venerdì 17 Maggio 2024
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Elettrodomestici e macchine del caffè per casa: produzione italiana da 30 a 14 mln

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MILANO – La produzione di elettrodomestici in Italia, alla quale afferisce anche quella delle macchine del caffè per uso domestico, per altro l’unico settore non in profondo rosso, è incappato nel peggior semestre della sua storia, dalla Seconda Guerra mondiale. Ma questo è soltanto l’ultimo capitolo di un disastro decennale che ha portato la “fabbrica dell’Europa” degli elettrodomestici a dimezzare la produzione da 30 a 14 milioni di pezzi.

Elettrodomestici in crisi

Un processo di deindustrializzazione che continua, giorno dopo giorno, sotto gli occhi di tutti, con costi sociali enormi (Cig, prepensionamenti, incentivi per le riconversioni e per la formazione professionale) e senza che il Governo muova un sopracciglio. In passato c’è stato qualche incentivo fiscale al consumatore per l’efficienza energetica o sui nuovi acquisti. Secondo i dati di Confindustria Ceced, l’Associazione dei produttori, nel primo semestre dell’anno i volumi produttivi sono crollati del 29% per le cucine, del 23% per congelatori, lavastoviglie e condizionatori, del 14% per piani cottura e forni da incasso, del 12% per i frigoriferi e dell’8% per le lavatrici.

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I dati delle vendite in Italia (sell in) marcano da vicino quelli produttivi e in qualche caso (freddo e lavabiancherie) sono peggiori

Più contenuti i cali delle vendite dei piccoli elettrodomestici (aspirapolvere, macchine da caffè, microonde, ferri da stiro) ma questi oramai sono per lo più delocalizzati in Cina anche se ne soffre la distribuzione italiana. «Siamo il secondo comparto industriale italiano – osserva Andrea Sasso, presidente di Ceced Italia – occupiamo 130mila addetti ma il livello di attenzione del governo sfiora l’indifferenza. Abbiamo chiesto più volte, negli ultimi tre anni, di essere convocati dal Governo. Abbiamo più volte confermato la piena disponibilità a sederci, senza alcuna pregiudiziale, a un tavolo permanente di informazione e confronto, ma non è mai successo nulla. Inutile girarci attorno: siamo consapevoli che la mancata convocazione significa una risposta negativa a tutte le nostre richieste».

Ma quali sono le richieste dei produttori italiani di elettrodomestici(essenzialmente i Big three Whirlpool, Electrolux e Indesit e qualche medio produttore)?

«Per esempio – risponde Sasso – tagliare il cuneo fiscale prima che l’alto costo del lavoro spinga un’altra fetta delle produzioni italiane in Polonia o in Bulgaria. O, in alternativa, defiscalizzare il costo del lavoro dei “cervelli” impiegati nei laboratori italiani». «Perchè la Germania si è dotata di una politica industriale e l’Italia non riesce a farlo? – si chiede Luigi Campello, direttore generale di Electrolux Italia –.

In Francia si defiscalizza il 20% delle spese di ricerca e sviluppo e ai ricercatori stranieri si offrono addirittura sgravi fiscali». Poi colpisce che i ministeri competenti non facciano tutto quello che sarebbe necessario per difendere le regole, anche quando è a costo zero (test pagati dai produttori). «Non si fa fronte agli atti dovuti – sostiene Antonio Guerrini, direttore di Ceced – come i certificati bianchi (titoli per l’efficienza energetica ndr) e i controlli alle dogane sulle importazioni cinesi sono molto carenti: bisognerebbe attrezzarsi per verificarne le prestazioni, la variabile centrale per competere».

Tornando ai dati, è impressionante il ritmo dell’erosione sulla base industriale

Nel 2002 in Italia si producevano 10 milioni di frigoriferi, oggi sono scesi a meno di 3; lavatrici e lavastoviglie sono passate da 11 a 7 milioni e le cucine da 9 a 5 milioni. Certo, i 14 milioni di pezzi che rimarranno in Italia a fine anno costituiscono la produzione a maggiore valore aggiunto (per tecnologia e design) «e gli elettrodomestici da incasso – sottolinea Sasso – sono rimasti quasi completamente nel nostro Paese». «Tuttavia – conclude Campello – ci dica il ministro Passera quando in Italia si faranno delle scelte chiare sulla politica industriale. Ed è illusorio pensare che qualora la base industriale venisse delocalizzata i laboratori con i cervelli rimarrebbero in Italia: la ricerca segue gli impianti».

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