mercoledì 10 Aprile 2024
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Godina: “Oggi spesso, bere un caffè al bar o a casa è un atto di irresponsabilità sociale”

Il caffesperto: "Portare dei contenuti digitali al consumatore, quando beve il caffè al bar oppure lo compra al supermercato oppure mentre lo prepara a casa, è la risposta che evolverà l’attuale situazione di stagnazione del mercato italiano e a quella totale indifferenza con la quale il caffè è percepito dalla maggior parte dei consumatori come una bevanda indifferenziata e senza contenuti di filiera."

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MILANO – Alla Vision plaza Sigep, si è svolto il convegno organizzato da Comunicaffè e Comunicaffe International sul tema “La cultura del caffè alla luce della sostenibilità e della digitalizzazione”. Tra gli interlocutori che si sono esposti per il settore, il caffesperto Andrej Godina, con uno sguardo responsabile e consapevole direttamente alle origini in Honduras.

Godina: la definizione di sostenibilità e come declinarla nella lunga filiera di produzione del caffè

“Da assaggiatore di caffè porto qui in questo dibattito la mia esperienza di caffesperto, di consulente tecnico che lavora nelle torrefazioni ma anche di produttore di caffè verde. Infatti, assieme ad altri soci, abbiamo comprato una piantagione in Honduras, nella valle di Las Capucas, nella regione occidentale del paese, per dimostrare che produrre un caffè sostenibile e di qualità è possibile.

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Il progetto imprenditoriale in Honduras ha principalmente lo scopo di capire come poter declinare la parola “sostenibilità” nella prima parte della filiera. La filiera del caffè è una delle più lunghe in assoluto tra i prodotti che consumiamo quotidianamente e che, in genere, è totalmente sconosciuta al barista e al consumatore finale. Per capire la lunghezza della filiera, anche in termini temporali, riporto qualche numero: in piantagione sono necessari 4 anni, dopo aver seminato i chicchi nel vivaio, per ottenere il primo raccolto.

Servono dai 9 agli 11 mesi affinché il frutto maturi sulla pianta dalla fioritura. Nei paesi di produzione si fa un solo raccolto all’anno e sono necessari dai 13 ai 16 mesi dal momento della fioritura al momento in cui il barista prepara la bevanda al bar o il consumatore lo prepari a casa o in ufficio.

Il termine sostenibilità contiene al suo interno numerose declinazioni differenti

Per quanto riguarda l’applicazione di questo termine alla filiera del caffè, la sostenibilità dev’essere al primo punto una sostenibilità economico/finanziaria per tutti gli attori della filiera, dal primo anello in piantagione fino ad arrivare all’ultimo nei paesi di consumo. Forse non tutti sanno che negli ultimi anni il prezzo del caffè verde nei mercati internazionali è stato così basso che tutti i produttori ci hanno rimesso dei soldi, addirittura il caffè è stato pagato meno di quanto costasse la sua produzione.

In questo caso ci hanno perduto dei soldi in particolare i piccoli produttori, che rappresentano la maggioranza della produzione a livello mondiale. È definito piccolo produttore quello che gestisce l’attività a livello familiare e dove il lavoro dei componenti
della famiglia non è remunerato con regolare contratto. Il nostro progetto della finca Rio Colorado in Honduras è quello di rendere sostenibile il lavoro svolto dalle persone che ci lavorano e di mostrare ad altri produttori di caffè un modello di lavoro che dia il giusto valore alla sostenibilità economico-finanziaria all’agricoltore.

In un secondo punto la produzione del caffè dev’essere sostenibile anche dal punto di vista ambientale, nei luoghi di produzione devono essere rispettati quegli standard di produzione che permettano la salvaguardia della biosfera e delle comunità di agricoltori con le loro famiglie. Questo però non succede sempre: per esempio il caffè prodotto in Brasile, che è il primo produttore di caffè al mondo, non è sostenibile per l’ambiente.

Questa affermazione piuttosto forte ovviamente non tiene conto di una piccolissima minoranza di produttori che hanno delle piccole piantagioni integrate all’interno di un concetto di coltivazione amica per l’ambiente. In Brasile la quasi totalità delle coltivazioni di caffè sono di grandi dimensioni a cielo aperto a diretta esposizione del sole che si estendono per migliaia di ettari. In questi grandi latifondi si fa abbondante uso di diserbanti, di fertilizzanti chimici di sintesi industriale, non ci sono alberi ad alto fusto
per fare ombra sul terreno e non ci sono altre colture come per esempio la presenza di alberi da frutto.

Le grandi piantagioni in Brasile si presentano come enormi distese di monocoltura con filari di piante lunghissime dove il suolo è disidratato e dove non c’è materia organica che possa rinnovare il suolo. In questo scenario l’evaporazione dell’acqua è fortissima e quindi sono necessari interventi di irrigazione con un conseguente depauperamento dalle falde sotterranee.

Godina: Al terzo punto la sostenibilità deve avere anche una declinazione dal punto di vista sociale

Un caffè sostenibile è un prodotto che viene coltivato in un luogo dove alla comunità locale sono assicurati i diritti e servizi basilari come quello di percepire uno stipendio con regolare contratto, quello dell’assistenza sanitaria e l’assicurazione del versamento dei contributi pensionistici, di avere una clinica medica accessibile per tutti, di avere la possibilità di mandare i bambini a scuola.

La situazione nelle aree di coltivazione del caffè di solito non è questa, infatti quasi nessuno lavora con un contratto di lavoro, non vengono pagati i contributi per la pensione, spesso il primo centro di assistenza medica è lontano e non accessibile se non privatamente, spesso ai bambini è preclusa la frequentazione della scuola dell’obbligo.

Tutto quello che finora ho riportato generalmente nei paesi consumatori è un qualcosa di sconosciuto, spesso bere un caffè al bar o consumarlo a casa è un atto di irresponsabilità sociale. È davvero triste e riprovevole per noi, che siamo un paese sviluppato, sapere che prendere una tazzina di caffè impoverisce un piccolo produttore da qualche parte in uno dei paesi di produzione. Per questo motivo, per promuovere il consumo di un caffè virtuoso, è necessario parlare di questi temi, visitare i paesi di produzione per conoscere questa prima parte della filiera e proporre soluzioni concrete e attuabili al consumatore in modo che le persone possano bere un caffè buono, pulito e giusto.

Per quanto mi riguarda la risposta che abbiamo voluto dare, soprattutto per comunicare che il nostro caffè prodotto in Honduras è sostenibile, è stato quello di far nascere nella valle di Las Capucas la comunità della Slow Food Coffee Coalition. Trattasi di un esempio virtuoso al servizio della filiera del caffè in grado di assicurare e comunicare ai consumatori
che il caffè che stanno bevendo proviene da una filiera sostenibile, che è tracciato tramite blockchain e che assicura che i coltivatori percepiscono un giusto compenso. Con questo progetto e con il bollino Slow Food attaccato al pacchetto di caffè viene così assicurato che la prima metà della filiera è sostenibile.

Che dire della seconda parte, ovvero dove il caffè è tostato e consumato

A questo proposito sottolineo che spesso siamo portati a pensare che solamente nei Paesi di produzione ci sia bisogno di lavorare su progetti di sostenibilità, ma ci dimentichiamo anche qui in Italia si creano situazioni di irresponsabilità sociale. Per esempio, chiedete al vostro barista di fiducia se è assunto con regolare contratto, se percepisce il giusto stipendio e se gli sono garantite le ferie e gli orari di legge. La triste realtà è che scoprirete che tanti baristi vengono sfruttati, pagati a volte con una quota di salario fuori dal contratto.

Su questo tema non mi dilungo considerato che è di pertinenza di Francesco Sanapo. Ciò comunque dimostra che sul tema della sostenibilità della filiera del caffè è necessario un grande di lavoro di divulgazione e di maggiore consapevolezza, innanzitutto nei confronti degli stessi operatori che devono fare uno sforzo per un maggiore integrazione dei concetti di sostenibilità nelle loro aziende ed è altresì necessario che i consumatori siano consapevoli di questi temi e che inizino anche loro a chiedere al mercato solamente caffè socialmente responsabili.

La digitalizzazione dell’esperienza di consumo del caffè

Il secondo tema di cui desidero parlare durante questo dibattito è quello che riguarda la digitalizzazione della filiera. In questi ultimi anni si sente molto parlare di blockchain e di come nei paesi produttori di caffè l’integrazione di strumenti tecnologici permetta di acquistare sui mercati internazionali del caffè verde un prodotto tracciabile e che garantisce una filiera controllata. Su questo argomento non mi dilungo molto considerando che è un tema trattato da Paolo Andrigo.

Quello su cui desidero parlare è quello della digitalizzazione dell’ultimo anello della catena di produzione, quello che coinvolge il consumatore, ovvero la preparazione della bevanda.

Oggi in Italia, nell’immaginario collettivo, il caffè è semplicemente un caffè

Indipendentemente dall’occasione o dal luogo di consumo, indipendentemente dal metodo di preparazione e dalla qualità del tostato. Al bar si entra e si ordina un generico caffè senza chiedere con quale prodotto è preparato, a volte senza saperne neanche la marca. Si tratta di una miscela di caffè Arabica o c’è anche una percentuale di Canephora? È un caffè monorigine? Si tratta di un colore di tostatura scuro, medio/scuro o tostato leggermente più chiaro?

Quale Flavore ha questo caffè? Il dramma dell’offerta del caffè nei bar italiani è che vige la regola dell’ “1”, ovvero c’è una sola marca, c’è un solo prodotto, c’è un solo prezzo. La medesima cosa accade nelle case degli italiani, di solito c’è un solo tipo di caffè da preparare in moka o in napoletana o con un sistema mono porzionato e quel caffè che viene bevuto in diverse occasioni, al mattino per colazione, a fine pasto o a metà mattina o metà pomeriggio, è in realtà sempre lo stesso. Per il mondo del vino la situazione è completamente diversa: ormai chiunque sa che è necessario un vino differente in base ala situazione o alla pietanza che sta mangiando.

Per esempio è sdoganato il fatto che a inizio pasto o per l’aperitivo il vino più indicato è una bollicina, che per i menu di pesce si predilige un vino bianco mentre per i menu di carne è consigliato un vino rosso. Così come lo è per il vino anche il caffè si merita un trattamento migliore, più consapevole perché il caffè è molto di più di una semplice “bevanda indifferenziata”. Per questo motivo con Mauro Illiano, caffesperto, abbiamo curato la prima Guida del settore, la Guida dei caffè e delle torrefazioni d’Italia – www.guidadeicaffe.com. Al pari del mondo del vino anche il caffè merita una maggiore differenziazione, una maggiore consapevolezza di scelta e di bevuta e una maggiore differenziazione di prezzo, soprattutto di quello dell’espresso al bar.

La Guida del Camaleonte è uno strumento utile al barista, al ristoratore e al consumatore per orientarsi in un mondo non ancora esplorato, possiamo dire nuovo, dove esistono centinaia di Flavori differenti e migliaia di referenze di caffè differenti tostati da centinaia di torrefazioni sparse su tutto il territorio nazionale. Ecco che, come è successo per il mondo del vino, che ha saputo evolversi fino ad arrivare a creare i format dell’enoteca, della carta devi vini, della estrema differenziazione di prezzo, la stessa cosa sta accadendo al mondo del caffè.

Le numerose Guide dei vini hanno aiutato il mercato a questa evoluzione, nello stesso modo crediamo che questa prima Guida farà altrettanto. Nella prima edizione della Guida del Camaleonte non potevamo prescindere dal fatto che dovesse essere digitalizzata e proposta in versione App. Con il nome di “Caffè e torrefazioni d’Italia” è possibile trovare la Guida del Camaleonte per iOS e Android, con la quale è possibile accedere a tutti i contenuti della Guida cartacea.

In più, la versione digitale, permette una ricerca dei caffè per nome della torrefazione, per nome del prodotto, per metodo di estrazione e per Flavore. Ecco una delle grandi novità che la digitalizzazione della Guida porta con sé, innanzitutto la facilità d’uso e di ricerca dei caffè e la possibilità di collegarsi agli e-shop delle torrefazioni per comprare i singoli prodotti, ma poi la ricerca dei caffè per Flavore. Per esempio voglio assaggiare i caffè che hanno un Flavore di Albicocca o di cacao fondente o di pompelmo rosa, ecco che in tempo reale il motore di ricerca della App fornisce l’elenco dei caffè che hanno quella caratteristica sensoriale.

Mi auguro che in un futuro non troppo lontano, quando l’integrazione digitale tra i paesi produttori di caffè e i paesi consumatori sarà in uno stadio più avanzato, quando il torrefattore inizierà a proporre ai suoi clienti caffè con Flavori più diversi e marcati, ecco che la App del Camaleonte offrirà per ciascun caffè le informazioni di filiera block chain, la geolocalizzazione della piantagione, il nome del farmer, il filmato della raccolta delle drupe, il nome del tostatore e la curva di tostatura fatta in torrefazione.

Il consumatore potrà condividere nel social network del Camaleonte le sue impressioni di degustazione e dare un voto al caffè o, nel caso la bevuta sia fatta in un locale, dare un voto al barista. Con la digitalizzazione si arriverà fino al caso in cui il consumatore potrà dare un apprezzamento concreto al lavoro fatto del farmer lasciando tramite App una mancia direttamente al coltivatore.

Ecco che portare dei contenuti digitali al consumatore, quando beve il caffè al bar oppure lo compra al supermercato oppure mentre lo prepara a casa, è la risposta che evolverà l’attuale situazione di stagnazione del mercato italiano e a quella totale indifferenza con la quale il caffè è percepito dalla maggior parte dei consumatori come una bevanda indifferenziata e senza contenuti di filiera.”

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