domenica 09 Novembre 2025
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Angel Hair Chocolate: diventa virale il cioccolato con il pişmaniye, zucchero filato turco a 19 euro per 185 grammi

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La produzione di cioccolato (Pixabay License)

MILANO – L’universo della cioccolateria artigianale vive un momento di straordinaria trasformazione. Tra nuovi ingredienti, formati creativi e contaminazioni culturali, un nome spicca su tutti: Angel Hair Chocolate. Non si tratta solo di un nuovo prodotto virale sui social, ma di un simbolo perfetto delle tendenze che stanno rivoluzionando il settore dolciario a livello globale. Leggiamo di seguito l’approfondimento pubblicato sul portale di Sigep World.

Cos’è l’Angel Hair Chocolate?

Angel Hair Chocolate è una barretta di cioccolato artigianale ideata dal brand belga Tucho, noto per la sua estetica audace e l’approccio multisensoriale.

Questo prodotto è composto da uno strato esterno di cioccolato bianco, un cuore cremoso al pistacchio e un inserto sorprendente: il pişmaniye, una sorta di zucchero filato turco noto anche come “capelli d’angelo”. Il risultato è una barretta che non solo è visivamente accattivante, ma offre anche una texture leggera, soffice e al tempo stesso cremosa e croccante.

Un successo costruito sui social

Il lancio dell’Angel Hair Chocolate è avvenuto il 25 dicembre 2024. Nel giro di pochi giorni, il prodotto ha conquistato TikTok e Instagram, con milioni di visualizzazioni generate da food blogger e appassionati. Tra i contenuti più virali, spicca quello di Carmie Sellitto (@touchdalight), che ha definito la barretta “il miglior cioccolato mai assaggiato”.

Questa ondata di entusiasmo è stata tale da esaurire le scorte in tempi record, nonostante il prezzo elevato (19 euro per 185 grammi). La combinazione tra storytelling visivo, estetica instagrammabile e una proposta di gusto nuova ha trasformato l’Angel Hair Chocolate in un fenomeno globale.

Le linee sfumate tra categorie: il cioccolato si reinventa

Secondo il report The Future of Chocolate Confectionery 2025 di Mintel, uno dei trend più forti è proprio il superamento delle categorie tradizionali. L’Angel Hair Chocolate è un esempio perfetto di “blurred lines”: un prodotto che mescola dolci turchi, cioccolateria europea e la logica del dessert artigianale.

Questa contaminazione interculturale ha un duplice valore: da un lato risponde al desiderio dei consumatori di vivere esperienze gustative nuove e memorabili, dall’altro permette ai brand di posizionarsi su nuovi momenti di consumo, rompendo le regole tradizionali del cioccolato da supermercato.

Multisensorialità e design emozionale

Il successo dell’Angel Hair Chocolate si inserisce nel macrotrend del “next level of indulgence”, dove l’esperienza del gusto viene potenziata da texture complesse, colori vibranti e un’estetica curata nei minimi dettagli.

Tucho ha saputo sfruttare questo approccio con maestria: la barretta è visivamente spettacolare, al tatto leggera come una piuma, al gusto intensa e sorprendente. Questo tipo di prodotto diventa anche uno strumento di espressione personale, capace di coniugare piacere, estetica e condivisione digitale.

Non solo un prodotto, ma un nuovo paradigma

L’influenza di questo trend è già visibile: altri brand, come Lindt, hanno lanciato prodotti ispirati al “Dubai chocolate”, primo esempio virale di cioccolato ultra-indulgente. L’evoluzione rappresentata dalla barretta di Tucho dimostra che i social non sono solo vetrine, ma veri e propri laboratori di innovazione.

Angel Hair Chocolate si colloca nel crocevia di molteplici tendenze: la ricerca di prodotti plant-based e clean label, il ritorno al piacere edonistico, l’ibridazione culturale e il bisogno di esperienze condivisibili. In questo senso, è più di un cioccolato: è un nuovo linguaggio di consumo.

Angel Hair Chocolate non è semplicemente il nuovo Dubai chocolate. È il manifesto di una generazione che cerca emozione, estetica e senso anche nei piccoli piaceri quotidiani. Un prodotto che racchiude tutte le direttrici del futuro: sostenibilità, narrazione visiva, arte ed esperienzialità.

E mentre il mondo della cioccolateria guarda avanti, questa barretta dai “capelli d’angelo” ci ricorda che l’innovazione più potente nasce quando tradizione e creatività si fondono in qualcosa di davvero inaspettato.

New York: il cocktail bar Sip & Guzzle con un piano ispirato ad una nave da guerra giapponese entra nella top 5 del Nord America

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New York (immagine: Pixabay)

Il bar Sip & Guzzle si è aggiudicato il premio Disaronno Highest New Entry Award come newbie della classifica ed è diventato uno dei 5 migliori locali del Nord America. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Corey Fuller per il portale d’informazione Secret Nyc.

Il bar Sup & Guzzle di New York

NEW YORK – La scena dei bar e dei cocktail d’élite di New York è ormai ben consolidata, e un nuovo locale ha gettato il suo nome sul ring e ha fatto centro. Il cocktail bar Sip & Guzzle del Greenwich Village ha recentemente fatto notizia diventando uno dei 5 migliori bar del Nord America.

Circa un mese fa, è stata presentata la lista dei 50 migliori bar del Nord America, che ha descritto i migliori locali del continente in cui sorseggiare bevande artigianali e respirare un po’ di atmosfera.

Il locale messicano Superbueno si è aggiudicato il secondo posto anche quest’anno, il debutto di Sip & Guzzle al quinto posto è estremamente degno di nota e altrettanto meritevole.

Da quando ha aperto i battenti poco più di un anno fa (gennaio 2024), questo cocktail bar su due livelli ha attirato l’attenzione per l’influenza giapponese, i cocktail innovativi e il programma gastronomico di alto livello.

Gli ospiti possono scegliere tra l’area Guzzle al piano superiore, che richiama lo spirito vivace di un saloon newyorkese del 1860, e lo spazio Sip al piano inferiore, che sembra uno speakeasy più sofisticato e intimo ispirato alla vecchia Tokyo.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Massimo Zanetti Beverage Group chiude il 2024 con un fatturato di oltre 1 miliardo, -5% sul 2023

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massimo zanetti beverage group
Il logo del Massimo Zanetti Beverage Group

BOLOGNA – Massimo Zanetti Beverage Group ha concluso il 2024 con risultati interessanti. In particolare, l’azienda registra un fatturato di oltre 1 miliardo di euro, -5% rispetto al 2023. Ricordiamo che tutti i dati relativi devono essere approvati dal Consiglio di amministrazione entro la fine della giornata.

Il Gruppo presenta inoltre un Ebitda di 62 milioni di euro, +23%. La posizione finanziaria netta è di 350 milioni di euro, in linea con le previsioni, come riportato da Il Sole 24 Ore.

I risultati finanziari del Massimo Zanetti Beverage Group

Massimo Zanetti Beverage Group ha dimostrato grande resilienza, considerando il delicato contesto dell’industria del caffè con l’aumento dei costi delle materie prime a livelli record.

Lo scorso anno, ricordiamo, il fondo QuattroR è entrato nel Gruppo grazie a un’operazione da 100 milioni di euro (ne abbiamo parlato qui).

Per quanto riguarda i primi quattro mesi del 2025, riporta Il Sole 24 Ore, il Gruppo mostra già risultati interessanti: i ricavi sono cresciuti del 18% rispetto all’anno precedente e l’Ebitda ha superato le aspettative del 20%.

Il debito netto è di 355 milioni di euro. Per l’intero anno, il Gruppo prevede, come menzionato da Il Sole 24 Ore, un fatturato di 1,2 miliardi di euro.

Il Gruppo possiede 24 stabilimenti di torrefazione in tutto il mondo e un organico di 4500 dipendenti. L’Italia, sempre come riportato da Il Sole 24 Ore, rappresenta il 10% del fatturato, mentre il mercato statunitense ne copre il 40%.

Il futuro dell’azienda? È in Asia, secondo Pierluigi Tosato, ceo del Gruppo, su Il Sole 24 Ore. L’ultima apertura del Gruppo è stata infatti a Giacarta, in Indonesia.

Tosato ha aggiunto che la volontà è quella di rilanciare il marchio Segafredo. Il Gruppo si conferma un’azienda globale che vende in 100 paesi e in tutti e cinque i continenti, ha affermato Tosato.

Edy Bieker spiega bene cosa sono i caffè tracciabili: “L’invenzione di Vinko Sandalj ancora funziona”

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Edy Bieker
Edy Bieker

MILANO – Edy Bieker è un nome che ancora si fa sentire nel settore del caffè: dopo aver svolto per trentatré anni, due mesi e tre giorni prima il ruolo di responsabile del controllo qualità e poi di vicepresidente della storica azienda triestina importatrice di caffè crudo Sandalj Trading Company SpA, ora torna su queste pagine per raccontare un concetto parallelo allo specialty coffee, ovvero quello dei caffè tracciabili.

Bieker: cosa sono questi caffè tracciabili, come e quando è nata questa definizione?

“Innanzitutto quella dei caffè tracciabili è un’invenzione di Vinko Sandalj, che è stato per tanti versi un precursore visionario e, sicuramente, un pioniere del settore.

Fatta questa premessa, torniamo alla domanda: come nasce la definizione di caffè tracciabili? Attorno al 2005-2006, quando Vinko era attivo e con incarichi importanti all’interno di quelle che allora erano SCAE e SCAA, ancora il sistema dei punteggi per valutare gli specialty non era ben codificato e anzi, tutto appariva piuttosto fumoso. Così, ad un certo punto, considerato che in laboratorio davamo sempre la priorità al valore organolettico del caffè più che alla tracciabilità, è spuntata l’idea: creiamo la categoria dei caffè tracciabili.

Dei caffè che certo, in primis, dovevano essere di qualità superiore rispetto a quelli che si trovavano diffusamente sul mercato, ma che ponevano l’accento anche su altri elementi relativi a informazioni non solo organolettiche.

Non è stato facile: all’epoca i Paesi produttori erano assai poco attrezzati e ricevere informazioni utili a tracciare il crudo spesso era irrealistico, con dati poco attendibili, addirittura con nomi di località geografiche diverse da quelle effettive.

Non c’erano neppure indicazioni chiare sull’anno di produzione o sui sistemi di coltivazione e di processo. Per questo abbiamo dovuto sviluppare una nostra scheda relativa alla tracciabilità, che giravamo ai produttori per la compilazione.

Tramite il questionario domandavamo ai farmer di indicare diversi parametri, come l’altitudine, i metodi di raccolta e di lavorazione, alcune notizie relative ai produttori stessi e alla zona geografica di riferimento, ecc..

Se non riuscivamo a ottenere dei dati completi e rappresentativi di ciò che il campione doveva riportare in tazza, nonché le relative informazioni di filiera, non si concludeva l’acquisto o, semplicemente, l’eventuale acquisizione non entrava nella categoria dei caffè tracciabili.”

“La Sandalj non ha fatto altro che muoversi all’interno di un filone mondiale che spingeva per avere notizie più precise su questi aspetti.”

“Per creare una rete solida di produttori che fornissero informazioni realistiche, abbiamo impiegato parecchi anni. Molti produttori hanno tentato di cavalcare questa occasione per ottenere un prezzo migliore, senza però offrire un prodotto qualitativamente superiore. Oppure, un altro problema, era quello di conoscere le reali varietali presenti all’interno di un lotto di caffè.

Negli anni, per fortuna, si è verificato poi il fenomeno inverso e sono stati direttamente i produttori, anche con l’aiuto di internet, ad entrare in contatto con noi per proporci la loro materia prima con informazioni attendibili e, soprattutto, verificabili.”

Bieker, si potrebbe dire che molti preferiscono caffè tracciabili al posto del termine specialty coffee, come mai?

“Ci sono varie spiegazioni e problematiche da vagliare a tal proposito, soprattutto per quanto riguarda il mercato italiano; all’epoca in cui sono stati stabiliti i punteggi come valutazione del caffè crudo, gli assaggi venivano svolti teoricamente da un gruppo selezionato di assaggiatori (Q Grader) autorizzati da un ente specifico (CQI) e veniva giudicata la campionatura di uno specifico lotto di caffè crudo proposto direttamente dal produttore.

Tutto questo è nato per aiutare i coltivatori e dare il giusto valore alla loro materia prima. Valore che veniva stabilito sul campione consegnato dal produttore e che veniva prima valutato sul crudo per poi essere assaggiato in cupping. Succedeva poi che lo stesso caffè giungesse nei Paesi di consumo o in Italia, a distanza di mesi, magari dopo essere rimasto stoccato per tanto tempo in magazzino in condizioni non troppo favorevoli e, quando arrivava nelle mani del torrefattore, poteva esser stato soggetto al depauperamento della sua qualità originaria.

Per non parlare delle criticità successive legate alla conservazione non solo del caffè crudo, ma anche del tostato e, infine, delle problematiche inerenti alla sua trasformazione in una bevanda.

La tazza, in particolare l’espresso che presenta delle complessità maggiori e importanti sia per la poca bevanda estratta, sia per la concentrazione aromatica che ne risulta, poteva risultare così totalmente diversa rispetto a quella che era stata descritta nell’assaggio iniziale.

Al tempo i torrefattori non potevano usare il termine specialty sulle loro confezioni in quanto solo il lotto iniziale di crudo proposto dai produttori poteva fregiarsi con questo titolo, dopo il controllo effettuato dai Q Grader incaricati; anche se spesso lo applicavano comunque. Definirli invece come caffè tracciabili, dava modo di sottolineare un valore più elevato rispetto ai normali prodotti commerciali, descrivendo una tazza differente da far gustare al consumatore finale, arricchendo contemporaneamente il piacere del bere il caffè con notizie di filiera relative alla bevanda stessa.

Il termine “tracciabili” poteva rappresentare pure dei caffè che non avevano i criteri per essere definiti specialty in quanto non sottoposti alla relativa valutazione, magari per il costo che comportava, ma che però avevano un valore organolettico notevole.”

Da non dimenticare infine che la nostra valutazione avveniva, e avviene tuttora, sul campione di sbarco del caffè arrivato in Italia.”

“Ora con il nuovo CVA della SCA si sta sempre più ridimensionando il semplice sistema di punteggio e molto spazio trova proprio l’aspetto della tracciabilità e della descrizione”

“La tracciabilità e la sua trasparenza è sempre stata un punto importante per conoscere la filiera di un prodotto.

Quando sono state create le schede qualitative per l’espresso nella nostra azienda, ho notato che in effetti il punteggio dava solo un’idea generica, senza essere molto discriminante e indicativo: sui caffè particolarmente buoni, ci siamo resi conto che i punteggi (espressi in decimi) non potevano descrivere adeguatamente tutti quei chicchi che valutavamo al di sopra di un certo punteggio di eccellenza (ad esempio gli otto decimi).

Per fornire un’analisi più completa, abbiamo cercato di produrre delle schede che fossero semplici da comprendere e che non si dilungassero eccessivamente nelle descrizioni, ma evidenziassero le diverse caratteristiche e sfumature principali di ogni caffè assaggiato: questo per far capire a chi le leggeva verso quali elementi olfattivi e gustativi si stava approcciando.

Dare un voto quindi può essere utile, ma spesso non aiuta a comprendere bene cosa rappresenti quel valore numerico. Si può descrivere la materia prima anche sul piano della tracciabilità, intesa come la storia, il luogo geografico, il suolo, gli alberi presenti o meno, ecc. E non soltanto basandosi sulle percezioni organolettiche presenti in una tazzina di espresso. Questo permette di identificare meglio le caratteristiche di ciò che si ha davanti e di orientarsi meglio rispetto ai propri obiettivi commerciali.

Il cliente, torrefattore, barista o consumatore finale che sia, potrà scegliere cosa acquistare non solo in base al prezzo, ma pensando alle caratteristiche percepibili dal punto di vista organolettico, capendo anche a quale di queste dare priorità, oppure, nel caso di un torrefattore, se sfruttare meglio il verde in monorigine piuttosto che in una miscela.

Consideriamo poi che i singoli lotti che rappresentano un’unica varietà, sono spesso pochi rispetto a quelli che vengono miscelati già in origine in crudo. Uno dei principali compiti da parte degli assaggiatori nei Paesi produttori, all’interno delle stesse cooperative o delle singole aziende familiari, è far sì che i vari caffè prodotti utilizzando varietali diverse, una volta miscelate in maniera sapiente, possano fornire un sapore costante nel tempo.

Collegato a questo, ci siamo dovuti confrontare con un altro effetto collaterale dato dall’ingresso degli specialty coffee: se prima capitava che all’interno di determinate nostre linee di crudo dall’origine potessimo contare sulla presenza di qualche lotto che, miscelato con altri, conferiva al prodotto finale una particolare aromaticità o caratteristica, spesso quello stesso lotticino veniva classificato e dirottato sul mercato degli specialty. Si, determinava così un conseguente calo della qualità di quello che era in precedenza il nostro prodotto iniziale e non era chiaro se il singolo produttore riusciva effettivamente ad avere la soddisfazione monetaria che aveva sognato di avere.

Quindi, se da una parte gli specialty hanno rappresentato un’opportunità per i farmer, premiati per la loro qualità, dall’altra hanno avuto degli effetti collaterali sul mercato dei caffè commerciali, spesso impoverendoli qualitativamente.

Come importatori attenti, ci siamo accorti di questo fenomeno e il laboratorio, creato a supporto della qualità, è stato all’avanguardia da questo punto di vista. Per noi è sempre stato più importante classificare il crudo sul piano organolettico per l’espresso (e non solo), che pensare ai prezzi bassi, proprio per supportare sia i produttori, sia anche i torrefattori e, di conseguenza i consumatori finali, cercando di avviarli verso un consumo qualitativo migliore e consapevole.

Quindi la differenziazione creata a suo tempi e gestita in maniera estremamente attenta dal laboratorio Sandalj ha dato un valore a dei caffè che non avevano qualificazioni derivate dai punteggi SCA, ma che erano comunque di qualità molto elevata, accompagnandoli con delle ulteriori notizie di tracciabilità relative al lotto stesso.

Per questo sono una soluzione che continua ad esistere ancora oggi, con una buona partecipazione di coltivatori che vogliono svolgere un ottimo lavoro senza dovere o potere passare per determinate dinamiche di certificazione.”

E i caffè tracciabili possono essere la risposta anche all’imminente regolamentazione EUDR?

Bieker: “La tracciabilità è nata per avere notizie sulla piantagione, sulla coltura, la filiera iniziale e tutto ciò che si riferisce al caffè di un singolo lotto. L’EUDR rischia di rappresentare un grosso problema per i tantissimi produttori che sembrano non essere ancora pronti, nonché per gli importatori europei a causa dei rischi e costi che potrebbe crearsi. Se a questo aggiungiamo anche il fatto che molti Paesi importatori hanno pochi stimoli ad applicare un vincolo di questo genere, è evidente che si prospettano delle notevoli ripercussioni commerciali.

Con l’EUDR dovremmo confrontarci con una politica perseguita dall’Europa, ma bypassata da altri Paesi.

Mi auguro non succeda come è già accaduto per il grano. Quando l’UE ha impedito l’uso del glifosato nelle coltivazioni di grano, molti piccoli produttori, come quelli italiani della Puglia, sono stati obbligati a investire molto denaro per adeguarsi alle nuove, giuste, disposizioni. Le autorità europee non hanno tuttavia proibito l’importazione di grano importato da paesi non UE, coltivato utilizzando il glifosato. Ovviamente il prezzo era, e credo lo sia ancora, molto più basso, con conseguente notevole danno dei nostri piccoli produttori che non sono riusciti a far quadrare i bilanci, soccombendo alla situazione.

Quindi sì, l’EUDR è giusto ed etico, a patto che sia gestito a livello globale. Non vorrei si trovassero degli escamotage per far arrivare dei caffè in maniera anomala, non verificabile. Della serie: chi controlla i controllori? Spero di sbagliarmi ma, nell’attuale situazione di mercato, tutti guardano al prezzo e ai costi con molta attenzione e perplessità per il futuro. Il timore è che, con l’entrata in vigore della regolamentazione, la situazione globale possa peggiorare.

La deforestazione è basilare per il Pianeta, ma deve essere un discorso portato avanti da tutti indistintamente, non solo da pochi Paesi.”

Cimbali Group lancia MUMAC Summer Camp: creatività, cultura e attenzione al territorio a misura di bambino

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Il programma completo (immagine concessa)

BINASCO (Milano) – Cimbali Group presenta il primo MUMAC Summer Camp, un’iniziativa educativa e creativa rivolta alle bambine e bambini che frequentano la scuola primaria, sviluppata in collaborazione con Sofia Società Cooperativa Sociale. Il campus estivo si terrà presso il MUMAC – Museo della macchina per caffè di Cimbali Group, confermando il profondo legame dell’azienda con il territorio di Binasco e la propria tradizione legata alla cultura del caffè.

Il primo MUMAC Summer Camp

L’iniziativa, proposta per la prima volta in via sperimentale, coprirà due periodi (dal 9 al 13 giugno e dal 1 al 5 settembre). L’offerta educativa include giornate ricche di attività pensate per favorire la crescita culturale e creativa dei più piccoli, oltre a fornire un concreto sostegno alle esigenze quotidiane delle famiglie.

La giornata tipo prevede un’accoglienza pre-campus dalle 7.45 alle 9.00, attività laboratoriali la mattina, pausa pranzo con lunch box incluso (personalizzabile per eventuali allergie) e servizio post-campus fino alle 18.30.

Tra le attività proposte spiccano laboratori creativi dedicati al fumetto, alla musica e ai pop-up books, nonché uno spazio per i compiti estivi.

Un aspetto unico del MUMAC Summer Camp sono le due visite museali personalizzate previste in ogni settimana di Camp: non solo al MUMAC che ospita il progetto, ma anche presso l’adiacente Museo Kartell, che ha accolto con entusiasmo l’iniziativa. Alle speciali visite seguiranno laboratori tematici mirati a far scoprire ai partecipanti sia il mondo affascinante del caffè dai paesi d’origine fino a noi e sia quello del design degli oggetti di uso quotidiano.

Il campus, dedicato in primo luogo ai dipendenti Cimbali Group, nasce con l’obiettivo di offrire un supporto alle difficoltà organizzative che le famiglie si trovano ad affrontare nei mesi estivi, si apre poi anche al territorio inserendosi all’interno di un più ampio progetto di responsabilità sociale d’impresa, volto a valorizzare il territorio e a sostenere la comunità attraverso un contributo di partecipazione calmierato di soli 90 euro a settimana per i partecipanti esterni.

Paolo Filippi, P&O Group Director: “In Cimbali Group mettiamo le persone al centro di ogni nostra azione. Ogni giorno ci impegniamo a costruire un ambiente di lavoro inclusivo e collaborativo, fondato sul rispetto reciproco, sulla valorizzazione delle individualità e su un modello di leadership responsabile. Nel 2023 abbiamo introdotto la nostra prima People Policy di Gruppo, uno strumento condiviso tra tutte le nostre società, pensato per consolidare una cultura aziendale comune”.

Filippi aggiunge: “Tra i suoi principi fondanti, il quarto è dedicato a “Genitorialità, cura e conciliazione”, con l’obiettivo di promuovere la qualità della vita aziendale e favorire l’equilibrio tra sfera lavorativa e privata, incentivando iniziative che supportino la genitorialità a tutto tondo. Il Summer Camp dedicato ai figli dei nostri dipendenti è un esempio concreto di questo impegno”.

“Un progetto che rende MUMAC un museo d’impresa sempre più “per tutti”, con un’iniziativa che esprime appieno i valori della cultura, della creatività e della valorizzazione del territorio, pilastri fondamentali della Cultural Corporate Responsibility dell’azienda. Questa prima edizione pilota del campus getta le basi per un ulteriore sviluppo dell’offerta educativa a beneficio dei figli dei dipendenti e della comunità locale, arricchendo le proposte estive già presenti sul territorio con un’attività nuova e coinvolgente.” sostiene Barbara Foglia, MUMAC Director.

È possibile richiedere la disponibilità di posti fino al 3 giugno scrivendo a mumac@cimbaligroup.com.

La scheda sintetica di Cimbali Group

Cimbali Group è tra i principali produttori di macchine professionali per caffè e bevande a base di latte e di attrezzature dedicate alla caffetteria. Il Gruppo, di cui fanno parte i brand La Cimbali, Faema, Slayer e Casadio, opera attraverso tre stabilimenti produttivi in Italia e uno negli Stati Uniti (a Seattle, dove vengono prodotte le macchine a marchio Slayer), impiegando complessivamente oltre 800 addetti.

L’impegno del Gruppo per la diffusione della cultura del caffè espresso e per la valorizzazione del territorio si è concretizzato nel 2012 con la fondazione del MUMAC – Museo della Macchina per Caffè, la prima e più grande esposizione permanente dedicata alla storia, al mondo e alla cultura delle macchine per il caffè espresso situata all’interno dell’headquarter di Cimbali Group a Binasco. MUMAC ospita MUMAC Academy, l’accademia della macchina per caffè di Cimbali Group, centro di formazione, divulgazione e ricerca.

La scheda sintetica di MUMAC – Museo della macchina per caffè di Cimbali Group

Nato nel 2012 in occasione del centenario della fondazione dell’impresa da parte di Giuseppe Cimbali a Milano, il museo, grazie alle collezioni Cimbali e Maltoni, è la più grande esposizione permanente dedicata alla storia, al mondo e alla cultura delle macchine professionali per il caffè espresso; con oltre 100 pezzi esposti all’interno dell’headquarter di Cimbali Group situato a Binasco (Milano) racconta più di 100 anni di storia e dell’evoluzione di un intero settore del Made in Italy, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche del design e dello stile dei prodotti e dei costumi legati al consumo della bevanda.

Oltre alle macchine esposte, MUMAC è dotato di altri 250 pezzi a disposizione per rotazioni all’interno del museo o prestiti worldwide, di un fondo librario con circa 1.300 volumi tematici e di un archivio con decine di migliaia di documenti tra foto, brevetti, lettere, cataloghi, utili a ricostruire la storia della macchina per caffè espresso.

MUMAC produce contenuti culturali originali quali mostre, tavole rotonde e volumi divulgativi (tra cui il libro SENSO ESPRESSO. Coffee. Style. Emotions), organizza iniziative educational dedicate a scuole, università e famiglie e, attraverso MUMAC Academy, propone corsi rivolti ai professionisti del settore e ai coffee lovers.

Nuovo studio suggerisce che il decaffeinato può riprodurre alcuni dei benefici propri del caffè con caffeina, grazie alla percezione e all’aspettativa

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La struttura della caffeina (immagine: Wikimedia Commons)

MILANO – E se la botta di energia che ricaviamo da una tazza di caffè non dipendesse soltanto dalla caffeina e fosse legata anche alla valenza rituale del consumo quotidiano di questa bevanda? Effetto placebo, contro gli effetti psicotropi della caffeina, da tempo accertati dalla scienza.

Questa l’interessante tesi sostenuta – con l’immancabile beneficio d’inventario – da uno studio pubblicato su Helion da un team di ricerca della Facoltà di scienze dell’informazione (Fis) di Novo Mesto (Slovenia) descritto in una articolo di Psypost.

In un esperimento in doppio cieco, placebo-controllato, che ha coinvolto consumatori abituali di caffè, i ricercatori hanno constatato come bere caffè decaffeinato possa produrre – né più, né meno – molti degli effetti psicologici e cognitivi derivanti dall’assunzione di caffè con caffeina.

Miliardi di persone bevono quotidianamente caffè per i benefici che questa bevanda apporta, in termini di maggiore attenzione, concentrazione e prontezza ad affrontare la giornata. Benefici tipicamente attribuiti alla caffeina.

Ma alcuni ricercatori osservano che potrebbero incidere anche altri elementi quali: il profumo, il gusto e, addirittura, l’aspettativa del caffè

“Volevamo comprendere cosa attiva veramente gli effetti fisici e mentali che la gente associa al caffè, soprattutto nei consumatori regolari” spiega Mateja Lesar, assistente di ricerca presso Fis.

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Goglio vince il premio Best Packaging 2025 a Ipack-Ima con Fres-co System+

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La premiazione (immagine concessa)

MILANO – Goglio – realtà di riferimento a livello globale nel settore del packaging flessibile – vince il Best Packaging 2025, il premio promosso dall’Istituto italiano imballaggio che da oltre sessant’anni celebra le eccellenze del packaging italiano. Il riconoscimento è stato conferito in occasione di Ipack-Ima 2025, a conferma dell’impegno del Gruppo nell’innovazione sostenibile e nella digitalizzazione dei processi produttivi.

Goglio riceve il premio Best Packaging 2025

Protagonista è Fres-co System+, la soluzione integrata in grado di mettere in relazione materiali e linee di confezionamento per l’ottimizzazione dei parametri di lavorazione grazie alla piattaforma IIoT Goglio MIND.

Il cuore del sistema è il codice univoco inciso sull’anima della bobina, che consente la tracciabilità completa del laminato e lo mette in comunicazione diretta con la linea di confezionamento. Un’innovazione che migliora l’efficienza dell’intero ciclo produttivo.

Il premio conferma la centralità dell’approccio integrato di Goglio, che collega materiali, macchine e dati per accompagnare i propri clienti verso una produzione più sostenibile, efficiente e digitale.

Un risultato che rafforza ulteriormente la presenza del Gruppo tra i protagonisti dell’edizione di Ipack-Ima 2025, dove Goglio è presente sia con il proprio stand (Pad. 7 – A28) sia all’interno delle Smart Factory (Pad. 7 – C106 e Pad. 1 – C135), con due linee di confezionamento all’avanguardia.

 La scheda sintetica del Gruppo Goglio

Goglio S.p.A è uno dei principali player mondiali nel packaging flessibile. Fondato nel 1850, il Gruppo progetta, sviluppa e realizza sistemi completi per l’imballaggio fornendo laminati flessibili alta barriera, valvole, macchine e servizi avanzati per ogni esigenza di confezionamento, che trovano applicazione in molteplici settori industriali: caffè, alimentare, chimica, cosmetica, detergenza, beverage e pet food.

Il gruppo, che ha un raggio d’azione mondiale, è presente con stabilimenti produttivi in Italia, Olanda, Stati Uniti, Cina e Brasile, e uffici commerciali dislocati in vari paesi europei, in Sud America e nel sud-est asiatico. Ulteriori informazioni sono disponibili qui.

HostMilano sbarca in Arabia Saudita con il progetto Arabia, il 15-17/12 a Horeca Riyadh

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Il logo di Host Milano

DUBAI – Un nuovo mercato in pieno fermento, un’economia che investe miliardi nel turismo e nell’accoglienza, e un’occasione imperdibile per le aziende che vogliono internazionalizzare. Da queste opportunità nasce Host Arabia, momento di networking organizzato da Fiera Milano in partnership con Semark, che porterà il format vincente di HostMilano direttamente a Riyadh, nel cuore della Vision 2030 saudita.

Host Milano in Arabia Saudita

Per ottimizzare le agende di aziende e operatori, l’appuntamento si terrà dal 15 al 17 dicembre 2025 presso il Riyadh Front Exhibition & Conference Center, in concomitanza con la 14.ma edizione di Saudi HORECA Riyadh, la principale fiera dell’hospitality del Paese. Un’alleanza strategica per creare una piattaforma fieristica integrata, capace di attrarre buyer qualificati da tutta l’area del Golfo e offrire alle aziende italiane e internazionali un accesso diretto a uno dei mercati oggi più dinamici al mondo.

I numeri parlano chiaro: il solo mercato della ristorazione in Arabia Saudita è destinato a superare i 600 milioni di euro entro il 2027, con una crescita media del 35% tra il 2025 e il 2032. L’intero comparto food & beverage vale oltre 45 miliardi di dollari, mentre nel settore dell’hospitality sono previsti oltre 800 miliardi di dollari di investimenti, con l’obiettivo di accogliere 150 milioni di turisti nei prossimi anni e creare oltre 320 mila nuove camere d’albergo. Una rivoluzione infrastrutturale e culturale che trasforma la Penisola Arabica in un territorio fertile per chi opera nella ristorazione, nel foodservice e nell’ospitalità professionale.

Host Arabia offrirà visibilità e networking a espositori selezionati nei comparti core di HostMilano: dalla ristorazione al caffè, dalla panificazione al gelato, fino all’arredo, al design e al vending.

Un’occasione concreta per incontrare buyer, distributori, progettisti, chef e operatori locali, in un contesto fieristico che unisce il know-how internazionale di Fiera Milano alla profonda conoscenza del territorio apportata dal partner Semark.

Non una semplice replica, quindi, ma un’estensione strategica del brand Host, capace di valorizzare l’eccellenza del made in Italy e delle migliori tecnologie per il fuori casa nel cuore di una regione in espansione. Host Arabia è già realtà: per scoprirlo in anteprima basta visitare il nuovo sito. E, per le aziende che vogliono guardare al futuro, il momento di agire è adesso.

Blockchain e caffè: dall’Istituto sistemi informativi arriva l’integrazione della Self-Sovereign Identity

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Chicchi di caffè tostato (Image by Couleur from Pixabay)

È in via di sviluppo una piattaforma blockchain per aumentare l’equità, la sostenibilità e la fiducia della filiera del caffè. Grazie a strumenti innovativi come Self-Sovereign Identity e Smart Contract, sarà possibile garantire la tracciabilità del prodotto e assicurare una distribuzione più equa del valore tra produttori e consumatori.

Il progetto è portato avanti dal team di ricerca in Blockchain dell’ Istituto sistemi informativi e networking (ISIN) , in collaborazione con l’azienda Alcomex SA e con il sostegno di Innosuisse. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Supsi.

Il futuro della tecnologia blockchain nel caffè

MILANO –  Che sia gustato al bancone di un bar o con lo sbuffo della moka in sottofondo, il caffè è molto più di una semplice bevanda: è un rituale quotidiano che unisce aromi, culture e tradizioni. Con oltre due miliardi di tazze consumate al giorno, rappresenta anche il risultato di una filiera lunga e complessa, ma ancora poco conosciuta.

L’industria del caffè è infatti tra le più articolate al mondo, con una catena del valore che si estende dalla coltivazione nei paesi tropicali – in America Latina, Africa e Asia – fino alla sua distribuzione e al consumo, concentrati principalmente in Europa e negli Stati Uniti. Uno squilibrio geografico tra poli di produzione e di consumo che genera intrecci commerciali articolati e solleva questioni sul piano etico, ambientale e socio-economico.

In questo contesto, il team di ricerca in Blockchain dell’ Istituto sistemi informativi e networking (ISIN) , in collaborazione con l’azienda Alcomex SA e con il sostegno di Innosuisse , sta sviluppando un sistema blockchain innovativo per il commercio internazionale del caffè.

Il progetto Self Sovereign decentralized architecture applied to International Coffee Trading affronta tre problematiche chiave: la mancanza di fiducia tra gli attori della filiera, dovuta a scarsa trasparenza e cooperazione, l’eccesso di burocrazia e l’assenza di dati chiari e condivisi.

Oggi, la filiera di produzione del caffè è fortemente condizionata dalla presenza di intermediari commerciali, broker che gestiscono le trattative tra esportatori e importatori. Questi, sfruttando un accesso privilegiato alle informazioni, aumentano spesso i propri margini a scapito dei produttori.

“Attraverso le tecnologie Web3, vogliamo fornire informazioni affidabili e creare un ecosistema basato su fiducia, trasparenza e sicurezza tra tutti gli attori della filiera” spiegano Giuliano Gremlich e Tommaso Agnola , ricercatore e collaboratore scientifico ISIN, al portale My Science. “L’obiettivo è favorire connessioni dirette tra produttori e acquirenti, migliorando l’efficienza e promuovendo un sistema più equo e sostenibile”.

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