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Fairtrade, Ravasio: “Basta un 2° macinino per convincere i baristi a cambiare”

Parla il titolare di Ravasio Caffè, la torrefazione bergamasca vincitrice della terza edizione del Fairtrade Challenge

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Dalla Corte
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MILANO – Nel weekend della Giornata internazionale del commercio equo (11 -13 maggio 2018), i sostenitori di Fairtrade di tutto il mondo erano invitati a partecipare alla World Fairtrade Challenge.

La partecipazione consisteva nell‘organizzazione di un evento – come una colazione, un coffee break, degustazioni nei punti vendita, feste, ecc. – utilizzando prodotti Fairtrade. Da condividere con colleghi di lavoro, familiari, amici o clienti.

Fairtrade. Obiettivo della sfida mondiale

Raggiungere, insieme alle altre 19 nazioni partecipanti, il numero più alto di eventi realizzati in quel weekend. Per dimostrare il proprio supporto ai produttori dei Paesi in via di sviluppo.

Ravasio Caffè , azienda con sede a Brusaporto (Bergamo), è stata premiata da Fairtrade Italia – quale vincitore della terza edizione del Challenge – in occasione della presentazione del Rapporto annuale di attività. Avvenuta la scorsa settimana a Milano.

In questa intervista esclusiva di Comunicaffè, realizzata a margine dell’evento, il titolare Sergio Ravasio parla della sua azienda. Dei motivi che lo hanno indotto a puntare sul segmento fair trade.

La sua torrefazione ha vinto il primo premio della terza edizione della World Fairtrade Challenge

Come ha raggiunto questo risultato?

«La nostra maggiore attenzione, fin dall’inizio della nostra attività, è sempre stata dedicata alla qualità dei prodotti e quindi delle materie prime che li compongono.

Questa filosofia è l’eredità della storia della nostra famiglia. Che ha iniziato ad occuparsi di “alimentari” fin dalla metà del 1800. Un valore che ci ha portato poi ad essere sempre molto attenti alla selezione delle materie prime da utilizzare nella preparazione delle nostre miscele di caffè.»

La svolta Fairtrade

«Quando abbiamo deciso di inserire nella nostra gamma una miscela Ravasio Bio Fairtrade l’unica condizione che ci siamo posti è che la nuova miscela avrebbe dovuto rispecchiare tutta la filosofia di qualità Caffè Ravasio. Per cui, non doveva essere una semplice operazione di marketing.

Da qui, è partita una lunga ricerca e selezione delle materie prime che ci ha permesso di costruire la nostra miscela Bio Fairtrade caffè Ravasio.»

Sergio Ravasio con la moglie Josephina Cardoso, Export Manager

Il caffè non è il settore più forte in ambito Fairtrade Italia dove dominano le banane, eppure ha vinto una torrefazione. Come mai?

«Penso che in questi anni nel bene e nel male, il caffè stia ricevendo un’attenzione particolare. Continue pubblicazioni e studi, a volte anche poco attendibili, che arrivano da ogni parte del mondo, uniti finalmente ad una maggiore attenzione alla qualità dei prodotti, hanno dato nuovo vigore alla nostra bevanda.

Le numerose e frequentatissime competizioni e manifestazioni che hanno al centro il caffè sono una testimonianza di quanto sia ritornato dinamico il mercato. Di quanta voglia di qualità ci sia.»

Perché la sua torrefazione ha scelto di trattare caffè con il marchio Fairtrade?

«Nel dna aziendale c’è sempre stata una forte voglia di qualità e equità. Inserire quindi nella nostra gamma anche un prodotto che rispecchiasse questa nostra componente, è stato il completamento logico della nostra crescita professionale.»

I baristi, come reagiscono?

«Inizialmente con una discreta diffidenza. Proponendo una miscela con doppia certificazione (Bio e Fairtrade) infatti, c’era la convinzione che la miscela non avesse la stabilità e la qualità organolettica di quella tradizionale.

Abbiamo iniziato proponendo la miscela Bio Fairtrade come alternativa al cliente del bar. Fornendo un secondo macinino e lasciando al cliente la possibilità di scelta.»

E i clienti? Ha dei feedback?

«Molto positivo. Infatti, ci sono stati alcuni che sono ormai un riferimento. Infatti, in breve tempo, hanno sostituito integralmente la miscela tradizionale con quella Bio Fairtrade, suscitando anche l’interesse di nuovi clienti.

E’ grazie a questi clienti sensibili al progetto e alla loro cura nel preparare e comunicare la qualità e la socialità del prodotto, che siamo riusciti ad intercettare l’attenzione della clientela finale. E quindi a preparare il terreno per raggiungere questo prestigioso risultato.

Un ringraziamento particolare va ai nostri clienti che si sono resi disponibili per la competizione e al “Bonheur Café” di Villa D’almè (Bergamo), che ci ha permesso di vincere la competizione.»

Il caffè Fairtrade potrebbe essere più diffuso? Che cosa ne impedisce una diffusione maggiore?

«Crescita e interesse ci sono: non siamo al livello di altre categorie merceologiche. Ma penso che con una maggior sensibilizzazione sulla necessità di ritornare ad un equo sfruttamento delle risorse sia umane che naturali sia un impegno che tutti noi dobbiamo prendere.»

Il caffè Fairtrade è più buono, migliore degli altri caffè non Fairtrade

C’è una maggiore cura nella coltivazione in queste aziende cooperative più tutelate sul fronte dei prezzi?

«Il mondo di tutte le materie prime è fatto di prodotti più o meno buoni. Come per tutti i prodotti di nicchia che beneficiano di nuove attenzioni commerciali, si rischia a volte di creare confusione fra prodotti similari proposti con prezzi diversi.

Qui entra in gioco la professionalità e la serietà delle aziende che devono sempre premiare i produttori di materie prime in linea con il progetto Fairtrade.

Sicuramente una maggiore aggregazione di piccoli produttori potrebbe portare benefici. Soprattutto alle loro capacità produttive e di conseguenza anche alla gestione dei prezzi.

Su questo vedo però necessario l’intervento continuo di Fair Trade anche se fortunatamente per il consumatore finale che ha capito la filosofia del progetto la piccola differenza di prezzo non è determinante.»

Con una concorrenza così sfrenata il caffè Fairtrade può rappresentare una nuova opportunità di business perché differenzia in modo marcato le aziende?

«È ancora un mercato di nicchia, molto dinamico ma che non raggiunge ancora numeri importanti. Resta il fatto che, per un’azienda che si propone alla propria clientela con una gamma di prodotti di ottimo livello completata da un prodotto Bio Fairtrade, si aprono ulteriori possibilità.

Ma, soprattutto, manda immediatamente un grande messaggio di attenzione che la torrefazione pone sulla qualità e alla sostenibilità del proprio lavoro.»

Alcuni dei prodotti della gamma di Ravasio Caffè

La scelta di investire nel caffè equo solidale, è stata dettata dalle esigenze di un mercato sempre più sensibile ad un prodotto di questo tipo, o perché come azienda, ne avete fatto una filosofia prioritaria?

«La nostra rimane una torrefazione tradizionale che sviluppa il suo lavoro principalmente nel settore Horeca. La produzione Bio Fairtrade è stato l’obiettivo che ci eravamo proposti come completamento della filosofia aziendale. Sempre molto attenta sulla qualità dei nostri prodotti.»

Adesso che potete vantare questo premio, pensa che cambierà qualcosa a livello di immagine del brand?

«Il premio è stato la certificazione che il cammino intrapreso con la continua attenzione alle materie prime è corretto. Veicoleremo questo importante risultato a tutta la nostra clientela. In modo che sempre più persone possano avvicinarsi ai prodotti Bio Fair Trade.

In un mercato così polverizzato e saturo poter vantare questo riconoscimento, porterà un grande beneficio a tutta la produzione caffè Ravasio in Italia. Ma anche in quei mercati esteri da sempre molto attenti alla produzione Bio Fairtrade.»

Siete riusciti a formare una rete magari per un confronto sull’andamento del caffè Fairtrade, tra le torrefazioni collegate a questa organizzazione?

«Il mercato del caffè in Italia è troppo polverizzato e competitivo per poter formare una rete. Il nostro miglior interlocutore e consigliere è e rimane la struttura di Fairtrade Italia.»

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