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Xylella: il batterio killer in Puglia con albero di caffè dalla Costa Rica

Maria Saponari: "Xylella fastidiosa è un patogeno invasivo che può infettare almeno 595 specie di piante scoperto in Europa nel 2013 provoca il cosiddetto Complesso del disseccamento rapido dell'olivo (Codiro), che fa seccare foglie, ramoscelli e rami, uccidendo rapidamente la pianta"

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MILANO – Il batterio Xylella è arrivato in Italia per la prima volta nel 2008 su una pianta di caffè proveniente dalla Costa Rica. Il batterio si è adattato presto agli ulivi in Puglia uccidendo in tale modo milioni di piante. Lo studio pubblicato sulla rivista inglese Nature ha aiutato a confermare la provenienza del batterio e i suoi tratti genetici. Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato in uno dei canali dell’Ansa, Terra e Gusto (Mondo Agricolo).

Le origini del batterio Xylella

LONDRA – È su una pianta di caffè arrivata nel 2008 dalla Costa Rica che il batterio Xylella fastidiosa ha fatto la sua prima comparsa in Italia, per adattarsi successivamente agli ulivi in Puglia, finendo per uccidere milioni di piante.

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A confermare l’ipotesi della provenienza del killer degli ulivi è uno studio condotto da scienziati in Italia, Francia e Stati Uniti pubblicato sulla rivista scientifica ‘Nature’, a cui ha partecipato la ricercatrice italiana Maria Saponari del Cnr-Ipspi di Bari.

Sotto la lente anche alcuni tratti genetici che potrebbero aver aiutato il batterio a diffondersi. “Xylella fastidiosa è un patogeno invasivo che può infettare almeno 595 specie di piante – spiega Saponari – scoperto in Europa nel 2013 provoca il cosiddetto Complesso del disseccamento rapido dell’olivo (Codiro), che fa seccare foglie, ramoscelli e rami, uccidendo rapidamente la pianta”.

Il nome fastidiosa deriva dalla difficoltà di coltivarla in laboratorio, contrariamente a batteri come l’Escherichia coli; ecco perché all’inizio dell’epidemia è stato difficile dimostrare che il batterio fosse la causa della morte degli alberi.

I tratti genetici del batterio Xylella

Tra il 2013 e il 2017, gli scienziati hanno raccolto campioni di ramoscelli da più di 70 alberi infetti e hanno utilizzato un nuovo protocollo per estrarne il Dna batterico, concentrandosi sulla sua variabilità. “Più differenze vediamo nelle sequenze – precisa la ricercatrice – più a lungo Xylella deve essere stata in Italia, perché significa che ha avuto più tempo per produrre mutazioni mentre si adattava al nuovo ambiente e alla nuova specie ospite”.

E questo Dna è stato anche confrontato con quattro campioni costaricani di piante di caffè, che confermano l’idea che l’agente patogeno italiano provenga dall’America centrale. C’erano solo piccole differenze tra i campioni costaricani e pugliesi, e ancora meno differenze all’interno della popolazione italiana.

Considerando il tasso medio di mutazione di questi batteri, i ricercatori sono stati anche in grado di confermare il 2008 come l’anno più probabile di introduzione della Xylella in Italia. Questo sarebbe coerente con le prime segnalazioni di alberi infetti da parte degli agricoltori pugliesi nel 2010, poiché il periodo di incubazione della malattia può durare più di due anni.

Le differenze tra i genomi italiani e costaricani

Inoculando il batterio nelle piante di caffè e diffondendo l’infezione agli ulivi in modo controllato attraverso gli insetti chiamati ‘sputtachine’ (il vettore naturale della Xylella), i ricercatori hanno potuto dimostrare che può passare da una specie all’altra.

Le differenze tra i genomi costaricani e italiani, anche se piccole, sono rilevanti. “Il ceppo italiano ha perso alcuni geni e ne ha acquisiti altri potenzialmente correlati all’adattamento agli ulivi pugliesi”, sottolinea Saponari. Geni che potrebbero diventare nuovi bersagli per combattere la malattia, ad esempio modificando il batterio in modo che non possa più infettare gli ulivi.

Per confermare questa idea, gli scienziati avrebbero bisogno di creare un ceppo mutato di Xylella, con geni silenziati o aggiunti; studi a detta della ricercatrice, difficili da eseguire in Italia, per la mancanza di impianti con le strutture di quarantena necessarie per manipolare il patogeno.

A oggi ci sono ancora problemi in Puglia, anche se l’epidemia sta rallentando rispetto ai livelli raggiunti tra il 2015 e il 2018 intorno alle città di Lecce e Brindisi. “Negli ultimi anni abbiamo riscontrato focolai nella zona di Bari a nord – conclude Saponari – ma la diffusione dell’epidemia è inferiore, grazie alle misure di contenimento e al fatto che questa zona è più diversificata, con colture e paesaggi diversi”.

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