martedì 26 Agosto 2025
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Ferri dal 1905: “Il mondo della tea bags sta vincendo su quello delle foglie”

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Albino Ferri serve il tè (foto dal sito aziendale)
Albino Ferri serve il tè (foto dal sito aziendale)

CASTEL GOFFREDO (Mantova) – Albino Ferri, titolare e coordinatore di Accademia dell’azienda di famiglia Ferri dal 1905, condivide la sua esperienza professionale frutto di diversi anni sul campo, spingendo un prodotto che in Italia ancora è poco conosciuto attraverso delle vie trasversali come il coinvolgimento di personaggi importanti del food&beverage.

Ferri, partiamo però dal principio: in 120 anni di attività quando vi siete concentrati su una bevanda che in Italia ancora oggi non è così tanto diffusa?

La proposta Ferri per l’horeca (foto dal sito aziendale)

“Ferri non si è concentrata sin da subito sul tè, anzi, il primo prodotto da cui è partita l’azienda è stato il tè il sono stati i vegetali secchi, mentre il resto è stato integrato da una una sessantina d’anni. Tutto è iniziato partire dal mio bisnonno che si era distinto in Paese come produttore eclettico, quasi un outsider, distaccatosi dalla famiglia per coltivare nel suo terreno degli ortaggi che poi vendeva direttamente nel mercato locale.

Si è affermato su tutti i suoi concorrenti, sperimentando e riuscendo ad anticipare o a ritardare la disponibilità di diversi prodotti che gli altri non avevano in vendita. Poi sono arrivate le prime importazioni di derrate dal Sud e gradualmente anche le erbe aromatiche, le spezie e infine il tè che ora è proprio diventato il cuore di Ferri.

Sessant’anni fa ci è sembrata un po’ una scelta naturale, dato che le spezie e il tè che importavamo dall’Oriente venivano sottoposti a procedure simili. Abbiamo iniziato con i primi lotti, poi abbiamo sviluppato questo settore che ha appassionato me e mio padre, sino a diventare produttori di prima fascia.

Negli ultimi 40 anni abbiamo investito parecchie energie, forti del fatto che il mercato stesso è cresciuto tantissimo (partiva da zero, quindi l’evoluzione si è avvertita molto, a differenza di altri Paesi europei dove in epoca coloniale questa bevanda e materia prima era già in auge).

In Italia lo spazio è stato sempre occupato dal caffè, siamo il Paese dell’espresso, mentre nei pasti la bevanda di accompagnamento per eccellenza resta il vino. Mancava un po’ la strada per l’ingresso del tè a colazione o in altri contesti.”

Cosa è cambiato allora?

Ferri: “Secondo me sono stati due gli elementi trainanti: il primo è quello salutistico. Dagli anni ’90 in poi, quando è emerso il potere di anti-invecchiamento del tè sul piano scientifico, questa bevanda ha vissuto un momento mediatico di gloria. Questo ha determinato la prima evoluzione del mercato.

Il secondo fattore è dato dalla globalizzazione, che ha portato a una maggiore apertura verso altri Paesi legati al tè. Poi esistono altri aspetti, certo: nell’horeca ad esempio, un’azienda che tra tutte si è affermata l’Eraclea, è stata in grado di portare avanti una gamma amplissima di tè con una forza comunicativa che ha dato il via alla diffusione più massiccia su questo canale.

Un’altra tendenza di questi ultimi tempi infine è il no-low alcol, che sta coinvolgendo il pubblico più giovane che consuma meno alcolici durante le uscite e quindi si orienta sempre più verso soluzioni come il tè.

Lavorando per strutture super premium, anche la ristorazione che di solito è rimasta un po’ indietro rispetto alla caffetteria, sta richiedendo i nostri servizi di consulenza per strutturare i pairing.

Le caffetterie hanno un potenziale enorme, tuttavia espresso malissimo per mancanza di formazione: il livello medio degli operatori è alto nei locali ben gestiti, ma sul tè c’è sempre pochissima conoscenza. C’è tanta incompetenza, sana ignoranza, frutto di una serie di passaggi: il primo fra tutti è l’industria.

È un’osservazione semplice: chi gestisce imprese di grandi volumi, non ha interesse nel fatto che il tè di qualità venga riconosciuto nei bar. I grossi movimenti economici non hanno vantaggi nell’educazione del pubblico. Secondo motivo: le scuole abilitate, dagli alberghieri ai professionali, dagli istituti privati allo stesso AIS, non prevedono un piano di studi dedicato al tè e quando questo viene citato, si tratta comunque della trasmissione di nozioni scandalosamente di scarsa rilevanza.

Infine esistono ragioni culturali: l’Italia associa molto la bevanda calda all’espresso, sempre in quantità ridotte, tutto il contrario degli infusi e dei tè. “

Tè in bustina VS tè in foglie: come vi ponete rispetto a questi due prodotti?

Le Coccole di Ferri (foto dal sito aziendale)

“Premessa: il mondo della tea bags sta vincendo su quello delle foglie. Questo perché tendenzialmente siamo consumatori pigri e la preparazione del tè in foglie non si sposa con la velocità di consumo occidentale. Da Nespresso in poi, ci siamo abituati ad ottenere la nostra tazza in maniera comoda e a qualsiasi prezzo.

Il filtro dunque sta conquistando il mercato e al suo interno esistono tre famiglie: c’è il filtro basico in carta, con la polvere generata dalle foglie fresche finemente sminuzzate, di tipo industriale, in cui la materia prima già in piantagione viene concepita e lavorata in maniera differente – la sigla che è CTC, per indicare il processo totalmente automatizzato -.

Il vantaggio è la facilità di meccanizzazione, il costo minore, mentre lo svantaggio è quello di realizzare un prodotto standardizzato, accettabile, ma non di alta qualità. Con questi risultati ci si rivolge ad un pubblico abituato a quel sapore specifico, che non è neppure interessato ad esplorare altre tipologie.

La seconda famiglia, sono le tea bags piramidali, evoluzione del processo industriale e prodotte sempre in maniera automatica, con l’uso di materia prima sminuzzata: si lavora già alla fonte in maniera più curata ma comunque viene poi rotta per poterla inserire nelle piramidi. Quindi in tazza si riscontrano più cariche aromatiche, anche quelle amare. Sono nate per proporre una soluzione forte quanto il caffè a colazione, che ha portato alla tradizione dell’aggiunta di latte all’inglese.

Infine, la terza famiglia dei filtri artigianali, che sono quelli usati da Ferri. Cuciti o legati a mano, permettono di usare qualsiasi granulometria. Le foglie sono le stesse che si userebbero in infusione, sono solo porzionate. Abbiamo studiato questi packaging e le vendiamo al pubblico tra gli 80 centesimi ed un euro e mezzo (quelli piramidali costano circa la metà, quelli industriali si aggirano attorno ai 10-15 centesimi a filtro).

I nostri filtri sono soluzioni vincenti per standardizzare o semplificare il momento del servizio del tè, garantendo però una bevanda d’altissimo profilo. Consentono di proporre grandi monorigini o miscele, pur basandosi su un personale con poche competenze sulla somministrazione di questa bevanda.”

Quindi i filtri targati Ferri possono essere un buon modo per penetrare l’horeca?

“Sì, anche se ci sono altri modi per entrare in questi contesti, come gli hotel e le spa di lusso: innanzitutto è fondamentale proporre un servizio di consulenza, in modo da intercettare le esigenze di ciascuna struttura. Ecco che entra in gioco l’esperienza e la preparazione di un professionista del tè, che guida al raggiungimento degli obiettivi di impresa.

Queste strutture chiedono di solito di creare delle esperienze complesse per gli ospiti e questo porta di conseguenza ad un aumento della marginalità. Di solito queste due cose vanno di pari passo. Quello che riusciamo a costruire sono delle occasioni di storytelling, di degustazione, di eventi di racconto.”

Ci racconta il progetto Tea Tour 2025?

Albino Ferri: “In modo simpatico e semplice, questo progetto nasce dall’Accademia Ferri come una delle 4 rubriche partite nel 2025 e abbraccia tutto il mondo del fine dining.

Mostriamo un pairing basandoci sul piatto spesso salato studiato da uno chef, e insieme scegliamo un blend abbinabile. Questo incontro serve a incuriosire il mercato e a fare cultura sul tè. Abbiamo pensato ad una tappa al mese, con un contenuto diverso. Il riscontro fin qui è molto buono ed è stato anche rilanciato su diverse riviste di settore, oltre che sui social, al punto che oggi qualche ristorante si è avvicinato in autonomia a Ferri per inserire dei pairing nella propria offerta.

È stata una bella rivelazione, perché inizialmente avevo il timore che gli chef avessero già delle competenze approfondite su questa bevanda e sui possibili abbinamenti. Invece, ho riscontrato come ci fosse un vuoto incredibile da colmare: è stato positivo che queste strutture siano altamente ricettive alle novità. Abbiamo formato diverse equipe nella ristorazione e portiamo avanti lavori di consulenza. La reazione degli chef fin qui è stata: sì, subito. Senza reticenza.

Ho trovato molta collaborazione, grande curiosità, apertura verso il progetto. Parlando del caffè, in queste stesse strutture manca anche in questo caso la cura, la formazione, la possibilità di scegliere su una carta dedicata. Nei locali che sto curando, vedo la voglia di portare poi questo esperimento direttamente sul menù. Molti chiedono di inserire il tè nella carta delle bevande.”

Ferri, lei vede una strada di crescita parallela tra tè e specialty coffee in Italia?

“Assolutamente sì. Tant’è che le caffetterie che offrono servizi di specialty in estrazioni alternative, sono più portate ad offrire una carta dei tè più ricercata. In questi ambiente è più facile inserirsi, anche se sono mercati ancora di nicchia e a livello numerico fanno meno coperti rispetto alle classiche pasticcerie che registrano volumi più alti e avrebbero più possibilità per fare cultura.

L’abbinamento con il banco dei dolci, il momento di relax per un pairing, sarebbero condizioni ottimali e non ci sarebbe neppure una contrapposizione rispetto al caffè che di solito vive il suo picco durante le colazioni. C’è un’apertura, seppure ancora molto timida: la pasticceria è estremamente concentrata sul laboratorio, sulla promozione del food e trascura la parte del tè e della caffetteria. Probabilmente, proprio il fatto che il mercato sopravvive già bene con il trainer principale, ovvero il dolce, non crea la necessità di dare più importanza anche alla parte del tè.

In questi contesti raramente si trova un pairing strutturato: la moporzione ricercata come elemento distintivo di un’attività, dovrebbe essere accompagnata in maniera guidata da una figura dedicata che aiuti il consumatore nella scelta di abbinamento.

Sarebbe interessante avere un professionista che curi una volta ogni tanto il menù studiato in base alla combinazione di due elementi. In un ristorante di solito si assume il sommelier che gestisce tutta la parte legata al vino: nella caffetteria non è indispensabile, ma potrebbe comunque essere una fonte di reddito in più se pensata come un’esperienza esclusiva.”

Infusi e tè: ci sono delle differenze in termini di acquisto e consumi?

“In termini di volumi del mercato siamo al 50 e 50. Nel mondo degli infusi, ci sono delle possibilità per proporre prodotti di fascia molto alta, come alcuni monorigine lavorati bene e interessanti.

Nel nostro Paese è una soluzione che sta prendendo grosse fette di mercato proprio per la ricerca di qualcosa senza teina, ma credo che ci si manterrà su questa parità per molto tempo. Non credo che prenderà il sopravvento sul tè, che attualmente si sta cercando di portare verso le lavorazioni asiatiche, meno cariche.

Il tè poi ha alle spalle più di duemila anni di storia che si basa su una specifica botanica come la Camelia Sinensis, che ha creato un prodotto di culto. “

Etichette del tè: quanto sono complete?

“Non c’è obbligatorietà, a parte quella di indicare gli ingredienti, sulle denominazioni di origine. Noi cerchiamo di arrivare ai consumatori finali con tutti i dettagli del caso: per esempio noi indichiamo anche quando l’aroma è naturale, seppure non sia obbligatorio farlo.”

Ferri infine ha due rubriche con obiettivo di incentivare i tè nei locali

“La prima è Colazioni speciali, il racconto di una specialità di questo primo pasto negli hotel, con un piatto in abbinamento teorico. La seconda è Storie di pasticceria: la narrazione di un locale, di un dolce tradizionale, di un gestore che si traduce sempre in un’idea di pairing.”

A Host 2025 il World Barista Championship celebra il caffè

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Il World Barista Championship a Host (immagine concessa)

La prestigiosa competizione Host ritorna a Milano in un momento di grandi trasformazioni del settore, tra ricerca di miscele personalizzate, alternative sostenibili e continua crescita dei lattes e dei cold brew. Leggiamo di seguito l’approfondimento pubblicato sul sito ufficiale del sito Host Milano.

Il World Barista Championship a Host

Sette competizioni annuali basate sulle competenze organizzate a cura di SCA – Specialty Coffee Association – e WCE- World Coffee Events, ospitate in eventi in tutto il mondo, che vedono protagonisti alcuni dei migliori concorrenti del mondo del caffè.

È il mondo dei World Coffee Championship, che promuovono l’eccellenza del caffè oltre che la condivisione delle conoscenze, il networking e l’innovazione nel settore, mettendo al centro la professionalità del barista.

I WCC mettono in mostra l’eccellenza nella preparazione del caffè e l’unicità degli specialty coffee coinvolgendo più di 50 associazioni in tutto il mondo. Una vera e propria maratona globale lunga un anno, che nel 2025 culminerà con il più importante di questi eventi proprio a Milano: il World Barista Championship ritorna infatti a Host 2025, a fieramilano – Rho dal 17 al 21 ottobre 2025.

“Grazie alle sue dimensioni e alla sua importanza, HostMilano è la location perfetta per ospitare il World Barista Championship”, commenta Yannis Apostolopoulos, ceo di SCA. “L’impegno verso l’eccellenza del team di Fiera Milano è perfettamente in linea con la nostra mission, elevare la professione del barista e mostrare i migliori talenti su un palcoscenico globale. Ritrovandoci in questa città iconica, non solo celebriamo l’arte della preparazione del caffè, ma rendiamo anche omaggio a una tradizione senza tempo che continua a ispirare gli amanti del caffè in tutto il mondo”.

Una celebrazione che arriva in un momento in cui il mondo del caffè sta vivendo tendenze innovative che ridefiniscono l’esperienza dei consumatori. Dai cold brew, una delle tipologie in più rapida crescita, a miscele sempre più uniche e personalizzate, fino alla ricerca di mix di varietà meno acide. Allo stesso tempo continua a crescere nei lattes l’uso di alternative di origine vegetale, come l’avena e la mandorla, per rispondere alla domanda di opzioni più sostenibili e adatte a diverse esigenze dietetiche.

A Host 2025 tutte le novità saranno nell’area Caffè-Tea, in sinergia con Bar-Macchine per Caffè- Vending nel SIC – Salone Internazionale del Caffè.

Alzheimer, uno studio consiglia un massimo di 3 tazzine per non correre rischi

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Troppa caffeina non aiuta l'alzheimer

MILANO – Sono diversi gli studi che hanno indagato la correlazione tra il consumo di caffeina e le patologie neurogenerative come l’alzheimer (qui si possono trovare alcuni esempi passati che hanno sottolineato gli effetti positivi di questa sostanza per chi ne soffre), ma una ricerca recente ha fatto emergere anche degli eventuali rischi: certo gli eccessi sono sempre un problema, per cui forse il segreto resta la moderazione in determinati casi.

Anche se non è stato specificato nell’articolo di che tipo di caffè si parli quando si stabilisce un massimo di tre tazzine al giorno (Robusta o Arabica? Il contenuto di caffeina è ben differente, di un americano o di un espresso da 25ml?).

Leggiamo le evidenze scientifiche da liberoquotidiano.it.

Alzheimer e caffè: cosa dice la scienza

Un recente studio presentato a Orlando, negli Stati Uniti, durante il congresso dell’Associazione Internazionale Alzheimer, solleva nuove preoccupazioni riguardo al consumo eccessivo di caffè. Secondo i ricercatori, bere più di tre tazzine al giorno potrebbe accelerare il declino cognitivo. Anche se il caffè è noto per i suoi benefici per la salute, la raccomandazione è di non superare la soglia delle tre tazzine quotidiane.

La letteratura scientifica – come ricorda Il Messaggero che dà conto di quest’ultimo studio – supporta ampiamente i vantaggi del caffè e del tè, evidenziando il loro ruolo nella riduzione del rischio di ictus, scompenso cardiaco, diabete, e persino alcuni tipi di tumori.

Inoltre, molte ricerche hanno associato il consumo moderato di caffè a un minor rischio di sviluppare malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer.

Tuttavia, lo studio guidato dalla dottoressa Kelsey R. Sewell, dell’Advent Health Research Institute, sembra contraddire queste evidenze.

Analizzando i dati della Biobank britannica, che ha seguito circa 8.500 persone di età media 68 anni per un periodo di oltre 8,8 anni, i ricercatori hanno scoperto che i consumatori di oltre quattro tazzine di caffè al giorno mostravano un declino cognitivo accelerato rispetto a coloro che ne bevevano da una a tre tazzine o che non lo consumavano affatto.

Qui l’articolo completo.

Caffè freddo: ecco come prepararlo a casa con la moka

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cold brew induzione riduzione caffè freddo
Cold brew (foto da Pixabay)

Rinunciare all’espresso? Mai, neanche quando le temperature sono roventi. Ecco come prepararlo nella versione estiva. E cioè freddo e con l’ausilio della moka. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Alessia Calzolari per la rubrica Cook del quotidiano Il Corriere della Sera.

MILANO – Il caffè freddo fa subito pensare al frigo delle nonne al cui interno, in estate, c’era sempre una bottiglietta di vetro piena di caffè, appunto, avanzato o fatto di proposito. E sempre molto zuccherato. Oggi, forse, è l’abitudine si è un po’ persa, ma il caffè freddo resta una variante estiva dell’espresso a cui è difficile rinunciare: ecco come prepararlo in casa con la moka.

Niente dosi, ma ci sono alcune piccole accortezze a cui badare per ottenere un buon risultato. La prima è quella di optare per un caffè di ottima qualità, che non abbia delle note amare troppo spiccate.

Se usate una moka che è stata ferma per un po’, magari quella della casa al mare, preparate prima qualche caffè a vuoto, così da accertarvi che l’espresso caldo sia palatabile.

Nel qual caso, avrà certamente una buona versione fredda. Casomai dolcificaste il caffè ancora caldo, preoccupatevi di usare dello zucchero semolato o di canna. Se, d’altra parte, preferite farlo da freddo, optate per lo zucchero liquido. Ricordate che, spesso, anche chi lo beve nero gradisce un caffè freddo leggermente dolcificato.

Per preparare il caffè freddo con la moka predisponete la macchinetta come fate di solito. Una volta ottenuto il caffè, dolcificatelo e versatelo in una tazzina su qualche cubetto di ghiaccio oppure, al contrario, versatelo sul ghiaccio e poi zuccheratelo. Bevetelo subito così che il ghiaccio raffreddi ma non annacqui il caffè.

Se, infine, volete averlo sempre a portata di mano preparate una o due caffettiere, dolcificate l’espresso, fatelo raffreddare e poi travasatelo in una bottiglia di vetro. Chiudetela bene e trasferitela in frigo. Al momento di gustarlo, non dovrete far altro che versarlo in una tazzina o in un bicchiere con un cubetto di ghiaccio.

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Federdistribuzione: cresce la cultura sull’inclusione e l’equità nella distribuzione moderna

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Federdistribuzione frausin inclusione
Il logo Federdistribuzione

MILANO – Si è tenuto il 16 luglio a Milano l’evento di presentazione del secondo osservatorio Diversity, equity & inclusion nella distribuzione moderna, promosso da Federdistribuzione e curato da ALTIS – Graduate School of Sustainable Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

L’Osservatorio monitora l’evoluzione dell’impegno delle imprese distributive sui temi della diversità, equità e inclusione e fornisce uno strumento di confronto e di condivisione delle best practice tra le aziende e, nell’edizione 2025, vi è un focus sul tema dell’inclusione dei lavoratori stranieri.

L’evento, dedicato al tema “retail, lavoratori stranieri e multiculturalità”, si è aperto con gli interventi di Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione, del Prof. Matteo Pedrini, Direttore di ALTIS Università Cattolica, e di Anna Maria Gandolfi, Consigliera di parità effettiva di Regione Lombardia. Nel corso dei lavori sono intervenuti Chiara Arrighini, ricercatrice di ALTIS Università Cattolica che ha presentato i risultati dell’Osservatorio e Giovanni Di Dio, Sviluppo Lavoro Italia S.p.A., con un intervento dedicato alle sinergie tra pubblico e privato e alle opportunità legate al reclutamento di lavoratori stranieri.

La mattinata è proseguita con due tavole rotonde: la prima dedicata al confronto sindacale su opportunità, criticità e proposte per favorire l’inclusione dei lavoratori stranieri, con gli interventi di Marco Beretta, Segretario Nazionale FILCAMS CGIL, Diego Lorenzi, Segretario Nazionale FISASCAT CISL, e Gennaro Strazzullo, Segretario Nazionale UILTuCS.

La seconda tavola rotonda dedicata alle best practice delle imprese della Distribuzione Moderna. L’evento, moderato da Nicola Varcasia, giornalista di VITA, si è concluso con l’intervento di Francesca Tugliani, Responsabile Politiche Attive di Federdistribuzione.

I risultati della seconda edizione dell’Osservatorio

L’Osservatorio Diversity, equity & inclusion nella distribuzione moderna 2025 si divide in due sezioni: la prima – in continuità con la precedente edizione – si focalizza sull’analisi comparativa dei dati relativi a politiche e pratiche DE&I diffuse all’interno delle aziende del retail moderno; la seconda affronta il tema dell’inclusione dei lavoratori con cittadinanza diversa da quella italiana all’interno dei contesti lavorativi, esaminando gli aspetti positivi già implementati all’interno delle organizzazioni, le difficoltà che tali lavoratori incontrano nel percorso di inclusione e le strategie necessarie per superare queste difficoltà.

La prima parte dello studio ha coinvolto 27 grandi imprese del settore distributivo, fornendo una panoramica sull’evoluzione delle politiche DE&I nel periodo 2024-2025. I dati evidenziano l’aumento del numero di aziende che si è dotato di comitati manageriali dedicati alla DE&I, passando dal 20% al 37%, e la crescita di politiche aziendali strutturate su questi temi, dal 26,7% al 48,1%.

Nel biennio 2024-2025, l’allocazione di budget dedicati alla DE&I è più che raddoppiata, passando dal 33,3% al 70,4% delle imprese. Parallelamente, cresce anche l’adozione di strumenti di monitoraggio, dal 43,3% al 51,8%, con un incremento per quanto riguarda i sistemi di controllo periodico, che passano dal 10,0% al 33,3%.

Nell’ambito della gestione di risorse umane, migliora l’attenzione al merito: l’81,5% (era il 70% nel 2024) delle aziende dichiara di adottare percorsi di avanzamento professionale privi di distorsioni. Positivi anche i dati sull’ascolto attivo dei dipendenti, che passano dal 73,3% all’85,2%, e sul loro coinvolgimento nei processi decisionali, dal 63,3% al 92,6%.

Cresce anche l’attenzione verso una comunicazione rispettosa e non discriminatoria: il 44,4% delle imprese eroga formazione sul linguaggio inclusivo, contro il 13,3% della precedente rilevazione. Sul fronte dell’inclusione delle persone con disabilità, aumenta sia la presenza di figure interne di supporto, dal 33,3% al 44,4%, sia il monitoraggio della soddisfazione dei lavoratori con disabilità, dal 20% al 29,6%.

La seconda parte dell’osservatorio di Federdistribuzione affronta il tema dell’inclusione dei lavoratori con cittadinanza diversa da quella italiana, attraverso un’indagine qualitativa basata su interviste in profondità che hanno coinvolto 12 lavoratori stranieri e 6 figure professionali specializzate in ambito HR e DE&I.

Un approccio metodologico induttivo, che ha permesso di raccogliere testimonianze dirette ed eterogenee, restituendo una visione concreta e sfaccettata delle dinamiche di inclusione nei luoghi di lavoro. Ne emerge una panoramica di azioni quotidiane messe in campo dalle imprese del retail moderno: mense aziendali attente alle diverse esigenze alimentari, flessibilità nella gestione di orari e ferie per consentire ai dipendenti di celebrare festività e ricorrenze legate alle proprie culture di origine, supporto nelle pratiche amministrative complesse e affiancamento tramite tutoraggio da parte dei colleghi più esperti.

Alcune imprese offrono, inoltre, spazi per la preghiera, meditazione o di raccoglimento e promuovono momenti di condivisione delle tradizioni culturali, contribuendo così a rafforzare il senso di appartenenza.

Dalle interviste emergono anche i fattori di difficoltà nel percorso di inclusione dei lavoratori con cittadinanza diversa da quella italiana, sui quali occorre porre attenzione: dalla padronanza limitata della lingua italiana alle differenze culturali espresse nei comportamenti, nei codici non scritti del mondo del lavoro e nei valori, che possono generare incomprensioni.

Le difficoltà burocratiche, in particolare quelle legate al rinnovo dei permessi di soggiorno, rappresentano un importante fattore di incertezza e stress per i lavoratori stranieri. Criticità che possono tradursi in forme di esclusione lavorativa e relazionale, da contrastare con sostegni per la crescita professionale, a livello sociale e amministrativo.

“La seconda edizione del nostro Osservatorio conferma che le imprese della distribuzione moderna sono fortemente orientate alla valorizzazione della diversità e all’applicazione dei principi di equità e inclusione attraverso prassi aziendali concrete. La crescita significativa di investimenti, strumenti di monitoraggio e iniziative dedicate dimostra non solo un impegno costante, ma anche una consapevolezza crescente del ruolo strategico che la DE&I riveste nelle relazioni con le persone che lavorano nelle nostre imprese, nello sviluppo sostenibile delle aziende e nel progresso sociale del nostro Paese”, ha dichiarato Francesco Quattrone, direttore area lavoro e relazioni sindacali di Federdistribuzione. 

“I risultati della seconda edizione dell’Osservatorio DE&I ci restituiscono un settore della Distribuzione Moderna che ha intrapreso un percorso su questo fronte. Politiche strutturate, budget dedicati e coinvolgimento attivo delle persone sono il segnale di un’inclusione che sta progressivamente permeando la cultura delle aziende. In un Paese che affronta sfide demografiche e di coesione sociale, promuovere ambienti di lavoro inclusivi è un impegno etico, ma allo stesso tempo una leva di competitività e innovazione”, ha dichiarato Matteo Pedrini, ordinario di corporate strategy all’Università Cattolica e direttore ALTIS.

Caffè Ninfole presenta la nuova confezione ispirata a Taranto

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Un delle confezioni dedicata a Taranto (immagine concessa)

TARANTO – “Noi siamo solo una storica torrefazione, ma credo che in questo momento preciso della città e del suo hinterland ognuno, come può, debba fare la propria parte per aiutare il territorio a promuoversi al meglio, a cercare cose nuove. Noi come arma abbiamo solo l’aroma del nostro caffè che però viaggia in tutto il mondo e raggiunge i palati di chi ha imparato ad apprezzarlo. Abbiamo pertanto creato come una sorta di circuito sinestetico che insieme al gusto e all’immagine promuova Taranto”. Rossella Ninfole, presidente di Caffè Ninfole Spa, presenta così la nuova confezione: un cofanetto inedito che non racchiude solo caffè e tazzine, ma unisce la qualità del prodotto alla valorizzazione del territorio.

Un’idea pensata per offrire ai consumatori un’esperienza nuova, capace di raccontare tradizione e bellezza anche a distanza.

I luoghi di Taranto (immagine concessa)

È ancora sulle orme dell’identità tarantina e pugliese che punta il marchio di caffè più antico della regione (1901).

“E interpretare la responsabilità verso il territorio, per un’azienda come la nostra, significa agire in modo che le proprie attività abbiano un impatto positivo sulla comunità e sull’ambiente circostante – dice la presidente del gruppo – Per questo dove la riuscitissima operazione della CupCollection dedicata ai Riti della Settimana Santa tarantina, abbiamo reinterpretato alcuni simboli della bellezza, dell’arte e della storia di questa città e li abbiamo fatti diventare la copertina di questa promozione”.

Si tratta di una vera e propria opera di valorizzazione del tessuto urbanistico locale con packaging dedicati al Castello Aragonese, al Duomo di San Cataldo in città vecchia e al simbolo della modernità con le vele della Concattedrale Gran Madre di Dio frutto dell’ingegno creativo  dell’archistar Giò Ponti.

Insieme al caffè di Taranto c’è dunque Taranto con alcuni dei monumenti simbolo tutti da scoprire. Una sorta di cartolina con gusto che invita a scoprire la città dei due mari, partendo proprio dai tratti identitari della sua storia secolare.

La confezione di Ninfole collezione Taranto (immagine concessa)

Le confezioni di Ninfole collezione Taranto sono composte da tre pacchi di caffè varietà Corallo e la scatola packaging con l’immagine dedicata e una breve descrizione. A partire dalle prossime ristampe del progetto le confezioni saranno sul mercato anche la grafica in rilievo e la descrizione in testo braille destinata a non vedenti e ipovedenti.

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Macchie di caffè sul tappeto: ecco come rimuoverle

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cappuccino caffè
Un cappuccino inavvertitamente versato sul pavimento (immagine: Pixabay)

Non tutti forse ne sono a conoscenza ma esiste un doppio trucco per eliminare le macchie ostinate di caffè da tappeti e tessuti a patto di intervenire immediatamente (ne abbiamo parlato qui). Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Leonardo Pasquali per il portale d’informazione Notizie.com.

I metodi per rimuovere le macchie di caffè sul tappetto

MILANO – Partendo dalla premessa che le macchie di caffè possono essere eliminate con poco sforzo, dovrete avere il tempo dalla vostra parte. Sì perché intervenire rapidamente sulle incrostazioni vi darà più chance di successo quando proverete a rimuoverle. È molto più difficile sbarazzarsi di una macchia vecchia piuttosto che di una nuova ma in generale non parliamo di un’impresa impossibile neanche nel primo caso.

Per prima cosa riempiamo una bacinella di acqua tiepida, muniamoci di una spugnetta o di un panno in microfibra e di un po’ di detersivo per i piatti. A questo punto bisognerà tamponare con delicatezza la macchia, dopo aver imbevuto il panno o la spugnetta, così da sfruttarne il potere assorbente di uno o dell’altra. Successivamente uniremo il sapone per rimuovere definitivamente l’alone rimasto, sciacquando e strizzando bene dopo ogni passata.

Se questa soluzione non dovesse essere abbastanza efficace, potrete aggiungere una ciotola di glicerina e acqua, attendendo circa trenta minuti dall’applicazione prima di risciacquare. Nel caso in cui la macchia dovesse rivelarsi particolarmente ostinata, infine, provate a diluire un cucchiaio di ammoniaca in mezzo litro d’acqua e ad applicarlo sul caffè rimasto sulla superficie del tessuto.

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Massimiliano Dona parla dritto al consumatore di caffè: “Non esiste un prezzo medio che possa essere definito equo e valido in Italia”

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Massimiliano Donà (foto concessa)
Massimiliano Donà (foto concessa)

MILANO – Massimiliano Dona: “Avvocato, giornalista, creator, divulgatore ed esperto dei diritti dei consumatori.” Così si racconta lui stesso sul suo sito. In realtà è un personaggio ben noto al pubblico social e televisivo, per la sua continua attività di tutela del cliente finale (non a caso, è anche presidente dell’Associazione Consumatori.it).

Su queste pagine, prova a dare qualche risposta a chi consuma e acquista caffè con una certa frequenza al bar e al supermercato.

Dona, parliamo di prezzo dell’espresso al bar: in Italia quando supera l’euro, il consumatore storce il naso e si sente quasi truffato. Ma è davvero assurdo, facendo dei brevi calcoli sui valori reali di mercato, aumentare di 20 centesimi o più la tazzina?

“Le attese sul prezzo del caffè da parte del consumatore sono molto variabili a seconda di dove lo si acquista. E’ ovvio che se lo si prende in Galleria a Milano o in Piazza San Marco a Venezia nessuno si aspetta di pagarlo 1 euro. In centro città di solito lo si paga di più rispetto alla periferia, in pasticceria costa di più rispetto a un semplice bar, se lo si consuma al tavolo può costare di più rispetto a quando lo si consuma al banco serviti dal cameriere.

Insomma, non esiste un prezzo medio che possa definirsi equo e valido in tutta Italia. Il consumatore ne è consapevole. Persino quelle classifiche che vengono ripetutamente pubblicate con il prezzo del caffè delle diverse città, non hanno alcun valore statistico, dato che l’Osservatorio prezzi del Mimit, come chiarisce il ministero stesso sul suo sito, si basa su dati Istat che, avendo l’obiettivo di misurare le variazioni dei prezzi e non il livello assoluto, non monitora in ogni città lo stesso tipo di caffè.

Quindi, se in una città il caffè comunemente consumato è quello corretto, l’Istat monitora quello. Ovvio che abbia un prezzo maggiore rispetto a un semplice espresso, rilevato magari altrove.

Quanto all’aumento, il discorso cambia. Un rialzo, deciso oggi, di 20 centesimi sarebbe del tutto ingiustificato. Infatti, è vero che il caffè è rincarato ma ricordiamo che un espresso si fa con 7 grammi di miscela, ossia con un chilo di caffè si fanno 142 tazzine. La materia prima, insomma, incide molto poco sul costo finale, mentre il prezzo dell’energia è calato rispetto ai picchi del terzo trimestre 2022. Anche lo zucchero, dopo il picco raggiunto nell’agosto del 2023, costa da allora il 20,5% in meno.”

Come commenta il sistema dei finanziamenti e del comodato d’uso? Quanto influenza la qualità e il prezzo proposto al cliente finale?

“Il barista ha la possibilità di acquistare un’attrezzatura ricorrendo a un prestito o prendendola in comodato d’uso. Ma, nel valutare la convenienza dell’operazione, talvolta purtroppo obbligata, deve considerare se i vincoli a cui si sottopone mettono a rischio la sua indipendenza e la qualità del suo servizio. Insomma, se poi è costretto per anni ad acquistare un caffè troppo caro e di scarsa qualità, allora non ha fatto un buon affare.”

Dona, quando si entra in un bar o in un supermercato, a cosa deve fare attenzione il consumatore quando acquista il caffè?

Al rapporto qualità prezzo. Ad esempio, a seconda del proprio gusto, alla miscela utilizzata: robusta o arabica? Al supermercato, poi, deve guardare il prezzo al chilo, dato che il caffè è, purtroppo, uno di quei prodotti che ha subito la pratica scorretta della shrinkflation, una riduzione del peso dai tradizionali 250 ai 225 grammi fatto per mascherare l’aumento del prezzo.”

Sulla base di un decreto ministeriale del 1973 non esiste un obbligo di legge che porti i torrefattori a specificare dettagli come origine, percentuali, descrizioni aromatiche del caffè: ma per il consumatore cosa sarebbe più corretto segnalare nell’etichetta dei pacchetti al supermercato?

Dona: “Più informazioni ci sono, meglio è, specie se si tratta di elementi oggettivi. Se non ci sono obblighi, nulla vieta ai produttori di inserire lo stesso maggiori indicazioni. Il consumatore, quindi, nel valutare il rapporto qualità prezzo, deve anche considerare l’etichetta e la completezza delle informazioni riportate sulla confezione, che sono perlomeno un indice di serietà della ditta oltre che l’elemento più importante per valutare la bontà di un prodotto prima del suo acquisto e del suo assaggio.”

Pagamenti digitali, altra nota dolente nei bar italiani: il gestore può davvero impedire al consumatore di pagare un espresso con il bancomat?

“No, è vietato dalla legge. Rischia una sanzione amministrativa pecuniaria di 30 euro, + il 4% del prezzo del caffè. Ricordiamo, anche, che è considerata una pratica commerciale scorretta richiedere un sovrapprezzo per un pagamento elettronico.”

Oggi quanto incidono inflazione e rincari nelle tasche del consumatore e quindi sui consumi di un bene popolare come il caffè?

“Rispetto al caffè acquistato in negozio e fatto a casa, in un anno la spesa di una famiglia è pari mediamente a 178 euro. Se consideriamo l’ultimo rincaro tendenziale del caffè comunicato dall’Istat, +19,5% su marzo 2024, l’aumento della spesa è pari a 34 euro e 70 cent su base annua. Non è poco.”

Il caffè macchiato non dovrebbe costare leggermente di più dell’espresso, dato che si usa un ingrediente in più? Il consumatore lo sa?

Il consumatore lo sa, ma sa anche che un buon barista che vuole fidelizzare il cliente può anche decidere di non fargli pagare qualcosa in più per un goccio di latte. Insomma, il caffè, un po’ come i salatini sul bancone, possono servire al barista per attirare persone nel locale, invogliandoli poi ad acquistare anche altro, un po’ come si fa con i prodotti civetta al supermercato.”

Il New York Times: “Volete far sclerare gli italiani? Basta aumentare il prezzo della tazzina di caffè espresso”

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New York Times
Il Gran Caffè Gambrinus di Napoli, citato nell'articolo del NYT (Credits: Wikimedia Commons, foto di Gennaro Fusco)

MILANO – Se volete far “sclerare” gli italiani, aumentate il prezzo dell’espresso: così titolava, qualche giorno fa, un’indagine del New York Times, realizzata dalla giornalista Patricia Mazzei, che ha viaggiato attraverso lo stivale sondando gli umori di esercenti e consumatori, a fronte dei rincari subiti dal prezzo della tazzina al bar. Dall’articolo emerge un dato che renderà probabilmente invidiosi i lettori americani, viste le somme che sono abituati a sborsare per gli elaborati beveraggi serviti nelle catene di oltreoceano.

Il prezzo medio dell’espresso in Italia – stando a una recente analisi di Assoutenti – rimane tra i più bassi in assoluto in Europa: appena 1,16 euro, che tradotti in moneta americano fanno 1 dollaro e 36 centesimi.

A titolo di raffronto, un espresso da Starbucks costa 3,75 dollari (3,2 euro).

Tutto ciò, nonostante il prezzo della tazzina sia aumentato – secondo la stessa fonte – dell’11,5% negli ultimi due anni. Un rincaro più che giustificato, visto il lievitare dei costi della materia prima e di molte altre voci di spesa dei torrefattori e degli esercenti.

Il fatto è – scrive Mazzei – che gli italiani considerano il caffè al bar una tradizione e un rituale quasi sacro. E hanno sempre dato per scontato che il prezzo della tazzina rimanesse basso, lamentandosi anche per rincari nell’ordine di pochi centesimi.

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The Rag unisce il gelato allo specialty, ad Avellino: “Tutto è partito dall’affogato al caffè”

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Il team The Rag (foto concessa)
Il team The Rag (foto concessa)

ATRIPALDA (Avellino) – Si entra da The Rag, gelateria e specialty coffee ad Atripalda, in Piazza Umberto I: qui, lo chef Gian Paolo Capaldo ha realizzato il suo sogno. Partendo da appena 8 posti a sedere in una sala dedicata a momenti di degustazione, da un laboratorio di produzione di grandi lievitati e confetture, un progetto un po’ di nicchia, quasi elitario, lo ha definito lui stesso, arriva la decisione di aprire il locale al pubblico, come gelateria.

Prima solo laboratorio di produzione di grandi lievitati da zero, di confetture, marmellate, biscotteria.

The Rag si è evoluto: come ci è arrivato agli specialty coffee, occupandosi di lievitati e gelato?

“Dopo il primo anno di prova, abbiamo deciso di allargare un po’ l’offerta collaborando con Mauro Cipolla di Orlandi Passion, che ha sposato subito la nostra voglia di fare qualcosa di diverso che fosse anche in linea con la filosofia su cui si fonda la gelateria. Abbiamo spinto quindi il momento della colazione la mattina, per ora soltanto nel fine settimana per capire come reagiscono i clienti, proponendo un espresso diverso da quello che si trova in zona. A breve inseriremo anche varie estrazioni alternative.

In seguito abbiamo deciso di stringere un rapporto anche con Le Piantagioni del Caffè, che ci ha convinti come azienda. Abbiamo voluto inserire qualcosa di insolito: dopo aver assaggiato quattro o cinque referenze, abbiamo selezionato da Orlandi una miscela media (100% Arabica), che è più facile da comprendere senza acidità estreme.

È un caffè molto buono, che mette a proprio agio, che usiamo come prima referenza da far provare al cliente che non conosce gli specialty. Lo vendiamo un euro 50 e siamo gli unici della zona, ma fin qui stiamo raccogliendo più o meno dei buoni riscontri. In effetti i nostri clienti sono già selezionati, abituati a costi più elevati per quanto riguarda il gelato, tuttavia c’è ancora qualcuno che entra per la prima volta e rimane interdetto.

All’interno di The Rag (foto concessa)

Dall’altra parte del bancone, cerchiamo sempre di spiegare, venire incontro, addirittura lo offriamo e di solito i clienti ritornano. Se poi sono disposti ad ascoltare, approfondiamo il racconto, facendo loro guardare il chicco del caffè, facendoglielo annusare. Abbiamo a che fare con una materia prima che possiede un determinato valore e noi cerchiamo di attribuirgli il prezzo giusto.

Continuando con la proposta, abbiamo un altro 100% Arabica, il Lab 106, che risulta meno cremoso e con un’acidità leggermente spiccata, de Le Piantagioni così come la loro monorigine (che venderemo sui due euro). Questi sono i due step successivi per un consumatore più curioso, più educato.

Stiamo affrontando il discorso con i piedi di piombo e attualmente siamo ancora in fase di rodaggio, dobbiamo prendere le giuste misure.”

Ma in un locale come il vostro, il caffè era comunque una necessità?

Tutto è partito dal fatto che volevo creare l’affogato al caffè, quindi dalla necessità di acquistare una macchina per l’estrazione dell’espresso: le persone a quel punto però avrebbero chiesto di berlo e per questo motivo non abbiamo voluto pensare ad un sistema a cialde, ma ad un’attrezzatura che potesse reggere il confronto con la qualità di tutto il resto dei nostri prodotti.

Risultato finale: oggi abbiamo l’affogato servito nella tazza da cappuccino, con il caffè a scelta del cliente tra le nostre proposte. Abbiamo anche il gelato al caffè con la miscela di Orlandi forte, perché ci serviva più scuro.

Facciamo il gelato al caffè espresso: prepariamo quindi la tazzina, massimo 25 grammi ad estrazione – in un chilo di gelato ci stanno 10 espressi con il forte – per evitare l’ossidazione e lo usiamo subito per la ricettazione. Questa è stata una delle nostre scommesse più belle: il gelato al caffè era quello che costava di più dall’inizio, perché volevamo evitare di usare le paste di gelateria al caffè, né tanto meno uno che fosse infuso nel latte.

Certo con la nostra tecnica bisogna stare più attenti all’acidità, come nei grandi lievitati: nel panettone al caffè usavamo il decaffeinato, partendo proprio dai grani, o da una macinazione turca molto fine.

Per quanto riguarda la macchina, alla fine ho scelto una Cimbali completamente automatica, l’S15. Questo perché si possono impostare a monte i tempi di estrazione, la dose per l’espresso, e in questo modo qualsiasi operatore può soltanto premere un pulsante. Abbiamo sempre avuto una Cimbali automatica, anche nel negozio di mio padre di ferramenta, dall’M100 all’ultima che abbiamo da The Rag.

Da quando avevo sei anni, premevo un pulsante e avevamo la stessa costanza in tazza.

Poi lo stesso grinder è integrato nella macchina e ci dobbiamo soltanto occuparci di settarlo soprattutto per contrastare il cambio dell’umidità. Teniamo al massimo 150 grammi di caffè in macchina e il resto lo conserviamo in contenitori ermetici per evitare che ossidi troppo velocemente.

In tutto siamo in 5, tra laboratorio e caffetteria. per scelta ruotiamo e ci occupiamo di ogni aspetto a turno.”

E il cacao?

“Come cioccolato abbiamo deciso di usare il prodotto di Belcolade, che si occupa di un cioccolato più ricercato senza però essere respingente per un’acidità troppo elevata. Da The Rag pensiamo che il cioccolato debba essere un momento di gioia, anche quando si parla di fondente.

Con Belcolade ho trovato la risposta che cercavo, insieme al progetto Cacao trace: per ogni chilo acquistato da loro, una parte viene devoluta ai farmers alle origini. Con questo sistema hanno costruito case, scuole, una rete idrica.

Attualmente lo usiamo nel gelato: la scelta del cioccolato e non del cacao è particolare, ma l’abbiamo fatta perché il risultato finale è più buono. Risulta più difficile dal punto di vista dei grassi contenuti: la sua struttura nei gelati, rischia di rassodarsi eccessivamente. Il gusto però è completamente diverso e questo ci basta per continuare così. Lo inseriamo anche nei lievitati, tipo nella Colomba e il panettone.

Facciamo una ganache di panna al cioccolato, con una piccola parte di burro, per conferire il gusto di cioccolato al lievitato. “

Avete sofferto dell’aumento dei prezzi?

Abbiamo dovuto alzare i prezzi per il consumatore finale, cercando in alcuni casi di applicare un aumento distribuito su tutta l’offerta, facendo una media. Pensiamo che soltanto il cacao è aumentato dell’80% rispetto l’anno scorso. Il caffè allo stesso modo ha subito degli aumenti e quindi abbiamo dovuto reagire alla cosa.

Il burro di cacao è quasi impossibile da acquistare, arriva a 150 euro al chilo. Fortunatamente ne usiamo un chilo all’anno circa, però stiamo parlando di cifre altissime.”

Altri progetti di The Rag?

“Più avanti venderemo anche delle confezioni per il consumo domestico. Abbiamo attualmente il pacchetto da 250 grammi e a richiesta maciniamo regolando a seconda dell’estrazione. Qualcuno ha chiesto le cialde e abbiamo passato la palla direttamente a Mauro Cipolla.

Penseremo più avanti di estendere la colazione al resto della settimana. L’obiettivo finale è arrivare dopo la stagione estiva, in autunno-inverno quando il gelato si ferma, a portare avanti lo specialty e la prima colazione per trainare il locale.”