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Scimone: “Su un’isola deserta? Porterei pizza, gamberoni e un Etiopia lavato e ben tostato”

il roaster con la R maiuscola: "Faccio sempre il possibile per non deludere mai le aspettative dei miei clienti, ma non mi sento assolutamente un “maestro”. Di strada ce n’è da fare ancora tanta, Soprattutto alla luce del potenziale sviluppo tecnologico applicabile al mondo della tostatura"

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Dalla Corte
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MILANO – Paolo Scimone, roaster e trainer di riconosciuta esperienza è tra i punti di riferimento per il settore quando si tratta della trasformazione del chicco. Quando qualcuno vuole imparare le basi del mestiere, uno dei nomi che viene in mente per primo è proprio il suo. Su queste pagine Scimone è comparso più volte, condividendo il suo know-how con i lettori. E adesso ritorna per aggiornare il panorama della torrefazione svelando anche qualche segreto.

Scimone, lei è uno dei maestri indiscussi della torrefazione in Italia: quanti conoscono e approcciano questo mestiere come dei chimici?

“Faccio sempre il possibile per non deludere mai le aspettative dei miei clienti, ma non mi sento assolutamente un maestro. Di strada ce n’è da fare ancora tanta. Soprattutto alla luce del potenziale sviluppo tecnologico applicabile al mondo della tostatura, dove i produttori ed utilizzatori delle macchine hanno ancora molto margine di miglioramento grazie allo sviluppo tecnico delle apparecchiature.”

Sono tantissimi i baristi che hanno come sogno nel cassetto proprio diventare dei roaster: che cosa dovrebbero fare per non sbagliare?

“Un barista, per diventare un roaster, deve capire prima di tutto che è un mestiere totalmente diverso da quello che sta già facendo, che richiede studio e tanto tempo. Sempre che lo si voglia fare al meglio. Un discorso simile lo faccio sempre ai torrefattori che vogliono a tutti i costi fare del direct trade: il farmer, il trader, il roaster, il barista, sono tutti mestieri a se stanti, solo parzialmente correlati tra di loro.

Detto ciò, sconsiglio ai baristi di intraprendere la carriera del torrefattore se la motivazione che li spinge a farlo è risparmiare sul costo del caffè. Assicuro che spenderebbero di più, per una serie infinita di inconvenienti che non considerano. Non basta voler sprigionare odore di caffè nel locale. Affrontate la questione seriamente e soltanto se siete disposti a cambiare completamente lavoro, e dedicare il 70-80% del vostro tempo a fare il torrefattore. Allora e solo allora iniziate a seguire un corso di formazione e chiedete un consulto a qualche trainer riguardo gli acquisti da effettuare.”

È vero che sono in tanti a tostare troppo scuro o troppo chiaro?

Le vie di mezzo pare piacciano poco ai torrefattori: gli estremisti dello specialty amano le tostature che sono talmente chiare che ti viene quasi il dubbio che non sia stata accesa la tostatrice. Il che, con i prezzi del metano alle stelle, può essere una strategia – scherza Scimone -. Negli altri casi c’è chi tosta scuro per paura di ottenere caffè con un’acidità poco gradita dalla loro clientela.

Eppure ci sono altri modi per abbassare l’acidità, senza dover per forza raggiungere il secondo crack e ci sono altrettanti metodi per servire un caffè fruttato e floreale senza turbare il cliente con degli acidoni sottosviluppati.”

Come può variare il profilo di tostatura? Metodo di estrazione differente, origini diverse, varietà botanica? Cosa bisogna considerare?

Paolo Scimone in viaggio alle origini

“Io baso quasi tutta la mia teoria sulla densità del chicco, elemento che ritengo un dato univoco, in grado di fornire molte più informazioni di quanto crediamo. Sapere che è un Caturra anziché un Catuai serve a poco. Anche se questo discorso non vale per tutte le varietà, ovviamente. In secondo luogo mi interessa sapere come è stato processato: lavato, naturale, honey, anaerobico, ecc. e tutte le sotto categorie che sono state create nel tempo.”

Scimone, lei che cosa insegna ai tanti corsisti che si rivolgono a lei anche dall’estero?

“Due concetti su tutti, entrambi fondamentali: per prima cosa essere se stessi, ispirarsi a qualcuno, ma non ripetere mai a pappagallo ciò che si legge o sente. Ritengo fondamentale farsi un’idea propria ed uno stile che non sia la copia di un’altro torrefattore. Secondo punto su cui insisto molto è il bilanciamento del prodotto finale: non c’è godimento nel bere un caffè estremamente sbilanciato, fosse anche un Geisha.”

E a proposito, qual è la scena internazionale?

Scimone: “Torrefattori storici della scena specialty hanno iniziato a distinguere la tostatura da espresso da quella per filtro. L’Omniroast sta perdendo terreno…a mio avviso fortunatamente! Si trovano caffè sempre più bilanciati anche in mercati dove precedentemente era d’obbligo scaricare il caffè alle prime avvisaglie di crack, altrimenti si rischiava di passare per dark roasters.”

Tostatura a conduzione o a convezione: che cosa ci può dire su questi due metodi di cottura?

“Sono due tipologie di trasferimento di calore diametralmente opposte. Per semplificare del tutto il concetto è come cuocere in padella (conduzione) oppure in un forno ventilato (convezione). Tempi di cottura e risultati non sono neppure confrontabili, non consiglio mai una tipologia di tostatrice rispetto ad un’altra, poiché le esigenze non sono mai le medesime. Un piccolo artigiano che vuole tostare solamente specialty per espresso non ha le stesse esigenze di chi vuole ottenere il miglior risultato in filtro, oppure di chi vuole tostare premiscelato per espresso, utilizzando sia arabica sia robusta.”

Ci sono differenze per la tostatura del caffè che poi verrà incapsulato o messo in cialda?

“Assolutamente sì: la cialda ed ogni formato di capsula (anche se alcuni possono essere accorpati assieme) hanno curve differenti di tostatura, procedure di raffreddamento e di conservazione diverse tra loro e diverse da ciò che siamo abituati a fare per il classico prodotto da espresso. Molto importante, se non cruciale, è la macinatura che richiede un’attenzione maggiore rispetto a molti altri aspetti a cui, erroneamente, diamo più importanza.

Quali sono i vantaggi della tostatura omni-roasting?

“L’unico vantaggio è quello di avere in stock meno tipologie di prodotti, senza dover differenziare quello per espresso da quello per filtro, ad esempio. Altri vantaggi non ne vedo, dal mio punto di vista. Se non quello di costringere il barista ad acquistare più caffè poiché costretto ad utilizzare 20, 22 o 24 grammi per ottenere una bevanda accettabile in espresso.”

Il numero di torrefazioni sono aumentate di diverse centinaia negli ultimi anni, continuano a crescere e sono ormai stabilmente più di mille tra micro e non: è un fenomeno che ha effetti positivi sulla qualità e il comparto secondo lei?

Scimone con alle spalle la sua ben nota torrefazione His majesty the coffee (foto concessa)

“Reali effetti postivi li vedo sotto il profilo della competizione. Molte micro-roastery hanno spronato i grandi marchi ad aggiungere in gamma qualche miscela o monorigine che strizza l’occhio alle nuove onde del caffè. Ed hanno anche costretto molti ad avere una maggiore trasparenza sulla provenienza dei prodotti.

Verso dove si sta evolvendo la torrefazione italiana, che cosa prevede Paolo Scimone: si va verso lo specialty e le single origin?

Scimone mette subito in chiaro le cose: “Rispondendo a questa domanda so già che mi tirerò addosso le ire di molti colleghi ed amici. L’Italia ha un forte background riguardo alla tostatura per espresso e la miscelazione di arabica e robusta. Sono sicuro che non potremo mai sradicare lo zoccolo duro costruito negli anni. Potremo soltanto smussare le spigolosità, innalzare la qualità media del prodotto che troviamo al bar sotto casa. Intendo l’assenza di difettosità in tazza, e cercare di completare l’offerta con dei prodotti particolari, come ad esempio singole origini specialty, da affiancare al prodotto mainstream. Io sono dell’idea che lo specialty sia una nicchia e che debba rimanere tale, altrimenti perderebbe assolutamente di valore e ci sarebbero difficoltà di approvvigionamento.”

Ha senso l’acquisto di quelle piccole torrefattrici per l’uso casalingo e per i bar che vogliono differenziarsi?

“Direi di no: per quanto riguarda i bar che vogliono differenziarsi, possono farlo in 300 modi diversi, tra cui smarcarsi dal proprio torrefattore acquistandosi le attrezzature e la macchina che desiderano in autonomia e facendo ruotare i prodotti di varie torrefazioni, come del resto fanno le enoteche con i vini. Consiglierei di tostare il caffè da soli, a meno che non sia il suo mestiere, soltanto come hobby per i fine settimana, a casa, con un piccolo tostino acquistabile ovunque.

Qual è il caffè che Scimone sta attualmente tostando, quale vorrebbe tostare nel prossimo futuro?

“Attualmente sto tostando vari caffè, quello che mi sta dando maggiori emozioni è uno Yemen che abbiamo ricevuto da poco.”

Il Geisha è ancora il non plus ultra per i roaster o sta lasciando il passo a nuove varietà come ad esempio l’Eugenoide o la Liberica?

“Il Geisha o Gesha (a seconda della nazione) è ancora uno dei caffè più ambiti e temuti dai roaster. Molti non si sentono all’altezza di tostarli: io dico invece che bisogna lanciarsi! Un grande ostacolo è dato dal prezzo elevato che ha il prodotto. L’Eugenoides mi è capitato di tostarla tre volte, sempre per competizioni barista o brewers: interessante, ma non sarà mai il mio caffè del cuore. Se dovessi naufragare su un’isola sperduta portatemi solamente una pizza, dei gamberoni ed un po’ di Etiopia lavato, non discrimino la regione, possibilmente ben tostato.”

Quali sono i suoi prossimi progetti?

“Ne ho uno grosso in partenza, nell’ambito della formazione, ma qualora ve lo comunicassi, non sarebbe più una sorpresa”.

 

 

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