giovedì 11 Aprile 2024
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Il franchising made in Pascucci: la formula che ha conquistato anche la Corea

La formula del franchising adotta da Caffè Pascucci, ha permesso l'espansione del marchio, facendole toccare traguardi come la conquista del mercato della Corea del Sud. Ce ne parla il responsabile franchising, Fabio Andreani

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MILANO – In occasione dell’apertura del Moka bar di Caffè Pascucci, avvenuta il 28 giugno di fronte alla stazione Milano Centrale, abbiamo discusso anche della scelta del franchising. Ne abbiamo parlato con il Responsabile franchising di Caffè Pascucci, Fabio Andreani.

“Mi occupo di tutti quei locali che mostrano il marchio Pascucci. Sono il referente sia per quanto riguarda gli investimenti diretti dell’azienda, sia che si tratti di affiliati alla formula del franchising. Nel caso di Milano, siamo di fronte ad un investimento diretto. ”

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Come mai Caffè Pascucci ha deciso la formula del franchising?

Nel 2000 è stato aperto il primo punto vendita a Rimini, anche questo a investimento diretto. In seguito a quella prima esperienza, si sono presentati diversi investitori.

A quel tempo, la formula più convincente era proprio quella del franchising. Un sistema che era diffuso tra le aziende.

Questo anche se, in ogni caso, la volontà dell’azienda resta quella di investire, nel futuro, sempre più direttamente. Quindi affidarsi meno a terzi investitori, in particolar modo pensando all’Italia.

Per quanto invece riguarda l’estero, l’Europa, siamo alla continua ricerca di master nei Paesi in cui non siamo ancora presenti. Siamo aperti dunque alle candidature di investitori privati.”

Dov’è già presente Caffè Pascucci?

“All’estero, il mercato principale è sicuramente quello della Corea del Sud. Solo in questo territorio, infatti, sono presenti circa 450 Pascucci shop.

Si tratta di un mercato difficile, ma onestamente, abbiamo anche avuto la fortuna di trovare un partner importante. Si tratta di una compagnia molto grossa e multi brand.

Già abituata quindi alla formula del franchising. Nel 2001, dopo solo qualche mese dall’apertura del primo store italiano, il Presidente del gruppo è passato a Rimini ed è stato conquistato dal nostro concept.

Così ha deciso di investire direttamente per far conoscere questo nostro modello. E’ riuscito poi in breve, a sviluppare un vero e proprio mercato, collaborando con terzi investitori.”

Non si trattava però di un Moka Bar

“No. Nel 2001 la priorità era dettata da altre caratteristiche. L’investitore della Corea del Sud, è stato soprattutto affascinato dal design italiano.

Al tempo appariva come qualcosa di particolarmente innovativo. E’ rimasto poi molto colpito dal fatto che, già all’epoca, Caffè Pascucci era l’unica catena italiana di caffetteria che avesse scelto il canale del franchising.

E’ vero che esistono altri marchi che hanno aperto diversi store per dare visibilità al proprio brand. Tuttavia, ci troviamo sempre di fronte a dei concept. Non sono dei veri e propri franchising.”

Qual è il grande vantaggio di appoggiarsi al franchising?

“Quello principale è dato dal fatto che Caffè Pascucci si interessa al funzionamento del locale. Si impegna quindi a supportare l’investitore in tutti i modi possibili.

E’ un’azienda famigliare, per cui comprende anche le varie difficoltà che un imprenditore deve affrontare. Per Caffè Pascucci Italia, ogni eventuale chiusura, è vissuta un po’ come una sconfitta.

Quindi come prima cosa, l’azienda è portata a sostenere i nuovi investitori. Mette a disposizione uno staff, che segue gli affiliati anche dopo l’apertura. Vengono formati anche gli operatori, con una settimana di training in Italia, seguiti dal nostro trainer Eddy Righi.

La formazione fa parte sicuramente dei servizi che offriamo. Così come le visite periodiche e gli aggiornamenti; anche quando si cambia il personale. Il vantaggio principale è quindi che l’azienda tiene al singolo store.”

Il concept del Moka bar è quindi replicabile?

“Assolutamente sì. Tant’è vero che abbiamo formulato una postazione ad hoc. Lo replicheremo di sicuro nei nostri investimenti diretti. Non sarà possibile, probabilmente, aggiornare gli store già attivi, per una questione di spazi poco adattabili alle nuove strumentazioni.

E’ la novità dell’anno, presentata a Sigep, nata dalla volontà di Mario Pascucci, di riavvicinare il cliente alla moka. In quanto sistema molto legato alla tradizione. Inoltre, Mario Pascucci segue sempre le strade meno battute. E’ un po’ un visionario.”

Comunicare la moka

“E’ il modo migliore per trasmettere l’italianità. Soprattutto perché ultimamente, che si pensa molto alle capsule. E’ senza dubbio una missione, nel senso che Caffè Pascucci crede nella moka in quanto prodotto complementare all’espresso e al cappuccino. Vogliamo comunicare l’italianità in maniera un po’ meno banale di come ormai si è abituati a pensare all’estero.

Noi siamo autenticamente italiani e vogliamo dimostrarlo. Tutto il prodotto Caffè Pascucci viene dalla sede di Monte Rignone. Non abbiamo unità produttive dislocate all’estero. Abbiamo brevettato tutti gli strumenti, dal modello bar all’azomico.

L’azomico ad oggi, è molto apprezzato persino dalle torrefazioni che in teoria sarebbero nostre concorrenti e che ce lo commissionano. Questo è una grande soddisfazione per noi.”

In vista dell’apertura di Starbucks

“Noi siamo convinti che Starbucks possa solo farci bene. Abbiamo ricette che intercettano i gusti internazionali. Come può essere il milkshake o il Cold Brew, che abbiamo sperimentato già al Sigep.

Una soluzione che otteniamo con un sistema apposito, attraverso una spinatura ad aria compressa. Abbiamo quindi insierito dei prodotti nell’ottica internazionale, già anni fa, nonostante il consumo degli italiani sia ancora un po’ indietro.

Vogliamo dare un assaggio di caffè che vada oltre i confini, che sorpassi l’abitudine dell’espresso. Che imponga anche dei ritmi diversi di fruizione.”

Un’altra novità di Caffè Pascucci

“Abbiamo inoltre inserito una bakery interna al locale. Negli altri store non era prevista, perché avevamo deciso di focalizzarci sul caffè. Per questo Moka bar abbiamo deciso di poggiarci ad un laboratorio di produzione dislocato in Emilia Romagna.

Si tratta di prodotti artigianali di panificazione che poi vengono rinvenuti nei nostri store. Prima eravamo una caffetteria pura e ora ci siamo evoluti verso il food. D’ora in poi, questa sarà la base per tutti i futuri store.”

In Corea del Sud, come hanno recepito questo ritorno alla moka?

“E’ interessante perché loro l’hanno inserita prima di noi. Questo è stato possibile grazie al grande lavoro di diffusione di questa cultura, avvenuto attraverso la comunicazione di Eddy Righi.

In più, la Corea del sud è un mercato piuttosto saturo, che ha sempre bisogno di nuovi stimoli. Quindi, conoscono già anche quei prodotti che per noi sono novità, come il Cold Brew.

La moka era ancora un sistema che potevano sperimentare. Per cui, su nostro consiglio, l’hanno inserita prima di noi. In futuro, adotteranno anche il nostro banco moka.

 

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