Il 78% della Generazione Z sarebbe a disagio nel parlare con i colleghi durante le pause caffè in ufficio: lo rivela un sondaggio del New York Post. Inoltre il 40% di loro preferisce lo scambio virtuale tramite messaggi al contatto diretto di persona. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione Il milanese imbruttito.
La pausa alla macchinetta del caffè
MILANO – Secondo un sondaggio pubblicato dal New York Post, il 78% delle 2000 persone intervistate è a disagio nel fare due chiacchiere davanti alla classica macchinetta del caffè. Il place to be dello sfogo degli sbatti in ufficio, per alcune persona è zona off-limits.
Whaaat? A ben guardare, però, non è solo colpa del caffè terribile delle macchinette: il 27% degli intervistati si sente più chill a chattare online piuttosto che a parlare faccia a faccia. Tradotto in numeri: 1 su 4 preferisce sparare gif su Teams piuttosto che stringere mani o incrociare sguardi.
E indovina un po’ chi guida questa rivoluzione? La Generazione Z. Il 40% di loro si sente più rilassato a digitare emoticon che a dire “ciao” di persona, seguiti dai Millennials (33%) e dalla Generazione X (24%). Per molti ragazzi abituati a lavori flessibili, ibridi o in smart working, parlare faccia a faccia è tipo super weird.
ROMA – Il 2024 è stato un anno complicato per la birra artigianale italiana, al quale i birrifici si sono adattati con scelte prudenti, senza tuttavia perdere la forza creativa che da sempre contraddistingue il settore. Lo dimostrano le quasi 700 birre inedite prodotte nel corso dell’anno e censite da Whatabeer, la piattaforma curata da Cronache di Birra su cui si basa il nuovo report Italian Craft Beer Trends.
L’ingrediente più utilizzato nelle birre inedite del 2024 è stata la vaniglia. In seconda posizione troviamo invece il caffè, da anni ormai tra gli ingredienti speciali preferiti dai birrifici italiani.
Il suo utilizzo è strettamente legato al fenomeno dello specialty coffee ormai ben radicato anche in Italia. La filosofia dello specialty coffee condivide diversi elementi con quella della birra artigianale, favorendo collaborazioni tra birrifici e torrefazioni che hanno dato vita a risultati molto apprezzabili.
È proprio Italian Craft Beer Trends a restituire una preziosa fotografia delle tendenze in atto nel segmento della birra artigianale. Di fronte agli ostacoli emersi nel corso del 2024, i birrifici italiani hanno risposto riducendo i rischi e puntando su tipologie brassicole di facile approccio, che peraltro assecondano i cambiamenti avvenuti di recente nell’approccio dei consumatori alla birra artigianale.
Andrea Turco, fondatore e direttore editoriale di Cronache di Birra, commenta così i dati emersi dal report: “I dati di questa prima edizione di Italian Craft Beer Trends sono indubbiamente interessanti e rispecchiano il momento che sta vivendo il segmento della birra artigianale. Il 2024 è stato un anno non facile per il nostro comparto, a causa delle difficoltà che sono emerse con veemenza nei dodici mesi precedenti. I prezzi sono aumentati, la predisposizione all’acquisto dei consumatori si è ridotta e si sono susseguite diverse chiusure tra pub e birrifici, alcune sanguinose”.
Turco aggiunge: “Nonostante non siano mancati anche aspetti positivi, il 2024 è stato un anno contraddistinto da molta cautela. I birrifici e gli altri operatori del settore hanno compiuto scelte conservative e limitato i budget, con prospettive a breve termine nell’attesa di trovare una nuova dimensione in un contesto profondamente cambiato e molto più sfidante. La produzione delle nuove birre italiane ha rispecchiato questo sentimento, con la scelta di puntare su tipologie di approccio immediato e facili da bere. È altresì una risposta all’approccio che hanno oggi molti bevitori nei confronti della birra artigianale, desiderosi di un consumo meno cervellotico e più diretto, privo di sovrastrutture spesso autoreferenziali”.
Quasi la metà delle birre inedite del 2024 è rientrata in due famigle brassicole: le American IPA, declinate soprattutto secondo il modello della West Coast, e le Lager della tradizione mitteleuropea, con un’interessante ascesa degli stili tipicamente cechi. Due macro categorie diverse tra loro da diversi punti di vista, ma accomunate dalla propensione a una bevuta immediata e relativamente semplice, senza troppi fronzoli. In generale gli stili appartenenti alla tipologia delle “birre speciali” hanno mostrato una discreta tenuta, sebbene alcune specialità, come le Italian Grape Ale, siano apparse in sofferenza. Un calo evidente ha riguardato anche gli stili della cultura brassicola belga, sempre più trascurati nelle scelte dei birrifici italiani.
Nel 2024 la gradazione alcolica media delle birre inedite è stata pari al 5,82%, rimanendo praticamente invariata rispetto all’anno precedente (5,89%). Tuttavia, nonostante la differenza sia limitata a pochi centesimi, si conferma la tendenza alla riduzione del volume alcolometrico registrata negli ultimi anni. È comunque un’evoluzione molto lenta, che dimostra la reticenza dei birrifici italiani a rivolgersi al segmento delle NoLo (birre analcoliche o a basso contenuto alcolico). Una maggiore convergenza è attesa nel corso del 2025.
A proposito delle aspettative per l’anno in corso, è ancora Andrea Turco ad analizzare quanto ci attende nei prossimi mesi:
I consumatori sembrano decisamente orientati verso birre leggere, anche in termini di volume alcolometrico. Il nuovo codice della strada, inoltre, sembra destinato a modificare ulteriormente le abitudini dei bevitori, con pesanti ripercussioni tra gli esercenti. I prossimi mesi potrebbero allora essere decisivi per il definitivo ingresso dei birrifici italiani nel segmento delle NoLo. Se non con birre dichiaratamente analcoliche, per le quali alcuni limiti sono difficilmente superabili, almeno con quelle a bassa gradazione alcolica.
In generale l’auspicio è che anche nel 2025 il settore della birra artigianale si dimostri dinamico e resiliente. Non sarà un anno facile, ma per le sue caratteristiche l’ambiente è in grado di adattarsi velocemente ai mutamenti in atto. Il piacere che è in grado di offrire un boccale di birra è qualcosa di intramontabile, che resisterà sempre alle evoluzioni della società e al gusto dei consumatori. È importante tenere sempre a mente questo banale ma importantissimo assioma.
Italian Craft Beer Trends è disponibile in due formati. Stampato con copertina rigida e acquistabile su Amazon, oppure scaricabile gratuitamente in formato pdf su Cronache di Birra.
L’edizione 2024 di Italian Craft Beer Trends è realizzata grazie al supporto di:
• Cime Careddu – Azienda leader di settore per il confezionamento della birra. Forte di un’esperienza di oltre 40 anni nell’ambiente, offre soluzioni personalizzate di altissima qualità, capaci di adattarsi alle esigenze dei clienti garantendo la massima cura per una delle fasi cruciali del processo produttivo.
• ANIMA by Cerve Group – Anima Cerve è il nuovo brand del Gruppo Cerve, specializzato in calici e bicchieri per il settore beverage e enologico. Anima unisce la tradizione artigianale del vetro soffiato a bocca con tecnologie avanzate. I prodotti, pensati per una degustazione professionale di alto livello, sono personalizzabili e riflettono l’identità di ogni cliente
• Unionbirrai – Fondata nel 1999, Unionbirrai è l’associazione pioniera per la tutela e la promozione dei microbirrifici italiani. Diventata Associazione di Categoria nel 2017, supporta i piccoli produttori indipendenti con azioni normative, promozionali e di difesa contro l’industria, valorizzando la Birra Artigianale.
RIMINI – Il mondo della birra, spirits, soft drink e acque minerali si è riunito a Rimini nei tre giorni di Beer&Food attraction per scoprire nuovi prodotti e nuove tendenze nel mondo del beverage. Un settore in costante evoluzione che ha attribuito un ruolo di primo piano anche ai prodotti zero alcol in linea con le nuove tendenze del mercato. Al riguardo è bene ricordare che il consumo di alcol segue da decenni una traiettoria di contrazione che nell’arco di 50 anni ha toccato il -70%.
Fipe è stata presente con un proprio spazio nel quale si sono susseguiti incontri e dibattiti su temi di grande attualità come l’andamento dei consumi di bevande alcoliche, l’evoluzione del bar e quella delle pizzerie.
La Fiera è stata anche l’occasione per misurare la conoscenza delle persone del proprio grado di tolleranza dell’alcol. A questo scopo sono stati effettuati test alcolemici a cui si sono sottoposti su base volontaria oltre 600 visitatori della fiera da cui è emersa la generalizzata inconsapevolezza delle quantità di alcol che assicurano un consumo responsabile.
“L’esperimento che abbiamo fatto a Rimini – ha dichiarato Aldo Mario Cursano, vice presidente Vicario di Fipe-Confcommercio – dimostra che per arrivare ad un consumo responsabile di bevande alcoliche non c’è bisogno di anatemi o di un approccio da tolleranza zero ma di maggiore conoscenza e consapevolezza degli effetti dell’alcol sul proprio organismo”.
Aldo Mario Cursano aggiunge: “La generalizzata negatività dei test conferma che il pubblico è sempre più attento a bilanciare piacere e responsabilità e che su questa strada è possibile coniugare sicurezza e consumo. Fipe continuerà a promuovere iniziative che incentivino un consumo consapevole, valorizzando al contempo la qualità delle eccellenze enogastronomiche italiane ed il ruolo dei pubblici esercizi come luoghi di socialità”.
“L’entrata in vigore del nuovo Codice delle Strada – prosegue Cursano – ha creato un allarme generalizzato ed ingiustificato che anziché ridurre gli abusi nel consumo di alcol rischia di influire negativamente proprio sul consumo responsabile che è quello della quasi totalità dei consumatori”.
MILANO – La guerra dei dazi tra Stati Uniti ed Unione Europea avrebbe importanti ripercussioni sul sistema delle imprese del terziario, ma ancora più preoccupante in questa fase è la situazione di incertezza legata agli annunci e alla minaccia dei dazi stessi: le imprese, per pianificare forniture e consegne e, quindi, gestire la propria catena del valore, hanno bisogno di condizioni stabili nel tempo.
Lo rileva Aice, l’Associazione italiana commercio estero Confcommercio, alla luce degli ultimi dati sull’interscambio e il sentiment emerso dall’indagine di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza che ha coinvolto oltre 400 imprese.
Nel 2024, come ha certificato l’Istat, l’export italiano ha registrato un lieve calo in valore (-0,4%) con dinamiche contrapposte (-1,9% export verso UE, + 1,2% export verso extra UE): un dato che sarebbe stato positivo (+0,3%) al netto dei prodotti energetici. In questo contesto, diminuisce l’export verso i due mercati principali per il Made in Italy: Germania e Stati Uniti (per entrambi i Paesi -3,7%).
II valore dell’export negli USA: circa 65 miliardi nel 2024, ma meno del 2023
Nel 2024 il valore dell’export italiano negli Stati Uniti (dato ancora provvisorio) è stato di circa 65 miliardi, in calo del 3,7% rispetto al 2023. Gli USA sono al secondo posto dopo la Germania, e prima della Francia, come destinazione delle esportazioni nazionali.
Sentiment delle imprese: il caso di Milano
L’imposizione reciproca di inasprimenti doganali tra USA e UE avrebbe un’influenza negativa sulle imprese: nell’indagine condotta da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza (dati elaborati dal Centro Studi) lo rileva l’86% di chi svolge attività di import e il 74% di chi pratica sia attività di import sia di export.
In sostanza, per più di 3 imprese su 4. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale delle imprese che esportano dalla Città Metropolitana di Milano (dopo la Svizzera) con oltre 4 miliardi 494 milioni di euro (fra gennaio e settembre 2024).
Quali conseguenze dalla “guerra dei dazi”
La conseguenza pressoché immediata e più importante sarebbe l’aumento dei prezzi con una maggiore inflazione: con una contromisura UE di dazi del 10-15% (in risposta agli eventuali dazi americani) sui prodotti che vengono importati maggiormente dagli Usa (si tratta per lo più di prodotti importati da imprese intermediarie e non direttamente da venditori/rivenditori), le imprese importatrici assorbirebbero circa la metà di questi incrementi. L’effetto sui consumatori nel territorio di Milano, Lodi, Monza e Brianza – secondo la stima del Centro Studi di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza in raccordo con Aice – sarebbe di un probabile aumento dei prezzi del 5%.
Gli accordi di libero scambio (come Ue-Mercosur): risposta al protezionismo
Dall’indagine di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza emerge inoltre che il 56% delle imprese operanti sui mercati esteri è a conoscenza dell’esistenza degli accordi di libero scambio siglati dall’Unione Europea con Paesi terzi. Patti che prevedono l’azzeramento o la forte riduzione dei dazi in export ed import. Sono quindi giudicati uno strumento positivo per diversificare i mercati di sbocco e approvvigionamento: lo pensa il 63% delle imprese. Gli accordi di libero scambio sono, in generale, la risposta più forte che si può dare al protezionismo.
Entrando in particolare nel concreto su uno degli accordi di libero scambio, il 38% delle imprese che opera sui mercati esteri conosce l’intesa UE-Mercosur (siglato dalla Commissione Europea con Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay): per le imprese rappresenta un’opportunità di crescita.
“I dazi all’import negli Stati Uniti non sono una novità, c’erano anche prima dell’Amministrazione Trump. Gli Usa, infatti, sono tra le cinque economie più protezionistiche al mondo, in buona compagnia di Russia, Cina, India e Brasile – spiega Riccardo Garosci, presidente di Aice e vicepresidente Confcommercio e Confcommercio MiLoMB per l’internazionalizzazione – E non parliamo solo di barriere tariffarie, ma anche di ostacoli non tariffari che, molto spesso, pesano sull’esportazione di un prodotto più dei dazi. Basti pensare alle difficoltà burocratiche che si devono affrontare per vendere prodotti agroalimentari. Ciò che in questa fase è più preoccupante è la costante situazione di incertezza che gli annunci minacciosi d’Oltreoceano hanno sulle imprese”.
“L’introduzione di dazi indiscriminati su tutti i prodotti e verso tutti i Paesi avrebbe comunque come effetto certo – rileva Garosci – l’aumento dell’inflazione anche per il consumatore americano.
E’ importante che le nostre imprese monitorino anche l’introduzione di dazi tra i vari Paesi anche se non riguardano direttamente l’Europa o l’Italia. L’introduzione di dazi per il Messico o il Canada, ad esempio, colpirebbe le aziende italiane che hanno produzioni in quei Paesi o che forniscono di beni intermedi aziende localizzate in quei Paesi per essere vicine al mercato statunitense. Ed è bene ragionare con attenzione anche su un ulteriore aspetto: oltre ai comparti principali del Made in Italy, dazi imposti ad altri settori che vedono le imprese italiane parte della catena del valore, possono provocare danni alla nostra economia”.
“Insomma – conclude Garosci – il protezionismo non porta benefici a nessuno”.
La proposta di aumentare lo spazio occupato dagli arredi all’aperto dehors a Roma ove compatibile con i luoghi arriva sia dalla maggioranza dem che dalle opposizioni. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Maria Egizia Fiaschetti per il quotidiano Il Corriere della Sera.
Il nuovo regolamento sui dehors a Roma
ROMA – Il 25 febbraio è previsto il secondo round in aula sul nuovo Regolamento delle Osp (occupazioni di suolo pubblico) con la discussione di una serie di emendamenti presentati sia dalla maggioranza dem sia dalle opposizioni.
Secondo quanto filtra, vi sarebbe la disponibilità bipartisan a concedere più spazio ai tavolini nelle aree pedonali, tranne in quelle già sature come ad esempio Campo de’ Fiori o piazza Navona, compatibilmente con i criteri indicati nella nuova norma in approvazione.
Il Regolamento prevede infatti la ripartizione della città in fasce: nell’ambito T4 del sito Unesco (il centro storico delimitato dalle Mura Aureliane) gli arredi en plein air potranno essere un terzo della superficie di somministrazione interna; nell’ambito della Città storica (contesto più ampio che comprende tessuti di espansione novecentesca e ambiti urbani di interesse strategico tra cui Tevere, Mura Aureliane, Parco archeologico monumentale, Foro Italico-Eur, cintura ferroviaria), la quota non può superare i due terzi.
Nel suburbio si può arrivare fino a 3/3 (il 100%), ma nelle zone tartassate dalla movida come Centocelle e Città Giardino i Municipi potranno chiedere limiti più restrittivi. Dopo la discussione in Aula, però, non è escluso che nei quartieri periferici si possa concedere fino al 120%.
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GINEVRA – World of Coffee ritorna a Ginevra, la location ideale per ospitare la fiera europea di punta della SCA, Specilaty coffee association, strategicamente situata nel cuore dell’Europa e attore chiave nel mercato globale del caffè. La manifestazione, in programma dal 26 al 28 giugno, garantirà un atmosfera unica e dinamica, novità coinvolgenti e approfondimenti sul chicco.
Il ritorno di World of Coffee in Europa
World of Coffee Geneva si terrà a Palexpo SA Rte François-Peyrot 30 1218 Le Grand-Saconnex. All’edizione di Copenhagen 2024, la Fiera ha registrato oltre 13mila visitatori da più di 150 Paesi e 120 torrefattori nel padiglione roaster village.
Ginevra vanta un’eccellente infrastruttura di trasporti, strutture congressuali di livello mondiale ed è un hub internazionale con una straordinaria accessibilità per i partecipanti di tutto il mondo.
La registrazione per l’evento a Ginevra è ora aperta con uno sconto di oltre il 25% se ci si iscrive prima dell’inizio di aprile.
L’azienda Dolcella specializzata nella produzione di cioccolato con sede Pont-Saint-Martin in Valle d’Aosta dopo le recenti assunzioni punta sul risparmio energetico e le certificazioni resistendo ai rincari del cacao. Idris Anday, il direttore dello stabilimento, ha dichiarato: “Riusciamo a essere competitivi nel rapporto qualità e prezzo”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Carlo Andrea Finotto per il quotidiano Il Sole 24 Ore.
Il piano produttivo di Dolcella
PONT-SAINT-MARTIN (Aosta) – È passato quasi un anno da quando l’azienda Dolcella ha avviato l’attività di produzione di cioccolatini a Pont Saint Martin. Da alcuni giorni il numero di dipendenti della fabbrica è salito a venti.
“A differenza di altre realtà della Bassa Valle che vivono situazioni di difficoltà, noi possiamo dire di procedere gradualmente con il nostro piano che comprende anche nuove assunzioni”, afferma Idris Anday, direttore dello stabilimento a capitale olandese – Dolcella è controllata al 100% dalla Ortu Holding – che ha sede in quella che era la fabbrica Feletti.
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Partite dal cantone dei Grigioni alla ricerca di fortuna, decine di famiglie svizzere hanno legato la propria storia a pasticcerie e drogherie del Bel Paese. Ma pochi hanno mantenuto le origini rivoluzionarie di uno stile raffinato. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Lorenzo Cresci per il quotidiano La Repubblica.
La pasticceria svizzera in Italia
MILANO – Sapete perché in Italia esistono decine di pasticcerie svizzere? È una storia che scava nei secoli, ed è fatta di emigrazione, quella degli svizzeri del cantone dei Grigioni, che ha portato centinaia di persone in Italia a partire dal Settecento in cerca di fortuna, aprendo laboratori e negozi.
A Venezia: attorno al Settecento su 42 pasticcerie e caffè, 38 erano elvetiche; già nel 1725, oltre 100 locali erano grigionesi. E così a Trieste: nei primi dell’Ottocento 21 botteghe di caffè sulle 37 totali erano a guida elvetica. L’onda svizzera fu talmente forte da conquistare l’Italia.
Ci sapevano fare con i clienti, avevano un’idea di caffetteria – elegante – come intendiamo oggi, tra caffè e dolcetti. La qualità li aiutò a emergere e i caffè diventarono un luogo di incontro per l’emergente borghesia europea.
Secondo il “Jacobs Museum” di Zurigo, conosciuto come Museo del Caffè, oggi è l’intera pasticceria internazionale a essere in debito di riconoscenza nei confronti dei grigionesi per aver lanciato famiglie di pasticceri nelle più importanti capitali europee. Tante realtà si sono perse, alcune sono sopravvissute ai secoli. Ecco una mappa.
Liguria
La Pasticceria Svizzera di Albaro, a Genova, riaperta da pochi mesi, fu fondata nel 1910 da Vital Gaspero, in un palazzo che ospitò tra gli altri Lord Byron. Nell’Ottocento – quando a Genova c’erano 12 pasticcerie svizzere – arrivò Klainguti, noto per la sua torta engadina e un classico della pasticceria genovese: la Zena.
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MILANO – Luca Scanni, Giovanni Giberti e Diego Bamberghi, tre amici con una visione comunque che si è tradotta 12 anni fa nel primo Pavé in Porta Venezia, Via Felice Casati, 27. Un fenomeno della colazione, del servizio, dell’offerta, tutta radicata nel territorio meneghino. Che poi si è moltiplicata anche con le gelaterie, in Via Cesare Battisti 21 e in Via Cadore 30.
Pavé è un’anomalia in qualche modo: con tanti bar che chiudono, come si arriva a questi traguardi e più punti vendita in una città, dove certo la concorrenza non manca?
“Sotto il cappello di Pavé esistono due format diversi, la gelateria e la pasticceria ed è possibile gestire tutto rimanendo coerenti in termini di prodotto e dando continue conferme ai clienti. Non abbiamo mai risparmiato sulla selezione delle materie prime e nelle modalità di preparazione, mantenendo sempre un occhio di riguardo su tutto il ciclo produttivo.
Certamente dall’altra tutto questo rappresenta un costo elevato, ma il risultato finale è distintivo: abbiamo avuto la fortuna di far partire questa nuova ondata di colazione e bakery 12 anni fa e con il tempo ci siamo confermati sul mercato.
È stato abbastanza naturale, in quanto fanatici del prodotto.
Dentro Pavé (foto concessa)
Un altro aspetto della pasticceria Pavé che ci ha portato avanti fin qui è il nostro servizio: dal lancio abbiamo voluto restare un ambiente informale e presente, e con il tempo è diventato un nostro elemento distintivo in cui abbiamo investito molto.
Attenzione, anche questo è un costo, ma permette di offrire un’esperienza unica in un settore in cui la scelta più facile è spersonalizzare il servizio e tagliare sui dipendenti, lasciando magari tutto in mano a un totem o a un tablet. Da Pavé si scambiano due parole con chi serve, e si impara anche qualcosa sui prodotti.
Questo nostro approccio è qualcosa di impopolare tra i gestori, che di solito cercano di risparmiare su questo punto. È una strategia molto diffusa, che noi non condividiamo.
Adesso siamo circa 50 persone impiegate da Pavé e testimoniano una crescita naturale.
Con le gelaterie e i punti vendita aperti successivamente abbiamo avuto bisogno di fare nuove assunzioni: è stato un processo graduale, e c’è stato un periodo a cavallo del Covid tra il 2021-2022, in cui i ragazzi difficilmente volevano fermarsi a lungo da noi. Molti avevano bisogno di cambiare vita.
Successivamente, proprio perché per noi l’aspetto della qualità della vita dei nostri ragazzi è fondamentale, abbiamo cambiato nella formula 5 su 7 con ferie lunghe e comandate nel periodo festivo. C’è una forte presenza di fuori sede che hanno bisogno di tornare in famiglia durante le feste e noi ci siamo voluti occupare di questa esigenza.
Il 5 su 7 nella ristorazione non deve essere qualcosa di straordinario ma di assolutamente normale. E noi abbiamo fatto qualcosa di normale, sia chiaro.”
Pavé è cresciuto molto, ma questa evoluzione com’è avvenuta?
“Si sono mossi dei processi naturali, soprattutto nei primi anni. Penso alla nostra capacità produttiva: siamo stati quasi obbligati ad implementarla proprio per via dell’aumento delle richieste. Ci siamo accorti toccando con mano del nostro potenziale e a quel punto abbiamo iniziato a riflettere sull’espansione attraverso nuovi punti.
Siamo poi un po’ anomali e le decisioni importanti le prendiamo sempre come tre amici: la nostra passione per il gelato ad esempio, ci ha portato a collaborare con una nostra amica con cui abbiamo avviato le gelaterie. Che vanno molto bene.
Ovviamente alla base cerchiamo sempre di analizzare bene le criticità di ogni scelta ed è una linea che è sempre servita a far partire qualsiasi nostro progetto. Forse non siamo rapidissimi, ma non abbiamo una logica di azienda industriale che vuole raggiungere dimensioni eccessive. Vogliamo piuttosto concentrarci sempre sui processi, sulle persone, mantenendo l’identità di Pavé intatta. Le opportunità di espanderci sono arrivate fino ad oggi, quindi mai dire mai, ma vogliamo pensare che il nostro brand possa mantenersi su certi standard.
Attenzione però: non si perde di qualità espandendosi. Spesso si migliora. Ad esempio, noi riusciamo a offrire prodotti migliori ora con un laboratorio più grande e due punti vendita di pasticceria rispetto a quando siamo partiti 12 anni fa. Macchine migliori, spazi di lavoro migliori, processi migliori che si tramutano in prodotti qualitativamente più alti.
Per cominciare ad avere un calo di qualità e soprattutto un cambio della filosofia da bottega artigianale bisogna andare su numeri che inevitabilmente impattano su logistica, flussi di comunicazione e gerarchie interne. Aspetti che non vogliamo mettere in discussione.
Noi siamo felici così per il momento. Pavé non può andare fuori Milano, o almeno così ci sentiamo di fare ad oggi. Perché siamo molto romantici: siamo milanesi, abbiamo realizzato il sogno di noi 3 amici che volevamo aprire nella nostra città. Siamo cresciuti come Pavé insieme a Milano ed è difficile per noi immaginarci altrove. Il nostro mood esiste e funziona anche perché radicati molto qua nel territorio.”
Com’è la colazione moderna? Cosa non deve mancare, cosa funziona?
La colazione da Pavé (foto concessa)
“Dev’esserci una qualità di caffetteria che accompagna quella del prodotto di lievitato. Deve avere un’opzione ampia salata, che è una tendenza ora in crescita e che per certi aspetti è aumentata con l’arrivo di stranieri negli ultimi anni. Deve poter essere consumata anche al banco e mantenersi semplice, di conforto. La colazione per me è caffè, cappuccino, serviti bene. Avevamo anche la passione per la pasticceria francese che infatti è molto presente in Pavé. La cucina dà i suoi frutti perché apre molto presto, fino alle 3-4 del pomeriggio. È una colazione dolce-salata che può anche essere rinforzata a qualsiasi ora.”
E il caffè in questa proposta, che ruolo ha?
“Da Pavé abbiamo un nostro caffè con cui prepariamo le ricette base (100% Arabica, Caffè Repubblica) e poi a rotazione, collaborando con diversi micro roasters come Gearbox, Aliena Coffee Roasters etc, abbiamo delle monorigine per i filtri, dei double espresso o dei flat white.
Per il resto abbiamo delle preparazioni più natalizie, come una cioccolata con crema di latte d crumble di cacao, o il Christmas shuffle, un latte speziato con cioccolata. In estate proponiamo un coldbrew.
Per fortuna il consumatore medio è cambiato rispetto a 12 anni fa, anche sull’attenzione data al caffè. I clienti chiamano per sapere che filtro si serve in quella settimana o qual è la torrefazione di specialty del momento. Questo fa capire che l’approccio si sta modificando. Le persone hanno iniziato anche a visitare altri luoghi fuori dall’Italia, in cui questo tipo di caffetteria non è una novità.”
Da Pavé solo nuove generazioni o anche la mitica “sciura” Maria si sente nel posto giusto?
“Siamo nati insieme alla “sciura” Maria che entrava accompagnata dal cagnolino. Il tema è molto caro a Pavé sin dall’inizio, perché abbiamo aperto con lei in mente: il buon espresso non mancherà mai e se lei vorrà approfondire siamo pronti a raccontarle qualcosa di diverso.”
I vostri prezzi come sono cambiati in 12 anni e sono un problema?
“Naturalmente sono aumentati, ma non per speculazione, per conservazione degli obiettivi originari. Vogliamo preservare il nostro discorso legato alla qualità di prodotto e servizio e penso che chi ci conosce lo abbia capito. L’importante è far comprendere il perché si fanno le cose in un determinato modo e il lavoro, il pensiero dietro.
Già quando siamo partiti avevamo dei prezzi più alti della zona e ne abbiamo spiegato però i motivi. Poi ci hanno seguiti anche i concorrenti a pochi metri da noi giusto per allineare il prezzo senza alcuna corrispondenza qualitativa. È quello che, eventualmente, deve essere approfondito. Da noi ora l’espresso costa uno e quaranta per la miscela e il cappuccino 2.20. Per le bevande vegetali abbiamo un prezzo più elevato.”
Quali attrezzature avete scelto per la vostra pasticceria?
“Abbiamo sempre La Marzocco, La Strada e per i macinacaffè abbiamo una serie di modelli diversi, di Ceado principalmente.”
I prossimi 12 anni di Pavé?
“Continuare a migliorare nella qualità del prodotto e del servizio. Puntiamo ad essere sereni, noi insieme a tutto il nostro team. Devono essere felici di far parte del nostro progetto, che è slegato dagli utili, deve essere sostenibile e dare qualcosa per cui la gente resta in fila: una cosa che ancora oggi riscontriamo e di cui siamo onorati.”
MILANO – La European Coffee Federation (ECF) ha pubblicato un documento di orientamento sulla due diligence per l’EUDR, con l’obiettivo di aiutare le torrefazioni e le aziende a navigare il vasto panorama normativo ai sensi del regolamento UE 2023/1115. Questa risorsa fornisce perciò un quadro completo strutturato per le aziende che operano nel mercato europeo in pieno rispetto dell’EUDR.
La Guida d’orientamento della European Coffee Federation
La Guida illustra i passaggi chiave per soddisfare i requisiti di due diligence, dalla raccolta dei dati necessari (articolo 9) alla conduzione dell’assestamento dei rischi (articolo 10) valutando inoltre come implementare misure efficaci di mitigazione del rischio (articolo 11).
Inoltre la Guida include esempi pratici specifici per la filiera del caffè, aiutando le aziende a costruire sistemi di conformità.
Con l’avvicinarsi delle scadenza per la conformità dell’EUDR, la Guida in questione rappresenta sia un roadmap che un riferimento di base per le aziende che si preparano ai processi di due diligence.
Per consultare e chiedere il documento in PDF basta contattare l’organizzazione ECF sul sito ufficiale cliccando qui.
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