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Gianluigi Goi: “Il caffè della pace” secondo la Nobel Rigoberta Menchù

Rigoberta Menchú: “La democrazia non è mai un concetto vuoto ed è l’unico progetto politico che implica la pace, ma anche l’accettazione delle diversità, delle diversità di idee, credi, culture, religioni. Costruire la democrazia implica che educhiamo i nostri figli con il massimo e il più profondo rispetto per se stessi e per l’altro essere umano, quello che è diverso da me in tutti gli aspetti (fisici, sociali, culturali, intellettuali e psicologici). In questi valori si rinvigorisce la pace”.

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MILANO – Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista affezionato a queste pagine che con la sue esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo i suoi contenuti sempre interessanti. Questa volta Gianluigi Goi esprime un’opinione personale sulla gravità dei giorni che stiamo vivendo e riflette su come un simbolo tanto semplice quanto potente come una tazza di caffè possa essere visto come strumento di pace grazie alle parole del premio Nobel Rigoberta Menchù.

di Gianluigi Goi

Il caffè della pace: la riflessione

BRESCIA – In giornate tremende e buie come queste che stiamo vivendo sono convinto che anche una fiammella può contribuire ad accendere un luccichio di speranza, fosse solo lo sprazzo d’un attimo come succede quando sottoponiamo i nostri occhi stanchi o malati all’esame del campo visivo. E’ con questa intenzione che sono andato a rileggere una pregnante intervista a Rigoberta Menchù, Nobel per la Pace 1992, la prima donna indigena e la più giovane ad avere ottenuto (al tempo) questo prestigioso riconoscimento.

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“La pace passa anche da un chicco di caffè. A colloquio con l’attivista guatemalteca Rigoberta Menchù”: questo il titolo dell’importante intervista – di cui riprendiamo ampi stralci – di Dorella Cianci, pubblicata sull’Osservatore Romano del 31 gennaio scorso, il quotidiano del Vaticano, il “giornale del partito” come ama definirlo il grande papa Francesco, sorta di vademecum giornaliero di tanta e grande umanità.

Le parole di Rigoberta Menchù Tum riecheggiano nel presente

Ai giovani, vivendo oggi defilata rispetto alla grande ribalta mediatica, la figura di Rigoberta Menchù Tum – nata nel 1959 nel villaggio di  Chimel (Guatemala), erede della millenaria cultura dei Maya-Quiché – dice poco, ma per chi ha il pel canuto come usava dire una volta il suo nome evoca l’immagine di una donna attivissima che calamitava l’attenzione per la difesa dei diritti delle popolazioni indigene del Guatemala in particolare e del continente Centro Americano più in generale, inconfondibile allo sguardo per via dei coloratissimi vestiti tradizionali che ne connotavano sempre la presenza.

Malgrado le 250.000 vittime (di cui 50.000 desaparecidos) che hanno insanguinato il Guatemala, si è sempre dedicata a quel valore universale di pace che, parole sue, “non conosce differenze geografiche e non conosce lingue e tempi sbagliati. La pace è sempre la scelta giusta, anche quando sembra la via più difficile da percorrere e apparentemente meno redditizia”.  Ma cos’è, banalmente, la pace?

“Dobbiamo recuperare una visione del futuro, avere chiaro quello che c’è da fare per domani, se vogliamo ridare una speranza al mondo. Nel futuro c’è autentico bisogno di pace, perché senza questo ingrediente essenziale non può esserci rispetto per la vita, ma anche per la qualità dell’ambiente e dell’economia. Senza un futuro di pace non può esserci alcun progetto di rivalutazione dell’aria, dell’acqua, della terra. La pace è la condizione necessaria per ogni futura transizione”.

Una speranza per il domani

Sono parole che penetrano immediatamente come la lama di un coltello nel burro delle difficoltà attuali e al tempo stesso, con afflato profetico, si proiettano sull’immediato futuro ricco di insidie e trabocchetti.

“Non è facile – è forse questa una chiave di lettura che può aiutare non solo a capire ma a muoversi per fare qualcosa di concreto – ma ognuno deve avere una visione globale della vita altrui, come primo vero esercizio di allenamento alla pace; altrimenti guadando sempre e solo nella propria direzione, nessuno riuscirà a risolvere neppure i problemi presenti, quelli della propria gente, della propria nazione, del proprio continente. La pace è un dovere che si persegue con la conoscenza della cultura, della vita, delle idee e delle aspettative degli altri”.

E della cosiddetta globalizzazione Rigoberta Menchù cosa pensa?  “Ad oggi la globalizzazione consiste solo nel mercato, ma questa concezione ci porterà a distruggere il mondo. La globalizzazione e la politica devono sempre più avere un volto sociale. Parliamo di geopolitica pensando solo alla legge degli interessi, invece la geopolitica ha dentro di sé molti risvolti sociali e antropologici.”

“Inoltre, guardando nella direzione della pace, si dovrebbe anche tener conto che lo sviluppo sostenibile, di cui sempre più si parla, non deve essere solo un discorso alla moda e la cooperazione internazionale deve essere scelta con la partecipazione delle comunità locali – sempre – affinchè queste forniscano informazioni sulle loro reali condizioni di vita. In Italia per esempio, anni fa è nato il “Caffè della Pace”, con l’idea di incrementare questo commercio in un’ottica solidale.”

“La pace passa anche per un chicco di caffè solidale”

“La pace passa anche per un chicco di caffè solidale. Come sapete tutti, il caffè – e qui le parole dell’attivista si accostano alle fonti della cultura tradizionale e forse animista della sua gente e in questo senso secondo noi vanno lette e introitate (ndr) – è la principale produzione della mia terra d’origine con i contadini che lo coltivano con le tecniche tradizionali. L’ombra degli alberi offre una protezione naturale alle piante, evitando sbalzi di temperatura, filtrando il sole e la pioggia.”

“Gli agricoltori nutrono il terreno di materia organica e ne impediscono l’erosione. La raccolta del caffè avviene in tempi diversi in quanto le bacche non maturano tutte insieme; in seguito vengono scelte ad una ad una. I chicchi verdi essiccati vengono inviati alla cooperativa La Terra e il Cielo”.

Nella fattispecie, questa la nostra impressione, le parole sono pietre: “Terra” e “Cielo” stanno ad indicare il connubio ineliminabile fra suolo, acqua, aria, sole e gli esseri viventi che lì vivono con l’aggiunta del lavoro e dell’ impegno umano in qualche modo “offerto” e/o “rapportato” ai voleri e ai poteri dirimenti di Madre Natura.

Una tazzina di pace per un futuro più radioso

“La cooperativa cura la torrefazione, il confezionamento e la commercializzazione dei chicchi destinando una parte del profitto alla Fondazione Menchù per progetti di pace e di sviluppo del popolo Maya. La pace e una visione più equa e solidale dell’economia sono l’unica strada per il domani”. E’ in quest’ottica e in questa visione che un caffè raccolto e torrefatto in Guatemala può diventare non solo un “caffè di pace” ma una vera e propria “tazzina di pace” incontrando un lontanissimo consumatore.

Concludiamo con una annotazione sulla democrazia di Rigoberta Menchù che mette in risalto i principi etici che ne connotano l’attività e il pensiero: “La democrazia non è mai un concetto vuoto ed è l’unico progetto politico che implica la pace, ma anche l’accettazione delle diversità, delle diversità di idee, credi, culture, religioni. Costruire la democrazia implica che educhiamo i nostri figli con il massimo e il più profondo rispetto per se stessi e per l’altro essere umano, quello che è diverso da me in tutti gli aspetti (fisici, sociali, culturali, intellettuali e psicologici). In questi valori si rinvigorisce la pace”.

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