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In questo articolo, Gianluigi Goi, studioso e nostro affezionato lettore, racconta una storia che profuma di futuro e di terra siciliana: la nascita dell’arboricoltura caffeicola in Italia, con la Sicilia come protagonista assoluta.
Partendo da un importante momento di confronto scientifico e divulgativo, l’autore accompagna il lettore alla scoperta di sperimentazioni, visioni e progetti concreti che stanno dando forma a una nuova frontiera agricola. Un percorso fatto di innovazione, sostenibilità e identità territoriale. Leggiamo in seguito le sue parole.
Facciamo il tifo per la Sicilia, auspicata prossima Sicilia Cafearia Italica Tellus©
di Gialuigi Goi
SICILIA – L’arboricoltura caffeicola italiana il 18 novembre scorso ha vissuto una giornata se non storica di certo molto importante, in qualche modo fondativa.
In occasione del webinar “Colture alternative: nuove sfide e opportunità per l’agricoltura” – caratterizzato, hanno sottolineato a posteriori i promotori (l’ISMEA nell’ambito della Rete PAC all’ombra del patrocinio della storica Accademia dei Georgofili) da “un’affluenza straordinaria” – è stata ufficialmente presentata, come si suol dire in pompa magna e in ogni caso ad un pubblico molto qualificato ed interessato alle innovazioni agricole e probabilmente per la prima volta in un ambito largo e non circoscritto di addetti ai lavori un poco carbonari sia per necessità che virtù, la relazione di Adriano Cafiso: “Coltivare il caffè in Sicilia: dalla sperimentazione alla nuova frontiera agricola”.
La Sicilia: una realtà destinata a prendere corpo
Come dire, sottolinea chi scrive, che ormai la coltivazione del caffè in Sicilia non è solo una speranza ma una realtà che, per quanto di nicchia, è destinata in tempi ragionevolmente brevi a prendere corpo. Una notizia importante, non solo per l’iconica bellissima Sicilia che in un dopodomani piuttosto prossimo potrebbe abbinare alla storica definizione di Enotria Tellus (per il vino) quella, assolutamente innovativa, di “ Sicilia Cafearia Italica Tellus” che proponiamo per il caffè.
Stante la novità della trattazione e la complessità della tematica sottostante che esula dalle competenze di una seppur attenta cronaca giornalistica quale è questa, seguiremo lo schema utilizzato dal relatore aggiungendo qua e là alcune considerazioni personali ed anche alcune aggiunte attinte dalle risorse dell’IA (tutte chiaramente segnalate) nei giorni precedenti la pubblicazione di questo articolo.
La Finca Balistrieri: un laboratorio unico in Italia
Necessariamente si parte dal titolo, un poco criptico per chi non abbia grande dimestichezza con la filiera del caffè, di chiara impronta sudamericana (ma fa anche un po’ soap opera): “La Finca Balistrieri: un laboratorio unico in Italia”.
Il relatore Adriano Cafiso – ragusano, personaggio di molte e variegate esperienze internazionali e competenze caffeicole che applica con passione in Sicilia – nell’occasione è intervenuto via web dalla capitale dell’Etiopia Addis Abeba, patria primigenia del caffè, gemellando, per così dire, l’antico che più antico non si può con la tecnologia informativa più attuale. Forse un segnale, di certo un auspicio, per il lancio a breve termine del caffè “mediterraneo” made in Sicilia.
Coffee Farm
La Finca Balistrieri, che ci permettiamo di appellare più semplicemente Coffee Farm, fondata una ventina di anni fa da Giovanni Balistrieri e oggi diretta dal relatore Adriano Cafiso, è passata dalle 60 piante di caffè iniziali alle attuali 600 coltivate in 4 serre che insistono su 1 ettaro di terreno. Le varietà coltivate, tutte di Arabica, sono le seguenti: Bourbon Rosso e Giallo, Typica, Catimor, Pacamara, Gesha.
Il contesto territoriale produttivo – è un aspetto molto importante da considerare tanto sotto il profilo agronomico che economico – si caratterizza per la presenza di migliaia di serre dismesse da orticoltura intensiva che presentano suoli impoveriti e strutture abbandonate mentre il cambiamento climatico promuove, positivamente in questo caso, “condizioni microclimatiche miti”: di qui la visione imprenditoriale, con relativa scommessa, di “trasformare un territorio in crisi in un laboratorio di innovazione agricola”.
L’innovazione agronomica proposta, che si poggia sulla coltivazione protetta in serra, prevede la coltivazione con impianto a filari; ombreggiature estive a mezzo di reti; consociazione con leguminose; “zero pesticidi/insetticidi”, lotta biologica con utilizzo di insetti antagonisti; “concimazione minerale e irrigazione a goccia”. Ovviamente fondamentale l’irrigazione, anche per specifiche ragioni climatiche ed ambientali regionali, che trovano conforto e mitigazione nella riconosciuta professionalità della società Irritec Spa (Rocca di Caprileone – ME) realtà siciliana di comprovata competenza e reputazione internazionale.
Biodiversità e policoltura
Gli aspetti più propriamente agronomici – si tratta pur sempre di illustrare come e cosa fare per poter coltivare piante di caffè con produzioni certo di nicchia ma a livello professionale – sono evidenziati dall’espressione “biodiversità e policoltura” espressa, la prima, nell’affiancamento delle piante di caffè a “specie tropicali (papaya, pitaya, moringa, mango, platano), la seconda – la policoltura – a “colture autoctone (arance, gelsi, pistacchi). “Risultato (quando ottenuto, semplicemente eccellente): rigenerazione del suolo e creazione di ecosistema agricolo”.
La fase successiva alla produzione in campo, la cosiddetta trasformazione artigianale, è ottenuta a mezzo della selezione manuale dei chicchi, messi a “fermentare a secco in recipienti ermetici”, cui fa seguito il lavaggio dopo circa 24 ore. Per la messa a punto delle pratiche operative appena ricordate, viene sottolineato che la “sperimentazione varietale continua” con “innesti e selezioni e ricerca delle cultivar più adatte al contesto siciliano”.
L’importanza della strumentazione
Qui giunti è d’obbligo procedere al controllo delle operazioni, di qui l’importanza della strumentazione utilizzata: si parte dal Rifrattometro Brix (misura grado di maturazione delle drupe (le iconiche “ciliegie rosse” del caffè appena raccolto); determina velocità di fermentazione; economico, semplice, efficace.
Termometri: monitoraggio delle temperature in fase di raccolta e processamento; Phmetro: controllo acidità durante la fermentazione; Termoigrometro con datalogger: temperatura della massa in essiccazione; umidità dell’aria; registrazione continua dei dati. Moisture meter (misuratore di umidità): Controllo umidità caffè verde (standard 10-13%), portatile indispensabile per la qualità del prodotto.
I benefici dell’innovazione
Il titolino “I benefici dell’innovazione” entrano nel merito, sia pure in pillole piccole come certi medicinali dagli effetti molto potenti, dei risultati finali, quelli percepiti in tazza, che più interessano, in primis i consumatori/clienti. “Qualità del prodotto – profilo sensoriale distintivo: dolcezza naturale, acidità lieve, note di carrubba (con due “b” alla siciliana – ndr), mandorle e miele”.
A questo punto chi scrive, strabuzzando un poco gli occhi, non se la sente di esimersi dal sottolineare la “sicilianità” del rimando alle “note di carrubba, mandorle e miele”: come dire un intreccio di terroir, di paesaggio, di essenze vegetali, di pratiche agricole tradizionali se non ataviche (il carrubo) che trova la sua apoteosi, non solo golosa ma anche culturale, nella straordinaria pasticceria diffusa in tutta la Trinacria.
Impatto ambientale
Superato con qualche imbarazzo il gradevolissimo impatto glucidico di cui sopra, ci imbattiamo, sempre nell’ambito dei “Benefici dell’innovazione” nel contesto – semplicemente fondamentale e che sembra promettere molto – dell’ “Impatto ambientale”: Terreni rigenerati dopo anni di sfruttamento intensivo; biodiversità e fertilità ripristinate; serre abbandonate trasformate in spazi produttivi”. A questo punto fa capolino, ospite gradita ed importante, “La trasferibilità del modello’ – un potenziale enorme per il Mediterraneo: Migliaia di serre dismesse in Sicilia e nel Sud Italia = migliaia di opportunità”.
Elementi replicabili
Numerosi, inoltre, quelli che nella relazione sono definiti gli “Elementi replicabili”: in pratica “Tecniche agronomiche a basso impatto; coltivazione mista e sostenibile; integrazione specie tropicali/tradizionali; rigenerazione dei suoli; produzioni ad alto valore aggiunto”. Il tutto, in sintesi: “Da simbolo di crisi a prototipo di sviluppo agricolo”. E se così fosse, sarebbe veramente “Bingo”. Ineludibile, a questo punto, uno sguardo al “Futuro: dalla sperimentazione all’impresa”.
Sogni che potrebbero, e possono, diventare realtà: “Trasformazione in vera azienda“della Finca Balistrieri; produzioni più consistenti; recupero di altre serre dismesse della zona; nuove funzioni produttive per il territorio”. Con la “Visione” – è di buon auspicio l’utilizzo del sostantivo italiano e non dell’abusato e imperante anglismo “vision” – di “Rendere possibile un <caffè italiano> di qualità e tracciabilità locale” e “Un modello per cooperative, imprenditori e amministrazioni pubbliche”.
Speriamo, ed è possibile raggiungerlo, che questo traguardo si materializzi al più presto. Per completezza di informazioni segnaliamo che Finca Balistrieri e Adriano Cafiso per la tostatura, con relativi annessi e connessi, si avvalgono della competenza e collaborazione della torrefazione Cafè Noir di Ragusa.
Considerazioni e segnalazioni di risposte IA
Come anticipato in premessa chiudiamo con alcune nostre considerazioni e segnalazioni anche sulla scorta di risposte generate da intelligenza artificiale di Google, doverosamente contrassegnate da IA.
La seconda gamba – in ordine di entrata e non certo di importanza, sia ben chiaro – in questo metaforico tavolo a tre gambe del caffè made in Sicilia, è costituito dalla storica Torrefazione Morettino di Palermo, molto impegnata su questo fronte.
Sul sito ufficiale (https://morettino.com), senza giri di parole, si evidenzia che da circa 30 anni viene perseguito con tenacia il sogno di coltivare, anche con la collaborazione strutturata dell’Università di Palermo e del locale Orto Botanico (una gloria cittadina), “il primo caffè 100% nativo siciliano, motivo per il quale “la famiglia Morettino (in prima linea papà Arturo con il figlio Andrea, quarta generazione in azienda a profumare di caffè) sta portando avanti sperimentazioni su alcune aree della Sicilia in cui il clima consente la coltivazione di caffè, angoli dell’Isola selezionati in base alle condizioni pedoclimatiche e al terroir.
Il progetto
Il progetto si inserisce nell’ambito di studi di applicabilità che la Facoltà di Agraria di Unipa porta avanti da tempo sulla frutticoltura tropicale in Sicilia. Negli ultimi tre anni – viene specificato e sottolineato – anche a causa di un significativo cambiamento climatico, abbiamo avuto raccolti più abbondanti che ci hanno permesso di avere una maggiore produzione .. e .. un risultato in tazza davvero sorprendente: un caffè nativo di altissima qualità, con sentori particolari e unici, tipici della terra siciliana, quali note di uva zibibbo (dolce – ndr) e carruba e dolci sentori di fiori di pomelia bianca (pianta tropicale ornamentale dai fiori bianchi, profumatissimi– ndr) e zucchero panela (zucchero integrale di canna- ndr)”. “Alla raccolta manuale, orientativamente fra giugno e settembre, segue la lavorazione delle drupe, sia con metodo Gold Honey che Naturale e Lavato, una spolpatura manuale, la fermentazione di 48 ore ed essiccazione al sole.
Successivamente la scelta di una tostatura medio-chiara e tante sessioni di assaggio, che hanno dato un risultato straordinario: un caffè di grande finezza, con acidità equilibrata e una naturale dolcezza”.
Il prof. Paolo Inglese dell’Università di Palermo, dottorato in Agricoltura Tropicale e Subtropicale, collaboratore della FAO, è il punto di riferimento scientifico del progetto; lo affiancano il collega di Ateneo prof Rosario Schicchi, direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali e i tecnici, i botanici e i ricercatori del già menzionato storico Orto Botanico palermitano. Oltre ai personaggi già citati in precedenza meritano una segnalazione particolare (fonte IA) i fratelli Rosolino e Benedetto Palazzolo “coltivatori e pionieri rurali a Terrasini (PA).
Spinti da pura curiosità e spirito di sperimentazione hanno iniziato a coltivare piante di caffè nel loro <Orto di Nonno Nino> e sono riusciti ad ottenere i primi frutti.
La loro iniziativa è un esempio di come l’interesse stia crescendo anche tra i piccoli agricoltori privati”. Stante l’importanza di questi ed eventuali altri progetti, il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) Sicilia prevede interventi di sostegno a seconda dei casi.
Chiudiamo, riportando stralci di risposte generate dall’intelligenza artificiale che ci sembra meritino una qualche attenzione, del resto sono in linea con quanto già esposto. Domanda: Modello innovativo e sostenibile: “Il caffè siciliano rappresenta un modello di innovazione agricola (evidenziato in grassetto) e di risposta proattiva al climate change.
L’uso di serre, l’attenzione alla sostenibilità (es. lotta biologica) e la valorizzazione delle aree agricole dismesse sono elementi chiave del progetto, che ha attirato l’attenzione della Regione Sicilia e dell’industria delle attrezzature (es. Irritec)”.
Domanda: Fattibilità agronomica e adattamento climatico: “La ricerca condotta dall’Università di Palermo e Catania ha dimostrato la fattibilità agronomica (evidenziato in grassetto) della coltura. Il cambiamento climatico ha reso le temperature medie siciliane adatte alla pianta del caffè.
Sfide cruciali, come la gestione idrica, sono state superate grazie all’uso di tecnologie di precisione e all’expertise di agronomi dedicati”.
Domanda: Focus sulla qualità e il marketing: “Il valore del caffè siciliano risiede nel suo terroir unico, nella sua storia di innovazione e nel suo status di <prodotto nativo>, che ne permette la vendita a un prezzo premium come specialità, non come commodity. … Attualmente non si trova in vendita al supermercato a prezzi standard.
Le uniche produzioni disponibili al pubblico sono in edizione limitata (evidenziatura in grassetto) o in vendita tramite canali specializzati (e-commerce delle torrefazioni, boutique del caffè)” (a titolo indicativo intorno ai 50 euro al kg ed anche più – ndr.).
Gianluigi Goi



















