MILANO – A seguito della recente puntata di Report su RaiTre, Carlo Odello, presidente Iiac – International Institute of Coffee Tasters, ha desiderato condividere alcune considerazioni sullo stato del caffè nel Bel Paese. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.
Carlo Odello in risposta alla puntata di REPORT
Odello: “La trasmissione ha evidenziato carenze evidenti da parte di alcuni baristi nella pulizia e nella manutenzione delle attrezzature, carenze ovviamente gravi in quanto hanno un impatto importante sulla qualità in tazza”.
Odello aggiunge: “Ciò è un punto di vista condiviso tra i diversi esperti del settore e merita di essere evidenziato al pubblico soprattutto per premiare i molti baristi e bariste che al contrario ogni giorno presentano ai propri clienti macchine per caffè e macinadosatori in condizioni adeguate.”
Gli stili dell’espresso italiano (immagine concessa)
“Ciò che invece ci pare essere meno condiviso nel settore è il concetto di stile del caffè. Da diversi anni nella nostra formazione abbiamo inserito il tema della pluralità dell’espresso italiano – ha continuato Odello – L’abbiamo fatto partendo da una ricerca scientifica basata su centinaia di prodotti valutati nel nostro concorso International Coffee Tasting. Sono emersi cinque stili: Alpino, Padano, Tirrenico, Centrale e Meridionale e nessuno di loro, quando svolto correttamente, ha il primato della qualità perché si rivolgono a pubblici geograficamente e culturalmente diversi”.
“La dinamica degli stili riguarda tutti i mercati e tutti i settori merceologici ed è semplicemente nella natura dei mercati stessi. Prendiamo quindi un caso non italiano, così da uscire da un terreno già battuto. Anche nel nuovissimo mercato cinese, in cui operiamo da quasi 15 anni e in cui International Coffee Tasting rappresenta il concorso più prestigioso, abbiamo visto fiorire e prosperare negli anni una pluralità di stili – ha concluso Carlo Odello – Pure in questo caso è il pubblico a decidere ciò che gradisce maggiormente. In questo senso non credo che si possa educare il cliente, ma stimolarlo e fornirgli un’informazione adeguata a una scelta consapevole e in linea con le sue aspettative di gusto e con la sua volontà di spesa”.
La scheda sintetica di Iiac – International institute of coffee tasters
Iiac – International institute of coffee tasters è un’associazione senza fini di lucro che vive delle sole quote sociali. È stato fondato nel 1993 con l’obiettivo di mettere a punto e diffondere un metodo scientifico per l’assaggio del caffè. Dalla sua fondazione IIAC ha svolto centinaia di corsi ai quali hanno partecipato 13.000 allievi da più di 40 paesi nel mondo. Il manuale Espresso Italiano Tasting, edito in italiano e in inglese, è stato tradotto in spagnolo, portoghese, tedesco, francese, russo, giapponese, cinese, coreano e tailandese.
Iiac è dotato di un importante comitato scientifico che pianifica la ricerca per garantire l’innovazione del settore: ne fanno parte docenti universitari, tecnici e professionisti. Ha inoltre filiali dirette in Cina, Corea e Giappone. Maggiori informazioni a www.iiac.coffee.
Antonia Trucillo, imprenditrice del caffè, terza generazione della torrefazione Trucillo di Salerno, marketing manager e responsabile coffee sourcing, Q-Grader dal 2019, nota sui social come #theitaliancoffeegirl, commenta così – in un post sul suo profilo Facebook – il servizio sul caffè andato in onda nella puntata di domenica 15 dicembre della trasmissione REPORT.
Il commento di Antonia Trucillo su REPORT
“L’Italia ha ancora tanta strada da fare. I baristi hanno molto da imparare. I torrefattori hanno molto da migliorare. Ma, soprattutto, devono ancora imparare a conoscere davvero ciò che comprano.
Non abbiamo papille gustative geneticamente modificate: ci siamo solo abituati a bere caffè difettati. Ci siamo abituati al gusto del caffè bruciato. Ci siamo abituati ad aprire un bar chiedendo i soldi al torrefattore. Ci siamo abituati a scegliere un bar solo se ha la macchina a leva, altrimenti “non è buono”.
Ma non è tutto così. REPORT ci tiene particolarmente a mostrare una realtà parziale, una sola versione. Mi dispiace che non abbiano bussato alla nostra porta, a Salerno.
Nel 1992 abbiamo chiuso la finanziaria e abbiamo creduto fortemente che il barista è un professionista che deve chiedere al torrefattore informazioni sul prodotto, sulla sua origine, sulla sua lavorazione e non soldi per ristrutturare i bagni.
Dal 1998, con la nascita della nostra Accademia, da ben 27 anni, parliamo proprio di questo. Di cosa significa qualità nel caffè. E fino ad oggi abbiamo formato più di 20.000 professionisti del settore. Non sono extraterrestri ma persone normali che hanno solo scelto di voler capire di più.
Il barista è l’anello di congiunzione tra il nostro lavoro di torrefattori e il consumatore. Ha un ruolo fondamentale nel trasferire la conoscenza della filiera.
Una filiera lunga migliaia di km di distanza, dalle piantagioni tropicali arriva dentro ogni bar del mondo. E diventa 25ml di liquido magico, di cui la gente non sa stare senza, nonostante non ne conosce la maggior parte degli aspetti.
I primi a non conoscere il caffè sono i torrefattori, poi i titolari del bar e quindi poi i baristi. Non si conosce la provenienza e la tipologia del caffè che viene servito. In realtà non la si chiede neanche.
L’importante è ricevere le attrezzature in comodato d’uso. Gli ombrelloni per gli esterni, la lavastoviglie, il produttore di ghiaccio e un finanziamento magari a fondo perduto.
Ma al caffè chi ci pensa davvero? Come torrefattori abbiamo il dovere di formare i nostri clienti e di far trasferire la qualità ai consumatori finali.
Ognuno di noi, dal torrefattore al barista fino al consumatore, deve iniziare a informarsi per avere un caffè di qualità e un mondo migliore”.
In poco più di dieci anni Tuttocapsule, azienda con sede a Settimo Torinese (Torino), si è affermata come la prima catena retail italiana dedicata al caffè. In questo ambito la puntata di Report ha messo in luce una serie di criticità e ha sollevato interrogativi sull’effettiva professionalità degli operatori, gli stessi quesiti che sono alla base del progetto Tuttocapsule e ai quali l’azienda cerca, da sempre, di dare soluzioni e risposte concrete.
La prima soluzione riguarda ovviamente la formazione interna, che avviene nel training center aziendale e prevede anche incontri e relazioni con i principali torrefattori, oltre a giornate presso le loro aziende, il tutto organizzato sia per il personale aziendale che per i franchisee.
La seconda soluzione riguarda la possibilità di approcciare e realizzare due differenti format di vendita: Tuttocapsule La Caffetteria e Accademia – La Caffetteria.
“Per fare cultura del caffè, serve preparazione e professionalità, ma anche trasparenza, il
consumatore deve sapere a che tipo di prodotto sta approcciando e acquisire consapevolezza di cosa c’è dentro la tazzina – dichiara Vincenzo Pagliero CEO di Tuttocapsule – Con 200 negozi in 20 paesi, abbiamo una buona panoramica su quella che è la realtà del caffè espresso in Italia e nel mondo.
Pensiamo che il nostro percorso formativo porti sì professionalità, ma anche a una consapevolezza nell’operatore che viene poi trasferita al consumatore. La scelta di aprire un locale con il format Tuttocapsule La Caffetteria, comporta un impegno, economico e professionale, molto diverso rispetto all’apertura di un locale con il format Accademia – La Caffetteria.”
Infatti, nel format Tuttocapsule La Caffetteria – sono in uso macchine a cialde e montalatte, si mira all’uniformità del processo, minimizzando la specializzazione degli operatori. L’uso di capsule e cialde garantisce in termini di qualitativi e di safety, un’offerta che gioca con la produzione di bevande base latte o vegetale e sfrutta a pieno le referenze del punto vendita Tuttocapsule.
Tuttocapsule La Caffetteria è quindi un locale smart, adatto anche per piccoli spazi, che ha comunque a disposizione un’ampia scelta tra i migliori marchi di caffè. Diversa è la proposta del format Accademia – La Caffetteria, dove a cominciare dagli arredi, si sviluppa una proposta di servizio e di caffè di altissima qualità: Specialty Coffee monorigine 100% Arabica. In Accademia tutto è curato nei minimi particolari, dall’approfondita preparazione tecnica e professionale del personale, all’accoglienza clienti, a una selezione food, pensata appositamente per esaltare ogni nota aromatica del caffè.
“La nostra proposta di format diversificati, è studiata attentamente per delineare percorsi professionali definiti – aggiunge Pagliero – che diventano offerta chiara per il consumatore. Gli Specialty a marchio Pagliero roasted in Barolo serviti in Accademia- La Caffetteria, ad esempio, hanno una confezione “parlante” dove è indicato tutto ciò che riguarda quel
caffè, anche il tipo di tostatura”.
Massimo Zanetti, è anche il presidente della squadra di basket Virtus Segafredo Bologna (immagine concessa)
Massimo Zanetti, presidente della Virtus Segafredo Bologna, riflette sul 2024 sportivo, le
difficoltà affrontate e le speranze per il 2025. Tra obiettivi e aspettative, la Coppa Italia è il suo desiderio più grande. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione Vu Nere Bologna.
Massimo Zanetti presenta il bilancio sportivo del 2024
BOLOGNA – Massimo Zanetti, presidente della Virtus Segafredo Bologna, ha commentato la stagione sportiva 2024, ammettendo che è stato un anno un po’ travagliato e difficile. La squadra ha attraversato diverse difficoltà, in particolare con il contratto di sponsorizzazione e un inizio di stagione contrastato.
Il 2024 sportivo non è stato facile per la Virtus Bologna, come confermato dallo stesso Zanetti.
Durante l’estate, la squadra ha affrontato problemi con lo sponsor, un aspetto che ha complicato l’avvio della stagione.
A ciò si è aggiunto un andamento altalenante in Eurolega, con un inizio che non
ha soddisfatto le aspettative, mentre in campionato la squadra ha avuto un avvio promettente.
Zanetti ha sottolineato anche la fatica che le squadre italiane devono affrontare, con il calendario che prevede partite ogni due giorni.
“Domenica noi abbiamo perso con Trieste e Milano con Varese, pensate un po’. È molto dura e si sapeva,” ha detto il presidente, che nonostante le difficoltà, ha confermato di rimanere un “inguaribile ottimista”. Con l’arrivo del nuovo allenatore, Zanetti spera che la squadra possa migliorare nel corso della stagione.
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VENARIA REALE (Torino) – Sweet Coffee Italia è pronta a lasciare il segno a SIGEP 2025, l’evento internazionale dedicato a caffè, pasticceria e gelateria, che si terrà a Rimini dal 18 al 22 gennaio 2025. Quest’anno l’azienda presenterà una novità assoluta: la presentazione di tre progetti rivoluzionari che ridefiniranno gli standard di sostenibilità ed efficienza nel settore della tostatura.
Tre innovazioni che cambieranno le regole del gioco
Gemma 120IND
La prima tostatrice della storia in grado di tostare 120 kg di prodotto utilizzando esclusivamente l’energia elettrica (come si può vedere sopra). Questo innovativo sistema utilizza la tecnologia a induzione elettromagnetica per riscaldare il tamburo, eliminando completamente l’uso di combustibili fossili. Una vera svolta per la sostenibilità e l’efficienza produttiva.
Raffreddatore a vibrazione elettromagnetica
Una soluzione innovativa per il raffreddamento dei cicli di tostatura, progettata per essere scalabile a diverse dimensioni di produzione. Questa macchina risolve i problemi attualmente noti dei sistemi di raffreddamento tradizionali.
Raffreddatore a vibrazione elettromagnetica (immagine concessa)
Purificatore catalitico
Un nuovo sistema di abbattimento fumi che opera attraverso un avanzato sistema elettrico induttivo, eliminando la necessità di combustibili a gas. È una soluzione pulita e sostenibile, pensata per ridurre l’impatto ambientale nei processi di tostatura.
Purificatore catalitico (immagine concessa)
L’azienda sarà presente allo stand 110, padiglione D1, Fiera di Rimini.
L’innovazione al servizio della tostatura
Questi tre progetti rappresentano il costante impegno di Sweet Coffee Italia per un futuro più sostenibile, efficiente e tecnologicamente avanzato. Con queste soluzioni, l’azienda non solo innova, ma guida l’intero settore verso una nuova era.
MILANO – Via libera del Parlamento Ue al rinvio di un anno dell’entrata in applicazione dell’Eudr. L’emiciclo ha approvato a larga maggioranza (546 voti favorevoli, 97 contrari e 7 astensioni) l’accordopolitico provvisorio raggiunto con il Consiglio, per ritardare l’applicazione delle norme del nuovo regolamento europeo sulla deforestazione zero.
Prima che il termine ulteriore di un anno possa entrare in vigore, il testo deve essere approvato formalmente dal Consiglio Ue e pubblicato in Gazzetta ufficiale prima della fine del 2024.
Un passaggio che non dovrebbe comunque riservare ulteriori sorprese e che possiamo dare per acquisito.
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Francesco Sanapo (foto concessa da Xpress Comunicazioni - Crediti fotografici: Sofie Delauw)
Una puntata di Report dedicata alla bevanda più amata dagli italiani ha mostrato i limiti di servizio e qualità nei locali. Francesco Sanapo, esperto di caffè e docente di specialty coffee, ha affermato tuttavia che la tradizione dell’espresso italiano va rispettata e che non ci sono solo lati negativi ma anche aspetti positivi. Leggiamo di seguito l’articolo di Luisa Mosello per il quotidiano La Repubblica.
Francesco Sanapo sulla cultura del caffè
FIRENZE – “La cultura del caffè va difesa e protetta. E tirata fuori da scandali. Per il bene di tutti”. Va dritto al punto Francesco Sanapo, esperto di caffè e docente di specialty Coffee. Lui guarda e gusta la tazzina mezza piena, non quella vuota descritta dal servizio di Report intitolato “La Repubblica della ciofeca” che ha servito il tesoro da bere tanto amato dagli italiani su un vassoio non proprio perfetto. Inevitabile la polemica scoppiata dopo la messa in onda.
Ma gli amanti del caffè fino all’ultimo chicco più di avanzare contro critiche e difese d’ufficio puntano appunto a guardare tutto quello che di questo settore, prezioso, di buono c’è e a quello che si può e si deve fare per migliorarlo. Pur riconoscendo “l’imbarazzo” nel vedere alcune immagini che non rendono giustizia a quella che è una vera e propria cultura da rispettare, con “scivolate” in tema di servizio e di pulizia, oltre che di qualità del prodotto non sempre al massimo grado.
“Le cose vanno sempre migliorate – spiega al Gusto Sanapo, titolare dell’azienda Ditta Artigianale, nata a Firenze – Ma credo che la tradizione e la cultura del caffè italiano debbano essere rispettate e valorizzate, perché meritano molto di più di quanto spesso ricevono in questa epoca. Non ci sono solo parti negative messe in vetrina, anche se ci sono e sono imbarazzanti, ma anche molte cose positive, basti pensare che abbiamo baristi campioni”.
Sanapo aggiunge come riportato da La Repubblica: “La corsa al ribasso dei prezzi ha purtroppo sacrificato sia la qualità della materia prima che la professionalità degli operatori. È arrivato il momento di invertire questa tendenza: l’intero settore del caffè deve unirsi per costruire il caffè del futuro, collaborando per aumentare il valore percepito dai consumatori e investendo con determinazione nella formazione dei professionisti”.
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Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, espone la sua opinione sull’inchiesta di REPORT andata in onda domenica sera, elencando gli elementi che non sono stati analizzati. Leggiamo di seguito la sua opinione.
di Mauro Cipolla
Il programma di REPORT non ha parlato della tradizione italiana che lavora bene e che ancora esiste. Non ha parlato della differenza tra caffè industriali e artigianali. Inoltre, non ha parlato del gravissimo e grande problema dei finanziamenti dati dai torrefattori per entrare sia nei bar di bassa qualità e di alto volume e sia nella ristorazione degli chef dai nomi internazionali.
REPORT ha solo esposto i due estremi del caffè, dividendo e non unendo le strade della qualità per il bene del consumatore.
Spacciando lo stile napoletano e i caffè comunque industriali come il gusto e la tradizione italiana che piace.
L’altro come quella metodologia di formazione, materia prima e torrefazione che rappresenta come il caffe italiano dovrebbe invece essere.
Lo specialista Mauro Cipolla
Hanno connesso la tradizione divenuta italiana al folclore, alla cultura locale e al non avere alcuna formazione.
Cosa è arrivato a chi ha preso visione del programma? Che il vero caffè del Bel Paese, secondo gli italiani, è quello tostato molto scuro e cha fa riferimento a un gusto napoletano?
Dall’altra parte, in maniera opposta, hanno parlato di una tostatura estremamente chiara, che italiana di fatto non é, e che, sempre secondo loro, è l’unica annessa e connessa alla materia prima di qualità, alla formazione e all’ innovazione.
Detto ciò non hanno raccontato la vera storia italiana degli anni settanta, quando non esistevano i finanziamenti e le sponsorizzazioni tecniche da parte dei torrefattori, e non era mai contemplato il caffè tostato scuro come quello di oggi ma neanche come quello chiaro come considerato da quelli che secondo loro lavorano bene.
La verità risiede in tre pilastri che, guarda caso, non hanno raccontato e cioè:
– nella storia dei mercati e nell’elasticitè del prezzo da una parte (dove il consumatore ha una grandissima colpa nelle ragioni di vedere al ribasso le qualità del caffè)
– nel marketing dove oggi conta più la comunicazione e l’immagine che l’esperienza vissuta
– nella fisica e nella chimica , e cioè che il caffè, come nella cucina, per essere eccelso e non dare fastidio al piacere e alla salute dell’uomo, necessita ovviamente di materia prima di alta qualità, la quale, esente da difetti, deve essere tostata ad un livello di tostatura che rispetti (proprio come nella cucina) le reazioni di Maillard.
Non hanno raccontato che negli anni ’70, proprio a Napoli, esistevano dei caffè che erano conosciuti come il manto di Monaco e non erano tostati affatto scuri.
Lo stesso caffè del Professore, era un caffè del colore a manto di monaco. Più si saliva verso il nord Italia e più i caffè diventavano chiari in tostatura ma mai e poi mai come le tostature chiare indicate sul programma di Report da alcuni torrefattori che sono pagati per fare formazione, per fare da testimonial anche di grandi industrie e che erano tutti insieme contro i caffè italiani come se tutti questi fossero una “ciofeca”, ad una fiera di settore.
Di fatto quelle tostature dipinte dai trainer settoriali dell’associazione dello Specialty Coffee così chiare, provengono storicamente dal mondo anglosassone e non dalla nostra bellissima Italia.
Questi stile di tostatura derivano e sono state creare all’estero ad origine per i caffè a filtro e non per il caffè espresso. Si tratta di tutt’altro tipo di estrazione.
Inoltre nessuno ha discusso che la tradizione italiana negli anni ’60-’70 e inizio anni ’80 ha fatto un immenso lavoro sulla formazione dei baristi, con corsi, libretti e patentini per utilizzare le Faema ai 61 le Rancilio Z9AT o altre macchine e che comunque, già negli anni settanta e ottanta, venivano scritti libri da Illy, e non solo, che descrivevano dei metodi di formazione e di estrazione non molto dissimili da quelli di oggi dello specialty coffee.
Mauro Cipolla dietro il bancone di un bar (immagine concessa)
Nessuno ha mai parlato del chimico il grande dottor Ernesto Illy, quando negli anni ottanta, ancora come piccolo, medio artigiano, girava il mondo a spiegarci in persona, uno ad uno, con tanta competenza e passione, la chimica e la fisica del caffè espresso.
Quante conferenze abbiamo fatto insieme per difendere il caffè espresso italiano. Eppure hanno solo dipinto Illy come colui che ha creato il caffè tostato scuro per avvicinarsi al gusto italiano o al contrario al single origin Guatemala, quindi alla storia in estrazione dei caffe a filtro e non a quella dell’espresso italiano.
La formazione dei baristi di qualità degli anni ‘60 e ‘70 in Italia, non era affatto approssimativa e, soprattutto, era molto più “italiana nelle metodologie di lavorazione sulla macchina del caffè espresso” ed estremamente più adeguata nella loro esecuzione per il caffè espresso di quella proposta nei corsi di formazione a pagamento di oggi.
I metodi dei baristi dello specialty di oggi, quando pensiamo al caffè espresso, benché estremamente tecnici e puliti, sono un ibrido internazionale tra caffè a filtro e l’espresso nei tecnicismi e non rappresentano il metodo italiano di qualità e degli anni ’70 di estrarre appunto il caffè espresso, in grammatura, spessore di macinatura e pressatura, delle qualità eccelse appunto italiane.
Il purging poi, l’ho inventato e presentato io nei primi anni ottanta come tecnica migliorativa di estrazione e non era connessa solo alla pulizia ma anche all’ottenere le temperature dell’acqua appropriate per il caffè espresso eccelso, mentre si lavora o con grandi volumi o al contrario con pochi volumi, ma di questi aspetti nella lavorazione del purging non hanno parlato.
Un articolo riguardante Mauro Cipolla (immagine concessa)
Senza parlare poi del caffè arabica o robusta. Intanto anche a Napoli negli anni settanta il caffè era quasi tutto arabica. Basta guardare cosa entrava nei dazi doganali in Italia.
Quella poca robusta che si utilizzava all’epoca, anche a Napoli, era eccelsa favolosa, non scadente come quella di oggi proveniente dal Vietnam o di poco conto.
La robusta all’epoca era quella che noi oggi chiamiamo “fine robusta”, anzi ancor migliore, e comunque se ne utilizzava al massimo il 10%.
Oggi invece si usa robusta scadente e in grandi quantità. Non hanno mai definito che anche nell’ arabica esiste di fresca raccolta, di raccolta dell’anno precedente, arabica di raccolte vecchie, colme di difetti da €3 al kg e da €700 al kg.
Non hanno mai definito che anche con l’arabica si può ottenere una crema persistente, anzi ancor più vellutata, spessa, e persistente che con la robusta se lavori bene.
Non hanno mai parlato dell’importanza della torrefazione fresca, fatta ad ogni ordine e di avere prodotto fresco in casa e della differenza tra il problema dell’ossidazione e quello della decomposizione organica vegetale del caffè tostato.
Non hanno mai parlato dei problemi della logistica, delle valvole e del sottovuoto, e quindi di avere il caffè tostato fermo in depositi per mesi e mesi mentre si decompone e il non poterlo ricevere poco alla volta e freschissimo dal produttore al barista in piccoli lotti.
Non hanno mai parlato di caffè inteso come quella miscela che non dà fastidio solo al gusto ma anche all’apparato gastrointerinale.
Non hanno mai descritto il caffè come quel nutriente e elemento che può e deve essere utilizzato dai grandi chef in cucina, come quel legante naturale con i suoi grassi e aromi nobili che possono essere utilizzati nelle ricette per la cena o i pasti dall’antipasto al dolce.
Non hanno mai quindi parlato di quello che io sostengo da decenni: il concetto “caffè gusto e salute” dove il caffè è un nutriente e un alimento e dove il gusto è inteso come quella cosa che piace ovunque tu sia nel mondo perché è equilibrato, è sobrio ( questo in. tostatura non troppo scura e non troppo chiara, dove si ha un equilibrio tra cacao, cioccolato, e il terroir).
Soprattutto, continua Cipolla, non hanno mai parlato del problema del 99% delle macchine torrefattrici che non danno la garanzia che in camera di combustione con il caffè che si tosta non c’è fumo, e quindi che non esiste l’assoluta certezza che vi sono zero acidi IPAS che danno un gusto e aromi sporchi e che sono cancerogeni.
Cipolla continua: “Non hanno mai parlato dei processi industriali dove il caffè viene raffreddato o con aria fredda troppo violenta (che toglie tutti gli aromi al caffè) o peggio ancora che raffredda con nebulizzatori di acqua che aggiungono peso alla miscela e che aggiungono umidità atti a portare tossine, ocratossine, muffe cancerogene.
Mauro Cipolla al lavoro (immagine concessa)
Caffè con odori sgradevoli molto simili a quelli con la miscela con robusta sgradevole e con chicchi tostati all’infinito o al contrario con i caffè sotto tostati che sono aciduli, astringenti e francamente poco digeribili: ciò è dovuto al fatto che le molecole aromatiche nella loro catena complessiva non sono state appropriatamente sviluppate.
Non hanno mai parlato della vera tradizione italiana nel caffè e cioè quella che esisteva prima del mondo dei torrefattori che sono diventati finanziatori, quando anche i consumatori finali erano disposti a pagare un pizzico in più per la vera qualità e tralasciare l’immagine e la comunicazione commerciale e quello dove si vendeva meno orzo, meno ginseng e meno caffè infusi esterofili, proprio perché il caffè italiano eccelso piaceva anche alla nostra salute”.
Mauro Cipolla conclude: “In sintesi non hanno parlato mai dei mercati liberi e di unire le persone in un contesto di qualità esperienziale personale piuttosto che in associazioni. Manca anima e manca il coraggio, forse da parte di tutti”.
NAPOLI – “Come torrefattori napoletani tra i più storici, desideriamo ringraziare la redazione di Report per aver portato all’attenzione del grande pubblico un tema fondamentale: la complessità che ruota attorno al mondo del caffè e la centralità della formazione dei baristi in Italia per garantire un’esperienza di consumo di valore”: così Mario Rubino, presidente di Kimbo S.p.A. dopo la messa in onda del servizio sul caffè (messo in onda nella puntata di domenica 15 su Rai Tre) nel quale egli stesso, intervistato dal giornalista Bernardo Iovene, ha evidenziato alcune aree di miglioramento nella gestione del prodotto caffè nei bar italiani e l’importanza di una corretta manutenzione delle attrezzature, soprattutto se associate a caffè dalla tostatura scura.
La tradizione e la filosofia di Kimbo
Nel servizio si è parlato di tostatura scura e dell’oleosità del chicco come possibili difetti: “Su questo punto desideriamo fare chiarezza” – aggiunge Maria Cristina Tricarico, quality manager dello storico marchio partenopeo – “Per noi di Kimbo la tostatura scura, tipicamente napoletana, non è un difetto, ma una scelta precisa e consapevole che esalta l’essenza dei caffè utilizzati e che rispetta un profilo sensoriale molto ricercato e apprezzato non solo a Napoli ma sempre più in Italia e nel mondo. Basti pensare ai tanti torrefattori italiani che, da nord a sud, stanno sperimentando sempre più la tostatura scura”.
La tostatura scura tipica di Kimbo (immagine concessa)
“Il nostro profilo di tostatura scura lo definiamo Arruscato” – conferma infatti Rubino – “termine che deriva dal latino brusicare e che indica uno stadio di cottura ben preciso in cui il caffè raggiunge il suo punto massimo, senza però sconfinare nel bruciato. Questo stadio restituisce al palato sensazioni estremamente piacevoli, un bilanciamento perfetto tra dolcezza generata dalle reazioni tipiche di caramellizzazione e Maillard a carico di zuccheri e proteine naturalmente contenuti nel caffè, e l’amaro generato dalla cottura”.
Così la tazzina al bar riesce ad essere caratterizzata da corposità e intensità importanti, note di pan tostato, caramello e cacao.
Il chicco Arruscato è oleoso? “Ebbene sì” – conferma Tricarico – “ma l’oleosità presente sulla superficie dei chicchi è la naturale espressione degli oli di questo caffè, un segno di freschezza, qualità e di un giusto grado di maturazione del chicco. Non si tratta di un difetto, bensì di una caratteristica che, se gestita correttamente dai baristi, dà il meglio di sé in tazza”.
“Noi di Kimbo, da oltre 60 anni facciamo della tostatura scura un marchio di fabbrica” – incalza Massimiliano Scala, head of marketing di Kimbo – “proponendo caffè di alta intensità che incarnano l’autentica tradizione napoletana. Questo è il nostro punto distintivo e di forza, un tratto che ci lega alle radici della cultura del caffè, ma che guardiamo sempre con un occhio rivolto al futuro”.
Scala aggiunge: “Con le nostre miscele bar, realizzate con caffè Arabica e un tocco di Robusta di qualità eccellente, incontriamo i gusti del consumatore napoletano che storicamente manifesta una naturale propensione per sapori più intensi, più decisi. Propensione che stiamo approfondendo anche dal punto di vista genetico e antropologico, con studi specializzati sui sensi dell’olfatto e del gusto, sulla base delle teorie darwiniane sull’evoluzione, come anticipato nel servizio di Report dal nostro presidente, il dott. Mario Rubino (già medico-chirurgo)”.
Oggi, la ricercatezza della tazza Kimbo e la sua “alta intensità” hanno un riconoscimento non solo in Campania o in Italia ma godono di un apprezzamento sempre maggiore in tutto il Mondo. Proprio per intercettare le esigenze del consumatore internazionale l’azienda sta lavorando al momento ad un progetto che sviluppa la unicità di Neapolitan Master Roaster di Kimbo verso una linea di prodotti super premium che valorizzano non solo l’Arabica ma anche la Robusta di alta gamma.
Ed eccoci al punto di domanda finale. Un prodotto così complesso come quello generato dalla tostatura scura (“Arruscato”) può essere poi mortificato dalle mani di un barista inesperto o totalmente autodidatta che ha acquisito le cosiddette competenze “dalla strada”?
Su questo punto Mario Rubino è perentorio: “Assolutamente no, non possiamo consentirlo: è importante che la formazione dei baristi sia posta al centro dell’offerta dei torrefattori italiani. Noi di Kimbo ci adoperiamo quotidianamente sin dal 2016 con il nostro Training Center nell’attività di formazione destinata sia ai baristi, responsabili dell’ultimo miglio della preparazione, sia ai consumatori, giudici finali della qualità in tazza, senza i quali qualunque sforzo sarebbe vano”.
Rubino aggiunge: “Solo nel 2024 abbiamo portato a termine, con tanto di diplomi, i Corsi per Coffee Master di I e II livello e offerto alla stampa di settore una Coffee Immersion a cura dei caffesperti Francesca Bieker, Andrej Godina e Mauro Illiano. Solo attraverso una adeguata diffusione della cultura del caffè, così come è avvenuto a suo tempo per il vino, il consumatore finale potrà apprezzare a pieno le differenze e le complessità che caratterizzano i diversi caffè, e riconoscere alla tazzina il giusto valore che merita”.
Alberto Polojac, purchasing manager dell’azienda
triestina (immagine concessa)
Ad unirsi al coro di reazioni in risposta all’episodio di REPORT andato in onda su Rai 3, il coordinatore nazionale Sca Italy e titolare di imperator srl, Alberto Polojac. L’esperto afferma che nonostante l’Italia sia stata da sempre considerata la patria dell’espresso, ora sembra invece essere solo una illusione. Leggiamo di seguito la sua opinione.
L’espresso in Italia
di Alberto Polojac
MILANO – “L’Italia, per decenni considerata il faro della cultura dell’espresso, rischia di veder appannarsi la sua immagine di riferimento globale nel mondo del caffè. Un paradosso, considerando che proprio la parola “espresso” è sinonimo di italianità, evocando ritualità, maestria e tradizione. Tuttavia, qualcosa si è inceppato. E la domanda sorge spontanea: siamo ancora leader del settore o stiamo davvero scivolando verso il “mondo della ciofeca”? Da quanto emerso dalla puntata trasmessa domenica 15 dicembre da REPORT sembrerebbero non esserci dubbi, non solo per i troppi errori e maltrattamenti visti nei confronti della materia prima, ma forse anche peggio per le giustificazioni espresse a questa noncuranza.
L’illusione dell’eccellenza
Per troppo tempo, l’industria italiana del caffè si è cullata sugli allori. Il nostro modello — fatto di macchine iconiche, blend storici e un mercato nazionale fidelizzato — ha funzionato così bene da renderci ciechi ai segnali di cambiamento.
Invece di investire nella formazione del personale e nella cultura del prodotto, ci siamo aggrappati a modelli consolidati, confidando che bastassero tradizione (la cultura del “facciamo così da 30 anni”), numeri (se ne facciamo 10 kg al giorno deve essere buono per forza) e immagine a mantenerci in cima. Il risultato? Un’offerta che, in molti casi, non riesce a competere con quella di altri Paesi che hanno intrapreso un percorso di innovazione e crescita qualitativa.
I modelli virtuosi all’estero
Mentre l’Italia si crogiola nella sua fama, il mondo non è rimasto a guardare. In Francia, ad esempio, e in particolare a Parigi, il caffè si è evoluto come parte di un ecosistema di alta qualità che unisce pasticceria d’élite e torrefazioni specialty, che ormai non si contano più in tutte le zone della capitale francese.
Qui, non solo il prodotto è curato nei minimi dettagli, ma il caffè diventa protagonista di un’esperienza gastronomica integrata, capace di valorizzare sia la bevanda che l’accompagnamento al dolce. Vi ricordate la Francia qualche anno fa? Produceva caffè imbevibili e tostati scuri (simili ai celebri cafè creme della Svizzera), se ci andate ora e ricercate uno specialty coffee, non vi stanno nemmeno all’interno della mappa. Fate lo stesso a Roma e ve ne compariranno si e no 3 o 4 in tutta la città.
In altri Paesi, come la Scandinavia o l’Australia, l’approccio è simile: grande attenzione al racconto del prodotto, formazione del personale e un focus su sostenibilità e trasparenza. Baristi formati, clienti educati e una comunicazione efficace stanno contribuendo a una crescita culturale che l’Italia sembra tardare a riconoscere come necessaria.
Le zavorre italiane
In Italia, il sistema dei comodati d’uso — dove le attrezzature sono spesso fornite gratuitamente dai torrefattori in cambio dell’acquisto esclusivo di blend predefiniti — ha garantito per anni alti margini di profitto, ma ha anche frenato qualsiasi stimolo e ricerca. Questo modello non incentiva gli esercenti a puntare sulla qualità o sulla diversificazione, poiché li lega a un mercato standardizzato e poco flessibile.
A questo si aggiunge una percezione radicata: il caffè è visto come un bene accessibile e veloce, non come un prodotto su cui vale la pena investire tempo e risorse. La pasticceria di alta gamma fatica a integrarsi con il caffè specialty, salvo casi molto rari, nonostante il potenziale di questa sinergia sia evidente.
Il futuro secondo Alberto Polojac: rilancio o declino?
Il mercato globale sta cambiando rapidamente. L’aumento dei costi delle materie prime e le sfide legate alla sostenibilità costringeranno il settore a rivedere le sue politiche commerciali. E mentre altri Paesi si preparano a conquistare il palcoscenico culturale del caffè, l’Italia si trova davanti a una scelta cruciale: continuare a ripetere vecchi schemi abbarbicata sull’arroganza del “abbiamo sempre fatto così” o abbracciare un nuovo modello, fatto di formazione, cultura, ricerca e narrazione del prodotto?
Il rilancio passa attraverso un cambio di mentalità. Occorre educare il consumatore italiano, ma anche valorizzare il ruolo del barista e spingere verso una maggiore integrazione tra caffè e gastronomia di qualità.
Riusciremo a riconquistare il primato che ci compete e che secondo i più ci appartiene per diritto acquisito? Oppure ci accontenteremo di restare nell’ombra di chi ha saputo fare meglio di noi?”
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