lunedì 15 Aprile 2024
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Simone Aquilia esamina questa crisi dalla Svizzera: “Tanti locali adesso chiudono? È vero ma non è più soltanto colpa del Covid

La parola al professionista: "La pandemia ha solo dato una spinta a chi lavorava già male prima. A Cavallasca avevo una caffetteria e panetteria, e contavo su 4 macinini: uno per le 3 monorigini che alternavo e poi uno per la miscela. Dal 2013 puntavo già sullo specialty coffee."

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MILANO – Un altro professionista ha deciso di fare rete su queste pagine: ci siamo confrontati con Simone Aquilia, brand ambassador di Asso Coffee che collabora anche sui social con Dalla Corte e fa corsi insieme alla pagina La barista sfigata (con la fondatrice di questo gruppo, avevamo parlato qui).

Il trainer nella scuola di formazione in Svizzera tra Lugano e Bellinzona Swiss bartending school ha cominciato presto a interessarsi del settore horeca: coincidenza ha voluto che proprio in terza media incontrasse il caffè “L’avevo scelto ingenuamente perché dovevo fare l’alberghiero e dovendo presentare una materia prima, ho scelto il chicco. Pensando che non ci fosse molto da studiare…e invece.” Ha scherzato lui.

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Aquilia tra cucina e sala bar, corsi di caffetteria ha seguito l’apertura del bar a Como da Filicori Zecchini nel 2012: “Da lì ho aperto un locale due anni dopo e ho iniziato il percorso Sca e con Dario Ciarlantini sono entrato nel mondo delle fiere con Andrea Lattuada e 9bar. In seguito, ho partecipato anche ai campionati italiani latte art, posizionandomi nella finale al Sigep quando ha vinto Fiorini nel 2017. Collaboro anche con molte torrefazioni in Svizzera presso le quali tengo diversi corsi. “

Lavora attualmente al Ceresiana cafe a Lugano, da 6 anni.

Aquilia, come mai è in Svizzera?

“Innanzitutto perché mi trovo piuttosto vicino geograficamente. Quando ho ricevuto questa offerta, non ho potuto rifiutarla. Le condizioni di lavoro sono nettamente migliori: 5 giorni invece di 7, e poi si è operativi per un tot determinato di ore e sei pagato esattamente per quelle che hai svolto. Posso fare un confronto perché ho gestito altri locali precedentemente e so cosa vuol dire fare questo mestiere in Italia, a partire del fatto che stavo sul posto 14 ore al giorno.

Tanti locali ora chiudono, è vero, ma non è colpa del Covid, è perché c’è mala gestione. La pandemia ha solo dato una spinta a chi lavorava già male prima. A Cavallasca avevo una caffetteria e panetteria, e contavo su 4 macinini: uno per le 3 monorigini che alternavo e poi uno per la miscela. Dal 2013 puntavo già sullo specialty coffee. Questo perché ho avuto modo di conoscere Lattuada, Paolo Scimone e Rubens Gardelli in fiera e ho apprezzato i loro prodotti. Nel mio locale impostavo il racconto delle bevande, preparando tazze anche da tre euro, cercando di convincere e riuscendo a portare la qualità ai consumatori tutti residenti in un piccolo centro. C’era uno studio dietro e le persone lo hanno percepito. Ho dovuto chiudere per portare avanti l’esperienza in Svizzera, con l’ottica magari di riprenderla in Italia più avanti.

La voglia c’è, ma al momento è solo nell’aria: valuto un po’ la situazione. Ci sono tanti bar in vendita ed è meglio selezionare la location con la dovuta attenzione. Non si può aprire a caso: bisogna avere un business plan e ogni particolare già studiato. Ho già aziende che mi supportano. Da quest’anno sono brand ambassador per pulyCAFF, che sponsorizza anche la mia associazione di moto d’acqua (sono un pilota). “

Aquilia da barista a pilota di moto d’acqua

L’ultima mano è quella del barista

Racconta Aquilia: “Ho affidato caffè pregiati a persone che non erano in grado di estrarle e il risultato in tazza era pessimo. Ma potenzialmente tutte le torrefazioni, chi più o chi meno, hanno un buon prodotto.

Non bisogna esser dei fenomeni da gara, ma per lo meno si deve poter contare sulla formazione sufficiente per regolare un macinino e tarare il caffè. È un problema non poter contare su personale qualificato: non può sempre fare arrivare il tecnico, che spesso ne usa 8 grammi per consumare più caffè perché lo manda la torrefazione.

Ora se ne sta discutendo molto: c’è mancanza di personale formato? No. L’anno scorso ho formato quasi 170 persone. La vera difficoltà è quella di uno stipendio che sia adeguato alla professione. Il personale formato magari valuta altri paesi, ad esempio la Svizzera. Io e Roger, con cui abbiamo la scuola lì, veniamo chiamati per selezionare tra i nostri ragazzi formati. In Italia non c’è un compenso che sia bilanciato per un personale formato e quindi questi vanno a fare altro. Io ho conosciuto e ho lavorato per esempio con un barista bravo, che ora però fa il commesso perché guadagna molto di più.

In Italia un corso base di 5 ore, lo faccio pagare 150 euro ed è tutto fondamentalmente pratica. Perché abbiamo una clientela che non guadagna e a noi piace formare le persone che, nonostante facciano fatica economicamente, vogliono diventare professionisti. Tutti da lì poi vogliono farne un altro: è uno stimolo per imparare. Chi esce dal corso è pronto per lavorare: sanno fare un buon espresso, montare la crema di latte e latte art e poi sanno pulire la macchina del caffè, come si mantiene l’attrezzatura.

La sede che finora ha funzionato bene, è quella Dalla Corte: mettiamo uno/due corsisti a macchina. Un’opportunità unica: stiamo organizzando anche a Roma due giornate di formazione per fare il Centro Italia. Abbiamo molte richieste, andiamo anche dentro i locali. Quando apriamo una data, riusciamo a riempirla sempre. Il feedback è sempre positivo.”

E l’aumento del prezzo Aquilia, come lo commenta?

“Molto dipende da dove sta posizionato il locale: a Como, ci sono già locali in cui si trova un cappuccino a 3 euro 50. Ci sono diversi tipi di locali. Ci sono espressi in centro di Como che sono già a più di un euro. La situazione del green pass e delle limitazioni, sicuramente fa fare fatica ai gestori, ma l’aumento del prezzo deve esser supportato dalla qualità. Ma se tu servi un caffè a 1 euro 50 deve essere per forza anche buono.

Questa è la vera criticità della faccenda: non si può aumentare il prezzo senza elevare il livello della bevanda offerta. Molti gestori però non danno molta importanza alla tazzina e poi ci sono quelli che curano molto la parte della caffetteria. Dipende da chi ha aperto il locale tanto per farlo, oppure da chi vuole gestire a regola d’arte il suo progetto, a partire dalla colazione sino agli aperitivi. Ora poi va di moda la diversificazione e questo crea potenzialmente ulteriore confusione, anche perché non si hanno spesso le competenze per gestire tutto. Ci sarebbe bisogno di molta più formazione e specializzazione. “

E lo specialty?

Aquilia è abbastanza netto su questo aspetto: “Penso che rimarrà un prodotto di nicchia. Il cliente è la prima persona che andrebbe educato: quando facevo caffetteria raccontavo il perché di quella tazzina. Ora ci sono dei posti così in Italia ma sono ancora pochi. L’italiano vuole pagare l’espresso a un euro e vuole la Robusta, perché è affezionato alla crema. Ci sono poche mosche bianche e la cosa non cambierà finché non si fanno alcune operazioni eclatanti e popolari come sono stati i servizi di Report su Rai3 in televisione. Ma è difficile.

Io a casa mia ho una Dalla Corte Studio a un gruppo e servo solo monorigine ai miei ospiti e quando trovano una proposta leggermente acida, mi chiedono comunque di averne come quello del bar. Cosa significa? Amaro. E allora ho capito che ci vorrà molto tempo e molta informazione per modificare i gusti. Deve attivarsi una ruota a partire dal torrefattore, al titolare, al barista al consumatore: bisogna anzi iniziare a monte da chi acquista caffè crudo. E bisogna fare comunicazione: quando eravamo in quarantena facevamo delle dirette Instagram anche con 18mila persone collegate. “

Si deve lavorare anche sui social quindi?

“Sì. Ormai è tutto in mano ai social e bisogna sfruttarli. Quando li apro, vedo una carrellata di immagini sul cappuccino, ma non vedo mai un buon espresso fotografato o della latte art. Quello sono in pochi a saperlo fare. Poi il barista deve esser appassionato. Da lì parte tutto. È chiaro che diventa un lavoro, ma se lo si fa con la voglia ogni cosa è differente. Un’altra cosa è essenziale: se si intraprende questa carriera, bisogna capire che ci si deve aggiornare. Anche dal punto di vista degli strumenti di comunicazione e diffusione.

Gli stranieri quando vengono a Lugano nel locale in cui mi trovo, mi mostrano le mie foto di Instagram: loro lo usano per trovare i locali dove andare quando viaggiano. È il nuovo passaparola.”

Ma quanto è davvero appassionato Simone Aquilia, lo capiamo solo da un ultimo aneddoto con cui si è conclusa la nostra chiacchierata: “Ho delle Nike airforce che mi sono fatto fare tingere nel caffè della moka in un catino, con il sacco di juta e davanti 10 chicchi d’oro 18 carati. Jacopo de Carli ha preso la scarpa bianca e l’ha trasformata nella versione al caffè. Aurora Thomo, mi ha fatto anche un quadro su un altro paio di scarpe.”

Il caffè che diventa tinta per personalizzare le Nike

Insomma, sicuramente la bevanda e Aquilia sono indissolubilmente intrecciati. Nonostante le tante difficoltà del mestiere.

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