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World bartender day: ecco la storia della professione dalla civiltà greca ad oggi, 24/02

MILANO – Il bartender, più comunemente noto come barman, è una figura versatile che si presta al servizio di chi esce per godersi un drink in compagnia. C’è chi va dritto al punto e ordina il proprio cocktail senza esitazioni, chi si affida ai suoi consigli per scegliere cosa bere e chi, indeciso, lascia carta bianca con un semplice “fai tu”.

Il barman non è solo un esperto nella preparazione dei drink, ma anche una presenza carismatica dietro il bancone. Spesso osservato con curiosità dai clienti, il suo lavoro diventa quasi uno spettacolo, mentre miscelando gli ingredienti dà vita al cocktail richiesto.

Il 24 febbraio si celebra il World bartender day, una professione le cui origini risalgono a molti secoli fa, più precisamente alle civiltà greca e romana. Nei tempi antichi, chi si occupava di servire da bere non era solo un semplice dispensatore di bevande, ma aveva un ruolo ben più significativo nella società.

Il bartender, spesso anche proprietario della locanda, si occupava della gestione, produzione e servizio finale ai clienti. Questi locali, situati in passato lungo le rotte di viaggiatori e mercanti, nel corso della storia hanno subito un’evoluzione straordinaria: da ambienti esclusivi e costosi a luoghi d’incontro accessibili a persone di ogni classe sociale e generazione.

Anche la figura di colui che sta dietro al bancone si è trasformata nel tempo e un contributo fondamentale a questa evoluzione è stato dato da Jerry Thomas, considerato il primo grande bartender.

Grazie a lui, il mestiere ha acquisito una nuova dimensione, diventando un’esperienza d’intrattenimento e una carriera ambita e ricercata. “Essere un bartender non significa solo servire drink, ma creare connessioni e momenti indimenticabili con i propri clienti attraverso l’arte della mixology. Durante il World bartender day, celebriamo la passione, la creatività e la dedizione che i bartender mettono ogni giorno nel loro lavoro. Ogni cocktail racconta una storia e un’emozione da condividere con gli amici al bar. Un brindisi a tutti i colleghi che, con maestria e impegno, rendono speciale ogni serata dietro al bancone”, ha affermato Alberto Birollo, drinksetter di Anthology by Mavolo.

Negli ultimi anni l’arte del bartending e della mixology hanno raggiunto livelli senza precedenti. L’interesse dei consumatori per i drink è ai massimi storici e, grazie all’accesso a prodotti esclusivi e di nicchia, unito all’uscita continua di nuove proposte, la figura del barman ha acquisito un valore prestigioso.

Inoltre, la storia millenaria di questa professione l’ha resa una delle figure più carismatiche della società moderna. Nel corso del tempo, il suo ruolo ha subito l’evoluzione delle antiche tradizioni, adattandosi ai cambiamenti culturali e sociali senza perdere il suo charme. Ecco quindi le 10 curiosità meno note su questa misteriosa quanto affascinante professione:

1. Le origini: il lavoro di barista nasce tra il 700 e il 500 a.C., in un periodo in cui venivano serviti perlopiù vino e birra artigianale. I primi bartender, spesso proprietari di locande o birrerie, erano esperti nella preparazione di bevande alcoliche e gestivano anche i luoghi di ritrovo della comunità.

2. L’affermazione della professione: nel XV secolo, in Europa, la professione iniziò a essere più accettata e ben pagata, soprattutto in Francia, Germania, Irlanda e Inghilterra, diventando ben presto un lavoro d’élite tanto da essere considerato uno dei più remunerativi dell’epoca.

3. Le prime novità: nel 1832, la legge Pioneer Inn and Tavern legalizzò le taverne negli Stati Uniti, permettendo la vendita di alcolici anche a chi non pernottava. Prima di questa legge, i clienti dovevano sempre affittare una stanza per consumare alcolici. Con l’approvazione della legge, le taverne si trasformarono in luoghi di ritrovo sociali, ampliando la loro clientela e diventando spazi conviviali per la comunità.

4. Il manuale: nel 1862, Jerry Thomas, considerato il padre della mixology, pubblicò “The Bon Vivant’s Companion”, il primissimo libro di cocktail che è ancora in stampa oggi. Questo libro divenne la guida essenziale per il bartending per i successivi 100 anni.

5. La clandestinità: durante il proibizionismo (1920-1933), che vietava la produzione, vendita e consumo di alcol negli Stati Uniti, nacque una delle pratiche più audaci e clandestine della storia: la distillazione illegale di alcol nota come “moonshine”. Questo termine, che significa letteralmente “chiaro di luna”, richiama l’operazione di creazione dell’alcol durante la notte per fuggire dagli occhi indiscreti delle autorità.

6. La nascita della mixology: al termine del periodo del proibizionismo l’arte del cocktail conobbe un periodo di grande fioritura, offrendo numerose opportunità a baristi di talento. Tra i protagonisti di questa rinascita c’era Ernest Raymond Beaumont Gantt, noto con lo pseudonimo Donn Beach e considerato uno dei padri della mixology e l’inventore del cocktail Tiki.

7. Le scuole di formazione: dopo il 1933 il cocktail bar ha ripreso vita in modo più strutturato e le scuole di bartender sono emerse per rispondere alla crescente domanda di professionisti qualificati in un settore in rapida espansione. Un’affermazione che ha portato alla nascita di nuove figure professionali; come ad esempio i drinksetter di Anthology by Mavolo, detti anche “spirit specialist”: si tratta di ex bartender con un’importante esperienza nel settore che, grazie alle loro competenze e conoscenze approfondite, collaborano strettamente con la rete di vendita per potenziarla ulteriormente, contribuendo quotidianamente alla valorizzazione del portfolio di prodotti esclusivi.

8. L’associazione internazionale ufficiale: nel 1951 nasce l’International Bartender Association a Torquay, Regno Unito, un’organizzazione professionale che rappresenta i bartender di tutto il mondo. Il suo obiettivo è la promozione della cultura del beverage. Oggi è un punto di riferimento per tutti i barman del mondo e l’organo che ufficializza i cocktail classici, creando un catalogo che viene aggiornato negli anni.

9. Gli strumenti: Uno dei fatti più strani e affascinanti legati alla storia dei cocktail è che i primi shaker utilizzati dai bartender avevano la forma di un pinguino, un dettaglio che ancora oggi sorprende e diverte molti appassionati di drink e storia del bartending.

10. I cocktail moderni: il famoso drink Bellini, oggi uno dei cocktail più iconici e conosciuti al mondo, è stato creato dal bartender Giuseppe Cipriani. La leggenda vuole che Cipriani abbia deciso di chiamarlo così perché il colore rosato del cocktail gli ricordava la tonalità della toga indossata da un santo ritratto in un dipinto del celebre artista rinascimentale Giovanni Bellini.

Unilever: al via la quotazione in borsa di Magnum e Cornetti

Unilever ha annunciato la prossima quotazione in borsa del suo comparto gelati, nell’ambito di una più ampia operazione di rilancio della multinazionale. Il gruppo è in una fase di rilancio, ed è sotto stretta osservazione dagli azionisti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione msn.

La quotazione in borsa di Magnum e Cornetti

MILANO – Continuano le grandi manovre nel comparto gelati di Unilever, multinazionale britannica titolare di un portfolio di 400 marchi tra i più diffusi nel settore dell’alimentazione. Un’attività iniziata nell’estate dell’anno scorso, quando il nuovo amministratore delegato Hein Schumacher ha deciso la separazione col settore gelati -resa più complicata dalla polemiche politiche intorno alla comunicazione di Ben & Jerry’s– a causa di profitti sempre più risicati, con margini di circa la metà rispetto al comparto della cura personale, in cui Unilever possiede marchi come Clear e Dove.

Ora si procede alla quotazione nella borsa di Amsterdam in cui, a breve, si potranno scambiare Magnum, Cornetti e Calippi.

Il gruppo è in una fase di rilancio, ed è sotto stretta osservazione dagli azionisti. Dopo un 2024 andato così così, con profitti netti in calo del 10,8% per 6,4 miliardi di euro, e un utile operativo anch’esso in leggera flessione (-3,7%), le proiezioni per 2025 prevedono modesti miglioramenti tra il 3 e il 5%.

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Ferrero North America e Wells Enterprises lanciano la gamma di barrette di gelato

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Ferrero North America in partnership con Wells Enterprises annuncia il lancio di una nuova gamma di barrette di gelato. Per ora tutti i prodotti sono già disponibili negli Stati Uniti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato dal portale d’informazione Efa News.

La nuova gamma di barrette di gelato di Ferrero

MILANO – Wells Enterprises e Ferrero North America collaborano al lancio di una nuova gamma di barrette di gelato, con tre marchi dolciari: Butterfinger, Baby Ruth e 100 Grand. I nuovi prodotti, sottolineano le aziende, combinano i sapori e le consistenze delle barrette di cioccolato originali con il vero gelato: per ora sono disponibili negli Stati Uniti.

La barretta Butterfinger è caratterizzata da un gelato al gusto di Butterfinger con uno strato croccante ricoperto da un guscio di cioccolato. La barretta Baby Ruth è composta da gelato al gusto di torrone con arachidi tostate e caramello, ricoperto da un rivestimento di cioccolato.

La barretta 100 Grand, invece, comprende gelato al gusto di caramello, ricoperto da un ricco caramello e racchiuso in un guscio di cioccolato con pezzi croccanti.

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Guido Gobino presenta la capsule collection dedicata alle donne per l’8 marzo

MILANO – 8 marzo tutti i giorni è la capsule collection di Guido Gobino dedicata alle donne. Per sottolineare questo messaggio, entrerà a far parte della gamma continuativa e resterà disponibile durante l’anno. Per ogni scatolina acquistata l’azienda devolverà 2€ a Scarpetta Rossa, associazione di promozione sociale contro la violenza sulle donne. Maggiori dettagli sono indicati sulla sleeve della confezione.

La grafica, illustrata a mano, celebra la diversità e l’unicità di ogni donna. Protagonisti della collezione i dolci cuoricini, proposti in due ricette:

Cuoricini Perù 72%: realizzati con un pregiato cacao del Perù settentrionale, coltivato lungo il fiume Utcubamba. Grazie a un protocollo di raccolta e post-raccolta attentamente seguito dalla cooperativa locale, nasce un Cacao di alta qualità e dal profilo aromatico raffinato. L’eccezionale varietà genetica, il particolare trattamento post-raccolta e il viaggio attraverso le montagne delle Ande conferiscono a questo Cacao sapori e aromi unici, per un’esperienza sensoriale indimenticabile.

Cuoricini cioccolato bianco pralinato e curcuma: un sapore dolce, avvolgente e vellutato. Le noci Pecan e le mandorle si fondono con il cioccolato bianco in un irresistibile contrasto, arricchito dalle note calde della curcuma.

La capsule collection 8 marzo tutti i giorni di Guido Gobino è disponibile nelle botteghe di Torino e Milano e sullo shop online.

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MDL, la Robusta dell’Uganda al giusto prezzo, parla Jovin Semakula: “Così garantiremo pure un reddito più adeguato”

MILANO – Uganda e Italia uniti dal caffè con Jovin Semakula, fondatrice della start up e società Benefit MDL e, come si racconta lei stessa, bolognese: è in questa città che arriva a 10 anni dall’Uganda, ma in realtà “L’Italia da sempre ha fatto parte della mia famiglia – mio padre ha studiato alla Bocconi di Milano – e io ho frequentato tutto l’iter scolastico a Bologna, dalle elementari all’università. Nel 1998 ho collaborato con la Regione Emilia Romagna per promuovere le aziende africane.”

Inizia così il suo percorso interiore per comprendere quale potesse essere il mezzo migliore per contribuire allo sviluppo del suo Paese d’origine, attraverso una filiera caffeicola più giusta e sostenibile.

MDL nasce dal cuore di Jovin Semakula e dall’immagine di sua nonna, che coltivava il caffè e con la quale raccoglieva le drupe

La startup rappresenta l’impegno sociale verso gli agricoltori, con un focus particolare sulle donne: una delle cooperative coinvolte da questa impresa conta 8000 donne in Uganda, e riesce a sfamare circa oltre 50-60mila persone.

Semakula specifica: “Le donne a livello globale sono fondamentali lungo la filiera e ne rappresentano il 70% della forza lavoro che, tuttavia, non viene valorizzato a sufficienza.

Con MDL riusciamo a garantire una giusta retribuzione per un Paese che è uscito dalle Borse, stabilendo un prezzo minimo più alto di quello standard. Il ricavato viene usato per una parziale o totale copertura dell’assicurazione, le tasse scolastiche e altre iniziative legate a migliorare i metodi di lavoro.

Per le donne poi, sosteniamo una campagna di educazione nelle zone rurali e remote di coltivazione mirata alle bambine, in modo che siano informate sulla vita sessuale e il ciclo mestruale. Attraverso questa iniziativa regaliamo gli assorbenti e ci poniamo a difesa dei minori contro gli abusi. Più avanti cercheremo di coinvolgere anche gli adulti, ma per ora vogliamo innanzitutto rendere indipendenti e consapevoli le giovani donne del domani.”

“Questo è soltanto uno dei progetti in atto per quanto riguardo il ritorno sociale del Paese.”

“Faccio già una premessa: in Uganda le donne arrivano al matrimonio con la dote che di solito consiste nel terreno di proprietà familiare che viene poi gestito dai mariti. Dobbiamo invece promuovere la concezione che siano le stesse donne le vere proprietarie.

MDL ha l’obiettivo di togliere più intermediari lungo la supply chain, attraverso una società in Uganda che permette ai coltivatori di vendere i propri caffè direttamente agli acquirenti. La stessa società si occupa di formazione e incentiveremo ulteriormente questo aspetto anche estendo le materie di studio oltre il caffè, toccando la cosmetica e poi ovviamente la cultura, la potatura, semina, l’uso dei fertilizzanti organici.

Il caffè se coltivato alla vecchia maniera è già organico. Il modo di produrre ugandese è già rispettoso della biodiversità, con altre colture presenti nelle piantagioni senza che avvenga la coltivazione intensiva.

Un altro progetto di MDL consiste nel supporto ad un orfanotrofio che vive grazie ai proventi del caffè e si trova all’interno della città di Ruero in una piantagione. Padre Antonio Mutiabia, ha fondato questa struttura che ha anche la funzione di scuola e ospita 500 bambini di età diverse fino ai 13 anni, età in cui viene insegnato loro un mestiere.”

Lei che ha avuto modo di connettere e conoscere i due estremi della supply chain attraverso MDL, che cosa ci può raccontare di uno e dell’altro?

“Partiamo proprio dal Paese produttore, l’Uganda dove, paradossalmente, non si beve il caffè. Per noi è soltanto un prodotto che porta ad un guadagno. Il consumo interno non esiste e non c’è la cultura attorno a questa bevanda.

Il mercato locale non si può permettere un prodotto finito e questo diminuisce ulteriormente la possibilità di diventarne dei consumatori. Per quanto riguarda il profitto invece, nei Paesi d’origine si sa che il farmer è colui che subisce maggiormente lo squilibrio esistente lungo la filiera. I singoli coltivatori lavorano in condizioni di povertà totale ed è un sistema non sostenibile a lungo termine.

Quindi passiamo all’Italia, dove l’industria procede più o meno bene, con i consumatori che si lamentano degli aumenti della tazzina senza rendersi conto cosa esista dietro quella cifra e alle origini. Il prezzo minimo dovrebbe secondo me assestarsi al bar attorno ai 2 euro e 2.50 affinché sia giusto per tutti, ma l’industria contribuisce a creare uno squilibrio insieme al consumatore.

Il problema è legato all’educazione attorno alla bevanda: il consumatore deve essere informato all’origine sulla materia prima. Così potrà pretendere di bere un caffè di un certo livello, con delle origini certe descritte in etichetta e non soltanto seguendo la sola logica di marchio e prezzo.”

L’Uganda rappresenta circa il 7,8% della fornitura complessiva per l’UE – verso cui esporta il 60% del suo caffè: a che punto siamo rispetto all’EUDR – seppur in fase di valutazione per la proroga di un anno? –

“Sono già stati portati avanti dei lavori a partire dal 2019, perché le aziende familiari sono già state censite come farms. Si parlava all’epoca di agricoltura organica e ci si era mossi in anticipo su questo aspetto. Già nel 2024 a settembre, sono stati preparati ulteriormente oltre 5500 agricoltori per ciò che riguarda l’EUDR.

A livello di audit, sono state coinvolte 14 aree con oltre 500 farmers attraverso diverse campagne radio, televisive in modo da arrivare pronti all’attuazione del regolamento.”

Oltre due milioni di sacchi verso l’Italia, al quarto posto per produzione di Robusta – principale varietà coltivata in Uganda -: rispetto ai prezzi alle stelle, come sta cambiando il mercato?

“La Robusta rimane a prezzi elevati: molti domandano la Quiboco, in quanto quella più economica. Negli ultimi mesi, il prezzo della Robusta proveniente dall’Uganda è salito e non poco, raggiungendo anche i 6 dollari al chilo. Le aziende che pretendevano di acquistare agli stessi prezzi dello scorso anno, magari anche sotto i 2 euro, si lamentano.

Noi prevediamo una possibile stabilizzazione – nei prossimi 3-6 mesi – attorno ai 5,50 dollari al chilo. L’Uganda sta reagendo bene a questo contesto per effetto di una serie di fattori come la vicinanza all’Europa, la guerra in Medio Oriente e la frenata dal Sud Est asiatico, che hanno portato l’Uganda a registrare una crescita del 12% della Robusta.”

Quali sono le prospettive future in termini di volumi e di valore del caffè ugandese?

“Nei prossimi 5 anni, il target di crescita dell’Uganda andrà verso una produzione di almeno 20 milioni di sacchi all’anno (ora ci aggiriamo attorno al mezzo milione di sacchi al mese.) In termini di valore la prospettiva globale è diversa: ora siamo attorno ai 150 milioni di dollari al mese e si pensa di arrivare ad 1 milardo e 8 all’anno.

Con il nostro progetto lascerei la situazione così com’è ora, migliorando la qualità della materia prima senza andare verso la produzione intensiva che porterebbe probabilmente ad una perdita in termini di sostenibilità ambientale e sociale. Questi volumi sono raggiungibili a patto che si continui con l’educazione e insistendo sulle piante già esistenti, con una maggiore competenza delle pratiche agricole. Si deve insistere sulla qualità piuttosto che sulla quantità.”

MDL in viaggio alle origini

MDL in piantagione (foto concessa)

“Sempre nello spirito di essere trasparenti, dalla prima settimana di febbraio abbiamo messo a disposizione dei clienti e anche dei consumatori finali, la possibilità di vivere un’esperienza culturale in Uganda, per confrontarsi direttamente con i coltivatori. Ogni tre mesi è previsto un viaggio di una decina di giorni, tra le farms, alla sorgente del Nilo per valorizzare le due origini del caffè: l’Arabica nasce in Etiopia e la Robusta in Uganda, i due estremi di questo grande fiume.

Questa connessione geografica si riflette nello stesso nome della nostra startup, MDL: montagne della luna, dove nasce il caffè.

La storia narra che fossero gli indigeni a nominare così i monti dell’Etiopia o dell’Uganda, perché nelle notti di luna piena, quando illuminava la superfice innevata e perenne, il riflesso era così potente da sembrare ancora giorno. Tolomeo il Greco ha ripercorso il fiume alla ricerca delle sue origini e ha ripreso questo nome: un legame con l’Italia che si ritrova anche nei nomi di tutte le cime in Uganda, perché il primo alpinista fu il Duca degli Abruzzi.”

Matteo Borea: “L’industria del caffè è entrata nel mercato del lusso”

Matteo Borea, consulente strategico e innovatore nel settore del caffè,
co proprietario della storica torrefazione La Genovese di Albenga (Savona) e autore del blog matteoborea.it, punto di riferimento per imprenditori del chicco, parla dell’entrata dell’industria del caffè nel mercato del lusso. Leggiamo di seguito la sua opinione.

Il caffè nel mercato del lusso

di Matteo Borea

MILANO – “Il caffè è sempre stato posizionato come una commodity, un prodotto essenziale e quotidiano acquistato principalmente in base al prezzo. Ma se non te ne fossi ancora accorto, quei giorni sono finiti. L’industria del caffè è entrata già da tempo nel mercato del lusso e, che tu lo sappia o meno, la tua attività sta già operando al suo interno. La domanda è: sei pronto a prosperare in questa nuova realtà?

(dati concessi)

Il cambiamento irreversibile dei prezzi del caffè

I prezzi del caffè verde sono saliti alle stelle e non torneranno ai livelli del passato. Per troppo tempo abbiamo letteralmente sfruttato i produttori e ora la bilancia deve riequilibrarsi.

● L’Arabica ha superato la soglia degli 8 dollari al kg

● La Robusta si aggira appena sotto i 6 dollari al kg

Molti operatori del settore nemmeno lo sanno e altri continuano a considerarla una fluttuazione temporanea del mercato, adducendo la scusa che “il mondo del caffè è complesso”.

Ma in fondo, la verità è che si tratta di un principio economico semplice che molti tendono a trascurare, spesso perché riconoscerlo richiederebbe un ripensamento dell’intero modello di business.

Non si tratta solo di fattori specifici del settore, ma di dinamiche di base della domanda e dell’offerta. I fattori che ho citato – il cambiamento climatico, l’imminente entrata in vigore dell’EUDR, l’instabilità geopolitica e la corsa globale alle materie prime – indicano tutti una chiara realtà: l’offerta si sta riducendo.

I coltivatori sono alle prese con condizioni climatiche imprevedibili, le normative sulla deforestazione e sulla tracciabilità sono sempre più stringenti e le interruzioni logistiche continuano ad avere un impatto sul commercio globale.

Allo stesso tempo, qualcosa di altrettanto significativo sta accadendo sul lato della domanda.

Il consumo sta aumentando anche in Paesi che storicamente avevano una scarsa cultura del caffè. Uno degli esempi più eclatanti è la Cina, dove il caffè sta rapidamente guadagnando terreno, soprattutto tra le giovani generazioni e i professionisti urbani. Ne ho parlato più volte nel mio blog.

Quando queste due forze, un’offerta in forte calo e una domanda globale in forte aumento, si scontrano, il risultato non è complicato. È una semplice logica di mercato.

I prezzi salgono alle stelle. Non si tratta solo di speculazioni. È una realtà economica che ogni imprenditore del caffè deve riconoscere. Dal Barista al Torrefattore. Perché ignorarla non significa solo fraintendere il mercato: significa mettere a rischio la propria attività resistendo al cambiamento che sta già avvenendo.

Il caffè non è più una merce (o commodity) è un prodotto di lusso

Pensaci. Che cosa definisce un mercato del lusso? No. Non solo il prezzo, come probabilmente stai pensando, ma anche la percezione, l’esperienza e la differenziazione.
I mercati del lusso prosperano grazie a una combinazione di esclusività, qualità, narrazione e identità del marchio.

Ed è proprio in questa direzione che deve andare il caffè. Se hai bisogno di un esempio, per non menzionare sempre il mondo del vino, basta guardare quello che è successo nell’industria del cioccolato negli ultimi due decenni.

Un tempo il cioccolato era solo un altro prodotto di massa, venduto sugli scaffali dei supermercati, spesso senza una chiara differenziazione al di là del prezzo.

Poi, alcuni marchi hanno cambiato completamente il gioco:

● Hanno evidenziato le origini delle loro fave di cacao.

● Hanno raccontato le storie dei loro produttori e l’artigianalità.

● Hanno perfezionato il packaging e il posizionamento del marchio, rendendo il prezzo un fattore secondario.

Oggi il segmento del cioccolato di qualità è fiorente. I clienti non comprano solo cioccolato, ma una storia, un’esperienza, una filosofia di marca.

La stessa trasformazione sta avvenendo nel caffè. Solo che molti non se ne sono ancora resi conto. Anzi, molti la combattono pensando che resistere sia ciò che gli porti vantaggio quando il vantaggio sta invece nell’avere il pensiero opposto.

Perché il rischio più grande è mantenere la “mentalità da commodity” Non è l’aumento dei costi a rappresentare il pericolo maggiore per le aziende del caffè. È l’incapacità di adattarsi.

Se continui a trattare il caffè come una commodity basata sui volumi e a competere solo sul prezzo piuttosto che sul valore, la tua attività è a rischio.

Nel frattempo, gli imprenditori del caffè più lungimiranti stanno ridefinendo le loro offerte, rivolgendosi a un pubblico più esigente e creando identità di marca più forti.
Ed ecco la verità: loro avranno successo mentre gli altri faranno fatica.

Come competere nella nuova era del lusso nel settore del caffè

La soluzione non è solo aumentare i prezzi, ma aumentare il valore percepito di ciò che si offre.

Ciò richiede tre cambiamenti strategici fondamentali:

1. Riposizionare il tuo marchio → Stai ancora commercializzando il tuo caffè come un prodotto generico? Oppure stai dando forma a storie che risuonino con i clienti di alto valore?

2. Affinare il pubblico di riferimento → A chi ti rivolgi? Al mercato di massa o ai bevitori di caffè che apprezzano davvero la qualità, l’esperienza e l’esclusività?

3. Creare una narrazione convincente → Cosa rende unica la tua offerta?

Qual è la tua storia? Quale esperienza offri al di là del prodotto stesso?

Non si tratta di speculazioni. È qualcosa che ho visto di persona.

Lavorando con imprenditori del caffè in più di 30 Paesi da oltre 20 anni, ho visto aziende che sono riuscite a cambiare e a crescere abbracciando questo cambiamento.

E ho anche visto altre rimanere ferme, aggrappate alle vecchie strategie, sperando che il mercato tornasse quello di una volta. Non è stato così. E non lo farà.

Di cosa ha bisogno la tua azienda per crescere oggi? Questa è la domanda da porsi. E credo che la risposta giusta non sia gettarsi nella guerra dei prezzi al ribasso.

Se si sceglie questa strategia nei nostri bar ci saranno solo cinesi e grandi catene.

E lo stesso vale per le aziende del settore. Senza un cambio di mentalità, spirito di adattamento e una visione più ampia, le multinazionali faranno la spesa al discount.

“Questo è il momento giusto per farsi le domande giuste. E’ il momento di prendersi tutta la responsabilità, di vedere le sfide come opportunità, di guardare i problemi da un’altra prospettiva, di impegnarsi per essere la versione migliore di se stessi, di creare processi e strutture flessibili e di allenare il proprio spirito di adattamento.”
“Farsi le domande giuste è il primo passo per trovare le risposte giuste”.

                                                                                                            Matteo Borea

Mercati: l’Africa punta a trasformare nel continente la metà del caffè che produce

MILANO – Finale di settimana divergente per i mercati del caffè, con New York in lieve calo sulla scadenza principale e Londra in ripresa, nuovamente sopra la soglia dei 5.700 dollari. All’Ice Arabica, il contratto per scadenza maggio si è consolidato al ribasso, dopo le forti perdite di giovedì (-22 centesimi in una sola seduta) chiudendo, venerdì 21 febbraio, a 389,25 centesimi: 1.815 punti in meno rispetto alla fine della settimana precedente.

È interessante osservare che le scadenze a partire da dicembre 2025 si sono invece rivalutate, pur mantenendosi sempre in una situazione di spiccata backwardation.

L’Ice Robusta riparte su tutte le scadenze. Maggio ha guadagnato $62 risalendo a 5.717 dollari, poco al di sotto della chiusura di due venerdì fa.

Giunti ormai alla terza decade di febbraio possiamo tracciare un primo bilancio sull’andamento dei mercati in questo inizio d’anno

New York ha aperto il 2025 a 326,85 centesimi e ha messo il turbo a partire da fine gennaio inanellando una striscia positiva, che l’ha portata ai massimi storici il 13 febbraio, quando il contratto per scadenza marzo ha chiuso a 438,90 centesimi (intraday a 440,85 centesimi), in rialzo di oltre un terzo (+34,3%) rispetto alla prima seduta dell’anno.

Il rally ha parzialmente segnato il passo nell’ultima settimana, con la scadenza maggio – diventata nel frattempo il benchmark – che è ridiscesa sotto la soglia dei 4 dollari.

L’Ice Robusta è partito da un valore di 5.056 dollari a inizio anno, per salire a un massimo di 5.817 dollari il 12 febbraio (intraday a 5.839 dollari), con un rialzo del 15,1% rispetto alla seduta del 2 gennaio.

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Prato, Antica torrefazione del caffè Padovani: “Materia prima rincarata ma è impensabile e rischioso ribaltare sul cliente il nuovo prezzo”

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Alberto Padovani, rappresentante della terza generazione della famiglia dietro la storica torrefazione di Prato, parla di come gestire il problema degli aumenti della materia prima. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Maria Lardara per il quotidiano La Nazione.

Antica torrefazione del caffè Padovani sul rincaro dei prezzi

PRATO – Si scrive famiglia Padovani, si legge profumo di caffè. Eccellente, pregiato e torrefatto artigianalmente nella storica bottega sotto le logge del palazzo comunale. Un pezzo di storia del tessuto commerciale cittadino che fa i conti con una congiuntura internazionale molto penalizzante per il prodotto caffè.

Con loro si risale a monte della filiera, andando direttamente al produttore costretto a gestire il problema degli aumenti della materia prima, con il rischio di ripercussioni su tutti i clienti, dagli acquirenti dei prodotti della torrefazione a chi si concede l’abituale pausa caffè al bar sotto casa.

Mentre si parla con Alberto Padovani, rappresentante della terza generazione della famiglia che negli anni Venti del Novecento iniziò l’attività (l’avventura iniziò con il nonno Pietro e il fratello Ubaldo), continuano ad arrivare sacchi di juta pieni di chicchi pronti da tostare. Roba da veri intenditori. “Gli aumenti del caffè? Si viaggia nell’ordine di oltre il 40 per cento, almeno da un anno a questa parte”, lamenta Alberto Padovani.

Impensabile e rischioso però ribaltare sul cliente il prezzo della torrefazione eseguita sapientemente dalla macchina in bottega all’istante. Ma un ritocco all’insù è stato inevitabile: così già da qualche giorno il prezzo al chilo sulle sette varietà di caffè sfuso in vendita è cresciuto del 12 per cento. In ogni caso, il listino non veniva ritoccato da tanto tempo.

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Rhea ottiene il certificato di parità di genere: un riconoscimento per il percorso di sostenibilità etico-sociale

MILANO – Rhea, tra i principali produttori al mondo di macchine per la pausa caffè, annuncia di aver ottenuto il certificato di parità di genere UNI PDR 125:2022 rilasciato da Dasa-Rägister, un importante traguardo che testimonia il continuo impegno nella costruzione di un ambiente di lavoro inclusivo, equo e sostenibile. Questo riconoscimento rappresenta la conferma di un percorso che l’azienda ha intrapreso già da anni, mettendo le persone al centro e traducendo in azioni i valori aziendali, in linea con la cultura inclusiva in cui ha sempre creduto.

Rhea presenta il certificato di parità di genere

Rhea da tempo ha implementato una serie di iniziative concrete per garantire la parità di genere, puntando su una crescente sensibilizzazione riguardo ai temi dell’inclusività, con una formazione mirata che offra a tutte le persone la possibilità di acquisirne maggiore consapevolezza. L’obiettivo è quello di creare un circolo virtuoso di comportamenti che sviluppino la cultura del rispetto e dell’apertura alla diversità.

“In Rhea ci impegniamo per costruire un ambiente che valorizzi l’unicità di ogni individuo e la diversità che accomuna tutti,” sottolinea Virginia D’Agata, people & organization manager. “Rhea è una realtà dove le persone possono crescere ed esprimere il loro potenziale in un contesto di rispetto e opportunità.”

Flessibilità oraria e smart working, part time, welfare aziendali e iniziative mirate al benessere delle persone, sono solo alcuni degli esempi concreti attuati per rispondere alle esigenze di conciliazione tra lavoro e vita privata.

Un altro pilastro di questa strategia è rappresentato dal progetto Women Spark, un’iniziativa che promuove la crescita professionale e il supporto alle figure femminili, e non solo, in azienda, con l’obiettivo di ridurre il divario di genere, favorire una carriera paritaria per tutti e una migliore collaborazione, indipendentemente dal genere e dal ruolo. Women Spark non si limita solo alla formazione e al mentoring, ma si evolve costantemente attraverso nuovi progetti e programmi di sviluppo e networking.

Rhea è attenta anche a tematiche sociali come la prevenzione della violenza nelle relazioni. Attraverso un percorso di sensibilizzazione, coinvolgendo tutti i dipendenti, Rhea vuole promuovere un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso per tutti gli individui, con l’obiettivo di garantire una vita serena e armoniosa sul luogo di lavoro, in famiglia e nella società, creando un vero e proprio “Effetto ECO”. Percorso ideato e realizzato dallo Studio Legale Avvocati Di Vasto-Bono in Saronno.

La scheda sintetica di Rhea Vendors Group

Rhea Vendors Group, fondata da Aldo Doglioni Majer nel 1960, è tra i più importanti produttori al mondo di macchine per la pausa caffè. Da oltre sessant’anni, Rhea si contraddistingue per la forte impronta internazionale, design di altissimo livello, tecnologia all’avanguardia ed eccellenza del made in Italy.

Con headquarters e produzione in provincia di Varese e filiali in 10 paesi esteri, Rhea ha il vanto di diffondere la cultura della pausa caffè in 100 Paesi di tutto il mondo. Da player del mondo del vending a precursore nell’utilizzo della distribuzione automatica nei settori del new retail, hotellerie e out of home, Rhea conferma la propria vocazione a interpretare e anticipare un mercato in continua evoluzione.

Le nuove proposte di Rhea rivoluzionano il concetto dell’ospitalità, in contesti sia business che residenziali, con una proposta di valore per accrescere l’esperienza della pausa caffè.

La colazione negli alberghi a 5 stelle: la nuova moda milanese

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Sempre più milanesi scelgono il lusso di consumare il rito della colazione in ambienti eleganti o di design degli alberghi. Tra le varie offerte, spicca quella dell’hotel Portrait Milano a cui è stato assegnato il premio Best Breakfast, destinato alla migliore prima colazione negli alberghi di lusso in Italia. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Roberta Schira per Il Corriere della Sera.

La colazione in albergo a Milano

MILANO – Andiamo a fare colazione nell’hotel cinque stelle? Sarà una moda, ma con un budget limitato, non lontano da ciò che si spende in pizzeria, ci si può togliere un capriccio di lusso. Con 40-50 euro puoi coccolarti con torte e croissant, uova alla Benedict, frutta fresca tagliata alla perfezione, spremute fatte al momento, pane appena sfornato, yogurt e formaggi bio, tè o caffè di primissima qualità.

La colazione negli hotel e ristoranti di alta gamma è un’esperienza a sé, un momento in cui il cibo diventa arte e il servizio una carezza. Sempre più milanesi scelgono il lusso del mattino, in ambienti eleganti o di design, dove la colazione è un rito. Dimenticatevi del classico combo cappuccino-brioche-spremuta, da consumare quasi al volo nel solito bar sotto casa: qui ogni dettaglio è studiato, con piatti firmati dai migliori pasticceri della scena italiana. E non è certo un caso se proprio un indirizzo di Milano ha appena ricevuto un prestigioso premio.

Il Best Breakfast del Portrait

Conferito da Teamwork Hospitality, per il contest Best Luxury Hotel Awards, a Portrait Milano è stato assegnato il premio Best Breakfast, destinato alla migliore prima colazione negli alberghi di lusso in Italia. Lo ha vinto con il 10_11: bar, giardino, ristorante che incarna la filosofia dei Ferragamo, protagonisti del mondo-moda e proprietari dell’hotel cinque stelle nell’ex Seminario arcivescovile in corso Venezia.

Lo chef pasticcere Cesare Murzillo ha conquistato la giuria grazie al ricco buffet – situato nel dehors che affaccia sul giardino – con torte, pancake, croissant, piatti salati. E proposte à la carte, come le uova (quelle alla Benedict sfiorano la perfezione). Tra le novità più richieste, porridge e crostoni. La moka borbotta e fuma al tavolo, nel nome dell’italianità. Atmosfera e servizio, curatissimo in ogni dettaglio, fanno il resto.

Dallo stile Niederkofler alla dolcezza di Gioia

Se ci ci siede da Horto in zona Cordusio – non un hotel, ma ristorante con uno dei più ampi e scenografici terrazzi di Milano – la colazione, con la guida di Piera Romano, è un inno alla natura e alla sostenibilità. C’è la consulenza di Norbert Niederkofler, maestro della cucina di montagna.

Tra i piatti – con molti ingredienti prodotti non a chilometro zero, ma consapevole, direbbe Carlin Petrini – solo sei croissant, yogurt biologici con frutta fresca, selezioni di tè e caffè da coltivazioni etiche. Le uova sono di galline felici Auracana dell’Azienda Principe di Fino in provincia di Como che alleva galline libere tutto l’anno.

Perfetto per chi desidera iniziare la giornata, pur nel lusso, in armonia con l’ambiente.
Eleganza e dolcezza sono le parole d’ordine di Gioia, caffè pasticceria di Palazzo Cordusio Gran Melià, subito a sinistra dell’ingresso. Il pastry chef Luca De Santi ha creato un’offerta irresistibile. La colazione è un viaggio tra croissant artigianali e torte stagionali, in un ambiente di grande classe.

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