giovedì 13 Novembre 2025
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Bialetti presenta la collezione di prodotti e accessori Mercato della frutta ispirata ai mercati italiani

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La collezione Mercato della frutta (immagine concessa)

COCCAGLIO (Brescia) – In occasione dell’arrivo della bella stagione, Bialetti, azienda italiana icona del caffè nel mondo, presenta Mercato della frutta: una collezione che celebra lo spirito vivace dei mercati locali, quei luoghi diffusi dove le tradizioni, i gusti e i profumi di una città si intrecciano e si mescolano.

La collezione, in edizione limitata, si distingue per uno stile vibrante e irresistibilmente allegro. Le forme morbide, i colori ricercati e i motivi a tema frutta che caratterizzano i prodotti evocano, infatti, quell’atmosfera solare e gioiosa che da sempre anima i mercati rionali e di quartiere. Il richiamo alla celebre convivialità del Bel Paese è rimarcato anche dall’utilizzo grafico di alcune tipiche espressioni, come “Dolce Far Niente”, divenute ormai simbolo di italianità.

Gli accessori della limited edition (immagien concessa)

L’immancabile Moka Express – da una e tre tazzine – è presentata in tre nuovi colori: blu cobalto, pesca e verde menta. Completano l’offerta di caffettiere due inedite versioni di Mini Express: gialla con una grafica a tema limoni e magenta con motivi di ciliegie. La macchina espresso Gioia è, invece, proposta nelle colorazioni pesca e verde menta.

Parte della collezione Mercato della frutta (immagine concessa)

Numerosi gli accessori della limited edition Mercato della frutta: oltre ai set di tazzine multicolor impilabili, alle mug e ai bicchierini, la collezione prevede anche zuccheriera, set di cucchiaini, tovagliette e piatti da dessert. Infine, per le calde giornate estive, le bottiglie termiche, disponibili nei due formati da 500 e 350 ml.

In aggiunta, a partire da metà maggio, arriverà una nuova ed esclusiva miscela di caffè macinato aromatizzata al cocco, dall’eloquente nome CoccoBello. Dopo il successo della limited edition aromatizzata alla mandorla lo scorso anno, Bialetti continua il proprio percorso di ricerca e sperimentazione con un caffè che combina tradizione e contemporaneità, ritualità italiana e suggestioni tropicali. Pensato prima di tutto per essere consumato freddo, CoccoBello è il caffè ideale per tutti coloro che amano lasciarsi stupire da sapori e gusti inediti.

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Il caffè CoccoBello (immagine concessa)

Insieme al caffè, da maggio saranno disponibili anche  bicchieri e  tazzine di vetro, whipper elettricoformaghiaccioset di cucchiaini lunghi e mug termica: tutto il necessario per preparare il caffè e godersi una perfetta pausa rinfrescante.

La nuova capsule collection Mercato della frutta sarà disponibile dal 27 marzo presso i negozi Bialetti e online qui

La scheda sintetica di Bialetti Industrie

Il marchio Bialetti nasce nel 1919 a Crusinallo, in Piemonte, per volontà di Alfonso Bialetti. Nel 1933 viene realizzata la prima Moka Express, geniale intuizione che ha rivoluzionato il modo di preparare il caffè a casa. Considerata icona di design nel mondo, fa parte delle collezioni permanenti del MoMa di New York e del Triennale Design Museum di Milano.

Il 1999 è l’anno in cui si forma il gruppo Bialetti Industrie, nato dalla fusione tra Alfonso Bialetti & C. e Rondine, realtà leader nella produzione di pentole antiaderenti; la sede viene trasferita a Coccaglio in provincia di Brescia.

Nel 2004 Bialetti fa il suo ingresso nel mondo delle macchine espresso e nel 2010 in quello del caffè con le capsule l Caffè d’Italia. Nei tre anni successivi l’azienda internalizza tutte le fasi della lavorazione del caffè inaugurando la propria torrefazione e mettendo a punto un metodo specifico per creare miscele di caffè dal perfetto equilibrio, dall’aroma intenso e dal gusto equilibrato.

Ad oggi l’offerta della torrefazione Bialetti consta di sei differenti tipologie di prodotto (capsule, cialde, macinato per moka, macinato universale, caffè filtro e grani) che rispondono a tutte le esigenze del mercato.

 

Cioccolatini: ecco i formati più famosi dall’Italia

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La produzione di cioccolato (Pixabay License)

Ogni regione del Bel Paese può vantare tipici dolci speciali con il cioccolato come ingrediente principale. Alcuni formati di cioccolatini in particolare, con il tempo, sono diventati simboli del Made in Italy. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul Quotidiano Piemontese.

Cuneesi: il piacere dell’incontro tra cioccolato e rum

Originari del Piemonte, i cuneesi al rum nascono a Cuneo nei primi del ‘900 e devono la loro fama all’incredibile contrasto tra il guscio croccante di cioccolato fondente e il ripieno morbido e avvolgente a base di crema al rum. La loro ricetta ha subito diverse variazioni nel tempo, con versioni che includono nocciole, caffè o altri liquori, ma il carattere autentico resta quello dell’incontro tra intensità e dolcezza.

Boeri: l’eleganza della ciliegia sotto spirito

Un altro capolavoro piemontese sono i boeri, cioccolatini che racchiudono una ciliegia sotto spirito immersa in uno sciroppo liquoroso, il tutto avvolto da uno spesso strato di cioccolato fondente. Questo dolce, diffuso in diverse varianti in tutta Italia, è sinonimo di eleganza e piacere deciso, perfetto per chi ama il contrasto tra la freschezza della frutta e l’intensità del cioccolato.

Morettini: un classico intramontabile

Meno noti al di fuori della loro area d’origine, i morettini sono una golosità tipica dell’Emilia-Romagna. Caratterizzati da un guscio di cioccolato che racchiude un morbido ripieno di crema alla nocciola o al caffè, questi cioccolatini hanno una storia legata alla tradizione artigianale delle piccole pasticcerie locali. Il loro sapore equilibrato e la consistenza vellutata li rendono un piacere irresistibile per chi ama le note tostate e cremose.

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Francesca Surano, racconta il cacao Umami dell’Honduras, che riesce a crescere a 1.100 metri

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Francesca Surano che si versa un filtro (foto concessa)
Francesca Surano che si versa un filtro (foto concessa)

MILANO – Parla su queste pagine un’altra volta, Francesca Surano, consulente di caffè per aziende e fondatrice di santa domenica, un progetto nato da meno di un anno in Salento che si impegna non solo a diffondere la cultura del caffè specialty attraverso l’importazione diretta, la tostatura e la vendita del prodotto ma anche a vendere generi alimentari buoni, giusti e di filiera corta.

Surano si occupa di divulgazione dallo specialty sin dal 2009 e, dal 2014 si è unita al team di Umami Area, sotto la guida del caffesperto Andrej Godina, in Honduras. Ed è proprio qui che adesso il caffè si è affiancato ad un’altra coltura, il cacao.

Surano racconta la genesi e lo sviluppo di quest’ultimo progetto Umami

Che ha trovato spazio nella stessa piantagione acquistata dal gruppo nel 2017: 45 ettari distribuiti su una montagna, di cui circa la metà lasciata come zona boschiva e il resto destinato alla produzione agricola. Per il rispetto della biodiversità, vengono alternate la produzione di caffè a quella di altri prodotti, come ad esempio le banane: c’è sempre la necessità di piantare alberi da frutto per creare ombra e rispettare la salute dell’ambiente e delle piante.

Surano: “Con questo in mente e soprattutto tenendo conto del cambiamento climatico che modificherà per forza le pratiche agricole, qualche anno fa ho proposto la coltivazione di cacao nell’area che è situata ad una minor altitudine, condizione sine qua non il cacao non è in grado di sopravvivere.

Nessuno prima di noi ha avuto il coraggio di provare in questa zona, tuttavia mi è stata data fiducia, forti anche della mia esperienza pregressa in altre piantagioni di cacao di alcuni Paesi del centro America tra cui Colombia, Costa Rica e Brasile. Abbiamo quindi destinato al cacao circa un ettaro di terra e a distanza di tre anni, così come erano le nostre più rosee aspettative, abbiamo raccolto i primi frutti.

In termini di volumi parliamo di una produzione ancora limitata per soddisfare una sostenibilità economica: abbiamo bisogno di molte più piante e fave di cacao per ottenere un cioccolato “fino di aroma” e poi vendibile in Europa a un prezzo congruo per ottenere dei ricavi da reinvestire nel progetto o per finanziarlo.

I numeri che abbiamo raggiunto sin qui da poco meno di 300 piante, ci sta dando la possibilità di ricavare delle piccole prove di produzione, di fermentazione, di trasformazione in generale in cioccolato: questo ci aiuta già a comprendere come e se sia possibile migliorare la qualità sensoriale della materia prima e se convenga investire nel territorio creando una piccola realtà di trasformazione in loco in grado di sostentare la cooperativa, piuttosto che esportarla per lavorarlo in Italia.

Tra lo scorso anno e quello corrente abbiamo ottenuto attorno a 300 chili di fave e quest’anno il raccolto è davvero abbondante.”

Surano: “Questo progetto è ancora in fieri, siamo in una fase embrionale.”

Dentro la materia prima (foto concessa)

“Abbiamo però dimostrato in generale, che in questa zona è possibile far crescere bene il cacao e che questa materia prima può rappresentare un’opportunità per i produttori, sia sul piano della biodiversità che al fine di differenziare la merceologia caffè.

La cooperativa a cui ci appoggiamo per tutte le pratiche agricole per le grandi quantità di caffè da processare, si è mostrata interessata a formarsi per produrre sia cacao che cioccolato. Al quarto anno del progetto abbiamo raggiunto una produzione piena di tutte le piante, e ora al quinto abbiamo raggiunto dei risultati già notevoli.

Abbiamo piantato 4 varietà differenti di cacao: parliamo di criollo ma, a differenza del caffè, sappiamo che la pianta di cacao non si autoimpollina e i primi anni si crea inevitabilmente un’ibridazione tra le diverse piante. Chi è dentro il mondo della produzione di questa materia prima, per questo fa bene attenzione a definire specificatamente le varietà botaniche, perché con il cacao è un po’ complesso farlo.

Il concetto di terroir però è sempre il medesimo: si può trovare un’esposizione migliore di un’altra, una zona più adatta per la maggiore presenza d’acqua, dev’esserci un minimo di ombra, verificarsi un periodo di grande abbondanza di acqua susseguita da periodi di siccità, quindi ci si deve trovare in un clima tropicale. È tutto molto simile alle condizioni del caffè eccetto per l’altitudine.

Il nostro solo dubbio era appunto legato a quest’ultimo fattore, tuttavia il cambiamento climatico sta rendendo possibile la coltivazione in zone meno elevate della montagna, come nel nostro caso, a circa 1100 metri. – continua Surano – Nella nostra piantagione, con l’aumento del lavoro, abbiamo impegnato due famiglie in queste due colture. Abbiamo trasmesso le conoscenze e fornito gli strumenti adatti a produrre questa materia prima, in termini di gestione e management della terra e della pianta, ma anche dei processi di raccolta di fermentazione ed essiccatura.”

Surano: “Per le prove di trasformazione in cioccolato ho deciso di portarlo in Italia.”

Francesca Surano in piantagione (foto concessa)

“Mi sono fatta carico di questa fase, soprattutto studiando quale fosse il metodo più congruo alla lavorazione del nostro cacao in collaborazione con il mio amico di Fossano, il chocolate makers Federico Dutto di Lim Chocolate, il quale ha dedicato a questo progetto il tempo prezioso e la sua competenza.

Non è scontato riuscire a fermentare ed essiccare in maniera corretta. Tutte queste fasi sono state frutto di diverse prove: ad oggi il prodotto non è ancora sul mercato e sarà disponibile alla vendita quando sarà perfetto.

Ancora c’è da lavorare sul lato sensoriale: necessitiamo di più fave di cacao per attivare una loro buona fermentazione spontanea. Dopo la raccolta infatti, le fave devono essere processate attraverso una fermentazione spontanea che si attiva grazie alla polpa del frutto. Per far sì che si raggiungano le temperature ideali però, c’è bisogno di un grosso quantitativo di fave: noi ancora non siamo arrivati a quel punto, raggiungiamo solo il minimo indispensabile.

Dopo due anni di raccolta, abbiamo capito che abbiamo quindi bisogno di piantare più piante di cacao. C’è chi favorisce questa fase attraverso la produzione di calore: alcuni Paesi che per esempio attraverso il fuoco riscaldano le casse contenenti le fave, ma i fumi contaminano dal punto di vista sensoriale la materia prima.

Quest’anno abbiamo provato a posizionare all’interno di un fermentatore meccanico un raccolto intero per vedere se fosse fattibile stimolare la fermentazione in questo modo. In effetti con questo input esterno, la temperatura aumenta, ma dal punto di vista economico non è una soluzione sostenibile.

Il modo migliore resta quello naturale. “

Il futuro e gli obiettivi del progetto

Surano racconta: “Con i soci stiamo valutiamo di piantare idealmente almeno sino a 2000 piante. Sarebbe il range perfetto per una buona fermentazione, per un processo controllato e una sostenibilità economica che aiuti la finca al suo finanziamento e crescita. In generale ad oggi, l’interesse è quello di reinvestire per garantire migliori condizioni di lavoro e di vita.

Ancora è prematuro pensare di stabilire un prezzo, ma sicuramente non sarebbe quello di un cioccolato commerciale. Con le cifre da record attuali, da qui ad un anno con le idee più chiare, il business plan andrà limato per comprendere i costi finali in uscita del prodotto a scaffale in Italia, in Europa, ma non solo: in futuro speriamo di produrlo direttamente in loco. Quando magari riusciremo a permetterci l’acquisto dei macchinari necessari. “

Matteo Borea: “Dazi, EUDR e speculazioni: le regole del gioco sono cambiate”

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Matteo Borea (immagine concessa)

Matteo Borea, consulente strategico e innovatore nel settore del caffè,
coproprietario della storica torrefazione La Genovese di Albenga (Savona) e autore del blog matteoborea.it, punto di riferimento per imprenditori del chicco, espone la sua opinione sulla trasformazione della filiera del chicco sotto l’incombente EUDR e la politica dei dazi del presidente Donald Trump, analizzando le azioni da intraprendere per giustificare l’aumento dei prezzi del caffè al consumatore finale. Leggiamo di seguito la sua opinione.

La trasformazione della filiera del caffè

di Matteo Borea

MILANO – Il mondo del caffè è entrato in un circolo vizioso così evidente che ormai solo chi ha fette di prosciutto sugli occhi può fingere di non vederlo. Anche se molti lo ignorano, in Europa incombe sempre l’EUDR, che impone nuovi criteri di sostenibilità e tracciabilità, gettando i produttori di caffè nel panico (o quasi).

Poi ci sono gli Stati Uniti, con la politica dei dazi di Trump che ha letteralmente innescato una guerra commerciale. Hanno iniziato con Messico e Colombia, ma la sensazione è che potremmo vederne di tutti i colori.

Risultato: per vendere in Europa, i produttori devono adeguarsi all’EUDR (cioè maggiori controlli, più burocrazia, costi extra). Per vendere negli Stati Uniti, devono pagare dazi che stanno per diventare un salasso. E stiamo parlando di caffè, una delle materie prime più diffuse al mondo, un prodotto che muove intere economie.

Ma il bello deve ancora arrivare (o meglio, il brutto): gli stessi produttori, sotto pressione per i costi, iniziano giustamente a valutare dirottamenti su mercati emergenti come Asia e Medio Oriente, che crescono a ritmi pazzeschi.

Lì le cose – almeno per ora – sembrano più semplici: meno normative, più richiesta, soprattutto per prodotti di qualità. In altre parole, c’è un rischio concreto che i classici mercati occidentali restino con meno disponibilità di caffè. E quando l’offerta cala e la domanda rimane stabile (o cresce), sai cosa succede? I prezzi vanno alle stelle.

Dunque, è inevitabile che, entro pochi anni, caffè Arabica e Robusta inizino a toccare nuovi picchi. Personalmente non mi stupirei di vedere l’arabica raggiungere gli $11 al kg e poco meno per la robusta.

Per adesso sono solo previsioni, magari esagerate, ma la storia ci insegna che i mercati sanno superare anche le stime più nere. Non parliamo solo di Borsa, speculazione e spauracchi mediatici: parliamo di un contesto reale, fatto di produttori che si spaccano la schiena, di trader che giocano sporco e di un settore che per troppi anni è andato avanti con un modello insostenibile.

E qui arriva la domanda chiave: “Come rendere il consumatore più consapevole nel minor tempo possibile, affinché smetta di considerare il caffè una commodity e inizi a vederlo come un alimento prezioso e pregiato?

La risposta, per quanto semplice da formulare, è complessa da realizzare. Perché prima di parlare di come “educare” il consumatore, bisogna fare i conti con un settore diviso, dormiente, imbalsamato e ostile al cambiamento.

Facciamo un esame di coscienza: quante volte, nel corso degli anni, abbiamo raccontato un sacco di storielle sul caffè senza mai investire davvero nello sviluppo di competenze e nella divulgazione di conoscenza?

Non vorrei essere troppo duro, ma credo che una secchiata d’acqua gelata ogni tanto faccia bene, perché il nostro settore ha una grande responsabilità di cui farsi carico: aver sempre sfruttato consapevolmente sia i produttori, lasciando loro la fetta più piccola della torta, sia i baristi e i consumatori, mantenendoli nell’ignoranza per potergli vendere robaccia a peso d’oro.

Non giriamoci intorno. Siamo onesti: questa è la dura verità che nessuno vuole ammettere, ma che oggi, con i prezzi alle stelle ormai da un anno, ci viene sbattuta in faccia mostrando tutta la polvere che negli anni è stata nascosta sotto il tappeto.

Speculatori senza scrupoli, crudisti e torrefattori che hanno comprato materie prime scadenti, venditori e manager che hanno venduto tutto fuorché caffè e si sono comprati i clienti con i finanziamenti o regalando persino set di pentole per appendere un’insegna in più.

Nessuno ha mai veramente venduto il VALORE del prodotto. Gli argomenti migliori che sono stati usati per raccontare il prodotto sono stati “Miscela Arabica” e “Ricetta segreta,” e il risultato è una classe di imprenditori improvvisati (chiamarli “imprenditori” a volte è come chiamare un piccione “falco da combattimento”), baristi che sanno a malapena come si pronuncia “specialty coffee,” consumatori che trattano il caffè come un semplice energizzante mattutino.

Cosa abbiamo fatto per invertire la rotta? Nulla. Anzi, abbiamo alimentato l’ignoranza “perché così si vendeva più facilmente.”

Oggi che il prezzo della materia prima costringe tutti a guardare in faccia la realtà e a prendere consapevolezza del valore reale, viene fuori la nostra vera essenza: esperti che litigano per avere ragione se il caffè macinato va conservato in frigo o in freezer, torrefattori che chiedono consulenza per tagliare le miscele con l’orzo e “venditori” che si scannano con i baristi perché fino a ieri dovevano limitarsi a prendere ordini e da un giorno all’altro si ritrovano a dover giustificare un aumento dei listini.

Questa è la verità: siamo impreparati.

Non siamo in grado di giustificare l’aumento dei prezzi a quello stesso consumatore che abbiamo volutamente mantenuto “ignorante” e non siamo soprattutto in grado di comunicare e vendere il vero valore dei nostri prodotti e servizi.
È il settore ad aver bisogno che baristi e consumatori evolvano, non il contrario.

Prendersela con i baristi e i consumatori perché “non capiscono” è troppo facile. La responsabilità è solo e soltanto nostra, che abbiamo pensato molto al profitto e molto poco al valore.

Il settore del caffè non parla con una sola voce. È una miriade di piccoli mondi (produttori, trader, broker, torrefattori, distributori, baristi) che spesso si guardano in cagnesco. Ognuno tende a difendere il proprio orticello. Il sogno di una filiera coesa? Sembra più l’utopia di un romanzo di fantascienza.

Qui entra in gioco la parte più interessante, perché non si tratta solo di un ennesimo lamento. Vogliamo dare una prospettiva concreta, un nuovo inizio per un settore che ha disperatamente bisogno di evolversi. Riprendiamo la domanda:

“Come diamine facciamo a insegnare (velocemente) al consumatore a riconoscere e apprezzare un caffè di qualità, e a pagarlo per il suo valore reale?”
Per me, la risposta si divide in due livelli fondamentali:

1. Elevare il barista a un livello superiore, come professionista dell’accoglienza, andando oltre i cuoricini sui cappuccini. Non fraintendiamoci, la latte art è carina, fa scena e può essere un plus. Ma la professione è molto di più.

Parliamo di competenze di accoglienza, storytelling, marketing, gestione finanziaria, cultura di prodotto. Un barista con queste skill è un imprenditore, non un esecutore. È un professionista che sa come comunicare il valore reale di ciò che vende, dall’espresso al cappuccino, dalle estrazioni alternative al racconto del Paese d’origine. Insomma, uno che si fa carico della vera mission: elevare il consumatore.

2. Rendere il consumatore consapevole ed esigente perché sia disposto a pagare il giusto prezzo. Purtroppo, la consapevolezza non arriva da un giorno all’altro. Né basta un post su Instagram col chicco di caffè biologico e la didascalia #SaveThePlanet.

Servono azioni massicce, un lavoro di squadra. Significa investire risorse (tempo, denaro, creatività) per educare con una comunicazione chiara e onesta. Senza paternalismi e frasi da “esperto supponente,” ma con l’idea di creare curiosità e coinvolgere le persone.

La grande sfida è questa: “Come facciamo a innescare un cambio di paradigma in tutto il settore e, di riflesso, nel consumatore finale?

La risposta potrebbe sembrare scontata: ci vogliono investimenti, formazione, tempo, coesione. Ma spesso manca il coraggio di farlo sul serio. In troppi preferiscono andare avanti con i metodi di sempre.

“Abbiamo sempre fatto così” è la frase più dannosa mai inventata, perché mette il settore in modalità “pilota automatico” e non lo fa avanzare.

Ora tiriamo le fila. È chiaro che lamentarsi e basta non serve. Dobbiamo muoverci tutti, e in fretta. Se non mettiamo in campo strategie condivise, ci ritroveremo in un pantano peggiore di quello attuale.

Quindi, ecco alcune azioni concrete, secondo Matteo Borea:

1. Formare i baristi come veri “ambasciatori del caffè.”

2. Creare reti di cooperazione tra i vari attori della filiera.

3. Investire in educazione al consumatore.

4. Sviluppare una nuova classe di “imprenditori del caffè.”

5. Adottare un approccio umile e coraggioso.

Uno degli ostacoli principali è l’ego di chi crede di sapere già tutto perché magari tosta o estrae caffè da 30 anni. O di chi dice: “I miei clienti non apprezzano la qualità, quindi non mi interessa formarmi.” Ecco, questa è la mentalità che ci porterà dritti alla rovina.
Serve un bel bagno di umiltà, la voglia di imparare sempre, di confrontarsi, di sbagliare e riprovare. E serve coraggio: uscire dalla zona di comfort, guardare in faccia i nuovi scenari e prendere decisioni scomode ma necessarie.

In definitiva, siamo di fronte a una resa dei conti che non possiamo più rimandare. I prezzi del caffè sono alti e saliranno ancora. Nuovi mercati entrano in gioco e questo finirà col ridurre le disponibilità. E quando l’offerta si riduce e la domanda non cala, i prezzi vanno su.

È la legge di mercato: prima l’abbiamo ignorata, adesso la subiamo. Ciò che ancora possiamo fare è unire le forze e scegliere di essere parte attiva del processo. Basta recriminazioni e colpi di coda dell’ultimo minuto. Serve un cambio di rotta deciso.

Il barista non è l’ultimo ingranaggio ma il ponte cruciale tra chi produce e chi consuma.
“Bisogna prima rinforzare il ponte per poterci far passare tutto l’arsenale.”

Il consumatore non è un automa incapace di capire, ma una persona che, se stimolata nel modo giusto, può diventare un alleato prezioso nel riconoscere e valorizzare il caffè di qualità.

Il torrefattore non è il “padrone di casa” che fa e disfa ricette nel segreto del suo retrobottega, ma un professionista che ha il dovere di comunicare, formare e servire il mercato in modo trasparente.

Chi ignora tutto questo o pensa di sopravvivere con i metodi di sempre, è condannato a svegliarsi un giorno e trovare il proprio modello di business distrutto dai costi, dalle normative o dalla concorrenza che ha saputo aggiornarsi.

Matteo Borea aggiunge: “Dobbiamo smettere di pensare solo a come aumentare il margine vendendo il solito caffè mediocre, e cominciare a offrire valore vero. E per farlo, dobbiamo rivedere tutto, dalla comunicazione alla formazione, dal rapporto con i fornitori al modo in cui gestiamo il locale o la torrefazione.

È una rivoluzione nel senso letterale del termine. Ma se non ci muoviamo, faremo la fine di quelle industrie che hanno resistito al cambiamento finché non è stato troppo tardi.
È ora di costruire (e vendere) valore e non più solo chiacchiere. È ora di educare il consumatore e di responsabilizzare l’intera filiera. È ora di trattare il caffè come ciò che è: un alimento prezioso, frutto di un processo lungo e delicato, e non un semplice “stimolante” da servire a caso.

Siamo pronti a raccogliere la sfida? Se la risposta è sì, allora rimbocchiamoci le maniche. Se è no, prendiamoci almeno la colpa di aver perso un’occasione unica, lasciando che il settore si sbricioli sotto il peso della sua stessa inerzia. Questo è l’avviso finale per tutti i professionisti del caffè: le regole del gioco sono cambiate”.

Matteo Borea conclude: “Mettiamoci insieme, diamo un valore reale a ciò che vendiamo, formiamo i baristi, educhiamo i consumatori e prepariamoci a un futuro in cui il caffè sarà sempre più un lusso, ma un lusso che – se ben comunicato e valorizzato – il pubblico sarà disposto a pagare. Sta a noi spingere, uniti, verso un cambiamento vero e profondo. Auguri!”

                                                                                                             Matteo Borea

L’analisi: l’anno scorso i torrefattori hanno sbagliato i loro calcoli e il consumatore finale ne paga le conseguenze

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Chicchi di caffè tostato (credits: Alexa from Pixabay)

MILANO – I torrefattori che avevano puntato su un calo dei prezzi hanno sbagliato i loro calcoli e ora saranno i consumatori a pagarne le conseguenze. Secondo un’analisi di Bloomberg, le aziende di torrefazione che praticano l’hedging sulle borse, per premunirsi nei confronti delle oscillazioni dei prezzi, hanno predisposto le loro strategie lo scorso anno, quando i prezzi hanno cominciato a salire, scommettendo su un calo successivo, che purtroppo non c’è stato.

Smentendo previsioni, la corsa al rialzo è invece proseguita in entrambi i mercati complicando ulteriormente la situazione dell’industria, che è ora costretta ad attuare forti rincari sui listini. A pagare il conto sono stati innanzitutto i consumatori.

A cominciare da quelli americano. Secondo il U.S. Bureau of Labor Statistics, il prezzo medio per una libbra di caffè tostato ha raggiunto, a febbraio, il livello senza precedenti di 7,25 dollari, pari a 14,8 euro/kg: un dato, tutto sommato, non eccessivamente alto, considerando la maggiore capacità di spesa del consumatore medio Usa.

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Sensolato, gelato e specialty a Domodossola: “Un connubio perfetto”

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All'ingresso di Sensolato (foto concessa)
All'ingresso di Sensolato (foto concessa)

DOMODOSSOLA – Sensolato a Domodossola, in Piazza del Mercato, 29 è la creatura di Sara Bernardini e Marco Lugarà che hanno unito due mondi che soltanto apparentemente sono distanti ma in realtà spesso e volentieri camminano insieme sulla strada della qualità della materia prima. Un posto unico nella loro zona, che ha dovuto certamente faticare per affermare la propria filosofia ai consumatori più abituati alla tradizione.

Cominciamo da qui: Sensolato, gelato e specialty. Nasce prima uno e poi l’altro o partono insieme?

“Nascono insieme. Abbiamo sempre lavorato in gelateria e quindi ho portato l’esperienza maturata in questo settore unendola alla passione per lo specialty. Siamo sempre stati attenti a fare ricerca sulla materia prima di qualità e volevamo accompagnare il nostro gelato con una parte di caffetteria che inevitabilmente è stata studiata nel dettaglio: così abbiamo conosciuto lo specialty coffee, prodotto che abbiamo compreso subito che non poteva mancare da Sensolato.

Non volevamo fare solo gelato o solamente caffè, ma proporre qualcosa di un certo livello. Senza chiuderci nessuna strada, ma mantenendoci aperti, appunto, in Sensolato a febbraio 2020. Abbiamo superato il Covid, il primo anno di attività e ora siamo ancora qui.”

Ma lo specialty a Domodossola come sta?

“Siamo gli unici in tutta la nostra zona. Ovviamente sapevamo dall’inizio di essere in pochi in tutta Italia e nonostante questo, abbiamo voluto portare questa filosofia a Domodossola perché se ne sa veramente poco.

Dentro Sensolato (foto concessa)

Abbiamo raccolto la sfida: certo resta un prodotto di nicchia e non è facile far comprendere lo specialty, perché le persone sono abituate a caffè differenti. Fortunatamente possiamo contare su di una clientela disposta a seguire la nostra filosofia perché si fida di noi.

Dal primo assaggio, un po’ strano, nasce la curiosità di ascoltare il nostro racconto. Così si allenano i palati e dopo i primi anni, quelli più duri, siamo arrivati ad oggi con dei clienti abituati alla nostra proposta, oltre ai turisti che vengono da noi direttamente.

Il nostro entry level è l’Every day de La Sosta, giusto equilibrio (Brasile e Guatemala) che abbiamo trovato con Simone. Tutti gli altri caffè vanno a rotazione con proposte ogni mese di diversi micro roaster sia italiani che europei.

Facciamo l’espresso in single e in double mentre tutti gli altri solo in double: un’opzione che sempre un po’ spaventa per la caffeina, ma che riusciamo a gestire entrando in gioco per primi a spiegare, partendo dall’Arabica e arrivando alla questione di gusto migliore.

L’espresso al momento lo vendiamo a un euro e cinquanta. Ovviamente quando lo abbiamo proposto è stato un po’ traumatico: eccezione fatta per chi è interessato di natura, per tutti gli altri c’è stato un periodo di assestamento per comprendere cosa giustificasse quel presso e ora non ci sono più problemi.

Abbiamo poi V60, un Aeropress che prepariamo espressamente. Ho imparato anche a padroneggiare queste estrazioni alternative e le preferisco al batch brew in Mokamaster, a costo di far attendere qualche minuto in più. Ora anche i cittadini di Domodossola si sono appassionati e lo richiedono. Abbiamo aggiunto per la stagione estiva il cold brew e cerchiamo di promuoverlo al posto del caffè freddo classico o shakerato. Ma devo dire che facciamo meno fatica rispetto al filtro caldo.”

Affogato al caffè specialty e tiramisù specialty: ce li raccontate nella loro realizzazione?

Da Sensolato, il gelato con specialty (foto concessa)

“Per il gelato al tiramisù, producendo noi stessi il pan di spagna, lo inzuppiamo direttamente nel nostro espresso Everyday. Abbiamo tentato anche la ricetta con le monorigini ma ad esempio nel gelato c’era bisogno di un caffè con la giusta intensità. In più la miscela è una referenza che ci consente di avere una maggiore costanza nel prodotto.
Stessa scelta è per l’affogato: l’Everyday è bilanciato e si amalgama bene con gli altri ingredienti. Un Etiopia risulterebbe troppo aromatico.”

La caffetteria aiuta la gelateria (di solito più stagionale) e viceversa, il gelato e i dolci aiutano a far quadrare i conti con lo specialty, prodotto più costoso?

“Assolutamente valgono entrambe le cose: è un connubio perfetto proprio perché il caffè aiuta nei periodi freddi a sopperire al calo di vendite del gelato e viceversa. Spingiamo tanto su un prodotto piuttosto che sull’altro a seconda delle stagioni: quindi Sensolato diventa più caffetteria durante i mesi freddi e più gelateria nella stagione calda. Poi cambia anche a seconda dei momenti della giornata: la colazione è dominata dal caffè, il pomeriggio e la sera funziona più il gelato.

Da aprile a settembre, apriamo alle 10 e chiudiamo alle 23. D’inverno dalle 8.30 alle 19.”

Che macchine avete scelto per Sensolato?

La macchina e il manifesto (foto concessa)

“Come macchina espresso una Victoria Arduino One. È stato uno dei primi modelli venduti. Per il macinacaffè un Anfim dedicato all’Everyday e il Malkhoenig per il filtro on demand.”

Quanti siete? Avreste bisogno di più persone e non ne trovate, soprattutto in alta stagione?

“Sono stata fortunatissima con i dipendenti: siamo io e l’altro titolare nel laboratorio produttivo e altri due ragazzi in sala. Da quando abbiamo aperto sono sempre loro e ne sono felice: io, Claudia dal principio e poi dopo il Covid si è inserita Francesca. Che sono perfettamente in grado di gestire la macchina espresso e il filtro. Abbiamo trasmesso loro la professione e la passione.”

Cosa vedete nel futuro di Sensolato?

“Aprire una torrefazione nostra. Al momento è tutta un’idea teorica, ma ci piacerebbe molto inserirla in futuro. Vorrei avere il nostro caffè Sensolato. Poi vorremmo anche organizzare dei momenti di incontro per workshop e degustazioni, così da investire meglio sulla comunicazione dello specialty.

Prima era difficile da fare con la pandemia, ma ora cercheremo di trovare il tempo e i modi di proporre anche questi scambi senza perdere di vista però la parte della gelateria e della caffetteria pura. Il locale è piccolino, con appena 4 tavolini dentro e il dehors, per cui le serate ci obbligherebbero a chiudere al pubblico. Però sicuramente è nei programmi futuri.”

Arianna Mingardi, Associazione Caffè Trieste, a sostegno di Trieste Coffee Experts di Bazzara: per l’8a edizione, il laboratorio Gli Stati Generali del Caffè

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Arianna Mingardi (foto concessa)
Arianna Mingardi (foto concessa)

TRIESTE – Arianna Mingardi, presidente dell’Associazione Caffè Trieste, sostiene l’ottava edizione del Trieste Coffee Experts firmato Bazzara, uno degli eventi di spicco nella cultura del chicco:  “L’Associazione Caffè Trieste è entusiasta di sostenere l’ottava edizione del Trieste Coffee Experts, un evento che ha il merito di riunire alcuni tra i più importanti protagonisti nel campo della divulgazione del caffè: leader di aziende di prestigio, formatori, specialisti e molto altro ancora”.

Arianna Mingardi per Trieste Coffee Experts

Mingardi precisa: “Viste le numerose richieste pervenute nel corso della passata manifestazione, la 7a edizione del 25/26 Novembre 2023, da parte di esperti, industrie, relatori e illustri ospiti, si è deciso, proprio in quei giorni, di inserire per l’8a edizione del Trieste Coffee Experts gli Stati Generali del Caffè: un’importantissima occasione di confronto, che assume un valore ancora più rilevante, dato lo scenario a dir poco caotico che sta avvolgendo l’intero comparto del caffè nazionale”.

C’è di più: “Sarà un’opportunità straordinaria per ritrovare una rotta comune e quelle certezze di cui, mai come ora, sentiamo il bisogno. Tramite la diretta streaming dell’evento, tutti avranno la possibilità di trovare risposte, capire di più e magari appassionarsi maggiormente a questo mondo. Grazie alle voci di importanti protagonisti del settore, gli Stati Generali rappresenteranno un laboratorio di idee, soprattutto, un punto di riferimento per fornire nuovo slancio agli attori della filiera”.

Mingardi aggiunge: “Tuttavia quella degli Stati Generali non rappresenta l’unica novità di questa nuova edizione: per la prima volta infatti il TCE sarà aperto al mondo delle torrefazioni. Il vasto comparto dei torrefattori italiani potrà prendere parte attivamente alla manifestazione, sia in qualità di pubblico che in qualità di sponsor, e di seguirla due giorni in streaming, con tanto di traduzione simultanea in lingua inglese per un pubblico internazionale.

In conclusione: “Invito quindi tutti a segnare in agenda le date 6 e 7 dicembre, giornate in cui si discuteranno temi di grande attualità e interesse per l’intera filiera caffeicola nella splendida cornice del Savoia Excelsior Palace di Trieste. Per chi fosse interessato ad un approfondimento e ai benefit delle sponsorizzazioni, è possibile scrivere a marketing@bazzara.it.”

Il Trieste Coffee Experts è un’iniziativa ideata dalla famiglia Bazzara con l’obiettivo di creare un evento in cui molti tra i Grandi del caffè italiano possano riunirsi, dialogare, confrontarsi e dare nuovo impulso a idee e innovazioni. Un appuntamento che si distingue dagli spazi fieristici e da altri contesti spesso caotici e dispersivi, offrendo invece un ambiente raccolto e costruttivo, con l’obiettivo quindi di fare rete a 360 gradi.

Trieste, la città del caffè, con l’Associazione Caffè Trieste e oltre 300 anni di storia, è la cornice ideale per ospitare questo evento. Il summit si svolgerà in una delle location più prestigiose della città: il Savoia Excelsior Palace – Starhotels Collezione. Negli anni, sul palco si sono alternati importanti relatori, che hanno condiviso idee innovative e soluzioni concrete, mentre prestigiosi sponsor hanno sempre dimostrato un grande sostegno all’iniziativa.

Il tema di quest’anno è di estrema attualità e di forte impatto: Coffee Megatrends, ovvero l’insieme dei fattori che influenzano e influenzeranno l’intero comparto nei prossimi anni.

All’interno del Trieste Coffee Experts troverà spazio anche un momento speciale: la premiazione del Personaggio del caffè dell’anno, un piccolo grande riconoscimento, a cui la famiglia Bazzara ha sempre tenuto in maniera particolare per dare lustro alle personalità che, con la loro passione e dedizione contribuiscono in modo significativo al mondo del caffè e che spesso non godono dell’attenzione che meriterebbero.

Torino presenta Epic, il nuovo albo degli esercizi di prossimità di interesse collettivo tra caffè storici e pasticcerie

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La Mole Antonelliana, simbolo di Torino (immagine: Pixabay)

A Torino 157 negozi saranno inseriti nel nuovo albo degli esercizi di prossimità di interesse collettivo (Epic). Tra le insegne ci saranno i caffè storici come San Carlo e Baratti e Milano. Queste attività non sono state scelte solo per il valore storico o culturale, ma anche per l’importanza nel tessuto del quartiere. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Paolo Coccorese per il quotidiano Il Corriere della Sera.

Il nuovo albo degli esercizi di prossimità di interesse collettivo di Torino

TORINO – Tra le insegne che saranno insignite della targa di negozio Epic, per citare l’acronimo che dà il nome al progetto di valorizzazione del commercio di vicinato, ci sono i caffè più famosi del centro — come San Carlo, Stratta, Baratti e Milano, Fiorio o Ghigo —, ma anche attività storiche meno conosciute, lontane dalle zone auliche e dai trend di Instagram. La pasticceria Sida di corso Regina è un esempio, alla pari della splendida sala da ballo Le Roi di via Stradella, l’enoteca Ferrero di corso De Gasperi e la passamanerìa Massia di via Barbaroux.

Sono solo alcuni dei 157 negozi che Comune, in intesa con Camera di Commercio, Sovrintendenza e associazioni di categoria, a seguito della scrematura delle autocandidature ad opera di una commissione ad hoc, ha inserito nel nuovo albo degli Esercizi di prossimità di interesse collettivo (Epic).

L’idea del registro dei negozi storici (e non) che contribuiscono a dare lustro alla città è stata lanciata nell’estate scorsa. Prima in Italia, Torino ha pensato a una piattaforma inserita nel ben più vasto piano “Torino compra vicino”.

“L’iniziativa nasce per dare un segnale forte e concreto in chiave di promozione e rilancio di un settore che da decenni patisce una situazione economica pesante”, spiega l’assessore al Commercio, Paolo Chiavarino, al Corriere della Sera.

A Torino ci sono circa 23mila attività di vicinato. E Palazzo Civico, stanco di dover far fronte alle polemiche per la perdita delle insegne più conosciute, ne ha individuate quasi un migliaio da segnalare non solo per il valore storico o culturale, ma anche per l’importanza nel tessuto del quartiere. Da qui l’idea di lanciare tre categorie all’interno dell’albo delle attività commerciali “epiche”: esercizi storici, con almeno 70 anni di storia, quelle tradizionali, con la saracinesca alzata da più di 40, e quelle “innovative e di eccellenza”, con in curriculum almeno un quinquennio di apertura e un lavoro riconosciuto per la prossimità, la sostenibilità e la qualità.

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Nel capoluogo piemontese, lo storico Panificio Papale si reinventa con gli specialty coffee

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La Mole Antonelliana, simbolo di Torino (immagine: Pixabay)

Il Panificio Papale è ben conosciuto dagli abitanti del quartiere San Salvario di Torino da più di un secolo. Ora gli spazi e l’offerta sono stati ripensati per guardare anche al futuro dai figli della nuova generazione. Una delle più interessanti innovazioni è stato il potenziamento della parte dedicata alla caffetteria, affidata alla consulenza di Alessio Simonetta. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Lavinia Martini per il portale d’informazione Cibo Today.

La storia del Panificio Papale

TORINO – C’è un forno storico che esiste da più di un secolo in zona San Salvario in città e vicino a Piazza Madama Cristina e al suo mercato. Si chiama Panificio Papale, anche se l’insegna esterna recita ancora le parole “Panificio Fratelli Ubertalle”, testimonianza della precedente gestione.

L’attuale famiglia, la Papale, ha rilevato il panificio negli Anni ’70, e oggi troviamo dietro il banco la nuova generazione, rappresentata da Gisella e suo fratello Roberto, che hanno dato un twist contemporaneo al locale, ripensandone l’architettura, ampliando un po’ l’offerta ma comunque conservando con cura l’eredità degli ultimi 50 anni, così come quella di tutte le decadi che sono venute prima.

Panificio Papale, già Fratelli Ubertalle. Il negozio del quartiere San Salvario

Il panificio realizza tutte le proposte di pane e panificati, lievitati e prodotti da forno che serve sul banco. Rosario Tota, padre di Gisella e di Roberto, ha origini pugliesi, viene da una famiglia di fornai che per generazioni ha fatto il pane a Torino. Sua moglie di origine campana, Giulietta, si occupava invece del negozio e della vendita. È proprio dal cognome di lei, Papale, che l’insegna ha preso il suo nome.

Le origini di Rosario hanno portato prodotti pugliesi sul banco, come cartellate a Natale o la torta sette sfoglie di Cerignola. Grazie a Giulietta troviamo invece le pastiere a Pasqua e altre ricette di influenza campana.

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Il ristorante Noma dello chef René Redzepi presenta il servizio di caffè delivery

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noma kaffe
Il cafè delivery Noma Kaffe (immagine presa dal sito Noma Projects)

Lo chef René Redzepi, celebre per la sua continua ricerca della perfezione e dell’innovazione, ha deciso di portare l’eccellenza del suo caffè direttamente nelle case degli appassionati della nera bevanda. Il caffè ha da sempre ricoperto un ruolo fondamentale al ristorante Noma e adesso, grazie al lancio di Noma Kaffe, chiunque potrà degustarlo. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su Reporter Gourmet.

Il caffè di Noma arriva direttamente a casa

MILANO – Noma Kaffe, secondo quanto riportato da La Vanguardia, funziona con un sistema di abbonamento che permette agli iscritti di ricevere mensilmente una selezione esclusiva di caffè. Oltre a due confezioni da 250 grammi di caffè, i clienti avranno accesso a materiali di approfondimento che raccontano le storie dietro ogni chicco, dai metodi di coltivazione alle tecniche di estrazione. Con un prezzo di 375 corone danesi (circa 50,70 euro al mese), più le spese di spedizione, gli abbonati potranno accedere a una vera esperienza sensoriale curata dal team di esperti del Noma.

Una selezione di chicchi esclusiva per un’esperienza unica

L’autenticità e l’eccellenza di Noma Kaffe risiedono nella rigorosa selezione delle materie prime. Il team, guidato dalla sommelier Carolyne Lane, collabora con piccoli produttori che praticano un’agricoltura sostenibile e rigenerativa. Ogni lotto di caffè viene scelto con cura per il suo profilo aromatico distintivo e con il rispetto delle pratiche agricole che promuovono la biodiversità e la sostenibilità ambientale.

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