto, per la prima volta, entra in scena anche il prezzo del cappuccino: in media 5,37 franchi (5,75 euro). Leggiamo in seguito alcune parti dell’articolo pubblicate sul quotidiano Tio.

Svizzera interna, bere un caffè al bar è un salasso

BERNA – Il caffè al bar è sempre più caro nella Svizzera tedesca: il Café crème (caffè lungo), la bevanda calda più gettonata nei ritrovi pubblici a nord delle Alpi, costava quest’anno in media 4,65 franchi, vale a dire 7 centesimi in più (+1,5%) che nel 2024. E in futuro si annunciano nuovi ritocchi, sempre verso l’alto.

La progressione del 2025 è stata comunque lievemente inferiore a quella del 2024, che era stata di 9 centesimi, e a quella del 2023, che con 10 centesimi era stata la più elevata da un decennio: si registra peraltro il sesto anno consecutivo in crescita, emerge dalle indicazioni odierne di CafetierSuisse, l’associazione dei ristoratori tedescofoni del ramo che informa sulla base di un sondaggio di centinaia locali pubblici, tutti svizzero-tedeschi.

«L’aumento dei prezzi nel 2025 è stato piuttosto moderato, ma continua a seguire il chiaro andamento degli ultimi anni», commenta il presidente di CafetierSuisse Hans-Peter Oettli, citato in un comunicato. «Si prevede che nel prossimo anno saranno necessari ulteriori adeguamenti».

È la 38esima volta che viene rilevato il costo del caffè. Quest’anno, per la prima volta, è stato osservato anche il prezzo del cappuccino: in media lo si è pagato 5,37 franchi.

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GenAI Anxiety, manager: 1 su 2 teme di perdere il lavoro a causa dell’intelligenza artificiale

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Ansia per l'intelligenza artificiale (immagine concessa)

MILANO – I più preoccupati per la possibile perdita del posto di lavoro a causa dell’ai generativa? Non sono gli impiegati, ma i loro dirigenti. Tra i manager di tutto il mondo, infatti, si sta diffondendo la GenAI Anxiety: quasi 1 su 2 infatti, a livello globale, teme di ritrovarsi disoccupato, soprattutto se lavora per un’azienda ad alta innovazione.

A rivelarlo è una ricerca di Espresso Communication svolta su diverse fonti internazionali, tra cui il prestigioso e recente sondaggio “AI at work”, condotto dal Boston Consulting Group, coinvolgendo oltre 10mila “colletti bianchi” in tutto il pianeta.

E i risultati non lasciano spazio alle interpretazioni: il 46% dei leader e dirigenti di realtà che hanno adottato ampiamente l’intelligenza artificiale all’interno delle loro funzioni afferma di sentirsi “precario” di fronte all’avanzata inarrestabile dell’IA generativa. Tale percezione, tuttavia, scende sensibilmente in realtà aziendali che usano questa tecnologia in maniera meno intensiva, attestandosi sul 34%.

In generale la media complessiva per i manager di qualunque tipologia aziendale è del 43%. Quasi la metà, per l’appunto. Comprensibile, se si pensa che un’ulteriore indagine, pubblicata da Resume.org, ha stabilito che, in vista del 2026, sei aziende su 10, solo negli USA, ipotizzano di sostituire lavoratori umani con l’ia, mentre quasi la metà sta riducendo le assunzioni: il 9% ha attuato un blocco e il 41% le sta tagliando.

Meno preoccupati per il loro futuro, come anticipato, appaiono essere gli impiegati di rango più basso (cioè, paradossalmente, proprio quelli più a rischio): in queste categorie la percezione negativa circa l’IA generativa tocca “solo” il 36% degli intervistati.

Una discrepanza che trova una spiegazione nella maggiore o minore dimestichezza con la stessa IA generativa, secondo Giacinto Fiore e Pasquale Viscanti, fondatori di Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice, la più grande community italiana sul tema, dedicata a imprenditori e manager.

“Ciò che questi sondaggi, svolti periodicamente, rivelano in prima istanza attraverso un confronto tra i più recenti e quelli più datati è che più l’IA generativa si fa strada e viene utilizzata più, paradossalmente, i timori crescono. Si tratta di una situazione che ha visto altri precedenti nella storia delle rivoluzioni industriali, come nel caso del passaggio dal vapore all’energia elettrica”.

“Fatta questa premessa, che i dirigenti siano i più preoccupati non deve sorprendere, essendo quelli che più conoscono le potenzialità di questa tecnologia e per esperienza diretta, dato che viene utilizzata regolarmente da tre quarti di loro, mentre gli impiegati si fermano al 51%”.

“Il fatto che ai piani ‘più bassi’ della gerarchia aziendale l’IA generativa sia meno conosciuta e temuta, però, non deve ingannare: una minore conoscenza rischia di aggravare la posizione di queste categorie di lavoratori in vista di una rivoluzione che è inarrestabile. La ‘colpa’, spesso è dei loro responsabili, che, proprio perché la temono, arrivano addirittura a ‘colpevolizzare’ l’utilizzo dell’IA generativa come una ‘furbata’”.

Chiaro quindi che sui manager pesi un’ulteriore responsabilità: quella di favorire la conoscenza e l’utilizzo dello strumento anche da parte dei collaboratori.

Non a caso, sempre secondo lo studio del Boston Consulting Group, quando i leader dimostrano un forte sostegno all’IA, i dipendenti sono più propensi a utilizzarla regolarmente, ad apprezzare il proprio lavoro e a sentirsi soddisfatti della propria carriera. Per esempio, la percentuale di dipendenti che ha un’opinione positiva della IA generativa passa dal 15% al 55% quando vi è un forte sostegno da parte della leadership aziendale.

Eppure solo un quarto dei lavoratori, circa, dichiara di aver ricevuto tale sostegno e solo un terzo afferma di aver ricevuto dalla propria azienda percorsi formativi sul tema. Logico quindi che, per gli esperti, la soluzione ai timori, quindi, non passi dall’evitamento, ma dalla formazione.

Proprio a questo fine Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice ha lanciato, sulla scia del successo internazionale dell’AI WEEK, la Generative AI WEEK, che si terrà dal 17 al 21 novembre 2025 sulla piattaforma AI Play: cinque giorni durante i quali, previa iscrizione online, sarà erogata a tutti una formazione immediata, gratuita e pratica sui principali tool attualmente in uso: da Gemini a Midjourney e ChatGpt, passando per Canva e Agentspace.

“Riteniamo – commentano ancora Giacinto Fiore e Pasquale Viscanti di Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice – che il miglior modo per affrontare questa GenAI Anxiety non sia farsi prendere dal panico, ma investire tempo nella formazione. Certo, una formazione che non sia elitaria ed esclusiva, da ‘nerd tecnologici’ per capirci, ma che sia il più possibile inclusiva, aperta e pratica”.

“Con la GenAI Week l’intento è chiaramente questo, così come lo è stato e lo è per ogni nostro progetto. Si tratta di un’iniziativa che consente di sperimentare da subito, mentre si ascoltano le ‘video-lezioni’, come si può lavorare con questi strumenti, rendendoli un utile alleato sul posto di lavoro, che ci può scaricare di task operativi e dando risultati di qualità. Ovviamente questo può avvenire se si sa come usarli, con quale linguaggio interloquire con loro. Ma per arrivare a questo punto gli strumenti bisogna utilizzarli, senza diffidarne”.

Cuba: il regime presenta il tè che allevia diabete come soluzione alla carenza dei medicinali

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La bandiera di Cuba (immagine: Wikimedia Commons)

Di fronte alla scarsità di farmaci, il Governo ha presentato un tè che promette di alleviare l’ipertensione e il diabete, prodotto dall’azienda statale Labiofam. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo pubblicato sul portale CiberCuba.

Il tè al posto dei farmaci a Cuba

Il regime cubano, incapace di garantire farmaci di base in farmacie e ospedali, tenta di alleviare la crisi sanitaria con presunti prodotti meravigliosi.

Alla 41ª Fiera Internazionale di L’Avana (FIHAV 2025), svoltasi nei locali della fiera Expocuba, il gruppo statale Labiofam S.A. ha presentato un tè che promette di aiutare a controllare il diabete e la pressione arteriosa.

Secondo il giornale ufficiale Tribuna de La Habana, Labiofam, che fa parte del conglomerato dell’OSDE Labiofam, ha mostrato un’ampia gamma di nuovi prodotti durante la fiera, tra cui il Té de Alofin, conosciuto popolarmente come “Té de Palo de Caja”.

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Cafezal non si ferma: in attesa di Lisbona si continua a Milano, con il nuovo punto in via San Gregorio

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Via San Gregorio conquistata da Cafezal (foto concessa)
Via San Gregorio conquistata da Cafezal (foto concessa)

MILANO – Carlos Bitencourt, l’uomo dietro Cafezal, micro roastery partita ormai nel lontano 2018 in via Solferino 27 a Milano, la prima a Milano. Da lì l’azienda si sviluppa sempre di più prima in Viale Premuda, Corso Magenta, in zona Bicocca e in Via San Gregorio: proprio qui è ancora recente l’inaugurazione di uno spazio dedicato alla vendita di attrezzature e sede della “Milano Coffee Academy” (loro Academia B2C e B2B) e ancora in questa via, sta per nascere il prossimo capitolo Cafezal (in attesa della nuova avventura a Lisbona ancora in corso, non si resta fermi mai).

Dalla prima settimana di dicembre l’ultimo punto Cafezal sarà aperto in soft opening. E per il weekend del 13-14 dicembre si passerà al pieno regime con la presentazione del libro di Valentina Palange per ufficializzare il brunch.

Cafezal: che altro ci attende quindi in quel di Milano quindi?

Dentro il nuovo Cafezal (foto concessa)

“Abbiamo preso un altro locale in Via San Gregorio dove in totale ci saranno 5 vetrine Cafezal. Ci sarà un’espansione della caffetteria-pasticceria con un punto di ristorazione più ampio, per un totale di circa 45 posti a sedere interni più un dehors con altre 22 sedute. È il terzo Cafezal con ristorante, sull’impronta di quello in Premuda e in Bicocca.”

Perché ancora lì?

“Quello di San Gregorio è un locale che ha avuto successo da subito, nato come nostro laboratorio di pasticceria e panificazione. Siamo riusciti ad entrare nello spazio adiacente, restando indipendente. Mancava questo terzo passo che è un po’ uno sviluppo naturale, un’opportunità di crescita di un locale che funzionava già molto bene ed era sempre pieno.

Adesso possiamo creare una zona vera e propria dedicata alla cucina per andare oltre la panificazione e la pasticceria. Abbiamo scelto una brigata di tre persone e una decina di dipendenti impiegati in totale: nonostante sia un momento difficile per trovare delle nuove risorse, per fortuna siamo riusciti a reperire personale qualificato.”

“Potremo implementare il brunch, che ancora resta un momento importante su cui lavorare”

“Soprattutto per il food&beverage che ha sofferto nel 2025, a causa dei costi degli affitti aumentati, della difficoltà di reperire il personale, del cliente finale con una minore capacità di acquisto.

E qui entra il tema delle bakery e delle caffetterie specialty, di momenti di consumo come il brunch, che, tutto sommato, sono più accessibili con una spesa minore. Le persone stanno uscendo di più in fasce orarie diverse, sfruttando più un’offerta altrettanto buona ma più abbordabile economicamente.”

“Sicuramente si può fare l’imprenditore per un’azienda di specialty.”

“Oggi in Italia si è creato un mercato più strutturato sia perché sono aumentate queste realtà sia perché il cliente è diverso. Cafezal insieme ad altre belle realtà hanno aiutato questa trasformazione. Il nostro progetto va oltre la caffetteria specialty, con l’e-commerce, l’Academy, il B2B, vendita di macchine e attrezzature.

Inoltre abbiamo progetti che vanno avanti a diretto contatto con i coltivatori in origine: c’è potenziale. Naturalmente l’imprenditore di specialty in qualsiasi luogo, deve ragionare in termini di business.

Lo spazio dedicato (foto concessa)

E per farlo, è fondamentale stare al passo con le novità, visitando i punti di riferimento per il settore in giro per il mondo, tenendo d’occhio i cambi generazionali rispetto a quando abbiamo iniziato noi con la nostra passione, una decina di anni fa.

L’importante è restare aperti, stimolati, rispetto agli aggiornamenti del mercato. La passione è fondamentale per il prodotto.”

“La cultura e la qualità, la perfezione dell’estrazione, restano”

“Ma oggi sicuramente c’è maggiore attenzione a delle caratteristiche ancora superiori in tazza. Una parte dei consumatori di caffè tradizionale si sta spostando verso la caffetteria moderna e si aspettano un prodotto migliore. Non parliamo per forza di un caffè da competizione, ma la quantità di clienti che cercano anche solo una buona tazzina con un vero racconto alle spalle, sta aumentando.

Questo si riflette in altri prodotti, come nelle ricette più internazionali come il Cortado, il Flat White e altre bevande che possono dialogare con il caffè, ad esempio la cascara o il mate. Questo deve accompagnare il movimento della nuova caffetteria.”

Capitolo superautomatiche?

Sono stato a Parigi e Londra di recente e quello che noto sempre è che nelle grandi città e in quelle di riferimento per lo specialty, comunque i coffee shop continuano a usare le macchine tradizionali. Questo perché sono abitudini ormai consolidate per il barista e il consumatore.

Viceversa, soprattutto nelle bakery e negli hotel, si sente più il bisogno di risolvere il problema del personale con le superautomatiche. Il cliente lì vuole una tazza come nelle caffetterie specialty e in questo caso vengono in aiuto queste attrezzature.

Secondo me entrambe le soluzioni rappresentano due mercati in espansione. In alcune città europee il volume di macchine da caffè in generale è molto alta, perché il caffè è diventato un prodotto di life style, tuttavia non credo che per forza diventerà tutto superautomatico. In Italia non c’è stato ancora questo grande cambio, a parte nelle realtà come di catering e in hotel.”

E superautomatiche da Cafezal?

“Per ora non ci sono. Sicuramente per alcuni nostri clienti valutiamo sempre questa soluzione.”

E per il resto, la promessa è quella di ulteriori sviluppi per Cafezal nel 2026, che resta un progetto ambizioso di espansione.

Nestlé starebbe valutando la vendita della catena Blue Bottle Coffee: ecco perché le caffetterie non hanno più appeal per i giganti del F&B

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Nestlé
Il logo Nestlé

MILANO – Nestlé sta considerando la cessione della catena di caffetterie californiana Blue Bottle Coffee, acquistata dal colosso svizzero nel 2017. Lo sostiene la Reuters citando fonti bene informate. La multinazionale elvetica si sarebbe rivolta alla banca di investimento Morgan Stanley, allo scopo di valutare una serie di opzioni per questo asset, tra cui la possibile vendita della catena.

A detta degli analisti, la mossa rientrerebbe una più ampia revisione strategica avviata dal nuovo ceo Philipp Navratil, già alla guida di Nespresso, volta a razionalizzare e snellire il portafoglio aziendale, puntando su marchi scalabili e globali. E ad abbandonare l’attività di gestione di punti vendita fisici, in linea con una tendenza diffusa nel settore.

Rientra in tale ottica la revisione strategica di alcuni marchi di integratori vitaminici e la prevista cessione del ramo acque minerali, che comprende marchi del calibro di Perrier e San Pellegrino.

La cessione di Blue Bottle consentirebbe inoltre di generare liquidità da reinvestire nel core business del caffè. Nestlé e Morgan Stanley hanno rifiutato di commentare.

Dopo Coca-Cola, anche Nestlé medita dunque l’uscita dal mondo delle caffetterie a marchio

E, anche in questo caso, è un’uscita in perdita, almeno stando alle stime degli analisti.

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Nella Finca La Senda, in Guatemala la specialty coffee farm: “Il nostro caffè non è caro, è giusto”

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Maria Eugenia Escobar con lo specialty della Finca La Senda (foto concessa)
Maria Eugenia Escobar con lo specialty della Finca La Senda (foto concessa)

MILANO – Dall’altra parte della filiera, dove il chicco di caffè ha origine, si trova Finca La Senda, una Specialty Coffee Farm con sede in Guatemala, fondata nel 1940 e ancora gestita a livello famigliare. Le modalità di lavoro, le condizioni dei coltivatori di questa materia prima, raccontati da Maria Eugenia Escobar, una donna del caffè.

Nella Finca La Senda, che cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale nel mercato e nel vostro modo di lavorare?

“Le nostre radici sono rimaste le stesse: connessione con la terra, lavoro onesto e rispetto per la natura. Mio nonno avviò La Senda con dedizione, senza l’ausilio della tecnologia, seguendo l’istinto e l’amore. Oggi non vediamo più il caffè come una merce, ma come un alimento con una propria identità e una ricca storia alle spalle.

Puntiamo sulla qualità, con lotti piccoli, sulla tracciabilità completa e sui rapporti diretti con torrefattori nel mondo. L’essenza quindi, non è cambiata: la passione per fare le cose bene continua a caratterizzare La Senda.”

Quali varietà di caffè coltivate ne La Senda? Quanti ettari avete? È tutto caffè di specialità?

“Abbiamo 27 ettari con all’interno una grande diversità varietale: Bourbon, Caturra, Typica, Pacamara, Gesha, Java, Catimor, Anacafé 14, Marsellesa, Pache e Maragogipe. Coltiviamo solo specialty coffee e non questo perché cerchiamo l’eccellenza più che grandi volumi.

Ogni varietà segue il proprio protocollo di raccolta e lavorazione. Per noi, il caffè nasce dal seme, ma si completa nella tazza.”

Parliamo di fermentazione: come siete riusciti a controllare scientificamente questo processo?

I due farmers della Finca La Senda (foto concessa)

“La fermentazione è un pilastro degli specialty. Non lavoriamo più a occhio: misuriamo pH, temperatura, gradi Brix, tempi, ossigenazione. Usiamo fermentazioni aerobiche, anaerobiche, macerazione carbonica e lieviti selezionati. Ogni fermentazione ha un obiettivo sensoriale. Il nostro ormai è diventato un piccolo laboratorio dove scienza e natura dialogano.”

È stato un investimento che ha portato a un miglior posizionamento in termini di prezzo?

“Sì. Un caffè ben fermentato e documentato si distingue dagli altri. I nostri micro lotti raggiungono torrefattori negli USA, in Europa e in Asia, dove ci sono dei clienti disposti a pagare un prezzo giusto. Ma non è solo una questione di maggiore guadagno economico: con il nostro lavoro otteniamo riconoscimento, e riusciamo a costruire relazioni solide attraverso un approccio sostenibile.

Tutto questo a sua volta ci permette di reinvestire e innovare. Ricordiamo che la qualità ha un costo anche in fase di produzione e che i nostri margini si registrano attorno al 10%. Così, un cattivo raccolto ha un alto rischio di provocare una perdita economica”.

Le nuove generazioni sono interessate a continuare questo mestiere, portando innovazione?

“Sì, anche se non è semplice. In passato lavorare in campagna significava sacrificio. Ma oggi investiamo nella formazione, nell’accesso alla tecnologia e nell’incentivare lo spirito imprenditoriale. Rappresento questa generazione che vuole fare questo mestiere con passione e scienza, trasparenza e creatività. Essere produttori oggi di caffè non è solo lavorare la terra, ma anche educare e creare valore dall’origine. “

Cosa ne pensate delle certificazioni biologiche e del commercio equo?

Maria Eugenia Escobar (foto concessa)

“Ne riconosciamo il valore, ma non sempre sono sistemi e certificazioni accessibili ai piccoli produttori. Noi pratichiamo un’agricoltura rigenerativa, curiamo il suolo, proteggiamo il bosco e promuoviamo la biodiversità: non ci serve un’etichetta per fare la cosa giusta. Preferiamo la trasparenza diretta: condividiamo pratiche, coordinate e invitiamo a visitare La Senda. Il commercio equo per noi è innanzitutto una relazione umana, basata sul rispetto e sulla fiducia.”

Agli italiani piace il caffè guatemalteco? Potete entrare in quel mercato?

“L’Italia ha una cultura gastronomica ricchissima. Ma spesso il caffè è amaro, tostato eccessivamente, ricavato da chicchi difettosi. Per fortuna adesso si sta facendo sempre più sentire una nuova generazione di torrefattori e consumatori che cerca lo specialty come il nostro caffè, che ha una complessità, una dolcezza, un’acidità fruttata, note floreali e corpo succoso. Invitiamo i consumatori italiani a scoprirlo, perché, quando si assaggia un buon caffè, non si torna indietro.”

Ma come si beve il caffè in Guatemala?

“Tradizionalmente molto forte e dolce, ed è quasi un rituale familiare. Ma sta cambiando anche quest’abitudine di consumo: sempre più persone provano metodi come V60, Chemex o Aeropress e bevono caffè senza zucchero, cercando più aroma e texture. In città come Antigua o Città del Guatemala c’è una scena specialty vibrante. Anche nelle fincas incoraggiamo la nostra comunità a provare questo prodotto e a valorizzarlo.”

Come affrontate la normativa europea contro la deforestazione (EUDR)?

“Ormai lavoriamo da anni per implementare la tracciabilità geografica, la mappatura, e l’applicazione di pratiche rigenerative e conservazione, quindi siamo già pronti per rispettare i parametri stabiliti dalla normativa, ma serve maggiore supporto. È importante che l’EUDR venga applicata con sensibilità e ascoltando la voce del produttore.”

Cosa direste ai consumatori che si scandalizzano per il prezzo di un espresso?

“Faremmo questa domanda: quanto vale davvero quella tazzina? Ci sono mesi di lavoro, raccolta manuale, selezione, fermentazione, essiccazione, esportazione, tostatura… Lo specialty coffee non è caro, è giusto. Così come paghiamo volentieri per un buon vino, dovremmo fare lo stesso per il caffè, che è cultura, arte, vita. Scegliere una tazzina prodotta bene dalle origini, significa sostenere una filiera etica e trasparente. E una volta provato… non si torna indietro”.

Ambadué, quando cacao e cosmesi si uniscono in processi di upcycling

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Dottoressa Maria Paola Merlo, fondatrice di Ambadué (foto concessa)
Dottoressa Maria Paola Merlo, fondatrice di Ambadué (foto concessa)

MILANO – La biocosmesi e il cacao: una possibilità che si prende sempre più spazio all’interno di entrambi i mercati. A HostMilano, nell’hub dedicato sCIOck alle commistioni tra questa materia prima e altri settori, se ci sono state delle dimostrazioni da toccare (o assaggiare) con mano. Ma c’è chi lo ha già trasformato in prodotti: Ambadué, fondata dalla Dottoressa Maria Paola Merlo, è una prova che l’interesse c’è, è anche il risultato.

Un precedente importante di come questa realtà abbia fatto dialogare cacao e cosmetica, porta anche il nome del maestro Guido Castagna: nel 2024, il laboratorio di Ambadué hanno riutilizzato gli scarti del cioccolato per ricavare un estratto antiossidante usato poi in due ricette per il trattamento della pelle.

Ambadué ha dimostrato che il cacao e la cosmetica possono andare insieme: ci parla di com’è nato il progetto e a che risultati si è arrivati?

“Il progetto è nato dal desiderio di dare nuova vita a una materia prima preziosa e profondamente legata alla nostra città: il cioccolato di Torino. L’idea era trasformare le bucce delle fave, normalmente considerate scarto, in un estratto innovativo capace di unire pelle e umore.

Dopo anni di ricerca e test siamo arrivati a sviluppare due prodotti in collaborazione con l’azienda Pigreco Torino: Overnight, un neuro cosmetico per la notte e Mood Up, un nutraceutico che sostiene il benessere psico emozionale. Entrambi dimostrano come uno scarto alimentare possa diventare esperienza sensoriale e olistica.”

Come mai avete deciso di lavorare sullo scarto del cioccolato? Di che scarto esattamente si tratta, come lo avete processato?

Nel laboratorio Ambadué (foto concessa)

“Abbiamo scelto di lavorare con la buccia delle fave di cacao perché il cioccolato è uno dei simboli di Torino. Per noi è sempre una sfida trasformare lo scarto alimentare in risorsa. Grazie ad un processo di upcycling che unisce metodiche scientifiche moderne e principi spargirici antichi, siamo riuscite a estrarre molecole bioattive con proprietà interessanti per la pelle e per l’umore. In questo modo valorizziamo un sottoprodotto alimentare di altissima qualità, trasformandolo in un principio funzionale unico.”

Quali sono le potenzialità del cacao nell’ambito della cosmetica?

“Il cacao è una vera miniera di molecole: aminoacidi, flavonoidi, vitamine e minerali. Nel nostro estratto sono particolarmente presenti triptofano e teobromina legati alla produzione di serotonina e melatonina, favorendo rilassamento e buonumore. Da un punto di vista cosmetico, hanno un’azione antiossidante e pro-ageing aiutando la pelle a rigenerarsi durante la notte. Per questo il cacao può diventare un ponte tra benessere interiore e bellezza esteriore.”

Ci sono altri esempi di impiego degli scarti o del cacao oltre la skin care di cui vi siete o vi state occupando?

“Parallelamente oltre al cosmetico, l’azienda Pigreco Torino, brand DrGaudie, ha sviluppato un nutraceutico: Mood Up. È un integratore in gocce che, grazie alla sinergia tra estratto di cacao, zafferano e bergamotto, sostiene il tono dell’umore e aiuta a modulare lo stress. Questo dimostra che lo stesso estratto può essere applicato sia in cosmetica che in nutraceutica, ampliando il suo potenziale di utilizzo.”

Quanto scarto è necessario per la produzione? Il costo è più elevato, come diventa sostenibile anche economicamente?

“Il nostro è un laboratorio di nicchia: non lavoriamo per comparare i costi con altri estratti ma per creare progetti unici e visionari, dove la qualità e l’innovazione sono i veri valori. La quantità di scarto necessaria varia in base ai lotti di produzione, ma ciò che conta è il principio: trasformare un residuo in una risorsa ad altro valore aggiunto.

La sostenibilità economica, per noi, non significa ridurre i costi a tutti i costi, ma dare senso e valore a ciò che facciamo. Un ingrediente ottenuto da upcycling riduce sprechi, crea circolarità e genera un ritorno etico oltre che produttivo. Questo approccio è sostenibile perché incontra un pubblico che sceglie consapevolmente di investire in prodotti esclusivi, capaci di unire benessere, ricerca e responsabilità.”

Per me la vera sostenibilità è trasformare ciò che è scarto in valore e farlo senza compromessi sulla qualità. Non è una questione di costi, ma di visione: creare bellezza che sia anche cultura ed etica.”

Trieste Coffee Experts: conto alla rovescia per l’evento del 6 e 7 dicembre, Franco Bazzara: “Tutti i momenti difficili portano al cambiamento”

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Franco Bazzara, presidente della torrefazione (immagine concessa)

Il 6 e il 7 dicembre torna Trieste Coffee Experts, l’evento Bazzara B2B nato per riunire i leader della filiera del caffè, non solo triestina. Ci saranno oltre cento esperti che si destreggeranno  tra talk e analisi del mercato del chicco.

Franco Bazzara, presidente della torrefazione, parla dell’importanza dell’evento nell’articolo di Giorgia Pacino pubblicato su Il Piccolo che riportiamo di seguito.

Il ritorno di Trieste Coffee Experts

TRIESTE – Ottanta sponsor e cento esperti riuniti per approfondire sfide e tendenze del mercato del chicco nero, dall’industria 5.0 ai nuovi paradigmi della sostenibilità.

Nell’ennesimo anno di montagne russe per i prezzi del caffè – ieri i Futures sulla qualità Arabica si aggiravano intorno ai 405 centesimi di dollari per libbra sull’Ice di New York, mentre quelli della Robusta, scambiati sulla Borsa di Londra, viaggiavano intorno ai 4.378 dollari per tonnellata – sabato e domenica al Savoia Palace torna l’ottava edizione di Trieste Coffee Experts, l’evento B2B nato per riunire i leader della filiera del caffè, non solo triestina.

Franco e Mauro Bazzara, rispettivamente presidente e amministratore delegato della Bazzara, torrefazione triestina da 2,2 milioni di fatturato nel 2024 premiata per tre anni di fila per il miglior caffè da selezione, hanno riunito a Trieste il gotha del caffè: le principali associazioni del settore, aziende da 15 regioni italiane e nomi del calibro di Lavazza, Kimbo, Caffè Borbone si alterneranno sul palco alle voci di Siemens e Accenture per raccontare le grandi trasformazioni della filiera, a partire dall’intelligenza artificiale, la cui spiegazione sarà affidata alla competenza di padre Paolo Benanti, teologo e noto esperto di AI, che parlerà di umanocentrismo e algoretica.

“Il mondo del caffè è in continuo cambiamento. Viviamo in mezzo a un delirio causato da cinque anni di incremento dei prezzi del crudo, dalla difficoltà di reperimento di certe qualità di caffè pregiati, dall’aumento esponenziale di tutti i costi della logistica con gli attacchi dei ribelli Houthi nel canale di Suez. Difficoltà a cui si aggiungono il regolamento EUDR sulla deforestazione e l’incertezza dell’Europa, che penalizza tutti noi operatori in modo sistematico e costante”, spiega a Il Piccolo Franco Bazzara, che all’evento festeggerà mezzo secolo di attività nel settore.

“C’è il rischio che in cinque anni il 30% delle torrefazioni italiane chiuda, se non ci si adeguerà ai grandi cambiamenti in corso. Non è solo una questione di costi: l’espresso rischia di non essere più la base su cui si sostiene il settore del caffè italiano”.

Da qui la scelta – la necessità, precisa Bazzara – di riunirsi per discutere tre grandi questioni:

• come affrontare il “costo del futuro” tra crisi e opportunità e fare squadra tra le associazioni per parlare con forza e una voce sola in Europa;
• come costruire una sostenibilità davvero condivisa tra imprese, istituzioni, ambiente e consumatori;
• come tutelare le identità territoriali e aiutare l’espresso italiano a crescere anche in termini di riconoscibilità culturale.

“È tragico pensare che il caffè venga ancora ritenuto da tanti un prodotto esotico, mentre è una parte fondamentale dell’Italia; basti pensare a quante persone dà lavoro in una città come Trieste e a quanti vengono qui per godere dell’esperienza del caffè”.

Considerando solo le società di capitali con fatturato superiore al milione, tra produttori e distributori, il distretto triestino del caffè vale poco meno di 700 milioni di euro di ricavi e impiega più di 1.300 addetti. “È fondamentale – prosegue Bazzara – fare rete nella Italian beauty, la grande bellezza italiana che nessuno riuscirà a eguagliare nel mondo del caffè”.

L’evento, diretto da Andrea Bazzara, è riservato a cento professionisti (il doppio delle precedenti edizioni) tra torrefattori, produttori, esperti e innovatori, ma sarà trasmesso anche in streaming in italiano e inglese.

Intitolato ai grandi “megatrend” del settore, vedrà quest’anno il debutto degli Stati Generali del Caffè, un confronto tra i leader delle associazioni nazionali su temi chiave come EUDR, dazi, speculazioni; e del Think Tank Torrefattori, una serie di tavole rotonde tra torrefattori arrivati da tutta Italia per sciogliere i nodi più complessi: dal prezzo della tazzina alla diffusione della cultura del caffè di qualità, fino al riposizionamento strategico dell’espresso italiano all’estero.

Nella serata di sabato verrà poi assegnato l’ormai tradizionale Coffee Personality of the Year, il premio che celebra figure di spicco nel mondo del caffè.

“È un momento difficile per il settore, ma non ci spaventa: come tutti i momenti difficili, porta cambiamento”, conclude Bazzara. “Le radici profonde non gelano e noi abbiamo 300 anni di radici: è grazie a queste che Trieste può dirsi, se non la capitale, la città del caffè”.

Gli sponsor (immagine concessa)