La famiglia Alajmo continuerà ancora a gestire lo storico Gran Caffè Ristorante Quadri di Piazza San Marco a Venezia. Il canone d’affitto verrà pagato al russo sostenitore di Putin Valery Gergiev. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Andrea Giacobino per il portale d’informazione Affari Italiani.
La gestione del Gran Caffè Quadri di Venezia
VENEZIA – Gli Alajmo, una delle più note famiglie italiane della ristorazione i cui più noti esponenti sono i fratelli Massimiliano e Raffaele, proprietaria fra l’altro del famoso ristorante Le Calandre, con un gruppo che oggi conta 12 ristoranti di alta qualità in diverse città di tutto il mondo, pagheranno nei prossimi 7 anni 3,5 milioni di euro per restare con la loro insegna nello storico Gran Caffè Ristorante Quadri di Piazza San Marco a Venezia, che ospita un caffè con dehors e un ristorante di alto livello.
A incassare il ricco canone sarà il russo Valery Gergiev, il noto direttore d’orchestra nato a Mosca nel 1953, che ha ereditato un quarto delle fortune (compresa la proprietà del prestigioso immobile veneziano) dell’artista giapponese Yoko Nagae, scomparsa nel 2015, sua fervida ammiratrice.
Gergiev non ha mai tradito la sua salda amicizia con Vladimir Putin cosa che dopo la guerra in Ucraina gli è costata l’allontanamento dal Teatro alla Scala di Milano, dal Münchner Philharmoniker e da altre collaborazioni artistiche in giro per l’Europa.
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Iginio Massari Alta Pasticceria in partnership con Areas MyChef (immagine concessa)
MILANO – In occasione del Foodservice Summit 2025 allo Stadio Meazza di Milano, Areas MyChef e Iginio Massari Alta Pasticceria hanno annunciato una partnership strategica che unisce due eccellenze nel panorama Food&Retail internazionale. Areas MyChef, leader mondiale della ristorazione nel Travel Retail, e Iginio Massari Alta Pasticceria, massima espressione dell’arte dolciaria italiana, diventano partner in un importante progetto con un chiaro obiettivo dal forte impatto: portare il gusto e la raffinatezza della grande pasticceria italiana nei principali snodi del viaggio contemporaneo.
Areas MyChef in partnership con Iginio Massari Alta Pasticceria
La partnership, annunciata da Sergio Castelli, ceo di Areas MyChef per Italia e Germania, nasce con la visione di unire managerialità, innovazione e qualità artigianale offrendo ai viaggiatori un’esperienza food unica, riconoscibile e coerente con i valori del Made in Italy.
“Questo accordo rappresenta per Areas MyChef l’ennesima nuova frontiera del travel food: un’offerta premium, riconoscibile e pensata per valorizzare ogni momento del viaggio attraverso il gusto, la bellezza e la tradizione della pasticceria italiana – commenta Sergio Castelli, ceo di Areas MyChef per Italia e Germania -. Siamo dei sarti che creano un abito su misura grazie a format di proprietà, format con partner terzi o accordi di franchising. Questa collaborazione con il Maestro Massari e la sua famiglia, rinnova la volontà da parte di Areas MyChef di mettere il prodotto al centro di ogni nostra progettualità. Le multinazionali non sono solo numeri ma un complesso ecosistema dove i protagonisti sono gli uomini che con le loro intelligenze creano un vero futuro sostenibile”.
“Siamo entusiasti di questa partnership con Areas My Chef, un’azienda che ha dimostrato una straordinaria capacità, competenza e una vera passione per i nostri prodotti di alta pasticceria – spiegano Debora e Nicola Massari, amministratori di Iginio Massari Alta Pasticceria -. Il Travel Retail rappresenta per noi un’opportunità strategica fondamentale per accrescere la visibilità internazionale del brand Iginio Massari Alta Pasticceria, rispondere alla forte richiesta dei nostri clienti e intercettare importanti volumi di vendita”.
Debora e Nicola Massari aggiungono: “Lavoriamo con impegno e sinergia per raggiungere un obiettivo ambizioso: realizzare le prime due significative aperture entro la prossima primavera. Crediamo fortemente che questa collaborazione porterà grandi soddisfazioni e permetterà a sempre più persone di apprezzare la nostra eccellenza”.
A guidare lo sviluppo del concept sarà FRetail, partner storico di Areas MyChef con una collaborazione attiva da oltre dieci anni.
Un sodalizio che ha già generato food format innovativi, distintivi e di successo, tutti profondamente legati alla qualità e all’identità gastronomica italiana. FRetail, guidata dal founder e ceo Mario Esposito, curerà il concept per il canale travel dedicato a Iginio Massari Alta Pasticceria, con l’ambizione di estendere il format anche a centri storici, mall e department store: “Sono estremamente soddisfatto di poter includere il brand Iginio Massari Alta Pasticceria tra i progetti da sviluppare, sia in Italia che all’estero – sottolinea Esposito -. La partnership consolidata con Areas MyChef e il suo AD, Sergio Castelli, si rinnova con un nuovo capitolo nell’ambito dell’eccellenza del Made in Italy, simbolo di qualità, successo e unicità”.
La scheda sintetica di Areas My Chef
Areas è leader mondiale della ristorazione nel Travel Retail ed appartiene al fondo di private equity Pai Partners. Il Gruppo ha sede a Barcellona ed è presente in Europa, Stati Uniti e America Latina con 1832 ristoranti e negozi in 84 aeroporti, 90 stazioni ferroviarie, 233 aree di servizio e 52 venues leisure e gestisce 350 milioni di clienti ogni anno con un fatturato pari a 2.200 milioni di euro.
In Italia, Areas è nota come MyChef Ristorazione Commerciale S.p.A, è leader nel mercato aeroportuale con la presenza in 16 aeroporti, è presente inoltre con punti vendita a marchio proprio o in franchising in 22 aree di servizio autostradali, 8 stazioni e 2 centri fieristici per un totale di oltre 180 punti vendita; 2.500 dipendenti e un fatturato di oltre 270 milioni di euro.
La scheda sintetica di Iginio Massari Alta Pasticceria
Iginio Massari Alta Pasticceria è il brand che porta il nome del Maestro Iginio Massari, uno dei punti di riferimento per la pasticceria a livello mondiale. Le sue creazioni sono definite da uno stile e un’ispirazione unica, che affonda saldamente le sue radici alle basi dell’artigianalità e unisce arte e scienza, tradizione e innovazione, mente e cuore.
Opere che nascono da un connubio di creatività, attenta selezione delle materie prime ed estrema cura del dettaglio posta nella realizzazione, e conducono in un universo che coinvolge tutti i sensi. Oggi l’azienda, guidata dai figli Debora e Nicola Massari, è presente sul mercato italiano con sei negozi a Brescia, Milano, Verona, Torino, Firenze e Roma, diversi Pop-Up Store nei centri nevralgici del Paese e il format MARITZ a Milano, dedicato all’iconico maritozzo, nonché sul canale e-commerce iginiomassari.it da dove viene servito il mercato europeo.
Nicola Robecchi, founder di Wilden Herbals (Credits: Webby Marketing)
GIUSSAGO (Pavia) – Wilden Herbals, il brand italiano che sta riscrivendo il mondo delle tisane naturali attraverso innovazione, sostenibilità e alta qualità botanica, inaugura Casa Wilden: il primo laboratorio dedicato alla sperimentazione sull’estrazione e sull’infusione delle piante officinali. Lo spazio ha sede permanente all’interno del l’Innovation Center “Giulio Natta” di Giussago, la prima NBS Valley (Nature Based Solution) italianaun luogo dove natura, tecnologia, persone e innovazione vivono in simbiosi.
È qui che dopo mesi di studio è nato Herbpress, un sistema di infusione espressa secondo il quale anche la tisana può essere estratta usando la macchina del caffè.
Casa Wilden, oltre a essere un laboratorio di ricerca, è il fulcro di un progetto agricolo più ampio dedicato alla valorizzazione delle piante officinali endogene. A partire dalla primavera 2025, nei terreni che circondano la sede, sono state messe a dimora alcune varietà, selezionate per il loro legame con la biodiversità locale.
Wilden si occuperà direttamente della raccolta e della sperimentazione, con l’obiettivo di studiarne il potenziale nell’ambito dell’estrazione botanica e della creazione di nuove ricette funzionali.
Il laboratorio Casa Wilden (Credits: Webby Marketing)
Il laboratorio di ricerca
L’Innovation Center Giulio Natta è la sede di Simbiosi, un’azienda che opera con tecnologie brevettate, ispirate dalla natura, che operano trasversalmente su efficienza delle risorse, economia circolare e Nature based solution. Il centro è anche un laboratorio a cielo aperto di oltre 1.000 ettari con campi per la sperimentazione o stabili per l’installazione di impianti pilota, camere climatiche e molto altro.
Ospita anche realtà d’eccellenza impegnate nell’innovazione sostenibile e rappresenta per Wilden un ambiente fertile per lo sviluppo di nuovi progetti, grazie alla presenza di laboratori, competenze trasversali e sinergie imprenditoriali.
Qui il team di Wilden si dedicherà allo studio e allo sviluppo di pratiche di coltivazione delle piante officinali più rispettose dell’ambiente e della biodiversità, alla creazione di nuove tecniche di estrazione naturale, alla formulazione di nuove ricette botaniche funzionali e alla valutazione delle proprietà fitochimiche delle erbe officinali.
“L’Innovation Center “Giulio Natta” di Giussago è il luogo perfetto per immaginare il futuro della fitoterapia e del benessere naturale: qui abbiamo la possibilità di crescere, fare ricerca e collaborare con una rete dinamica di imprese e ricercatori”, dichiara Nicola Robecchi, founder di Wilden Herbals.
Robecchi aggiunge: “Abbiamo scelto Simbiosi perché è il luogo ideale dove poter combinare innovazione e rispetto per la natura, in un contesto che promuove attivamente la biodiversità e l’agricoltura sostenibile. Il nostro laboratorio di ricerca a Casa Wilden sarà un passo fondamentale per esplorare nuove modalità di estrazione e lavorazione delle piante officinali, rispettando al contempo l’integrità delle piante e minimizzando l’impatto ambientale. Vogliamo sviluppare prodotti che non siano solo buoni e salutari, ma che diventino veri e propri manifesti di biodiversità e sostenibilità agricola, diventando il punto d’incontro ideale tra scienza, natura e sostenibilità.”
Herbpress: l’infuso espresso che rivoluziona il mondo delle tisane
Tra le novità nate a Casa Wilden c’è Herbpress, la risposta all’esigenza contemporanea di praticità senza compromessi sulla qualità. Rappresenta una novità assoluta nel panorama internazionale: un sistema che permette di preparare tisane funzionali in pochi secondi utilizzando macchine da caffè espresso tradizionali.
Non si tratta di interventi invasivi, ma di adattamenti ottenuti grazie a uno speciale filtro, sviluppato in collaborazione con I.M.S. Industria Materiali Stampati S.p.A., leader mondiale nella produzione di filtri, docce e accessori per macchine da espresso.
Con il supporto scientifico dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Herbpress combina qualità artigianale e innovazione tecnologica, rispondendo alle esigenze di praticità, sostenibilità e benessere.
Le miscele Herbpress, prive di caffeina, zuccheri aggiunti o aromi artificiali, mantengono tutte le proprietà fitochimiche naturali delle erbe officinali. È possibile ottenere un infuso concentrato paragonabile a un espresso oppure una versione più ampia simile a un cappuccino botanico.
Il primo pre-lancio ufficiale di Herbpress avverrà a giugno durante la fiera internazionale World of Coffee 2025 di Ginevra, dove saranno presentate 4 miscele, di cui due erbe in purezza (Lemon Verbena e Tè Verde Hoji) e una ricetta sviluppata con il brand ambassador Niccolò Avanzi. La versione definitiva di Herbpress, prevista per l’autunno 2025, integrerà componenti modulari, una maggiore facilità di manutenzione e compatibilità con una gamma più ampia di botaniche, comprese quelle polverizzate.
Progetto agricolo: coltivare biodiversità e sostenibilità
Nicola Robecchi, founder Wilden e Giulia ed Emanuele Monti, co-ceo di IMS FIltri (Credits: Webby Marketing)
Il progetto agricolo che ruota attorno a Casa Wilden mira a promuovere una coltivazione sostenibile delle piante officinali, con un forte focus sulla valorizzazione della biodiversità locale. A partire dalla primavera 2025, attorno al laboratorio di ricerca, sono state piantate alcune varietà di piante officinali endogene, selezionate appositamente per rispecchiare e supportare la flora autoctona del Parco Agricolo Sud Milano.
Queste piante, coltivate secondo pratiche agricole rigenerative e rispettose dell’ambiente, saranno utilizzate direttamente nei progetti di estrazione e nella creazione di nuove ricette botaniche funzionali.
L’obiettivo è quello di creare una rete agricola locale che non solo rispetti la biodiversità, ma che la esprima attraverso un’agricoltura rigenerativa che supporti l’equilibrio ecologico e contribuisca alla salvaguardia del territorio. Questo progetto agricolo, che sarà sviluppato in sinergia con il team di ricerca di Wilden, rappresenta il cuore verde di Casa Wilden e della sua missione di promuovere un benessere autentico, che nasce direttamente dalla natura.
Simbiosi e l’Innovation Center Giulio Natta
L’Innovation Center Giulio Natta” di Giussago (PV) è un progetto unico in Italia, che combina agricoltura rigenerativa, ricerca scientifica e pratiche agroecologiche avanzate. Situato a Giussago, a pochi km da Milano, promuove modelli di circolarità sistemica e di creazione di Smart Land, ovvero territori integrati con tecnologie di efficienza delle risorse, economia circolare e rigenerazione ambientale funzionale, dedicate a industrie, utilities e real estate land owner.
L’Innovation Center Giulio Natta è immerso nella prima Smart Land creata da Simbiosi e il suo modello rigenerativo e circolare è in perfetta armonia con i principi ispiratori di Wilden.
All’interno di uno dei musei più amati di Londra, il Victoria and Albert Museum, si trova una caffetteria che risale al 1868. È il più antico caffè di un museo al mondo. Per saperne di più, leggiamo di seguito un estratto dell’articolo di Katie Forge per il portale d’informazione Secret London.
Il caffè del Victoria and Albert Museum di Londra
LONDRA – La prossima volta che gli avventurieri della cultura si trovano a fare un giro al V&A, suggeriamo di fare una rapida corsa verso il retro del museo, dove scoprirete una delle gemme nascoste più brillanti della città: il loro caffè. So cosa state pensando: cosa c’è di così speciale in una caffetteria nascosta nel retro di un museo? Beh, gente, questo non è un semplice caffè di un museo.
È il più antico caffè di un museo al mondo. E si dà il caso che sia anche uno dei posti più belli per bere un cappuccino nella capitale.
Dopo aver servito torte e caffè per oltre 150 anni, il caffè del museo del V&A è stato il primo del suo genere. Prima che Henry Cole pensasse a una sala di ristoro interna, non c’era nessun posto dove i visitatori del museo potessero riposare le loro gambe stanche e mangiare una fetta di torta dopo aver finito di visitare le collezioni.
Henry Cole aveva imparato tutto sulle esigenze dei visitatori quando dirigeva la Grande Esposizione nel 1851. Aveva scoperto che dare da mangiare e da bere ai visitatori era una priorità assoluta (non è cambiato nulla in questo senso) e mentre molti altri musei hanno introdotto una sala di ristoro interna solo nel XX secolo, Cole aveva già la sua in funzione, in netto anticipo sui tempi.
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Il robot al lavoro da Gizmo (immagine presa dal canale YouTube Fort Worth Star-Telegram)
FORTH WORTH – Ampersand, un brand di caffè originario di Fort Worth in Texas, ha introdotto una tecnologia robotica avanzata all’insegna dell’espresso presso il Terminal C dell’aeroporto di Dallas Fort Worth. In collaborazione con RobotLAB e Hestia Robotics, l’azienda ha lanciato un chiosco robotico per il caffè e prevede di offrire la consegna autonoma della bevanda ai gate entro il 2026, come riportato dal quotidiano Fort Worth Star-Telegram.
Il primo chiosco robotico all’aeroporto di Dallas Fort Worth di Ampersand
Nonostante abbia aperto la sua sede all’aeroporto di DFW solo un anno fa, Ampersand ha già ottenuto un sostegno significativo, superando concorrenti dai nomi altisonanti come Starbucks e Dunkin’ Donuts.
Tuttavia, il primo chiosco robotico, chiamato Gizmo, ha debuttato il 7 aprile. Ora offre 27 bevande speciali, tra cui caffè, matcha e tè con gusti come vaniglia, miele e cocco.
I clienti possono ordinare e pagare tramite uno schermo touch, Gizmo prepara le bevande, consegnandole attraverso finestre di ritiro sicure accessibili con un codice QR.
A Città di Castello, in provincia di Perugia, torna l’evento TazzinArt, manifestazione in cui sarà possibile ammirare capolavori della ceramica con 200 tazzine di caffè d’eccezione. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Alessandra Chieli pubblicato sul portale d’informazione Teletruria.
La manifestazione artistica TazzinArt
CITTA DI CASTELLO (Perugia) – Per il secondo anno consecutivo, torna a Città di Castello “TazzinArt”, la manifestazione, unica in Italia, in programma fino al 15 giugno, con il patrocinio del comune.
La presentazione è avvenuta presso il salone di rappresentanza di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, sede della prestigiosa Pinacoteca dove alloggiano i capolavori di Raffaello Sanzio, Signorelli e Giorgio De Chirico, in un viaggio fra i secoli, dal Rinascimento all’arte contemporanea.
Alla presenza del sindaco, Luca Secondi, del vice sindaco, Giuseppe Bernicchi, dell’assessore alla cultura, Michela Botteghi e degli organizzatori della manifestazione tra cui Silvia Mercati, Giada Colacicchi e Lorenzo Fiorucci è stata illustrata quello che sembra configurarsi come un vero e proprio festival della ceramica.
Fiorucci, in veste di curatore della manifestazione, ha ricordato il senso di questa iniziativa che attraverso un oggetto comune come la tazzina da caffè, vuole annullare le distanze culturali e geografiche.
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MILANO – Ultimamente si è tornato a parlare di mate, bevanda prediletta da Papa Francesco: infuso preparato con le foglie di erba mate (in spagnolo yerba mate), è originario del Paraguay e Uruguay ma che in realtà è un rito che interessa gran parte di Sud America, dal Cile, Argentina al sud del Brasile, su cui ha deciso di investire il fondatore di Cafezal, Carlos Eduardo Bitencourt. È proprio dal punto di Viale Premuda, che è partito questo nuovo progetto tutto latino americano.
Il mate come viene consumato nel primo paese produttore di caffè?
“Il mate e un’erba coltivata nell’America del Sud che si estende in tutte quelle zone in cui erano giunte le missioni gesuitiche, per esempio in Brasile nella regione del Rio Grande do Sul, Argentina in Corrientes e Missiones, e poi in Paraguay e Uruguay. Storicamente la più grande regione produttrice al mondo si trova proprio nel sud del Brasile, da dove arrivo io. Esiste poi un processo di raccolta delle foglie che vengono trattate, essiccate, triturate e macinate.
Il mate è presente anche in Argentina, in Paraguay e in Uruguay, dove è una bevanda quasi identitaria della popolazione locale. Certo, il consumo di caffè resta più notevole, ma soprattutto in Paraguay, nell’Uruguay e in Argentina questa pianta è molto diffusa lungo la pampa, un bioma in cui vengono allevati anche i bovini di alta qualità.
I principali consumatori storici di questo tè erano le tribù dei Guarani, originari di quella macro-regione. Il Mate si beve in queste zone principalmente caldo, anche se esiste la possibilità di consumarlo freddo.
Principalmente in Paraguay si beve il Tererè, ma anche a Rio De Janeiro capita di sorseggiare il mate in spiaggia, freddo, infuso insieme al limone e lo zucchero. Da noi è un rito che accompagna durante tutta la giornata. Le persone lo bevono alla mattina al posto del caffè, oppure in ufficio mentre si lavora, come a casa in famiglia. Il contenuto della caffeina è ridotto, meno della metà del caffè, ma è comunque uno stimolante e lo si utilizza ad esempio per studiare.
Il mate impacchettato con il metodo Cafezal (foto concessa)
In Brasile viene preparato nel “cuia”, contenitore ricavato da una frutta, la “Cabaça” (simile al legno vuoto essiccato, e della famiglia della zucca), all’interno del quale si posiziona l’yerba mate in foglie macinate. A quel punto si mette la cannuccia chiamata “bomba” o “bombilla” (versione argentina/uruguayana), dell’acqua calda e si beve. Tradizionalmente il mate risulta amaro e non si aggiunge zucchero. Anche in Brasile non è stata una bevanda molto diffusa al di là delle regioni storiche come quelle del sud, in cui è tradizionale.”
Con Cafezal ci state puntando anche al posto del Matcha che ha rappresentato un trend importante: com’è il mercato del mate in termini di diffusione e di prezzo?
“Per me, da brasiliano, il mate è sempre stata una bevanda abbastanza naturale da considerare per Cafezal. Certo pone un problema quando lo si acquista, in quanto la granulometria delle foglie è particolarmente larga (prendendo come riferimento quella del cold brew, andrebbe moltiplicata per 3).
Per questo motivo, abbiamo dovuto sviluppare un nostro processo interno, diviso in tre procedure che riescono a farci passare dalla granulometria originaria del mate sino alla polvere con più facilità e rapidità. A questo punto abbiamo potuto sostituire del tutto il Matcha.
Un buon mate oggi sul mercato si trova anche a 25 euro al chilo per l’Europa (contro i 250 che si possono spendere per un ottimo Matcha). Non registriamo comunque volumi alti: all’anno usiamo 50 chili di mate.
Per ora sta andando abbastanza bene e per Cafezal è una nostra bevanda Signature. Ci prepariamo dei drink rinfrescanti, considerando sempre che rispetto al Matcha esiste certamente una differenza in termini organolettici in quanto il mate è più erbaceo, sa più da foglia rispetto al matcha.
Ci riforniamo direttamente da dei produttori della mia città con cui sono in contatto e poi trattiamo questo prodotto con un processo di macinatura e di filtraggio da noi brevettato, insieme alla bevanda mate-latte.”
Anche il mate ha una sua ossidazione
Bitencourt: “Ma con il nostro processo che effettuiamo mensilmente, il prodotto riesce a conservarsi bene. Il mate è una foglia essiccata e affumicata, viene già trattato in maniera diversa rispetto al caffè verde. La shelf life ideale per un mate conservato in foglie va dai sei agli otto mesi, messo in sotto vuoto. Una volta aperto, con il processo ideato da me arriviamo ad un mese-un mese e mezzo, riposto al chiuso e a temperatura ambiente.”
Quindi in termini di abitudini di consumo, rispetto all’America latina, la grande differenza è l’aggiunta del latte
La ricetta rinfrescante con il mate (foto concessa)
“Sì, in Italia lo offriamo in altre modalità oltre a quella tradizionale. Oggi abbiamo principalmente due ricette: il mate-latte, servito sia freddo che caldo (4 euro) e con la possibilità di usare il latte d’avena, con 50 centesimi in più. E poi un’opzione estiva con mate, una leggera spremuta di limone, acqua tonica e un sottofondo di latte condensato, adatta per la merenda a metà mattina o per un aperitivo pre cena. È molto dissetante e lo proponiamo a 6 euro.
Inoltre lo sfruttiamo anche come ingrediente nella pasticceria e a breve inizieremo con la linea di brioche farcite proprio con crema pasticcera al mate.”
Quindi secondo lei li mate diventerà una tendenza come il Matcha?
“Sarà sempre più scoperto e utilizzato. Il problema della macinatura è l’unico ostacolo, che tuttavia abbiamo risolto. Vendiamo il mate anche in bustina da 200 grammi a 18 euro per il consumo domestico e per i nostri clienti B2B interessati ad avere come un’alternativa molto simile ma più economica al Matcha.
Abbiamo notato che di solito chi beve il mate in caffetteria è giovane. È un prodotto che viene percepito come salutare con proprietà antiossidanti che contrastano lo stress ossidativo. Sommando tutti questi elementi, aspetti organolettici, collegamento con la caffetteria specialty, tendenza ma soprattutto l’origine, mi è sembrato più che naturale offrirlo come un nostro prodotto signature e oggi unico da Cafezal.”
MILANO – Negli ultimi anni il Ruanda si è distinto per la notevole produzione di caffè di elevata qualità. Distinti da un flavore pregiato e un gusto bilanciato, i chicchi ruandesi non sono ancora entrati nel radar dei torrefattori italiani. Quale luogo migliore per scoprire di più su questa produzione se non il laboratorio di assaggio di caffè?
Il caffè del Ruanda
Nella giornata del 5 maggio si è tenuta, presso ARC – Aziende Riunite Caffè, una doppia sessione di cupping dedicata proprio al Ruanda, organizzata dall’Associazione Caffè Trieste in collaborazione con ICU – Istituto per la Cooperazione Universitaria, nell’ambito del progetto di cooperazione internazionale AID 012590/04/9, finalizzato allo sviluppo sostenibile della filiera del chicco nel Paese africano.
Il progetto è realizzato con il sostegno dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), partner istituzionale assieme a ICU, con l’obiettivo di promuovere una crescita economica duratura e inclusiva nei territori rurali del Ruanda con il fine introdurre la produzione di caffè ruandese ai torrefattori italiani.
L’evento presso ARC – Aziende Riunite Caffè
La giornata di lunedì ha dunque rappresentato la terza sessione di assaggi degli specialty del Ruanda, dopo gli incontri svolti in occasione del Triestespresso Expo a Trieste e del Sigep World a Rimini.
Nonostante i caffè ruandesi presentino caratteristiche sensoriali pregiate — come una spiccata acidità e dolcezza, una perfetta pulizia in tazza e una complessità aromatica notevole —, il loro profilo gustativo non corrisponde appieno ai gusti tradizionali del consumatore italiano, storicamente orientato verso miscele dall’acidità quasi nulla e dal corpo pieno.
Per questo motivo, diventa fondamentale raccogliere feedback strutturati da parte dei torrefattori, degli assaggiatori professionisti e dei trader, al fine di comprendere le reali possibilità di inserimento del caffè ruandese nel mercato italiano.
L’iniziativa ha avuto anche l’obiettivo di evidenziare i progressi compiuti dal Ruanda sul piano dell’organizzazione produttiva: dalla strutturazione delle cooperative sociali alla gestione efficiente delle washing station, anelli chiave della filiera di produzione per garantire qualità, tracciabilità e sostenibilità.
Per saperne di più abbiamo partecipato alla prima sessione di cupping della giornata presieduta dal caffesperto Andrej Godina che ha spiegato nel dettaglio la varie fasi dell’operazione.
La postazione
Si comincia con la compilazione della scheda per le caratteristiche del caffè. In questo caso non si tratta di quella della SCA ma una versione semplificata per aiutare i neofiti del cupping. Successivamente, si scrive il riferimento del campione, il numero del lotto, la lavorazione (naturale o lavato), e si passa subito alla voce fragranza e aroma. Si annusa il caffè macinato prima di inserire l’acqua e si annota l’aroma percepito.
Interessante notare come, una volta aggiunta l’acqua, la polvere di macinato si deposita sopra la tazza a causa dell’anidride carbonica. Per assaggiare è necessario dunque rompere la crosta e far adagiare la polvere di caffè sul fondo della tazza. Dopodiché si toglie la schiuma rimasta in superficie. La bevanda, infine, è pronta per essere assaggiata.
L’aggiunta dell’acqua alla polvere di caffè
Si parte con un 100% Bourbon Arabica lavato da cui è stato possibile sentire il flavore molto aromatico e fruttato.
La seconda scelta è sempre un 100% Bourbon Arabica lavato. Più dolce rispetto al primo ma dalla componente agrumata molto intensa e persistente.
Si prosegue con il terzo caffè che presenta flavori più dolci di bakery con aromi di biscotti e cioccolato con una leggera nota di bergamotto.
È il turno del quarto, decisamente più dolce con un’acidità meno accentuata e flavore fruttato, sempre 100% Bourbon Arabica lavato.
Non troppo differenti dagli ultimi due, di cui uno lavato del tipo peaberry, che presentano un aroma deciso ma ben equilibrato.
Tutti i caffè proposti nella sessione di cupping sono classificati Specialty.
Arrivati a questo punto, Andrej Godina ha sottolineato l’importanza di assaggiare il caffè in tre diverse fasi di temperatura: caldo, tiepido e a temperatura ambiente. Questa pratica consente di cogliere l’evoluzione del profilo di flavore nel tempo, offrendo una valutazione più completa della qualità del campione. In particolare, è nella fase fredda che emergono con maggiore chiarezza eventuali difetti nascosti — come note fermentate, terrose, chimiche, cartacee o astringenti — che risultano meno percepibili quando la bevanda è calda. Una degustazione condotta con attenzione a queste fasi aiuta i torrefattori a prendere decisioni più consapevoli sulla selezione e l’uso del caffè, soprattutto se destinato a miscele di espresso o a utilizzi monorigine.
Mentre i primi caffè assaggiati all’inizio presentavano aromi più complessi e più leggeri con varie sfumature, in seguito, man mano che si sono raffreddati, gli aromi risultavano essere di maggiore intensità, anche se con minore complessità. L’ultimo passaggio al caffè freddo ha fatto venir fuori l’anima del prodotto.
Andrej Godina svela i retroscena del metodo cupping: “Questo processo si usa per definire la qualità del caffè verde. Viene utilizzato sia per la classificazione degli Specialty che per i lotti commerciali. Il metodo è stato introdotto in Brasile con la prima classificazione commerciale del caffè. Lo scopo è trovare le caratteristiche positive di una determinata produzione e ciò che lo rende unico. In base al risultato qualitativo di questo metodo di assaggio si determina la classificazione e il prezzo. Nel caso del caffè commerciale il costo è identificato con un differenziale a cui si aggiunge la quotazione di borsa, negativo o positivo, da cui poi si evince il prezzo finale. Nel caso dello Specialty, il costo non è legato al prezzo di borsa ma solamente alla qualità, perciò il costo dello Specialty è legato esclusivamente al valore del prodotto il che rende questo prodotto molto più sostenibile e socialmente responsabile per il produttore rispetto ai lotti commerciali”.
“Gli assaggi vengono effettuati da persone altamente qualificate all’interno di un panel. Tutti seguono un rigido protocollo per analizzare e valutare la bevanda nella maniera più oggettiva possibile. Dalla media dei voti di ciascun assaggiatore emerge poi la qualità oggettiva”.
Successivamente si è tenuto un dibattito guidato da Arianna Mingardi, presidente dell’Associazione Caffè Trieste e CEO di Amigos Caffè, Franco Tesoro Tess, ceo di Aziende Riunite Caffè, l’esperto Andrej Godina e Fabrizio Polojaz, vicepresidente di Associazione Caffè Trieste e ceo di Primo Aroma.
Andrej Godina e Franco Tesoro Tess
Il confronto si è focalizzato sui cambiamenti in atto nei mercati internazionali del caffè verde, sulle nuove dinamiche di approvvigionamento e sull’impatto delle trasformazioni nella definizione delle strategie di miscelazione.
Arianna Mingardi prende la parola: “Le sfide che i torrefattori si trovano ad affrontare oggi sono numerose. Una delle più complesse riguarda l’approvvigionamento della materia prima. Contratti annuali con consegne mensili sono oramai impensabili, merce spot è pressoché introvabile e ci si deve affidare a merce pronta a partire dai paesi produttori con un tempo previsto di arrivo calcolato approssimativamente, ma non certo.”
“Sul fronte logistico la situazione si è complicata: i tempi di consegna si sono allungati e non rispettano quanto indicato nei contratti di approvvigionamento stipulati con il trader. Dagli usuali due mesi di viaggio, è normale ormai che la materia prima arrivi dopo tre mesi se non di più. Ci sono poi alcuni porti italiani, come ad esempio il porto di Trieste, che, a causa della continua chiusura del canale di Suez, sono ormai considerati porti difficili da servire”.
“In aggiunta, vi è la difficoltà nel reperire le origini di materia prima: il torrefattore spesso si trova costretto a rivedere le proprie miscele e a reagire rapidamente quando, da un giorno all’altro, viene a mancare una componente fondamentale, sostituendo gli ingredienti originari della miscela con alternative che devono e/o possano garantire un risultato sensoriale quanto più simile possibile per offrire al consumatore finale un determinato profilo di gusto a cui è abituato e che desidera non venga cambiato”.
Arianna Mingardi (immagine concessa)
“Un’ulteriore criticità” – conclude Mingardi – “è rappresentata dal continuo aumento dei prezzi della materia prima. Un aumento lento e continuo iniziato a ottobre 2021 e che sembra non trovare ancora uno stop e una stabilità di mercato.”
Franco Tesoro Tess riflette: “Ci ritroveremo in un mercato che sarà diviso; sempre meno connessione tra i prezzi del caffè fisico e quello delle Borse. Se ne comprerà in quantità inferiore, se i prezzi saranno mantenuti così alti, a causa del minor potere di acquisto. In più è ipotizzabile un grande surplus di produzione, con limitato stoccaggio nei Paesi di consumo, poiché non si potranno più mantenere gli stock come fatto precedentemente.
Chiarisce: “Fino a questo aumento dei prezzi, i mercati a termine avevano le scadenze future a premio, premio che copriva il costo degli interessi e del magazzinaggio per la merce in stock da vendere. Ora, per l’alto costo della materia prima, il flusso di merce invenduta si è fortemente ridimensionato. Il mercato ne ha risentito e ora il caffè che non c’è, pesa sulla Borsa – che da premio sul futuro è andata a sconto. Questa situazione non permette il mantenimento di elevati stock di caffè verde nei paesi di consumo poiché economicamente non è più sostenibile, mentre prima il mercato pagava il finanziamento per l’acquisto e lo stoccaggio”.
Andrej Godina ritorna sul tema dell’inevitabile cambiamento del flavore nei prodotti a causa del difficile reperimento delle origini: “Il torrefattore italiano ha abituato il cliente a consumare sempre la stessa tazzina, con lo stesso profilo sensoriale, esattamente come nel mondo del vino si mantiene un’identità costante grazie agli uvaggi, le miscele di vitigni differenti. Ma oggi, anche in quel settore, le cose sono cambiate: basti pensare allo champagne, che si è evoluto in un prodotto più secco, acidulo, di facile beva. Le torrefazioni italiane potrebbero trarre ispirazione da questo cambiamento, trasformando un momento di crisi in un’opportunità per ridefinire la propria proposta.”
Godina aggiunge: “In un mercato in continua evoluzione, la miscela per espresso può diventare un prodotto dinamico, soggetto a una naturale variazione di flavore nel tempo, offrendo ai clienti caffè stagionali, diversi ma coerenti con una filosofia aziendale chiara e ben comunicata. Il prodotto, quindi, non solo può, ma deve evolvere, purché guidato da una visione precisa e da una strategia consapevole.”
Godina conclude: “In questa fase così delicata per il settore, dove il prezzo della materia prima ha raggiunto livelli storicamente alti, è fondamentale che il torrefattore torni a investire nella formazione e nel recupero del proprio know-how sul caffè. La profonda conoscenza delle origini, la capacità di adattare i profili di tostatura alle nuove materie prime e l’abilità nel creare miscele coerenti con l’identità aziendale sono strumenti essenziali per affrontare il mercato attuale. Diventa quindi prioritario organizzare viaggi nei Paesi di origine per comprendere a fondo le dinamiche produttive, allestire laboratori di assaggio in azienda dove un panel di assaggiatori addestrati analizzi quotidianamente i lotti in arrivo, confrontarsi con i prodotti della concorrenza attraverso un’attività strutturata di benchmarking e avviare percorsi di ricerca e sviluppo per innovare ricette e processi.”
“Solo un approccio consapevole e tecnicamente solido può trasformare le difficoltà attuali in una nuova fase di evoluzione del caffè italiano.”
Fabrizio Polojaz si inserisce nel dibattito: “L’esperienza e la conoscenza del torrefattore nel proporre nuove soluzioni è importante, così come è significativa la figura del fornitore di caffè crudo. Ambedue dovrebbero saper proporre nuove origini in caso di necessità per mantenere lo stesso profilo organolettico della miscela desiderata. La realtà è che è poco probabile cambiare le abitudini del consumatore. È possibile tentare di offrire una tazza di caffè più ricca, ma non sviarlo completamente dalla sua quotidianità”.
Polojaz aggiunge: “Siamo commercianti, non missionari. È certamente possibile per il torrefattore proporre caffè diversi ma richiede una buona dose di preparazione e conoscenza del chicco che non sempre è riscontrabile nel settore”.
Arianna Mingardi trae le conclusioni: “In questa tempesta perfetta esiste comunque un margine d’azione che ci permette di resistere e affrontare un momento estremamente complesso. Il torrefattore deve diventare sempre più consapevole delle qualità di caffè che acquista e di ciò che è realmente disponibile sul mercato, affidandosi anche alle competenze dei propri fornitori. È fondamentale programmare gli arrivi, tenendo conto anche dei tempi di trasporto, oggi inevitabilmente più lunghi rispetto al passato, perché non è più possibile contare sulla disponibilità immediata”.
MILANO – Avrete probabilmente sentito parlare dell’indice Big Mac, l’indicatore economico informale che confronta il potere d’acquisto delle valute utilizzando come benchmark il prezzo del popolare panino di Mc Donald’s. Gli analisti di Coffeeness hanno fatto qualcosa di simile, sotto certi versi, prendendo però come metro di misura il prezzo medio di una normale tazza di caffè nelle caffetterie degli Usa, per estendere poi il raffronto ai listini di Starbucks.
Il risultato è la Coffee Affordability Map, che stabilisce, stato per stato, quanti minuti di lavoro sono necessari per poter comprare un caffè in un locale pubblico.
A tale scopo sono stati utilizzati i dati dell’Ufficio delle statistiche del lavoro per quanto riguarda la paga media oraria in ogni singolo stato.
Giustamente, lo studio non ha preso in considerazione il salario minimo, poiché il caffè al bar è un bene voluttuario e non essenziale.
Per il prezzo della tazzina si è fatta una media dei listini di un campione di esercizi indipendenti per una tazza di caffè, senza latte, panne, aromi e altre aggiunte
Esclusi anche l’espresso e i caffè speciali delle caffetterie e dei torrefattori “third wave”.
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La copertina di Anna e il cioccolato, Braida (foto concessa)
MILANO – Un viaggio indietro nel tempo, in un Piemonte fatto di lunghi viaggi in treno, di collegi, pantaloni alla zuava, di mietitura e trebbiatura, di luce elettrica non ancora diffusa in tutte le abitazioni. E’ all’interno di questo piccolo mondo che Giuseppe cresce, protagonista de “Anna e il Cioccolato“, pubblicato da Gribaudo editore e firmato da Giuseppe Braida, imprenditore che ha realizzato il suo sogno di fondazione di una delle aziende produttrici di crema e cioccolato italiane più note: Nutkao.
L’ispirazione arriva da un altro gigante piemontese, Ferrero, un po’ per caso un po’ per amore: e dall’incontro con il cioccolato, la storia sino al presente si scrive un po’ da sola.
Nutkao, la creatura di Giuseppe Braida dalle origini
Dentro il ventre Ferrero ad Alba, Braida osserva da vicino tutto l’impianto produttivo di diverse linee, la nascita di prodotti iconici che tutti noi oggi troviamo facilmente al supermercato. Nel mezzo, il sorriso di Lucia, perchè l’amore non può mancare come ingrediente segreto di una ricetta di successo.
Poi un passaggio nel mondo del caffè, della torrefazione, del bar. La miscela: un altro prodotto che in Piemonte ha trovato una delle sue massime espressioni, se si pensa anche soltanto a nomi come Lavazza, Caffè Vergnano, Costadoro.
Nel settore ricerca, si pensa alla pasta per il cappuccino portatile da propinare ai militari americani. Si iniziano gli assaggi, gli esperimenti in laboratorio, compare Anna e si intravede il futuro.
E qui avviene la svolta, così come esprimono bene le parole del libro: “Se voglio essere libero, devo intraprendere un’attività per conto mio“. Dopo un breve tentativo nella torrefazione, portato avanti parallelamente all’impiego in Ferrero, Braida si butta proprio nella produzione della cioccolata: arrivano i primi macchinari, l’impastatrice, le nocciole, la raffinatrice.
E addio Ferrero. Benvenuti primi anni di imprenditoria, di “Alti e bassi” – così si intitola lo stesso capitolo dedicato. Il fallimento, poi la rinascita e l’evoluzione di Nutkao attraverso la sua gamma, stabilimenti produttivi innovativi, il cacao del Ghana.
La strada non è stata priva di salite, di intoppi, di ricalcoli, anche di malattie, ma Giuseppe Braida l’ha percorsa tutta sorretto dal suo spirito imprenditoriale e rialzandosi ogni volta. Un altro esempio di successo del made in Italy che ha il profumo del cioccolato.
“Anna e il cioccolato”, Gribaudo Edizioni, è acquistabile a questo link, al costo di 17 euro.
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