martedì 30 Settembre 2025

Quattro donne in torrefazione: Linda Bacchi, Martina Lupi, Gabriela Montanez, Simona Rey

Lo scoglio della forza fisica è solo una parte della torrefazione che tuttavia si può superare facilmente. Come in tutti gli altri mestieri dal crudista al barista, valgono le competenze

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MILANO – La torrefazione, intesa proprio come processo di trasformazione del chicco verde, è un mestiere che per tanto tempo è stato collegato al genere maschile, complice anche la forza fisica talvolta necessaria quando si devono maneggiare carichi pesanti di materia prima. Le donne che in Italia stanno operando dietro le quinte dell’oro nero, faccia a faccia con i sacchi e le macchine, non sono tantissime, ma ci sono. Lavorano bene. Benissimo.

E quale occasione migliore della Giornata internazionale del caffè, per raccontarle?

Torrefazione al femminile, 4 storie

A partire da Simona Rey, una dei fondatori di Hub Coffee Lab che in realtà è entrata molto presto nel mondo del caffè, quando appena sedicenne nel 2008, ha vinto Maestri dell’Espresso Junior. Il bancone del bar però non era la sua vera strada, nella quale si imbatte durante la visita a Trismoka, dove si appassiona a tutto il processo produttivo. Fare scuola come roaster in Italia però, è risultato difficile e quindi: “Nel 2014 sono partita per Londra, dove ho potuto fare l’apprendista assistente della produzione e dove sono riuscita a fare carriera.

Una volta maturata una certa esperienza, sono tornata in Italia nel 2017, e qui per un breve periodo ho messo a frutto le mie competenze nel laboratorio di un micro roaster specialty: alla fine ho aperto con mio marito il nostro Hub Coffee Lab, all’interno del quale io mi dedico a tutta la parte di selezione, ricerca e tostatura. “

Alla domanda delle domande, ovvero, se questa differenza di genere è uguale anche in Inghilterra, la risposta arriva chiara: “In realtà devo dire che ho sentito meno questa distinzione di genere all’estero. Anzi, dove mi hanno presa come apprendista, da Monmouth, la stessa head roaster aveva una squadra di tostatori da coordinare.” Angela Holder è stata la sua maestra. In Italia invece, secondo la sua esperienza, dato che sono tante le torrefazioni industriali a lavorare con macchine di grandi dimensioni, la scelta di uomini come operatori dietro le operazioni produttive è un po’ obbligatoria.

Come racconta la stessa Simona, attualmente lei è in grado di gestire la fatica perché tosta con una macchina dalla capienza di 5 chili, una quantità che si riesce a gestire bene. “La movimentazione dei carichi e il oro spostamenti, è molto simile a quella che si potrebbe trovare in una panetteria.”

Simona Rey: “La dimensione artigianale della tostatura poi, è un aspetto che si presta molto con la donna.”

“Per cui lo scoglio della forza è solo un primo impatto che tuttavia si può superare facilmente. Innanzitutto, anche in questo, come in tutti gli altri mestieri dal crudista al barista, vale la preparazione professionale. E devo dire che mi ritrovo tra tanti colleghi con cui mi trovo bene, mi confronto, faccio dei cupping.”

Ma c’è una parte che al contrario si presta molto all’essere donne?

Simona Rey seleziona e valuta i caffè alla brasiliana (foto concessa)

Simona Rey non ci mette molto ad individuarla:” La creatività nel trovare le ricette, nel tostare lo stesso caffè e trarne risultati diversi fino a che non si trova la formula che lo valorizza di più. Ma anche reperire materie prima di qualità, che abbiano un buon rapporto qualità prezzo: anche queste sono fasi molto delicate, che spesso si dimenticano far parte dell’attività di un torrefattore, che non è solo l’operatore che carica e scarica i sacchi.

Mi occupo anche di costruire una rete di approvvigionamento: il direct trade per delle micro roastery piccole come la nostra è un po’ difficile per via dei volumi da raggiungere. Quindi una possibilità per instaurare un dialogo con i farmer è quella di girare per le Fiere, partecipando ai cupping nei vari World of Coffee.

Così si crea una relazione con il coltivatore e si prendono contatti con i trader, che sono gli unici intermediari nella nostra supply chain, necessari a trasportare, sdoganare e abbassare i costi della logistica e del rifornimento.

Poi non dimentichiamoci del packaging: la torrefazione senza un imballaggio ben studiato, rischia di mortificare tutto il lavoro fatto in precedenza. Per questo ci siamo occupati anche dello sviluppo di una latta sottovuoto con azoto che ci consente di spedire il nostro caffè all’estero e rispettare una più lunga shelf life.

E scendendo nel dettaglio di come sia fare la roaster di specialty a Desenzano del Garda, Simona racconta: “Non è vero che lo specialty non piace in Italia, basta non partire con qualcosa di troppo eccessivo. Da noi vengono anche le nonne a comprare le nostre proposte meno spinte, per prepararlo con la moka. Ci percepiscono come quella che una volta era la drogheria di quartiere”.

Il laboratorio è aperto per le visite: il periodo invernale, tutti i sabati sono organizzate delle coffee experience dove viene mostrato proprio come tostare il caffè o degli eventi per i turisti in visita al Lago di Garda, sotto prenotazione “Si osserva la tostata live, con una serie di assaggi in filtro e in espresso”.

Nell’Hub Coffee Lab si continua il circolo virtuoso, con la formazione delle torrefattrici del futuro: da poco è stata assunta Linda Bacchi, ragazza che si è laureata all’Università di Scienze Gastronomiche di Parma.

Linda Bacchi che si allena nel cupping (foto concessa)

E’ stata proprio lei a candidarsi spontaneamente per uno stage nella micro roastery, e attraverso questo periodo di tirocinio ha sviluppato la sua tesi di laurea sulla tostatura e l’analisi sensoriale. Attualmente si sta preparando per essere a tutti gli effetti l’assistente alla tostatura e all’assaggio, esplorando anche il nuovo CVA.

Linda Bacchi parte con la sua storia proprio con la tesi “Che si è basata su ricerche già svolte in precedenza, per lo più da uomini, sull’assaggio sensoriale legato anche al processo di tostatura.

Prima del mio tirocinio curriculare, avevo una conoscenza teorica e di base del caffè. Ho trovato Hub Coffee Lab in autonomia e mi sono voluta candidare spontaneamente per lavorare con loro appassionata soprattutto dalla loro attenzione sul discorso della sostenibilità.

La parte che mi interessava di più al momento è capire come questo processo possa essere personalizzato e così diventa un modo per ottenere un risultato che può venire incontro al gusto di tutti. Il fatto di dover considerare l’esistenza di un mondo vastissimo anche dal punto di vista delle abitudini di consumo, è stimolante.

Anche i processi sensoriali e la scienza dietro questa fase mi affascinano, e attorno a questi temi poi si è sviluppata la tesi. In seguito mi sono interessata anche ai vari passaggi successivi, con la scelta di un packaging che possa garantire la migliore conservazione possibile.”

Linda Bacchi: “La torrefazione non è un lavoro da uomini, anzi le donne si adattano molto”

“Ci vuole molta attenzione, studio, poi la parte fisica si supera. Vengo da un’azienda agricola che si regge molto sul lavoro delle donne, quindi la differenza non è un fattore che considero. La parte della miscelazione, di selezione, le quantità da prendere da un lotto, quali provenienze usare, sono tutti aspetti molto interessanti che esulano dal genere.”
E sul coinvolgimento delle Università in queste occasioni formative: “Bisognerebbe far sì che la stessa Università crei per prima i contatti per futuri tirocini.

Quando è stato il mio turno di cercare, tra le disponibilità generali, mancava proprio il nome di un’azienda torrefattrice a cui proporsi. Aver portato questa mia esperienza mi ha dato la possibilità di creare un precedente importante, un punto di inizio significativo per chi vorrà intraprendere questo mio stesso percorso. Avere inserito una micro roastery, ne sono convinta, darà i suoi frutti.”

E in conclusione: “Alle altre ragazze che sono incuriosite da questa parte della filiera, direi di considerare innanzitutto questa professione come percorribile. Ora come ora in effetti spesso non è neppure consigliata, ed è un peccato, perché è un mondo in cui si possono scoprire tante cose. La tostatura non è solo il processo di cottura, ma si esprime in diversi modi.”

E in questo panorama della torrefazione al femminile attorno alle macchine tostatrici, si affaccia anche Martina Lupi

Martina Lupi in laboratorio (foto concessa)

Collaboratrice di Chiara Bergonzi dentro la fucina di Lot Zero, micro roastery per lo specialty coffee dell’azienda Sevengrams: “Non ho mai avuto un ruolo definito, né nel lavoro né nella vita. Sono sempre stata guidata dalla curiosità e dal desiderio di conoscere un po’ di tutto, per sentirmi preparata ad affrontare qualsiasi situazione e dimostrare di essere una vera problem solver.

Lo stesso approccio l’ho portato nel mio percorso nel mondo del caffè: volevo non solo saperne parlare, ma anche saperlo estrarre in tutte le sue forme, assaggiarlo, selezionarlo. A un certo punto mi sono resa conto che mi mancava una competenza fondamentale: saperlo trasformare. E in fondo è proprio questa la fase che rende possibile la degustazione.”

“Che sia un lavoro da uomini? Non direi. Se vogliamo restare sull’ironia: quando si tratta di “cucinare”, le donne lo fanno da sempre. Ora semplicemente ce ne prendiamo anche il merito.”

E sullo stare accanto alla Queen della Latte art, stavolta nei panni di maestra dei profili di tostatura, aggiunge:” In azienda sono la sous-chef di Chiara Bergonzi, una delle tostatrici italiane più talentuose (no, non sono di parte… forse solo un po’).
Lavorare con lei è come stare in una cucina stellata: la ricerca è continua, la perfezione è l’unico obiettivo, e la soddisfazione… non pervenuta.

Pretende il massimo da sé e lo stesso da chi le sta accanto. E sì, è tosta – ma tostare, del resto, è il suo mestiere. Io so che esco dal lavoro sempre “baked”.”

Poi è il turno di Gabriela Montanez, la donna della micro roastery Santaromero:

Gabriela Montanez (foto concessa)

“Questo stereotipo è diffuso a livello globale e in generale in tutto il settore. Per quanto riguarda il ruolo proprio del torrefattore, il discorso si sposta sempre sulla forza fisica e in effetti, il tema esiste. Durante il processo, spostare i sacchi, caricare il verde nella macchina, in ambienti come le micro roastery in cui tutto è manuale, in effetti richiede una certa fisicità. Quando ci arriva un pallet, dobbiamo scaricarlo, aprirlo, sollevare il grano e per poterlo fare, è necessario avere la giusta prestanza.

Qualche tempo fa ho avuto una conversazione interessante con una donna che tostava a Londra e il discorso è girato sempre attorno alla domanda: per te, quanto è difficile tostare? Confrontandoci, il pensiero era simile. È vero che io sono molto allenata, faccio tanta palestra e riesco a sollevare fino a 35 chili, ma a volte farlo da sola, non è semplice. Il carico-scarico, è un punto che mi mette alla prova e sotto stress. Adesso operiamo su una macchina piccola da 3 kg, ma ovviamente il pensiero va al futuro quando avremo una macchina più grande e gestiremo quantità maggiori.”

Ma il lavoro della torrefazione non è soltanto questa fase

Specifica Gabriela che si parla di chimica, di botanica, di comprendere come costruire i profili per valorizzare la materia prima selezionata in origine. All’inizio il bello ovviamente sta proprio nel tostare e ne vedere come si sviluppa il chicco “Ma da un certo punto diventa un po’ il lavoro di un operaio – confessa Gabriela – Tuttavia resta il lavoro di ricerca, di programmazione degli acquisti anche delle importazioni future. Tostare non è un lavoro che si può limitare soltanto allo sforzo fisico.

C’è anche tutta la gestione del rapporto diretto con i produttori, che tendenzialmente, essendo io la colombiana della roastery, mi ha permesso di mettere da parte la questione di genere, salvo in pochissimi casi. Invece è più facile che questa disparità la senta in Italia, quando i clienti e i fornitori si rivolgono a Francesco piuttosto che a me, in quanto donna e anche straniera.”

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