giovedì 11 Aprile 2024
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Venchi, parla il Ceo Daniele Ferrero: «L’azienda non si ferma, va avanti innovando»

Daniele Ferrero: «Inaugureremo un negozio a Wuhan entro l’anno, come previsto: magari non a giugno ma a dicembre — dice Daniele Ferrero, ceo e primo azionista di Venchi —. La Cina ormai è il nostro secondo mercato con il 18% dei ricavi. Nelle ultime due settimane abbiamo chiuso contratti per aprire nuovi punti vendita a Hong Kong, Shanghai, Shenzen. Arriveremo a oltre 36 negozi a fine anno in Cina, ora sono 30, erano 24 a inizio 2019».

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MILANO – In Italia si chiude e in Cina si riapre: questa è la realtà attuale di molti grandi marchi del made in Italy che stanno vivendo su diversi fronti l’emergenza del Covid-19. Un esempio è Venchi che, dalla sua fondazione a Torino nel lontano 1878 ha fatto parecchia strada, aprendo 120 negozi sparsi in 70 Paesi. Nel 2019 un fatturato che raggiunge l’obiettivo fissato dall’azienda con mille dipendenti assunti: 100 milioni, con una crescita del +9% rispetto all’anno precedente e un margine operativo lordo del 22%. Oggi la nota dolente arriva dalla chiusura degli store e dei punti vendita aeroportuali e delle stazioni: l’Italia, ricordiamo, che rappresenta ben il 65% del business Venchi. Tutto in perdita quindi? Non è, per fortuna, proprio così: leggiamo i piani del brand del cioccolato, da newsstandhub.com.

Venchi ora accelera in Cina

Un Paese ove lavora dal 2012 e in cui si era arrestata per il coronavirus. «Inaugureremo un negozio a Wuhan entro l’anno, come previsto: magari non a giugno ma a dicembre — dice Daniele Ferrero, ceo e primo azionista di Venchi —. La Cina ormai è il nostro secondo mercato con il 18% dei ricavi. Nelle ultime due settimane abbiamo chiuso contratti per aprire nuovi punti vendita a Hong Kong, Shanghai, Shenzen. Arriveremo a oltre 36 negozi a fine anno in Cina, ora sono 30, erano 24 a inizio 2019».

Un suggerimento per la ripartenza è «fare indossare comunque a tutti, cittadini e commessi, le mascherine: fondamentale, anche per non toccarsi naso e bocca»

L’altro è «essere tecnologici». Per esempio, con un’app come quella diffusa dal governo cinese con AliBaba, per il cellulare, che dica ai cittadini che fare in caso d’emergenza e al governo se e dove si stanno generando focolai: «Ha consentito alle persone di uscire di nuovo con crescente fiducia, lo stesso è successo in Corea».

È il tema della tracciabilità dei cittadini, attuale ora e di semplice soluzione forse in Cina, meno nelle democrazie.

La fabbrica italiana di Venchi, a Castelletto Stura (Cuneo), sta lavorando con il 30% dei dipendenti, dice l’imprenditore:

«Abbiamo messo i lavoratori in ferie a turno e gli addetti alle vendite nei negozi ora sono in cassa integrazione». Ma la produzione continua, «non abbiamo licenziato nessuno», e ora è il momento delle uova di Pasqua, ferme nei magazzini perché la catena retail non le sta assorbendo. Perciò la previsione di toccare i 115 milioni di ricavi quest’anno andrà di certo rivista, ma «i cinque milioni d’investimento destinati alle nuove aperture nel 2020 sono confermati», dice Ferrero: «I nostri colleghi in Cina hanno firmato i contratti anche durante la crisi più nera del Covid-19».

Ora nel Paese presieduto da Xi Jinping, dove il blocco totale delle attività è stato il 23 gennaio, «sta andando ogni giorno un po’ meglio». Dice Ferrero: «Noi abbiamo riaperto tutto fra il 10 e il 17 febbraio, dopo due settimane di crisi dura. Pechino è stata un po’ più lenta, 14 marzo».

La progressione è evidente:

«Due settimane fa siamo passati al -30% del fatturato previsto in Cina, ma la settimana precedente eravamo al -50% e quella prima al -75%. Allo scoppio del virus avevamo perso il 100%». Ferrero sta però seguendo anche un’altra strada, tecnologica, per oliare la catena industriale: accordarsi con operatori alternativi alle banche per fare arrivare il più in fretta possibile i soldi destinati alle partite Iva — i suoi clienti — dal decreto Cura Italia.

«Studiamo nuovi accordi con le fintech per dare accesso veloce alle risorse — dice Ferrero —. Noi siamo un’azienda grandicella e per fortuna stiamo in piedi con le nostre gambe, vediamo poi che la Cina è solida. Ai fornitori pensiamo noi. La mia preoccupazione sono i nostri clienti, tutte partite Iva. In Italia abbiamo 45 negozi, ma anche 6 mila clienti fra i piccoli commercianti: enoteche, ristoranti di lusso, bar. Tutti chiusi. Sto cercando di usare gli strumenti del decreto per fare arrivare loro liquidità rapidamente usando le garanzie statali messe a disposizione.

Perché il problema sono le microimprese, fra i 100 mila euro e il milione di ricavi, dagli artigiani alla piccola pensione. Milioni di posti di lavoro».

Funzionerà? Venchi parte da una base di autosufficienza finanziaria, e difatti finora non ha mai voluto soci né quotarsi in Borsa («Restiamo di quell’idea»)

Ma pesa anche la determinazione. E per capire il grado d’ottimismo di quest’imprenditore che ha dichiarato battaglia a Godiva, il re del cioccolato: «Confermo che apriremo a Bologna tra giugno e luglio», dice. E ancora: «Il 5 marzo abbiamo inaugurato il secondo negozio in Giappone, a giugno faremo lo stesso a Giakarta. Abbiamo firmato per due nuovi punti vendita a New York. La Venchi non si ferma». E se le uova di cioccolato sono bloccate, ora l’azienda sta producendo il gelato per l’estate e il cioccolato extra fondente che non invecchia. «L’essenziale è pensare in modo innovativo, perché questa crisi cambierà il modo di fare impresa, probabilmente per sempre».

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