giovedì 18 Settembre 2025
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Iiac premia Manolo Marcandalli come miglior assaggiatore di caffè

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Manolo Marcandalli (immagine concessa)

MILANO – Manolo Marcandalli, per il secondo anno consecutivo, vince il premio Iiac Best Taster, la competizione di Iiac – International Institute of Coffee Tasters tra i propri assaggiatori. Secondo il metodo IIAC gli assaggiatori sono valutati statisticamente in ogni sessione di assaggio, una procedura unica a livello internazionale che permette di verificare in modo rigoroso l’attendibilità dei loro assaggi.

Il premio IIAC Best Taster 2025 è basato sulle performance registrate nell’anno 2024 per ogni singolo assaggiatore.

“L’esperienza e la formazione contano moltissimo, naturalmente, ma sono solo un punto di partenza nella valutazione sensoriale. La nostra psicofisiologia è soggetta a variazioni non solo tutti i giorni ma anche più volte al giorno – ha commentato Carlo Odello, presidente Iiac – Da qui la necessità di valutare non soltanto il prodotto ma anche chi lo valuta sensorialmente. Il giudizio di un singolo assaggiatore, che magari valuta addirittura conoscendo la marca del caffè che ha di fronte, non è purtroppo scientificamente valido”.

Il vincitore di Iiac Best Taster 2025 Manolo Marcandalli ha così raccontato il significato di questa vittoria: “Questo premio rappresenta sicuramente un traguardo e una soddisfazione personale molto gratificante, donandomi ulteriori conferme sulle competenze acquisite insieme a Iiac in questi anni. In ambito lavorativo mi supporta offrendo ulteriori garanzie alle mie competenze per meglio svolgere il compito di controllo qualità del prodotto finito in azienda, dandomi la possibilità di poter aumentare la mia credibilità come professionista, sia con i miei collaboratori che con i nostri clienti”.

Il rapporto tra Iiac, le aziende e gli assaggiatori si caratterizza per una continua collaborazione e crescita reciproca, rappresentando un’importante rete di supporto per lo sviluppo del settore del caffè.

Per Marcandalli Iiac rappresenta “un mondo parallelo all’attività professionale, un ambiente amichevole e dopo tanti anni oserei dire quasi famigliare, che mi offre la possibilità di ampliare le mie conoscenze con un continuo scambio di vedute con i miei colleghi giudici, migliorandosi a vicenda, avendo una finestra aperta sul mondo dell’analisi sensoriale che offre attraverso i panel organizzati spunti di riflessione continui.”

Qual è il segreto della doppia vittoria, nel 2024 e nel 2025? “Ciò che porto con me e mi accompagna durante gli assaggi sono alcuni passaggi appresi durante il Master in analisi sensoriale e scienza del caffè di IIAC – ha affermato Marcandalli – In particolare l’approccio a un assaggio spontaneo, la velocità di traduzione degli stimoli sensoriali e una grande coerenza nella misurazione.”

La scheda sintetica di Iiac

IIiac– International institute of coffee tasters è un’associazione senza fini di lucro che vive delle sole quote sociali. È stato fondato nel 1993 con l’obiettivo di mettere a punto e diffondere un metodo scientifico per l’assaggio del caffè. Dalla sua fondazione Iiac ha svolto centinaia di corsi ai quali hanno partecipato 13.000 allievi da più di 40 paesi nel mondo.

Il manuale Espresso Italiano Tasting, edito in italiano e in inglese, è stato tradotto in spagnolo, portoghese, tedesco, francese, russo, giapponese, cinese, coreano e tailandese. IIAC è dotato di un importante comitato scientifico che pianifica la ricerca per garantire l’innovazione del settore: ne fanno parte docenti universitari, tecnici e professionisti. Ha inoltre filiali dirette in Cina, Corea e Giappone. Per maggiori informazioni basta cliccare qui.

Caffè svizzeri: una storia che si perde nell’800 e arriva sino ad oggi

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La Svizzera

MILANO – Si pensa al bar all’italiana, un modello strettamente legato alla cultura del Paese dell’espresso che ha conquistato anche l’estero, al punto di ispirare menti imprenditoriali come quella di Howard Schultz, folgorato a Milano dalla caffetteria made in Italy. Ma esistono anche tanti altri esempi di questi luoghi di incontro e di consumo fondati dai grigionesi: da swissinfo.ch, firmato da Luca Beti, riportiamo l’analisi storico-sociale dei caffè svizzeri, della loro funziona, della loro evoluzione.

Caffè svizzeri: altri spazi che hanno segnato la cultura dei luoghi

Nell’Ottocento, i caffè gestiti da emigranti grigionesi si diffusero nelle maggiori città europee, trasformandosi in centri di ritrovo per l’élite culturale e sociale. Da Palermo a Copenhagen, questi locali non solo offrirono innovazioni culinarie e ambienti di lusso, ma divennero anche autentici poli di dibattiti letterari e politici e protagonisti nella diffusione di nuove idee e tendenze culturali.

“La sottoscritta si prende la libertà di informare l’egregio pubblico che i cantanti italiani Annato e Perecini si esibiscono ogni giorno nella mia tenda a Jagersborg Dyrehave”. Sono gli anni Venti dell’Ottocento.

Dopo la morte del marito, la poschiavina Barbara Lardelli gestisce da sola un caffè a Copenhagen. A Jagersborg e poi a Charlottenlund, al margine del parco faunistico a nord della capitale danese, durante la bella stagione, oltre ad offrire i prodotti della sua pasticceria, propone nel parco divertimenti spettacoli musicali per intrattenere la sua clientela.

Siamo agli albori dell’epoca d’oro delle pasticcerie e dei caffè svizzeri all’estero

A fondarli furono soprattutto migranti grigionesi, tra cui molti poschiavini, che dalla metà del Settecento fino ai primi decenni del Novecento aprirono i loro locali nelle maggiori città europee, dalla Spagna all’Inghilterra, dall’Italia alla Polonia.

All’inizio dell’Ottocento, nella sola Copenhagen se ne contavano 18, di cui la metà gestiti da grigionesi. “In Danimarca, questi locali erano un fenomeno nuovo. E i grigionesi furono dei pionieri nel proporre nuovi prodotti”, spiega Silva Semadeni.

Qui l’articolo completo.

Ecco il cappuccino ligure con la salsiccia di Bra: la ricetta dello chef Ivano Ricchebono

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Ricchebono presenta il cappuccino ligure con la salsiccia di Bra (immagine: Pixabay)

MILANO – In Liguria arriva la salsiccia di Bra in una nuova veste grazie alla ricetta dello chef stellato Ivano Ricchebono, l’anima dietro il ristorante The Cook di Genova. La sfida dello chef ha visto l’unione della Liguria con il Piemonte: si tratta di un cappuccino di patate quarantine con salsiccia di Bra cotta e cruda, tartufo nero estivo, polvere di porcini, toma piemontese e olio alle erbe liguri.

Il cappuccino di patate con salsiccia di Bra di Ivano Ricchebono

La ricetta preparata per omaggiare le caratteristiche delle due regioni è stata ideata in vista del calendario di Bra’s dal 19 al 22 settembre in Piemonte.

Per vedere il video della ricetta pubblicata su Repubblica basta cliccare qui.

Dal Piemonte, i cioccolatini al formaggio e cavolfiore

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La produzione di cioccolato (Pixabay License)

Dalla cioccolateria Giraudi di Alessandria arrivano i nuovi prodotti che mischiano cioccolato e formaggio, ma anche cavolfiori. Questi nuovi cioccolatini con nuove e incredibili varianti di gusto stanno acquisendo sempre più popolarità. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Rosalia Gigliano per La voce di Torino.

I cioccolatini al formaggio e cavolfiore

ALESSANDRIA – Avreste mai pensato di mangiare dei cioccolatini al formaggio o, ancora, delle praline a gusto cavolfiore? Ebbene, queste sono le nuove novità, in materia di piccoli dessert, che provengono direttamente dai maestri pasticcieri piemontesi.

Gusti che sembrano davvero non c’entrare nulla fra di loro, eppure stanno insieme e possono essere anche buoni. Certo, non al palato di tutti piacciono ma, comunque, sono al top.

Questo è quello che stanno sperimentando e provando i maestri pasticcieri piemontesi che sono in gioco per degli abbinamenti del cioccolato alquanto singolari.

Cioccolato e formaggio, ma anche cavolfiore: l’invenzione arriva dalla cioccolateria Giraudi di Alessandria. Buoni e, anche, molto gettonati: questi nuovi cioccolatini con nuove e incredibili varianti di gusto stanno letteralmente prendendo il sopravvento.

Lo studio del maestro cioccolatiere Giacomo Boidi, con la collaborazione di suo figlio Davide, ha portato alla creazione di queste nuove piccole bontà.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Gianluigi Goi, prime obiezioni ad Andrej Godina: “Espresso al capolinea in Italia? Non voglio e non posso credere sia vero”

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Una classica tazzina di espresso (immagine: Pixabay)

Gianluigi Goi è un nostro lettore nonché giornalista specialista di agricoltura di fama riconosciuta. Goi è affezionato a queste pagine alle quali, con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista, ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi risponde all’analisi dell’esperto Andrej Godina, il quale annuncia che l’espresso del bar è ormai un’esperienza ormai adatta solo agli anziani (ne abbiamo parlato qui). Leggiamo di seguito l’opinione di Goi.

Lo stato dell’espresso in Italia

di Gianluigi Goi

“Anche se consapevole che viviamo in un società dove alla disinformazia della vecchia guerra fredda si affianca la quotidiana alluvione di fake news che insidiano chi persista nel vizietto di scribacchiare, l’effetto annuncio entro certi limiti ci sta ed è molto utilizzato, leggere (su queste colonne del 2 febbraio 2025) il titolo “Andrej Godina: Ecco perché l’espresso del bar italiano è al capolinea ed è un’esperienza ormai adatta solo agli anziani” è stato un colpo che mi ha fatto male.

Per me l’espresso rappresenta l’abitudine di una vita e, soprattutto, un modo di intendere e vivere la quotidianità all’italiana in senso stretto.

Un sentire che va oltre le pure sensazioni gustative governate dai recettori biologici per trasformarsi in emozioni, incontri, anche incavolature in una parola in ginnastica di vita sul percorso di alti e bassi che tutti siamo chiamati a percorrere.

Un secondo pugno, questo sotto la cintola come dicono i pugili: l’espresso “è un’esperienza ormai adatta solo agli anziani”.

Sono anziano e non sopporto l’idea di essere valutato con il metro dell’età ma per quello che sono, un individuo con i diritti che la nostra splendida (e ormai in pericolo) Costituzione riconosce a tutti.

La sopra riportata espressione emana uno sgradevole sentore di “apartheid caffeicolo” che può con una certa facilità trasformarsi – e sarebbe gravissimo! – in apartheid sociale. D

el resto, è cosa risaputa, la dottrina dello scarto applicata ai vecchi è purtroppo realtà di tutti i giorni.

Per tornare a bomba alle sole questioni caffeicole, il nostro caffesperto per antonomasia – sia ben chiaro che le competenze e le capacità tecnico-professionali di Godina sono fuori discussione – sottolinea che “l’esperienza quotidiana del caffè che tutti noi beviamo è obsoleta (come gli anziani? – n.d.r.) noiosa e poco gratificante … in particolare nella sua estrazione in espresso, la bevanda sensorialmente più complicata in assoluto”.

Macinando un altro chicco prelevato dal sacco godiniano si apprende che “note di gomma, verdura marcia, muffe, cantina, tintura di jodio e rancido (una mini galleria di orrori, non di rado veritiera, purtroppo – n.d.r.) accompagnate da una marcata astringenza e un amaro eccessivi, sono purtroppo una realtà diffusa in molte tazzine servite quotidianamente, sia in moka che in espresso o caffè monoporzione. …

L’aggiunta di zucchero e latte così come il consumo immediato di un cioccolatino o di un biscotto dopo l’espresso, non sono altro che strategie inconsce per attenuare le caratteristiche sensoriali sgradevoli della bevanda”.

I toni mi sembrano esagerati e tendenti all’apocalittico ma diverse considerazioni colgono nel segno.

Mi permetto in ogni caso due considerazioni:

1) perché in quella che ho definito la galleria degli orrori è riportata la voce cantina? Fossi un viticoltore mi incavolerei: oggi molte cantine agricole sono più pulite e ordinate di molte cucine domestiche. A cosa si fa riferimento? Forse alla cantinetta privata di qualche pensionato che con poche bottiglie polverose e magari una vetusta damigiana di “vino fatto come una volta” appende salami e/o formaggi rigorosamente e orgogliosamente ammuffiti?);

2) personalmente gradisco l’amaro (spero non sia una colpa grave e di non essere per questo passibile di squalifica in ambito sensoriale), ma confesso pubblicamente che ringrazio sentitamente ‘frate corpo’ – la definizione non è mia ma del grande San Francesco – se spinge le sue “strategie inconsce” dentro di me a farmi cercare l’incontro con un biscottino di quelli giusti e soprattutto con un quadratino di cioccolato fondente bello scuro. Un vero e proprio matrimonio d’amorosi sensi.

Dalla macinazione di un altro chicco apprendiamo – e qui le considerazioni si fanno molto pregnanti e necessitano dell’attenzione e delle valutazioni degli operatori del settore alle quali rimando per ovvie ragioni di serietà – “in queste condizioni, il caffè fatica ad attrarre i giovani consumatori, abituati a profili aromatici più equilibrati e retrogusti piacevoli, tipici di prodotti dolci e armoniosi.. – e, ancora – .. oggi, tutti noi, e in particolare i giovani, desideriamo poter selezionare il nostro prodotto tra un’ampia gamma di opzioni.  Apprezziamo le bevande personalizzate e vogliamo essere guidati da esperti. Che ci aiutino a comprendere le differenze e le peculiarità di ciò che consumiamo”.

Goi: a questo punto, però, un po’ di chiarezza, please.

E’ giusto doveroso ed urgente migliorare la qualità dell’espresso in tutta la sua filiera

(1); apertura a tutti i metodi di estrazione mettendo però i consumatori nelle condizioni di poter scegliere come meglio ritengono sulla base di una crescita culturale e professionale il più possibile allargata, quanto mai necessaria a tutti i livelli

(2); pur rispettando la storia e la tradizione del bar all’italiana è assolutamente auspicabile l’apertura di vere caffetterie dove il prodotto caffè nella sua interezza e complessità possa esprimersi a livelli e contesti ambientali i più diversi.

L’insufficiente numero di questi locali rappresenta, secondo noi, il vero punto dolens dell’espresso nel nostro Paese

(3); guardare alle esigenze e ai gusti diversi, mutati e mutevoli, dei giovani è un’esigenza imprescindibile per stare al passo con i tempi, a prescindere dalla obsolescenza vera o supposta di noi anziani (4).

Ciò che non mi vede assolutamente d’accordo è l’acrimonia e il livore che traspare dalle parole e dalle espressioni utilizzate contro l’espresso fino al punto da sentenziarne la premorienza.

Cui prodest, a chi giova questo atteggiamento tanto aggressivo? Non so ma mi piacerebbe saperne qualcosa. E’ una grossa responsabilità quella di sparare ad alzo zero contro l’espresso, contro un simbolo unanimemente riconosciuto dell’italian style, una filiera economica di primaria grandezza che si sostanzia non solo nella lavorazione e trasformazione del chicco ma anche in una tradizione produttiva industriale di macchine e attrezzature specializzate che non ha paragoni al mondo.

Quale la genesi e il motivo di questo cupio dissolvi? Per quanto mi riguarda, nel mio piccolo di semplice consumatore solo attento ma con il vizietto dello scrivere (forse un peccato grave, questo) dico no alla “teocrazia caffeicola” ma ci tengo a sottolineare che non sono un troglodita del caffè e non aspiro a diventarlo”.

                                                                                                          Gianluigi Goi

E Antonio Malvasi tuona sull’espresso a tutela STG: “L’imperativo è proteggere la tazzina che va tutelata con un intervento di legge definitivo e facile”

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Antonio Malvasi (immagine concessa)

Antonio Malvasi, coautore del libro Barista Sapiens, giurista e docente, si esprime riguardo al riconoscimento del marchio di tutela Espresso STG Specialità tradizionale garantita (ne abbiamo parlato qui). Secondo Malvasi l’utilizzo del marchio porterebbe ad una maggiore valorizzazione della bevanda. Leggiamo di seguito la sua opinione.

Malvasi, ma quanta paura suscita il marchio STG?

“L’espresso è una rendita donataci dai nostri nonni, facciamo sì che anche i nostri figli ne possano trarre beneficio, proteggiamolo con il riconoscimento del marchio di tutela STG. Senza paura, per chi opera con passione, lealtà e professionalità non c’è nulla da temere, c’è solo da guadagnarci.

C’era una volta l’espresso, la più bella e affascinante forma di estrazione esistente, dal colore caldo, ricco di aromi, corposo e tonificante. Come tutte le cose belle, per continuare ad irraggiare le sue reali caratteristiche sensoriali e confermarsi uno dei simboli del made in Italy, aveva bisogno di essere protetto, tutelato e curato.

Tutti ne parlavano e tutti si erigevano a profeti e tutori dell’espresso. Tutti propensi a salvare l’espresso, buoni intenti, chiacchiere, articoli di giornali e tanta parvenza nel tutelare un fantomatico interesse comune.

Tanti buoni propositi esternati, ma nessun fatto concreto e intanto l’anarchia dilagava”.

Professor Malvasi, cosa fare allora per uscire da questa situazione e rivalutare il prodotto espresso?

“In ogni forma di convivenza umana, quando la comunità non riesce spontaneamente a tutelare l’interesse collettivo è doveroso l’intervento del legislatore per garantirne la tutela dell’interesse dei consumatori.

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Antonio Malvasi , coautore del libro Barista Sapiens, giurista e docente (immagine concessa)

Il legislatore ha già messo a disposizione i marchi di tutela. Nello scorso articolo ho proposto di perseguire il riconoscimento del marchio di tutela “Espresso STG””.

Ma quanta paura mette questa proposta?

“In occasione del SIGEP di Rimini, ne ho parlato con diverse persone. Tra i consumatori e alcuni operatori lungimiranti (specie protetta dal WWF) ho notato entusiasmo e apprezzamento; in altri, invece, ho intravisto degli occhi traboccanti di paura, quella particolare paura di cambiare e di mettere a rischio la propria comfort zone.

Penso che sia un timore infondato, dettato dalla mancanza di conoscenza, sostenuto da quella quotidiana indifferenza di vivere alla giornata abbandonando progressivamente un prodotto che i nostri nonni ci hanno regalato, ma che non sappiamo tutelare”.

Malvasi, vogliamo chiarire che cosa sono i marchi di tutela?

“I marchi di tutela sono di tre tipologie: i DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta), o il STG (Specialità Tradizionale Garantita). I primi due tutelano la provenienza di un prodotto.

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Antonio Malvasi con una tazzina d’espresso in mano (immagine concessa)

Esempi di DOP sono il Parmigiano Reggiano, il pistacchio di Bronte; esempi di prodotti IGP sono il pane di Matera, le nocciole del Piemonte. L’espresso non può rientrare in queste due categorie perché non produciamo la materia prima, ma la lavoriamo, abbiamo una ricetta. L’unica strada da seguire, pertanto, per tutelare l’Espresso è quello della STG”.

Cosa è accaduto ai diversi prodotti dopo il riconoscimento del marchio di tutela?

“Abbiamo assistito ad un aumento dei consumi, ad un aumento del prezzo di vendita, si è portata avanti una lotta alle imitazioni, ma soprattutto si è implementata la consapevolezza e la fiducia del consumatore verso quel prodotto”.

I marchi di tutela (immagine concessa)

Cosa accadrebbe qualora l’espresso ottenesse il marchio di tutela STG?

“Il brand sarebbe rafforzato, si fregerebbe di un piccolo bollino giallo che farebbe la differenza. Chiunque volesse servire un caffè al bar denominato espresso sarebbe tenuto al rispetto del disciplinare. Chi non lo rispettasse non potrebbe usare questo termine in tutta l’Unione Europea e in caso di ripetute infrazioni ci potrebbero essere anche dei risvolti penali (ex art. 515 c.p.).

Capisco che quanto appena scritto sviluppa paura, un’inquietudine dovuta alla mancanza di conoscenza sorretta dal difendere ostinatamente il proprio orticello che prima o poi essiccherebbe. Ed è comprensibile. Così di primo acchito sembrerebbe che la proposta possa appesantire il settore, creare dei vincoli e dei limiti alla propria libertà di servire un prodotto che non rispetta i canoni di base di un espresso”.

Da dove sorge il timore su questo marchio?

È evidente che la principale paura si basa sul disciplinare. Si teme di rimanere “incastrati” in un ginepraio di regole e regolette destinate solo a generare eventuali costi, oneri e incomprensioni. Tutto giusto. Ma dipende da ciò che scriviamo in questo disciplinare. Dipenderà dalla capacità di avere le idee chiare, di allontanarsi dagli estremismi, di essere realisti e soprattutto di tutelare il consumatore”.

Come vede un eventuale e futuro disciplinare Stg Espresso?

“Scorgo, in primis, una grande opportunità, un disciplinare semplice, chiaro, non confusionario, con pochi vincoli che non cambierebbe il già consolidato modus operandi degli operatori che lavorano con professionalità, con la sola differenza che alcuni aspetti diverrebbero obbligatori. Attenzione, il tutto, però, perseguendo un solo obiettivo: l’interesse del consumatore”.

Può farci un esempio di un’eventuale proposta di disciplinare?

“Mi mette in difficoltà, sapendo che ci sono persone ben più competenti di me. Vorrei però fornire un mio punto di vista, non da studioso del caffè, ma più da giurista e da consumatore.

Vedrei un disciplinare che si cristallizzasse su tre pilastri. Il primo pilastro riguarderebbe i torrefattori, a cui si chiede ben poco: di indicare la reale data di tostatura e di specificare le percentuali delle specie contenute, senza entrare nel merito della provenienza del caffè, della lavorazione, della tipologia di tostatura ecc. E’ probabilmente il passo più “pesante”, è l’ostacolo più irto, vista l’immunità dagli obblighi informativi di cui gode il torrefattore a differenza delle tante informazioni obbligatorie riportate sulle etichette di altri prodotti alimentari (vino, farine, pasta ecc. )

Il secondo pilastro, invece, andrebbe a riguardare il deus ex machina della ricetta, il Barista. Il cuore del disciplinare riguarda proprio il Barista che dovrà operare nel rispetto delle regole di manutenzione e dei passaggi dell’iter di preparazione dell’espresso (pulizia della campana, pulizia delle doccette, del filtro, del portafiltro, uso del purge, la temperatura della tazzina ecc..).

Infine, il terzo pilastro riguarderebbe il prodotto espresso. Il quesito è questo: come aiutare il consumatore a comprendere i pregi e i difetti di un espresso? Una sorta di vademecum informativo sulle principali caratteristiche sensoriali di un caffè espresso “modello”, senza entrare nelle più estreme teorie sensoriali, senza andar a toccare aromi raffinati, ma impercettibili, ma arrivare ad inquadrare un espresso STG “umano”.

In primo luogo e penso che siamo tutti d’accordo che non si potrà parlare di espresso senza la presenza della crema, il presupposto per poter andare avanti. Una crema senza buchi ed elastica. Escluderei gli espressi che lascino in tazzina il famigerato “filo di sabbia”. Sul gusto, a mio avviso, bisognerà confermare la presenza di un amaro non aggressivo, che lasci spazi ad altri gusti, se presenti. Per gli hater dell’amaro: provate a chiedere alla gente comune qual è il gusto preminente di un espresso? Immaginate poi di uscire con un disciplinare che bandisce totalmente il gusto amaro. Un’apocalisse!

Casserei, invece, un espresso estremamente astringente. Complessa è, invece, la situazione aromatica, sempre ragionando da consumatori mi manterrei sugli aromi tipici di un espresso, sugli aromi tostati, mi allargherei ad un aroma di cacao, onnipresente, mi soffermerei, invece, su alcuni difetti popolari: il bruciato, la cenere, il rancido, la muffa e qualcun altro.

Non nominerei tutti gli altri aspetti tecnici: dose in, dose out, pressione della macchina, temperatura d’estrazione, TDS ecc., svilupperebbero limiti e confusione”.

Cosa accadrebbe con gli altri disciplinari presenti?

“Non vedo conflittualità! Questo riconoscimento non va in conflitto con alcun altro disciplinare esistente, il disciplinare STG è un punto di partenza, è la base di disciplinari più specifici ed esigenti. Ben venga questa convivenza! Il disciplinare STG può ben convivere con dei disciplinari più professionali.

L’introduzione del marchio STG (immagine concessa)

Lo ripeto le lamentele sono frutto dell’inerzia. Se vogliamo soprattutto difendere questo prodotto dobbiamo scendere in campo usando le normative presenti. Se non interveniamo si rischia di continuare a far deflazionare il prodotto espresso e prima o poi di subire l’imposizione del legislatore, passando da una situazione caotica ad un vero e proprio dispotismo di regole.

Siate coraggiosi, siate patriottici, avete dedicato una vita al mondo del caffè, ora agiamo tutti assieme! Uniamoci e regaliamo questo marchio al nostro espresso. Lasciamo un segno indelebile ai nostri figli che continueranno ad apprezzare un espresso garantito.

Buon espresso STG a tutti”.

Corea del sud diventa il terzo mercato di Starbucks, ma sempre più caffetterie sono in situazione di crisi

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Corea del sud
L'esterno dello Yangpyeong drive-thru store di Starbucks, nella provincia di Gyeonggi, in Corea del sud (credits: Starbucks)

MILANO – In Corea del sud è ancora boom delle caffetterie, ma non per tutti. I report provenienti dal paese dell’estremo oriente rivelano infatti una realtà – sotto certi versi – contraddittoria, con le grandi insegne in ulteriore ascesa e gli esercizi indipendenti spesso alla canna del gas. Le cronache delle ultime settimane ci dicono, ad esempio, che la Corea del sud è diventata il terzo mercato mondiale di Starbucks, dietro soltanto a Usa e Cina e davanti al Giappone.

Starbucks conta attualmente 40.576 locali in tutto il mondo, di cui 17.049 negli Usa e 7.685 in Cina.

Secondo i dati diffusi dalla catena di Seattle, il numero di locali Starbuck in Corea del sud erano, al 31 dicembre scorso, 2.009: 18 in più rispetto ai 1.991 del paese del sol levante, che ha però una popolazione più che doppia.

Il sorpasso è ancora più significativo se pensiamo che il Giappone è stato il primo paese estero in cui Starbucks ha cominciato la sua espansione al di fuori del nord America.

Il primo locale nipponico aprì i battenti addirittura nel 1996, nel modaiolo distretto della Ginza.

Lo sbarco in Corea del sud è avvenuto tre anni più tardi, nel 1999

La prima caffetteria sorse in prossimità dell’università femminile di Ewha. Starbucks Korea – una joint-venture posseduta per i due terzi dal colosso locale della Gdo Emart (Shinsegae) – ha attuato un’aggressiva politica di espansione, che l’ha portata ad aprire 500 locali negli ultimi 4 anni.

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La grammatica del caffè: il libro firmato da Daria Illy fa divulgazione sulla filiera

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La grammatica del caffè, copertina
La grammatica del caffè, copertina

MILANO – Gribaudo editore è protagonista su queste pagine, con il libro Grammatica del caffè, dell’autrice Daria Illy che, di questa materia prima e bevanda, sicuramente è grande esperta. Dalla pianta alla tazzina, il racconto di una filiera lunga e complessa, che congiunge Paesi d’origine e di consumo attorno al rito della tazzina.

Grammatica del caffè: quasi 200 pagine che profumano di caffè

L’autrice non si risparmia e tocca tutti i possibili temi in cui il chicco può essere protagonista: dalla sua nascita nei luoghi di produzione, sino alle nazioni in cui si trasforma e viene importato, affrontando il suo aspetto più socio-culturale che hanno segnato diversi momenti storici; senza tralasciare ovviamente ai suoi effetti benefici sull’organismo così come il suo ruolo all’interno delle ricette.

Dopo una prefazione firmata da Oscar Farinetti ad introdurre questa opera omnia di Daria Illy, si parte.

E si inizia proprio dal principio, come vuole la logica, ovvero dall’Etiopia, e dalle leggende che ruotano attorno all’oro nero: celebre e risaputa quella in particolare del pastore Kaldi e delle sue capre, grandi mangiatrici di bacche ricche di caffeina.

Questa materia prima raggiunge lo Yemen attraverso la città portuale di Mokha (oggi Al Mukha), l’approdo nella prima caffetteria di Instanbul, Kiva Han, i divieti di consumo per motivi religiosi e la sua presenza in Europa nel 500.

La tazzina, la bevanda, sgorga nella storia e nella cultura, tracciandone le rotte commerciali, gli scambi sociali.

La Grammatica del caffè: dentro le città che della tazzina hanno fatto un simbolo

In Italia, l’autrice individua ovviamente Napoli, Trieste, mentre per l’Europa il punto di riferimento è Vienna.

Poi il salto nelle nozioni più tecniche: dalla raccolta alla lavorazione, sino alla torrefazione e alla composizione dei blend, si passa alle diverse estrazioni, al decaffeinato e, chiaramente, un paragrafo a se va al cappuccino. Ricetta apprezzata in tutto il mondo e consumata a colazione – ma dagli stranieri anche durante i pasti nell’arco dell’intera giornata -.

La grammatica del caffè non tralascia neppure le possibili combinazioni come ingrediente di soluzioni iconiche servite nei bar, ma anche di quelle più moderne.

Si fa un giro tra i locali storici in cui è stata servita la tazzina e che hanno superato la prova del tempo. E poi si fa un po’ di chiarezza su alcuni dubbi e leggende metropolitane che girano attorno a questa bevanda: fa bene, fa male, in quali quantità? Daria Illy risponde e lo fa con la scienza a suo supporto.

La grammatica del caffè sfuma poi nella questione ambientale, ponenddo il focus su un tema che illycaffè ha molto a cuore e porta avanti da tanti anni: l’agricoltura rigenerativa come buona pratica nei campi.

E poi, dulcis in fundo, il caffè come ingrediente di dolci al cucchiaio (il più famoso ovviamente, sua maestà il tiramisù).

La grammatica del caffè è acquistabile qui, al costo di 22,80 euro.

La colazione in Italia: tradizione o lusso quotidiano?

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Il tavolino di un bar (Foto di Julia da Pixabay)

La colazione al bar con espresso e cornetto rappresenta un’abitudine irrinunciabile per milioni di italiani. Adesso però il rito del primo pasto della giornata sta rischiando di diventare un lusso per pochi. Se in media la colazione costa tra i 2,50 e i 4 euro, la spesa mensile varia dai 50 agli 80 euro, superando i 900 euro all’anno. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su settenews.

La colazione in Italia

MILANO – Ogni mattina milioni di italiani varcano la soglia di un bar, ordinano un caffè o un cappuccino, una brioche e iniziano con questa sorta di rito la propria giornata. Per alcuni è un’abitudine radicata, per altri un piacere irrinunciabile, per altri ancora una necessità dettata dai ritmi frenetici della vita moderna.

Un’abitudine che affonda le radici nella tradizione, un rito collettivo che scandisce le giornate, ma anche una spesa quotidiana che, a fine anno, si trasforma in un investimento di tutto rispetto.

La colazione al bar è un momento di socialità mascherato da necessità alimentare, è il luogo in cui si incrociano le vite di sconosciuti accomunati dalla stessa routine: l’impiegato che legge il giornale mentre mescola distrattamente lo zucchero, il manager che beve un caffè tra una telefonata e l’altra, la coppia che si scambia sguardi sopra un cornetto alla crema, l’anziano habitué che si sente parte di una comunità soltanto appoggiandosi al bancone.

In alcune città, come Milano, il tempo medio di permanenza al bar è inferiore ai cinque minuti, l’espresso si consuma in piedi, il telefono è già in mano, il cervello è altrove.
A Roma la colazione è più rilassata, a Napoli il caffè è un atto identitario, in Sicilia la granita con brioche è un patrimonio culturale.

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Galateo al bar: ecco cinque regole di buone maniere da seguire

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bar caffetteria caffè
Il tavolo di una caffetteria (Foto di Pexels da Pixabay)

Carmen Autuori, nell’articolo pubblicato dal portale d’informazione Luciano Pignataro Wine and Food blog, elenca cinque regole di buone maniere da seguire ogni volta che ci si reca al bar: dal salutare cortesemente il personale fino alle richieste da formulare al banco. Di seguito riportiamo un estratto dell’articolo.

Al bar con eleganza

MILANO – C’è un vecchio detto che recita: “al tavolo e al tavolino si riconosce il signore ed il signorino”. Parliamo, ovviamente, di un’epoca altra quando le uscite in pubblico erano l’eccezione e non la regola e i luoghi d’incontro più diffusi erano i circoli dove si giocava a carte, al tavolino appunto, oppure i ristoranti e quindi a tavola.

Poi fu la volta dei bar, nati come caffè, prima a Vienna e poi diffusi in tutta Europa, il primo in Italia fu il Florian a Venezia nel 1720. Si trattava di veri e propri salotti aperti al pubblico e frequentati quasi esclusivamente dall’aristocrazia e dall’alta borghesia.

Solo nel secondo Dopoguerra, prima nelle grandi città e poi nei piccoli centri, il caffè che nel frattempo aveva mutato nome in bar, assunse le caratteristiche attuali, ovvero crocevia d’incontri abituali o fortuiti dettati dall’esigenza di concedersi una pausa per la colazione, per un caffè oppure, in tempi più recenti, per l’aperitivo.

Una parentesi piacevole che, però, non può sottrarsi alle regole delle buone maniere che spesso s’identificano con il vivere civile.

Salutare

Non è un fatto così scontato. Come in qualunque luogo chiuso, entrando si saluta sempre. Un “buongiorno” “buonasera”, così come “per favore” e “grazie”, non solo ci faranno ricordare come persone educate, ma metteranno il barista in condizione di essere felice di accontentarci perché l’educazione funziona come un boomerang. O almeno si spera.

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